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Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità ideologica (ovvero il regime velato) (38)
Prosegue in:
I benefici della biodiversità delle piante (40/41)
‘Io credo –
rispose il notaio – che il S. Officio proceda contro li Heretici, et per
stregarie et altri mallefitii’. E qui l’inquisitore dovette abbandonare per un
attimo la via delle domande, per precisare e informare: il raggio d’azione del
Sant’Uffizio era molto più ampio; riguardava anche i blasfemi, i superstiziosi,
i possessori o i lettori nonché gli scrittori di libri proibiti, uguagliandoli
a coloro che mangiavano carne nei giorni proibiti: dicesse dunque se conosceva
qualche persona in quelle condizioni o se aveva egli stesso libri proibiti
(averli.. figuriamoci… scriverli…).
Arbitrio
segretezza intimidazione e mistero: questi i caratteri che una lunga tradizione
ha legato ai processi dell’inquisizione condizionando un’intera cultura e la
successiva sua stratificazione storica e scientifica.
Prigioniero
di un tetro carcere e soprattutto di regole ignote, il ‘reo’ è il modello
dell’uomo posto nella condizione della incertezza totale, di sé e del mondo (se
visto dall’esterno appare un meschino teatro dell’assurdo di Kafkiana
memoria…). Il sogno del prigioniero è fatto di luce e di libertà: gli scritti
di Tommaso Campanella, un uomo che visse una tremenda esperienza carceraria,
sono dominati dal tema della luce solare.
Ma
l’oscurità delle regole (per chi non ha regola..), più ancora di quella
materiale delle segrete, domina il mondo storiografico dell’Inquisizione, la
sua immagine vulgata. E’ un’immagine che ben merita di esser definita
‘Kafkiana’: e l’atmosfera diffusa dalla letteratura romanzesca intorno al
processo dell’Inquisizione è quella oscura, inquietante, mista di arbitrio e di
burocrazia pedanteria e vigliaccheria che si riassume in quell’aggettivo.
Si assume,
in sostanza, che il tribunale ecclesiastico operasse coprendo col segreto ogni
arbitrio e ponendo i ‘rei’ davanti al fatto compiuto, lasciandoli annaspare
senza punti di riferimento.
‘Questo
segreto è l’anima del sistema inquisitoriale’: lo ha detto Juan Antonio
Llorente, uno che se ne intendeva. Secondo l’ex segretario dell’inquisizione
spagnola, senza il segreto non ci sarebbero stati l’arbitrio, il fanatismo, lo
scatenarsi delle passioni personali dei giudici, e neppure il furore del
popolo…
Bisognerà
distinguere intanto i due aspetti del problema, la segretezza delle procedure
inquisitoriali e l’ignoranza soggettiva dell’imputato (ma non da meno, è
importante rilevare, dei delatori di volta in volta costretti dal Regime di tal
metodo acquisito e così servito), una norma pratica a tutelare i testimoni
dalla vendetta degli accusati; c’era poi la necessità di un’azione efficace e
la pubblicità era pericolosa. Dunque, bisognava operare per evitare le
conseguenze pericolose della pubblicità, se si voleva estirpare la mala pianta
dell’eresia.
Ma se non c’era
pericolo, l’inquisitore o il vescovo potevano pubblicare i nomi dei testimoni:
questo era quanto stabilito, ad esempio, da Bonifacio VIII e registrato da
Nicolau Eymeric. Tuttavia, già alla fine del Quattrocento si era affermata la
prassi di imporre il segreto sotto pena di scomunica sia ai testimoni sia ai
periti di cui si chiedeva il parere: e Francisco Pena, annotando il manuale di
Eymeric nell’edizione romana del 1578 registrava l’incontrastata vittoria della
prassi del silenzio e del segreto.
Era una
svolta importante nella storia stratigrafica sociale, che doveva segnare la
vita dell’istituzione e la sua immagine: il segreto, associandosi al metodo
inquisitorio che metteva nelle mani del giudice l’azione di polizia e la
raccolta delle prove a carico, finì col diventare una caratteristica primaria
di questo tribunale.
Ne derivano
conseguenze di vario genere, di cui basterà ricordare le due più evidenti: la
nascita di un sistema carcerario (e non…) inquisitoriale e l’organizzazione di
un sistema speciale e segretissimo di archiviazione dei dati raccolti.
Carceri
archivi e fascicoli hanno variamente servito a sottrarre persone e informazioni
alla libera circolazione (delle idee…): ma quelli dell’inquisizione lo hanno
fatto in maniera particolarmente accentuata e rigorosa, fino a diventare – da
strumenti accessori e facoltativi – le istituzioni più tipiche di quel
tribunale. Caratteristica, da non trascurare, le carceri inquisitoriali
dovevano garantire l’isolamento del prigioniero nella fase processuale; e
potevano essere usate anche per punire e non solo per custodire qualcuno in
attesa di giudicarlo.
In ambedue i
casi, l’isolamento dell’eretico era fondamentale: l’imputato – o il condannato
– doveva essere isolato dal mondo, per concentrarsi su se stesso e, nella
solitudine (molto e fruttuosamente inquisita, perché lo stesso tribunale si
incaricava di sottrarre i beni legittimi dell’ignaro reo…) e nell’afflizione,
arrivare al pentimento pieno delle sue colpe (colpe che molto spesso l’imputato
ignorava, non solo per l’ignoranza detta, sua o dei delatori, ma anche per
l’interpretazione che i detti Inquisitori o se preferiamo dotti inquisitori,
attribuivano al pensiero dell’eretico per meglio interpretarlo ed inserirlo
nella dotta ignoranza specchio del proprio secolo.
Ragione per cui, possiamo
rovesciare i termini del discorso in materia di ignoranza e dotta sapienza,
come per la pianta custode di un processo di crescita vegetativo, nel post connesso al presente, diverso come per secoli è
stato supposto nella fotosintesi e nel nutrimento dai fotoni, ed aggiungere
senza nessuno voler offendere nell’eretica nostra condizione, che ‘a tutt’oggi
ugual fotoni nutrono la pianta, nel suo processo di sviluppo e crescita, fotoni
ed immagini prive di contenuti nel fertile terreno dell’ignoranza coltivata,
dove per il vero la terra, intesa come materia... e non come la luce della
spirito riflesso in una condizione gnostica di sapere, è nutrimento primo e
ragione della loro esistenza’. Con questo assunto, siamo tornati ai titoli
della presente: Verità scientifica e… & il regime velato….).
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)
(Fotografie di: Appie Bonis)
(A. Prosperi, Tribunali della coscienza)
(Fotografie di: Appie Bonis)
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