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Migrazioni & Relazioni
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Della Notte!’. Disse il corvo: ‘Mai più’. Molto fui stupito a udir
parlare così distintamente quel goffo uccello, quantunque non avesse molto
senso, scarsa attinenza avesse anzi la sua risposta; poiché certo ognuno converrà che a nessuna
vivente persona toccò mai di vedere un uccello sulla
porta della sua stanza –
uccello o altro animale posato sul busto scultoreo sopra la porta della sua
stanza, e con un tale nome, ‘Mai più’. Ma il corvo, solitario sedendo sul
placido busto, altro non disse che quella parola, quasi che tutta la sua anima in quella sola parola
avesse profuso. Né altro
più aggiunse – né piuma più scosse – finché non
diss’io in un soffio: ‘Altri amici già volaron via – e domani anch’egli andrà via, come le speranze
già tutte volaron via’. Disse allora l’uccello: ‘Mai più’. Attonito per
quell’appropriata risposta che così infrangeva il silenzio, ‘Senza dubbio’, io ripresi,
‘è quel
che dice tutto quel che sa, appreso da un qualche infelice padrone che la sventura strinse dappresso, sempre più, e più, finché ogni suo canto non si ridusse che a quel
ritornello – finché gli inni della sua mesta speranza non si ridussero che a
quell’unico malinconico ‘Mai – mai più’. E
mentre il corvo ancora m’induceva al sorriso i
tristi pensieri, io sospinsi la mia poltrona fino alla porta, innanzi al busto
e innanzi a quell’uccello; quindi, affondato nel velluto, mi diedi a collegare pensiero a pensiero,
domandami che cosa mai quel sinistro uccello d’altri tempi – che cosa mai
questo cupo, goffo avido, infausto e sinistro uccello d’altri tempi volesse dire, gracchiando
‘Mai più’. Così io sedevo, immerso in congetture, e non più mi volgevo
all’uccello, i cui fieri occhi ora nel petto mi bruciavano; così io sedevo su questo e su altro
ancora pronosticando, chinata la testa sul
velluto del cuscino, su cui la
lampada fissava il suo occhio di luce, sul tessuto di viola che la lampada fissava col suo occhio di
luce, e che lei non toccherà mai più! Poi, così mi parve, diventò l’aria più
densa, quasi fosse profumata da un invisibile incensiere da serafini agitato, col tintinnio dei
loro
passi che sfioravano il tappeto. ‘Ah misero’, gridai, t’offre Iddio per mano di
questi angeli, ti offre Iddio un sollievo – sollievo
e nepente per il ricordo della tua Lenora; sorseggia, oh sorseggia questo dolce
nepente e dimentica questa tua perduta Lenora!’. Disse il corvo: ‘Mai più’.
‘Profeta’, io dissi, ‘mostro del male! –
profeta pur sempre, uccello o demonio! Sia che il Maligno stesso t’abbia
mandato o la tempesta qui gettato Sulla riva, afflitto ma non domato, su questa deserta terra stregata –
su questa casa visitata dall’Orrore – dimmi ora, io t’imploro – v è – vi è un
balsamo
in Gilead? Dimmelo – dimmelo, io t’imploro!’. Disse il corvo ‘Mai più’. ‘Profeta’,
io dissi, ‘mostro del male! – profeta pur sempre, uccello del demonio! Per quel
cielo che su noi s’incurva – per quel Dio che entrambi adoriamo dì a quest’anima
oppressa se mai nel remoto Eden abbraccerà
più mai una fanciulla beata che gli
angeli chiaman Lenora abbraccerà più mai quella rara e radiosa fanciulla che gli angeli
chiaman Lenora’. Disse il corvo: ‘Mai più’. ‘E sia questa tua parola per noi
ora segno d’addio, uccello o demonio!’ gridai e balzai in piedi. Ritorna alle tue tempeste e alle
tue
plutonie rive della Notte! Non lasciarmi nessuna tua nera piuma a
significar la tua menzogna! La mia solitudine lascia a me intoccata, e tu lascia il busto sopra la mia
porta! Porta via il tuo becco, dal mio cuore, porta via la tua figura da quella
mia porta! Disse il corvo: ‘Mai più’. E mai più
volando via di lì, il corvo ancora lì posa, ancora
lì siede, sul pallido busto di Pallade, sopra la porta della mia stanza; e
sembrano i suoi occhi d’un demonio che sogni; e la luce della lampada che l’investe ne getta
l’ombra sul pavimento; e la mia anima da quell’ombra che fluttua e tremola sul
pavimento non sarà sollevata – mai più!
(Edgar Allan Poe, Il corvo)
(Edgar Allan Poe, Il corvo)
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