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L'esilio di di Jonathan (9)
Prosegue in:
Il volo di Jonathan (11)
... Antico (per essere da noi capito), come se non fosse tuo ingegno
‘meccanico’ con l’ala volontà cui si forma l’istinto nel gene custodito, ma al
contrario (immonda Eresia…), il vento ti è, ed era amico, e indica la via della
tua Parola quanto il passo quale volo della nostra misera ‘ora’. Il vento io
avevo ed ho capito, legge la strofa e l’ingegno di Dio come fosse un suo
sospiro, guida il volo nell’attimo in cui la Parola dal Pensiero ‘vola’, dal
tuo Dio nutrita e concepita, questo elemento a noi nemico. Questo mistero per
noi non può essere accettato o appena tollerato, delle ‘bestie’ come te noi
nutriamo il nostro corpo e con esso il suo Spirito, perché la ‘via’ Dio ha
indicato quale padrona del tuo martirio. Non tornare per questi luoghi, fuggi
dal nostro sentiero, l’esilio sia compagno dell’eterno destino… Siamo noi i
padroni del tuo volo, siamo noi il tuo Dio, e da qui il mio terreno occhio non
scorge l’Eretico Primo Dio, con questa bestemmia noi nutriamo l’eterno pasto
ben condito, tu cacciagione del nostro mortale istinto…. Il nostro vento ed in
nostro comune ‘verbo’ corrono veloci da un ‘parabola’ ad un filo… occhio di Dio. Te osi nominare Polifemo la nostra ‘parabola’?
Te osi insultare la nostra ‘parola’? Disciplina e ‘canone’ di vita? Te osi
turbare l’economia ed i denari della terrena e comune ricchezza? Osi
pronunciare la tua ‘scemenza’ nominata ‘Eresia’, non turbare la ‘via’ non osare
altra ‘magia’ da me scorta una mattina, perché ad un fucile appenderò la tua
inutile e dannosa vita, ad un chiodo ornerò il mio camino quale trofeo antico
la tua testa occhio senza alcun Dio. Testa di un pasto troppo antico per essere
discusso al regno della eterna legge di cui leggo il raffinato e ben illustrato
libro. ‘Minare’ il tuo volo è mio dovere perché la legge di un papa padrone del
creato mi investì del secolare incarico…”
Quell’uomo già ho visto giù da basso, nella valle che forma la mia
Rima, come una parentesi una stonatura alla musica dell’Eterna Ora, un colpo di
freccia o forse di fucile, una brusca ‘parola’: non è Rima di vita, non è
musica ‘trovata’ uno stesso giorno da un altro nobile Signore. Trovatore della
Parola accompagna(va) il suo quanto mio motivo. Ma io ed altri miei fratelli di questo martirio,
dopo un ‘viaggio’ troppo lungo per essere qui solo descritto, cantiamo la
strofa eterna di Dio, ed il Trovatore apprese e musicò la Poesia, la canzone
antica…, apostrofò la vita di nuovo risorta al teschio della terrena vita…)
Per chi viene (come
Jonathan…) dal cuore della Francia, i Pirenei si materializzano di colpo….,
come una sorpresa…..
Dalla verde pianura ondulata allo spartiacque ci sono 3.000 metri di
dislivello e non più di una quarantina di chilometri in linea d’aria: creste,
cime e nevai sono parte integrante del profilo urbano di Pau, di Tarbes, di
Saint-Gaudens, di Lourdes e degli altri centri abitati allineati sul margine
della pianura. Verso quelle vette che superano o sfiorano i 3.000 metri
(Marboré, Vignemale, Balaitous, Pic du Midi d’Ossau…) salgano valli ripide e
incassate, rivestite di faggete e abetaie, percorse da acque spumeggianti. In
alto si aprano i pascoli e le pietraie, si alzano creste dentellate e pareti.
Poche altre regioni d’Europa offrono l’uno accanto all’altro ambienti che
sembrano appartenere a ‘mondi’ così diversi.
Un nibbio reale che prende quota sopra il massiccio del Ribeste, che
sovrasta Lourdes, si innalza in un’aria che sa di Mediterraneo, profumata di
timo, rosmarino e lavanda, sorvola prati verdi come nella più verde Irlanda e
oscuri boschi di faggi e abeti bianchi degni della Foresta Nera, ed in pochi
minuti è sopra gli antichissimi graniti del massiccio di Néouvielle punteggiati
di laghi glaciali e rivestiti di praterie e torbiere, o tra le pareti verticali
dei giovani circhi glaciali di Troumouse, Estaubé e Gavarnie, ciclopici
anfiteatri calcarei di origine marina. Anche fauna e flora qui presentano un
campionario fuori del comune. Fa effetto vedere i grifoni o i capovaccai,
uccelli che viene spontaneo associare alle grandi pianure aride, roteare sopra
questi paesaggi alpestri sorvolando le abetaie dove canta il gallo cedrone, le
pietraie dove fischia la marmotta o si acquatta la pernice bianca, le creste su
cui si avventura il camoscio. E poi ci sono le aquile reali ed il grande
avvoltoio degli agnelli; giù nei boschi più impenetrabili, si nasconde l’orso,
e nei torrenti vive la sua vita furtiva lo straordinario desman.
Quanto alla flora, conta 150 endenismi, specie che vivono solo qui,
come su un’isola, e la bellissima ramondaia, pianta tropicale sopravvissuta ad
un’epoca in cui il clima su questi monti doveva essere straordinariamente
caldo. Insomma, un patrimonio di ricchezze naturali e ambienti da non perdere.
E infatti, in queste valli, dal 1967 c’è uno dei parchi nazionali francesi: il
Parco dei Pirenei occidentali. Una striscia larga al massimo 15 chilometri e
solo uno e mezzo nel punto più stretto, che corre per un centinaio di
chilometri lungo la frontiera con la Spagna, dalla testata della valle d’Aure a
quella della valle d’Aspe a ovest. Ha una superficie di 457 chilometri
quadrati, a cui si aggiungono i 23 della Riserva naturale di Néouvielle, ma
nessuna abitazione sorge nel suo territorio. Il perimetro è ossessivamente
marcato da una vistosa segnaletica – una testa di camoscio rossa in campo
bianco – come se fosse necessario, a scanso di equivoci, rendere ben chiaro dove
comincia la protezione (ugual testa orna il mio camino nel Tempo ciclico del
feudo antico, ugual trofeo orna la mia caccia svago della mia ‘ora’, non v’è
direzione in codesta ‘Parola’ bada amico che leggi la mia ‘opera’, perché ora
vedo il nobile signore chino attento al suo libro. Scorgo l’occhio freddo e
lucido mentre contempla la parola, mentre prega Dio, la sala ampia e ricca del
fasto della sua ricchezza, della guerra, del commercio cui il nuovo Millennio è
padrone della moneta. Ugual metallo pregiato quanto l’armatura ben esposta alla
vista, accompagnata dall’arma commissionata al fuoco della fucina, affilata
quanto la spada che uccide ogni parola nemica, io servo e custode per conto di
Dio. “Se di nuovo resusciti, complice la Storia, la mia anima assopita e
custodita nella sacra dimora, Chiesa maestosamente nel Gotico scolpita, come
fosse ‘pietra morta’ dalla quali trassi la voce della dottrina, non trascurare
di narrare che io fui sempre servitore di Dio, non trascurare di dire che io
sempre fui servo della sua parola, perché ora la mia Anima risvegli incatenata
ad una strano destino non conforme con la Parola pregata del tuo Primo Dio. Ti
scruto ed osservo ora in questa nuova vita, un albero orna la via, fermo
immobile, per quanto in tanti pregano le mie spoglie ben custodite, per quanto
in tanti guardano la pietra ove è custodito il mio nome, con tanti ‘primi e
‘secondi’ araldi della nobile casata, perché il sangue puro abbiamo in dono da
quel Cristo. Forse fu una pretesa figlia dei suoi tempi, ed ora, per punizione
del tuo blasfemo Dio, dono immobile linfa alla bestia del mio banchetto antico.
Sono in attesa, nel cerchio della mia ora scritta e scolpita nel tronco del
secolare destino, di restituire ugual sangue e respiro, nell’errore così ben
concepito, di cui facemmo ricco il nostro secolar destino. Spero di narrare per
il vero, dopo i tanti secoli trascorsi ed accompagnare il tuo canto, di trapassare
a miglior vita. Zitto non ricordare! Ma se vuoi cerca di alleviare questo male
antico, vorrei passare dall’immobilità di questa stagione a nuova vita così da
poter narrare la vera via, ma se nomini i miei trascorsi forse potrei divenire
selvaggina, ed ad un fuoco appendere e condire l’altrui vita. E poi… dopo
l’inferno, comprendere la paura, dopo il fuoco ben digerito, comprendere le
rime o le parole inquisite… Zitto Jonathan, non narrare o cantare del mio
dolore antico, tacita la lingua arguta, miriamo il libro quale foglia antica
opera preziosa, miriamo la raffinata arte, mi pento della tortura arrecata, mi
pento del dolore in quel nome custodito, e per il nome restituito, ora so che
fu l’errore ad indicarmi il passo, ora so che fu l’intolleranza a dissetare la
volontà di ricchezza. La croce solo una scusa, il tuo Cristo, una miniatura ben
dipinta ad ornare la mia sete di ricchezza. Non compresi mai la sua Parola,
anche se ben custodita e incaricata. Zitto Jonathan, sto di nuovo leggendo il
libro, capo chino al castello antico, con la tua venuta saprò una nuova vita
alla mia ‘ora’, certo contemplerò e conserverò l’opera della stessa ora, ma
ugual libro Eretico ed inquisito riscriverò al calvario delle vite uccise e perseguitate,
ugual arte adopererò nella volontà nei secoli compresa, al crocevia del ramo di
questo Tempo invisibile al terreno cammino….
Zitto Jonathan, una
foglia cade come una lacrima da quella antica ‘ora’ nell’inverno di quella
strofa ben dipinta, ed ora la ‘primavera’ la resuscita alla verità di una nuova
venuta, e nella ‘pace’ scrivere la vera Natura…. Giammai guerra arrecherò alla
Vita, ma prego ogni sua opera, quale voce del tuo e mio Destino, ogni Vita è
sacra a Dio… E se io orno il tuo libro quale pregiata miniatura del cammino,
volo eterno nel terreno cammino scritto, riscriverò per ‘loro’ e ‘mia’ anima al
girone della vita, perché una Rima, come da quel Dante così ben concepita,
possa restituire giammai volgare lingua, ma grammatica di vita…. all’esule
fuggito dalla sua patria tradita…. E risalire la vita al purgatorio della
parola cui non mi fu concesso neppure un ‘verso’ di secolare memoria, accetta
il mio pentimento qui chino ed assiso nel luogo smarrito, concedimi almeno il
‘verso’ tacitato al respiro per tanto tempo donato alla punizione del tuo Dio….
Concedimi di volare e giammai compiere il completo girone della vita, ora che sto
‘strisciando’ ed implorando clemenza antica…”)
La verità che
affrontiamo non è pertanto solamente quella dell’assimilazione ma è anche
quella del ruolo dei miniatori nei meccanismi di circolazione dei manoscritti o
dei modelli e gli effetti di tale circolazione.
‘Sono dunque gli scambi, gli spostamenti, ciò che (ci) (proprio su quel
‘ci’ mi soffermo, come un ramo fiorito, perché il mio intento non è svilire la
‘Natura’ di quell’arte ma far sì di restituire l’invisibile moneta che l’arte
ha sottratto alla dignità di ciascuno, e di essere da tutti indistintamente
vissuta, così come è la vera Parola da Dio sacrificata al teschio della tua
venuta, nobile che destini il tuo racconto, su cui prenderò giusto appunto,
perché in verità a te dico, che quell’arte è ugualmente e per sempre Divina. L’importante
è saper cogliere e coltivare il vero frutto, è saper interpretare la giusta
Parola, perché ugual commercio in questa stessa ‘ora’ una strana miniatura
illumina la falsa parola con le eterne ragioni e stagioni di uno stesso scambio
e commercio. Allora poso ben dire: che la tua opera sia contemplata, che la tua
arte sia gustata come ebbe a dire quel famoso critico: ‘possedere un libro miniato è come scrutare l’universo antico,
tutto quanto entro un piccolo libro’. Ma ora il miniato e comune camino
accendono un diverso libro con tanti geroglifici e parole piccole al palmare
della vita, tutto il mondo ugualmente possedere senza essere neppur capito.
Tutto veloce e ben curato come una ‘miniatura’ antica, ma ugual terreno cammino
circolerà quale linfa dell’eterno umano martirio, e la vita di nuovo tradita. La
Natura di nuovo uccisa alla croce di questa verità antica per essere dalla
materia capita…)
…. I miniatori stranieri, provenienti dall’Italia o dalla Catalogna, o
formatisi in un momento precedente in ateliers italiani o catalani, sono
portatori di un trasferimento la cui analisi ci permetterà di meglio valutare
quale è stato il ruolo svolto dalla miniatura italiana o catalana del contesto
della ‘decorazione’ libraria nel Midi della Francia fra il XIII ed il XIV
secolo. Una prolifica ‘bottega’ da cui prendiamo spunto ed appunto per la
comune Memoria è quella del ‘Liber Visionis Ezechielis’ dalla prima opera
individuata: il ‘Liber Visionis Ezechielis de Rotis’ del francescano Enrico del
Carretto (1270-1323), opera conservata in due copie manoscritte, fra loro
contemporanee, oggi custodite alla Bibliothèque nazionale di Parigi. In
quest’ultimo esempio, ora impoverito di una buona parte del suo apparato
illustrativo, Francois Avril ha individuato, nell’esecuzione di due iniziali
miniate l’intervento del famoso miniatore italiano conosciuto come Maestro del Codice
di San Giorgio.
Anche nell’apparato ornamentale delle ‘Decretali’ senesi, foglie
d’acanto dalla fisionomia a mezza palmetta, dipinte di rosso arancio, blu e
rosa, profilate in biacca, di matrice italianizzante, si avvicendano ad
elementi peculiari della Francia meridionale al confine con la Spagna…, come il
repertorio di figure grottesche dai volti lunari e dall’espressione ilare,
posate su lunghi colli filiformi dall’andamento arricciato a guisa di molla…,
ed accompagnano (…ornano con la parola il nostro comune cammino…. al girone
della terrena vita cui è legato il ciclo della Divina Rima compiuta. Commedia
recitata ma giammai capita al confino di una nuova via: ora cammina e vola
quale verso di una nuova rinascita, per contemplare ed ornare la mia Eterna
Venuta: Benvenuta Parola al sentiero del libro della vita. Anche se feroce o
dolce come il ruscello ove disseto il nobile pensiero compi il ciclo della
Natura, orni il disegno nell’evoluzione di ciò che fu e sarà la parola da qui
evoluta. Ucciderai la Rima e la strofa, flora e fauna della vita così ben
miniata e dipinta, guardala è un quadro di grande bellezza! Prega, perché
questa la tua vera ricchezza! Ma con il tuo nobile ingegno, parola da lì
cresciuta, la Poesia sarà così compiuta e sacrificata al teschio della terrena
venuta… Parola evoluta…).
I protagonisti che si
affacciano, a questo punto dell’opera miniata (giammai da noi minata…)
sono, con i loro ‘volti’ altrettanto stralunati che ci scrutano per questo
sentiero, i padroni o custodi della ‘pagina’ così ben ornata sentiero di vita,
personaggi che per la loro ‘simpatia’ e ‘droleries’ dell’Ecosistema osservato,
di rara bellezza compostezza riservatezza, e talvolta, feroce consistenza. Si
sporgono da una pagina da un rigo, ornano il passo invisibile non visto nel
loro secolare invito…
In Primavera la livrea candida dell’ermellino (Mustela erminea) che comincia
a riprendere il suo calore fulvo come segnale della fine dell’inverno. Nel
fitto dei boschi risuona il canto d’amore del gallo cedrone (Tetrao urogallus).
Il bianco capovaccaio (Neophron percuopterus), l’avvoltoio degli Egizi, torna
dai quartieri d’inverno africani. Nelle radure e nei canaloni più esposti,
fiorisce il giallo giglio dei Pirenei (Lilium pyrenaicum). La remondia (Ramonda
pyrenaica), testimonianza di lontani climi tropicali, apre i suoi fiori
violetti negli angoli più umidi.
In estate il ritorno delle greggi sui pascoli estivi vuol dire anche
più disponibilità di cibo per i grandi rapaci mangiatori di carogne. Il gipeto
o avvoltoio degli agnelli (Gypaetus barbatus) perlustra ghiaioni e praterie per
scoprire la carcassa di qualche animale morto accidentalmente. Questo grande
uccello riesce a consumarne anche la pelle e le ossa. La giovane aquila (Aquila
chrysaetos), riconoscibile per le macchie bianche sulle ali e sulla coda,
impara a cacciare accompagnata da uno dei genitori. Per il camoscio (Rupicapra
pyrenaica) inizia la stagione degli amori, ed i maschi sono impegnati a
conquistare un territorio ove attirare le femmine. La marmotta (Marmotta
marmotta) imbottisce d’erba secca la tana dove passerà l’inverno. Anche l’orso
bruno (Ursus arctos) si prepara al letargo facendo scorpacciate di mirtilli…
(Airone.... & I libri miniati...; nelle parentesi commenti del curatore del blog...)
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