giuliano

venerdì 24 aprile 2015

IL VOLO DI JONATHAN (14)







































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... Fuggito, come quegli uomini nel Tempo di un diverso Dio mai appassito, anche io ho volato nel sudario di quanto da te miniato… Cacciato da un essere troppo vile per essere narrato, troppo meschino per essere appena ricordato, confuso fra un riso compiaciuto per l’inganno arrecato, per la tortura inflitta, per il confino giammai meritato, ed un ghigno di disprezzo per quanto narrato nel volo braccato e cacciato. Perché la caccia al volo antico e per sempre rinato ricordano la Storia in cui affoghi la morale della tua falsa gloria. E come l’uomo perito sognando il volo su un diverso Creato, per la loro colpa ed il loro peccato, pregando una verità Universale pace del Creato, sono stato  umiliato tradito e braccato, volo ‘cacciato’ agnello consumato!
Nella materia mi vedi e controlli, disciplini e dispensi la ‘regola antica’, per questo mai taciterò il canto della Rima, giammai impazzita al porto della tua strana Dottrina, e se la Storia vuoi tacitare, se la vista vuoi annebbiare, se la mente confondere, se la ‘penna’ bruciare, sappi che il Vento mi è amico, il Vento del Primo Dio! E’ Lui che indica la via, è Lui che ricorda la Verità tradita, per questo deve essere narrata alla rinascita di ogni vita perita e torturata. Così da poter di nuovo apparire al foglio ed al bordo del libro miniato ornare con ugual voce antica l’araldo della tua nuova conquista appesa alla ‘parabola’ della nuova via…)




Una seconda campagna illustrativa dal carattere unitario, di sicuro posteriore cronologicamente rispetto al primo intervento pittorico, intrapresa in un momento successivo allo scopo di integrare l’apparato illustrativo (nell’icona che stai guardando, nel piccolo schermo antico e moderno al tuo rigo, miniatura di un falso dio…) del manoscritto, rimasto in un primo tempo incompleto, si individua in 17 riquadri miniati, realizzati in aggiunta negli spazi lasciati appositamente liberi dai ‘copisti’, e si deve, come abbiamo potuto dimostrare, ad una bottega ben riconoscibile originaria della Francia meridionale, operante ad Avignone: quella del manoscritto ‘Speculum Humanae Salvationis’, oggi nella Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, datato alla metà degli anni trenta del XIV secolo.
Alcune influenze dello stile lineare dell’Ile-de-France sono preponderanti a Tolosa e nella Linguadoca così come nell’insieme del Sud-Ovest francese, tuttavia l’interpretazione che i miniatori meridionali danno dello stile settentrionale presenta dei caratteri specifici che ben difficilmente possono confondersi con quelli peculiari di altri territori francesi ed europei. Motivi decorativi distintivi della produzione miniata della regione tolosana sono: il repertorio di figure grottesche dai volti lunari e dall’espressione ilare, posate su lunghi colli filiformi dall’andamento sinusoidale; le teste di cicogna che sovente stringono nel becco cerchi o bolli d’oro, abbarbicati in cima ad un collo filiforme e sinuoso oppure arricciato a guisa di molla; le figure mostruose che abitano le anse delle iniziali, caratterizzate da un collo filiforme, ripetutamente annodata, occupanti tutto lo spazio disponibile con la loro coda desinente in uno stelo spiraliforme a foglie tribolate; la superficie degli sfondi dei riquadri miniati trattata a bande verticali di diverso colore affiancate…..




… Pasqua…. 1655…
Confortato dai padri gesuiti, il marchese di Pianezza, ministro di Carlo Emanuele II, scatena da Torino una crociata antivaldese (ben organizzata nel ‘canone’ che disciplina la ‘parabola’ della via…) senza precedenti. Non bada a spese, ed anche se gli accidenti provengono da tutt’altri luoghi e personaggi, l’occhio di codesto dio attento osservatore di ogni volo incatena il suo odio, la sua ‘disciplina’, la ‘regola’ di vita alla volontà del martirio voce superba senza alcun dio al nuovo libro miniato icona di un piccolo schermo ‘Creato’, nel traffico della misera ora.. così ingegnosamente distribuita al traffico della Storia… E passerrano alla Storia come ‘le Pasque piemontesi’: 2000 morti, un incubo documentato dal pastore valdese Giovanni Léger, autore della ‘Storia generale delle chiese evangeliche delle valli del Piemonte (1669)’. Un libro degli orrori, illustrato, che la gentile bibliotecaria del Centro culturale valdese di Torre Pellice ancora oggi stenta, comprensibilmente, a mostrare (certo che la Storia fa orrore, la Memoria deve essere braccata ed inquisita… al rogo della nuova Dottrina…).




Ma a metà Seicento, quando esce questo volutone, stava nascendo un fenomeno del quale i Savoia non avevano tenuto conto: il giornalismo moderno. Le ‘Gezzette’ di Parigi, di Londra, di Amsterdam parlano della strage dei riformati valdesi, l’Europa protestante si indigna, il grande poeta inglese John Milton scrive il famoso sonetto sui ‘Massacri in Piemonte’. Non basterà purtroppo. Quando in Francia sale al trono l’ambizioso Luigi XIV, se possibile, la situazione peggiora. Nel 1685 il ‘Re Sole’ revoca l’editto di Nantes, che garantiva libertà a decine di migliaia di ugonotti residenti in Francia. Di più. Costringe il nipote Vittorio Amedeo II di Savoia, un ragazzo di 19 anni, a vietare l’asilo ai rifugiati ugonotti ed a eanare, nel 1686, un editto che suona quasi surreale: siano demoliti i templi valdesi, siano resi cattolici a forza i bimbi valligiani (pena la frusta per le madri), imprigionati i padri e impalati i ribelli. Sono gli anni in cui il filosofo inglese John Locke scrive le ‘Lettere sulla tolleranza’. Ma ai valdesi non resta che l’espatrio, Cioè la fuga verso la vicina e tollerante Svizzera, patria di Calvino.




(Ed ora, vento e dio che hai conferito favella, ecco il Tempo mio. Lo vedi? Un fiocco di neve. Osserva, non è meraviglioso come Dio imbianca il mio cammino come Dio raccoglie e narra la Tortura subita al calvario della tua via. Un fiocco di neve quale eterna e prima simmetria di vita, ed a te io dirò in questo tempo senza ‘ora’, in questo giorno senza alcuna tortura: che il bianco sudario cui hai destinato Parola, possa perdonare il gesto antico cui destini l’eterna avventura di chi fuggito con una barca e la speranza di un mondo più giusto alla tua parola. Un mondo bianco ove la Rima possa essere solo la neve della poesia, e giammai l’eterna tortura cui destini e rinchiudi diverso vento al porto della tua parola)…




Dura tre anni quell’esilio…
I valdesi hanno lasciato 6.000 amici nelle carceri sabaude (ne sopravvivranno la metà) e le loro case in mano a nuovi coloni. La dimensione del ritorno nella terra dei padri diventa mito, gli esuli non parlano d’altro che di un prossimo ‘glorioso rimpatrio’. E così, nella notte tra il 26 e il 27 agosto 1689, 1.000 volontari valdesi, tra cui anche qualche donna vestita da uomo, si raccolgono sulle sponde del lago Lemano presso Nyon: noleggiano qualche barca, ne sequestrano qualcun’altra, e attraversano il lago, sbarcando in territorio savoiardo nei pressi di Yvoire. Comincia insomma quella che lo storico valdese Giorgio Bouchard ha efficacemente chiamato ‘la lunga marcia’. Quindici giorni di battaglie contro gli eserciti del re di Francia e del duca di Savoia, che mettendo in campo 22.000 uomini non riescono a fermare l’eroico monopolio di montanari. I valdesi marciano con disciplina impeccabile, non rubano una gallina, pagano tutto e non toccano le donne. Prendono soltanto qualche ostaggio ad ogni tappa, che trattano bene e rilasciano alla tappa successiva.
Passato al prezzo di molte vite il ponte di Salbertand, sulla Dora, i fuggiaschi – che nel frattempo sono diventati 600 – si arrampicano sui monti, scelgono valichi ed itinerari impervi, si accampano dove è impossibile essere circondati. Non hanno certo bisogno di guide: a differenza dei dragoni di Francia e dei soldati torinesi, conoscono quei posti come le loro tasche. Una volta raggiunte ‘le valli’, è la guerriglia. Che non contempla pietà neppure per i contadini che i partigiani, nel frattempo ridottisi a 400, incrociano sulle mulattiere: i testimoni degli spostamenti furtivi non possono vivere, la delazione significherebbe la fine. Ma come accade in ogni guerriglia, i convertiti a forza rimasti ad Angrogna, a Prali, a Bobbio foraggiano i rimpatriati clandestini, li fiancheggiano, esponendosi al rischio della vita.
… Arriva l’inverno…




(e con lui, compagno del mio cammino, esilio in una nuova Terra, compio il volo di Dio, ogni fiocco di neve che prego ed osservo nel silenzio del bosco mi narra una Parola, mi suggerisce la Rima. Su un albero di vita su cui poggiai e riposai il passo stanco, orna la chioma così da sembrare un vecchio saggio. Lui è in questo secolare paradiso per indicarmi la via all’improvvisa smarrita, mi narra la Storia, mi dice che l’uomo che gli rubò la forza per un nuovo condomino, un Tempo gli tolse anche la Parola, perché ebbe la pretesa di tradurre e spiegare al volgo il verbo di Dio. Ebbe la pretesa di predicare e narrare ‘povera novella’ ad un pastore per poi al piccolo borgo spiegare che la vita cela una Verità mai predicata alla ricca mensa di un ugual ‘pastore’, per la stessa via. La sua predica fu un Tempio della Parola inquisita e l’ombra da lì nata divenne rifugio per ogni viandante smarrito: quel grande Spirito racconta nel sogno di una eterna via, la fatica della vita, la persecuzione dell’atroce martirio subito nel fuoco patito. Ogni viandante nell’inverno del suo passo o nella primavera quando disseta la sua venuta e nell’estate quando ‘Re Sole’ brucia…, si riposa, e scorge 




qualcosa,  mira un evento strano, un sogno antico di chi mai perito che per sempre narra la Storia e la fuga. E quando il viandante sudato per il sogno ritrovato mira la via si sente più saggio di prima, ed al Frammento dell’eterna ora quale nuova preghiera si incammina e appoggia per il sentiero di una nuova vita: comprendere l’altrui motivo scritto nella corteccia… di Dio, contare gli anelli del vicino tronco abbattuto per scoprire che il passo ed il sogno confondono il Tempo suo, per essere già vissuto da inquisitore della libera parola, oppure con una scelta degna dell’eterna ora. E mirare quel secolare ‘faggio’ perito nel coraggio, vederlo con occhi diversi ascoltarlo nel silenzio di uno strano Viaggio, sembra di averlo un Tempo vissuto ed ora ritrovato, quale sogno o incubo arrecato nell’oltraggio di quel taglio. Il bivio diviene scelta di un nuovo e più certo cammino in questo Sentiero ove non si ode voce né rumore né vento di un Secondo Dio. Paradiso all’ombra di un albero antico, Divino per il comune sogno smarrito divenuto terreno cammino. Anima che narra la Storia per chi ascoltare la voce della Natura raccolta nell’invisibile Memoria abbattuta e figlia di quel Vento che mai tortura. Ma come una carezza adesso attraversa ogni foglia diventa mio e suo respiro nel comune Tempo di questo Dio… diventa scelta di un miglior cammino al bivio dove ho riposato un lontano mattino….)…




… La banda di irriducibili si rifugia a Balsiglia, un piccolissimo borgo montano ai piedi dei Quattro Denti, in fondo alla via Massello. Fa freddo e c’è poco da mangiare. I guerriglieri si accorgono però che sotto la neve, nei campi, ci sono ancora le spighe di grano che nella baraonda dell’estate precedente i contadini non avevano fatto in tempo a mietere. La sopravvivenza dunque è assicurata, ma il peggio deve venire, 3.800 soldati francesi, appoggiati da 1.400 contadini e cacciatori per i ‘servizi’, cominciano in aprile una faticosa marcia di avvicinamento a….
Ma i valdesi resistono ancora…..

(Airone, aprile 1993 & Giuliano Lazzari)      
















             

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