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Il volo di Jonathan (13)
Prosegue in:
Litigano in pubblico poi fanno la pace... (15)
... Fuggito, come quegli uomini nel Tempo di un diverso Dio mai appassito,
anche io ho volato nel sudario di quanto da te miniato… Cacciato da un essere
troppo vile per essere narrato, troppo meschino per essere appena ricordato,
confuso fra un riso compiaciuto per l’inganno arrecato, per la tortura
inflitta, per il confino giammai meritato, ed un ghigno di disprezzo per quanto
narrato nel volo braccato e cacciato. Perché la caccia al volo antico e per
sempre rinato ricordano la Storia in cui affoghi la morale della tua falsa
gloria. E come l’uomo perito sognando il volo su un diverso Creato, per la loro
colpa ed il loro peccato, pregando una verità Universale pace del Creato, sono
stato umiliato tradito e braccato, volo
‘cacciato’ agnello consumato!
Nella materia mi vedi e controlli, disciplini e dispensi la ‘regola
antica’, per questo mai taciterò il canto della Rima, giammai impazzita al
porto della tua strana Dottrina, e se la Storia vuoi tacitare, se la vista vuoi
annebbiare, se la mente confondere, se la ‘penna’ bruciare, sappi che il Vento
mi è amico, il Vento del Primo Dio! E’ Lui che indica la via, è Lui che ricorda
la Verità tradita, per questo deve essere narrata alla rinascita di ogni vita
perita e torturata. Così da poter di nuovo apparire al foglio ed al bordo del
libro miniato ornare con ugual voce antica l’araldo della tua nuova conquista
appesa alla ‘parabola’ della nuova via…)
Una seconda campagna
illustrativa dal carattere unitario, di sicuro posteriore
cronologicamente rispetto al primo intervento pittorico, intrapresa in un
momento successivo allo scopo di integrare l’apparato illustrativo (nell’icona
che stai guardando, nel piccolo schermo antico e moderno al tuo rigo, miniatura
di un falso dio…) del manoscritto, rimasto in un primo tempo incompleto, si
individua in 17 riquadri miniati, realizzati in aggiunta negli spazi lasciati
appositamente liberi dai ‘copisti’, e si deve, come abbiamo potuto dimostrare,
ad una bottega ben riconoscibile originaria della Francia meridionale, operante
ad Avignone: quella del manoscritto ‘Speculum Humanae Salvationis’, oggi nella
Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, datato
alla metà degli anni trenta del XIV secolo.
Alcune influenze dello stile lineare dell’Ile-de-France sono
preponderanti a Tolosa e nella Linguadoca così come nell’insieme del Sud-Ovest
francese, tuttavia l’interpretazione che i miniatori meridionali danno dello
stile settentrionale presenta dei caratteri specifici che ben difficilmente
possono confondersi con quelli peculiari di altri territori francesi ed
europei. Motivi decorativi distintivi della produzione miniata della regione
tolosana sono: il repertorio di figure grottesche dai volti lunari e
dall’espressione ilare, posate su lunghi colli filiformi dall’andamento
sinusoidale; le teste di cicogna che sovente stringono nel becco cerchi o bolli
d’oro, abbarbicati in cima ad un collo filiforme e sinuoso oppure arricciato a
guisa di molla; le figure mostruose che abitano le anse delle iniziali,
caratterizzate da un collo filiforme, ripetutamente annodata, occupanti tutto
lo spazio disponibile con la loro coda desinente in uno stelo spiraliforme a
foglie tribolate; la superficie degli sfondi dei riquadri miniati trattata a
bande verticali di diverso colore affiancate…..
… Pasqua…. 1655…
Confortato dai padri gesuiti, il marchese di Pianezza, ministro di
Carlo Emanuele II, scatena da Torino una crociata antivaldese (ben organizzata
nel ‘canone’ che disciplina la ‘parabola’ della via…) senza precedenti. Non
bada a spese, ed anche se gli accidenti provengono da tutt’altri luoghi e
personaggi, l’occhio di codesto dio attento osservatore di ogni volo incatena
il suo odio, la sua ‘disciplina’, la ‘regola’ di vita alla volontà del martirio
voce superba senza alcun dio al nuovo libro miniato icona di un piccolo schermo
‘Creato’, nel traffico della misera ora.. così ingegnosamente distribuita al
traffico della Storia… E passerrano alla Storia come ‘le Pasque piemontesi’:
2000 morti, un incubo documentato dal pastore valdese Giovanni Léger, autore
della ‘Storia generale delle chiese evangeliche delle valli del Piemonte
(1669)’. Un libro degli orrori, illustrato, che la gentile bibliotecaria del
Centro culturale valdese di Torre Pellice ancora oggi stenta,
comprensibilmente, a mostrare (certo che la Storia fa orrore, la Memoria deve
essere braccata ed inquisita… al rogo della nuova Dottrina…).
Ma a metà Seicento, quando esce questo volutone, stava nascendo un
fenomeno del quale i Savoia non avevano tenuto conto: il giornalismo moderno.
Le ‘Gezzette’ di Parigi, di Londra, di Amsterdam parlano della strage dei
riformati valdesi, l’Europa protestante si indigna, il grande poeta inglese
John Milton scrive il famoso sonetto sui ‘Massacri in Piemonte’. Non basterà
purtroppo. Quando in Francia sale al trono l’ambizioso Luigi XIV, se possibile,
la situazione peggiora. Nel 1685 il ‘Re Sole’ revoca l’editto di Nantes, che
garantiva libertà a decine di migliaia di ugonotti residenti in Francia. Di
più. Costringe il nipote Vittorio Amedeo II di Savoia, un ragazzo di 19 anni, a
vietare l’asilo ai rifugiati ugonotti ed a eanare, nel 1686, un editto che
suona quasi surreale: siano demoliti i templi valdesi, siano resi cattolici a
forza i bimbi valligiani (pena la frusta per le madri), imprigionati i padri e
impalati i ribelli. Sono gli anni in cui il filosofo inglese John Locke scrive
le ‘Lettere sulla tolleranza’. Ma ai valdesi non resta che l’espatrio, Cioè la
fuga verso la vicina e tollerante Svizzera, patria di Calvino.
(Ed ora, vento e dio che hai conferito favella, ecco il Tempo mio. Lo
vedi? Un fiocco di neve. Osserva, non è meraviglioso come Dio imbianca il mio
cammino come Dio raccoglie e narra la Tortura subita al calvario della tua via.
Un fiocco di neve quale eterna e prima simmetria di vita, ed a te io dirò in
questo tempo senza ‘ora’, in questo giorno senza alcuna tortura: che il bianco
sudario cui hai destinato Parola, possa perdonare il gesto antico cui destini
l’eterna avventura di chi fuggito con una barca e la speranza di un mondo più
giusto alla tua parola. Un mondo bianco ove la Rima possa essere solo la neve
della poesia, e giammai l’eterna tortura cui destini e rinchiudi diverso vento
al porto della tua parola)…
Dura tre anni quell’esilio…
I valdesi hanno lasciato 6.000 amici nelle carceri sabaude (ne
sopravvivranno la metà) e le loro case in mano a nuovi coloni. La dimensione
del ritorno nella terra dei padri diventa mito, gli esuli non parlano d’altro
che di un prossimo ‘glorioso rimpatrio’. E così, nella notte tra il 26 e il 27
agosto 1689, 1.000 volontari valdesi, tra cui anche qualche donna vestita da
uomo, si raccolgono sulle sponde del lago Lemano presso Nyon: noleggiano
qualche barca, ne sequestrano qualcun’altra, e attraversano il lago, sbarcando
in territorio savoiardo nei pressi di Yvoire. Comincia insomma quella che lo
storico valdese Giorgio Bouchard ha efficacemente chiamato ‘la lunga marcia’.
Quindici giorni di battaglie contro gli eserciti del re di Francia e del duca
di Savoia, che mettendo in campo 22.000 uomini non riescono a fermare l’eroico
monopolio di montanari. I valdesi marciano con disciplina impeccabile, non
rubano una gallina, pagano tutto e non toccano le donne. Prendono soltanto
qualche ostaggio ad ogni tappa, che trattano bene e rilasciano alla tappa
successiva.
Passato al prezzo di molte vite il ponte di Salbertand, sulla Dora, i
fuggiaschi – che nel frattempo sono diventati 600 – si arrampicano sui monti,
scelgono valichi ed itinerari impervi, si accampano dove è impossibile essere
circondati. Non hanno certo bisogno di guide: a differenza dei dragoni di
Francia e dei soldati torinesi, conoscono quei posti come le loro tasche. Una
volta raggiunte ‘le valli’, è la guerriglia. Che non contempla pietà neppure
per i contadini che i partigiani, nel frattempo ridottisi a 400, incrociano
sulle mulattiere: i testimoni degli spostamenti furtivi non possono vivere, la
delazione significherebbe la fine. Ma come accade in ogni guerriglia, i
convertiti a forza rimasti ad Angrogna, a Prali, a Bobbio foraggiano i
rimpatriati clandestini, li fiancheggiano, esponendosi al rischio della vita.
… Arriva l’inverno…
(e con lui, compagno del mio cammino, esilio in una nuova Terra, compio
il volo di Dio, ogni fiocco di neve che prego ed osservo nel silenzio del bosco
mi narra una Parola, mi suggerisce la Rima. Su un albero di vita su cui poggiai
e riposai il passo stanco, orna la chioma così da sembrare un vecchio saggio.
Lui è in questo secolare paradiso per indicarmi la via all’improvvisa smarrita,
mi narra la Storia, mi dice che l’uomo che gli rubò la forza per un nuovo
condomino, un Tempo gli tolse anche la Parola, perché ebbe la pretesa di
tradurre e spiegare al volgo il verbo di Dio. Ebbe la pretesa di predicare e
narrare ‘povera novella’ ad un pastore per poi al piccolo borgo spiegare che la
vita cela una Verità mai predicata alla ricca mensa di un ugual ‘pastore’, per
la stessa via. La sua predica fu un Tempio della Parola inquisita e l’ombra da
lì nata divenne rifugio per ogni viandante smarrito: quel grande Spirito
racconta nel sogno di una eterna via, la fatica della vita, la persecuzione
dell’atroce martirio subito nel fuoco patito. Ogni viandante nell’inverno del
suo passo o nella primavera quando disseta la sua venuta e nell’estate quando
‘Re Sole’ brucia…, si riposa, e scorge
qualcosa, mira un evento strano, un sogno antico di chi
mai perito che per sempre narra la Storia e la fuga. E quando il viandante
sudato per il sogno ritrovato mira la via si sente più saggio di prima, ed al
Frammento dell’eterna ora quale nuova preghiera si incammina e appoggia per il
sentiero di una nuova vita: comprendere l’altrui motivo scritto nella corteccia…
di Dio, contare gli anelli del vicino tronco abbattuto per scoprire che il
passo ed il sogno confondono il Tempo suo, per essere già vissuto da
inquisitore della libera parola, oppure con una scelta degna dell’eterna ora. E
mirare quel secolare ‘faggio’ perito nel coraggio, vederlo con occhi diversi
ascoltarlo nel silenzio di uno strano Viaggio, sembra di averlo un Tempo
vissuto ed ora ritrovato, quale sogno o incubo arrecato nell’oltraggio di quel
taglio. Il bivio diviene scelta di un nuovo e più certo cammino in questo
Sentiero ove non si ode voce né rumore né vento di un Secondo Dio. Paradiso
all’ombra di un albero antico, Divino per il comune sogno smarrito divenuto
terreno cammino. Anima che narra la Storia per chi ascoltare la voce della Natura
raccolta nell’invisibile Memoria abbattuta e figlia di quel Vento che mai
tortura. Ma come una carezza adesso attraversa ogni foglia diventa mio e suo
respiro nel comune Tempo di questo Dio… diventa scelta di un miglior cammino al
bivio dove ho
riposato un lontano mattino….)…
… La banda di irriducibili si rifugia a Balsiglia, un piccolissimo
borgo montano ai piedi dei Quattro Denti, in fondo alla via Massello. Fa freddo
e c’è poco da mangiare. I guerriglieri si accorgono però che sotto la neve, nei
campi, ci sono ancora le spighe di grano che nella baraonda dell’estate
precedente i contadini non avevano fatto in tempo a mietere. La sopravvivenza
dunque è assicurata, ma il peggio deve venire, 3.800 soldati francesi,
appoggiati da 1.400 contadini e cacciatori per i ‘servizi’, cominciano in
aprile una faticosa marcia di avvicinamento a….
Ma i
valdesi resistono ancora…..
(Airone, aprile 1993 & Giuliano Lazzari)
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