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Cosa è la pedagogia? (3/1)
Prosegue in:
Punte di Frecce (pedagogiche) (5/8)
‘Non ci
si associa per morire’, è stata l’acuta osservazione di Espinas; e Houzeau, che
ha studiato la fauna di certe regioni dell’America quando questo Paese non era
ancora stato modificato dall’uomo, ha scritto nel medesimo senso. La socialità
si riscontra nel mondo animale in tutti i gradi dell’evoluzione essa è all’origine
stessa dell’evoluzione. Ma via via che si sale nella scala evolutiva, possiamo
notare come la socialità divenga sempre più cosciente: essa perde il suo
carattere puramente fisico, cessa di essere semplicemente istintiva, e diventa razionale.
Nei vertebrati superiori è periodica, ovvero gli animali vi ricorrono per la
soddisfazione di un bisogno particolare: la continuazione della specie, le
migrazioni, la caccia o la reciproca difesa. Si produce anche accidentalmente,
ad esempio quando alcuni uccelli s’associano contro un predatore o quando
alcuni mammiferi, sotto la pressione di circostanze eccezionali, si aggregano
per migrare. In quest’ultimo caso è una vera e propria deroga volontaria ai
costumi abituali. L’aggregazione appare qualche volta a due o più gradi: la
famiglia dapprima, poi il gruppo, ed infine l’associazione di gruppi
abitualmente sparpagliati, ma che si riuniscono in caso di necessità, come
abbiamo visto presso i bisonti e presso altri ruminanti. Questa associazione può
prendere anche forme più sofisticate, curando maggiore indipendenza all’individuo
senza privarlo dei vantaggi della vita sociale. Presso quasi tutti i roditori,
l’individuo ha una sua tana particolare nella quale può ritirarsi quando
preferisce restare solo, ma queste tane sono disposte in villaggi e in città
così da assicurare a tutti gli animali che vi abitano i vantaggi e le gioie
della vita sociale. Infine, presso varie specie come i topi, le marmotte, le
lepri, ecc., la vita sociale è mantenuta nonostante il carattere litigioso e
alcune tendenze egoistiche del singolo individuo. Tuttavia, questa associazione
non è imposta, come nel caso delle formiche e delle api, dalla struttura
fisiologica degli individui, ma è coltivata per i benefici che derivano dal mutuo
appoggio o per i piaceri che essa procura.
Questo,
naturalmente, si realizza in tutti i gradi possibili e con la maggiore varietà
di caratteri individuali e specifici, e la varietà stessa degli aspetti che
assume la vita in società è una conseguenza, e per noi una prova in più, della
sua generalità. Solo recentemente la socialità, vale a dire il bisogno dell’animale
di associarsi con i suoi simili, l’amore della società per la sua stessa
salvaguardia, combinato alla gioia di vivere, hanno cominciato a ricevere dagli
zoologi l’attenzione che meritano.
Fortunatamente
la competizione non è la regola né nel mondo animale né (dovrebbe) nel genere
umano. Negli animali è ristretta a periodi eccezionali, mentre la selezione naturale
trova occasioni decisamente migliori per operare. Condizioni migliori sono
appunto create dalla eliminazione della competizione per mezzo del reciproco aiuto
e del mutuo appoggio. Nella grande lotta per la vita per una vita di massima
pienezza e intensità a fronte di un minimo dispendio di energia la selezione naturale
cerca sempre i mezzi per evitare la competizione per quanto è possibile. Questa la tendenza della natura, sempre
presente pur se non sempre pienamente realizzata. Questa la parola d’ordine che
ci viene dal cespuglio e dalla foresta, dal fiume e dall’oceano:
Unitevi!
Praticate il mutuo appoggio! Esso è il mezzo più sicuro per dare a tutti e a
ciascuno il massimo di sicurezza, è la migliore garanzia di esistenza e di
progresso fisico, intellettuale e morale. Ecco ciò che la Natura ci insegna, e
che quegli animali che hanno raggiunto la più elevata posizione nelle loro
rispettive classi mettono in pratica. Ma è pure ciò che l’uomo, anche l’uomo
più primitivo, ha fatto; ed è proprio per questo che l’uomo ha potuto
raggiungere la posizione che occupa attualmente, (ed aggiungo io, se vuol
mantenere il privilegio derivato dalla Natura donde evoluto...)
(Petr Kropotkin)
Arrivarono
al museo controllarono
a che piano era
la mostra di
Munch e salirono. Ben
presto si trovarono
a vagare tra
quadri e incisioni. Molta
gente era venuta
a vedere la
mostra, compresa una scolaresca; la voce acuta dell’insegnante
attraversava tutte le stanze dedicate alla
mostra e Rick pensò. Ecco come ci
si aspetta che un droide abbia la voce –
e forse
anche l’ aspetto. Non come
Rachael Rosen e Luba Luft. E
non come il
tizio che gli
stava a fianco. O forse doveva dire il coso che gli stava a fianco .
‘Hai mai sentito parlare di un
droide che teneva un animaletto
qualsiasi?’, gli chiese Phil
Resch.
Per qualche oscuro motivo Rick
sentì il bisogno di essere brutalmente
franco, forse aveva già cominciato a prepararsi per quello che lo aspettava di lì a poco. In ben due
casi di cui sono al corrente, degli
androidi possedevano animali e si prendevano cura di loro.
Ma è raro.
Da quel che so, in genere non
funziona; l’androide non riesce a tener viva una bestiola. Gli animali hanno
bisogno di un ambiente pieno di calore per star bene. Eccezion fatta per i rettili e gli insetti.
‘E’ uno scoiattolo? Anche lui ha bisogno di un’atmosfera d’amore? Perché guarda che Buffy sta benissimo, ha il
pelo lucido come una lontra. Lo spazzolo e lo pettino un giorno si e uno no.
Phil Resch si fermò davanti a un
quadro a olio e si mise a guardarlo con
attenzione. Il quadro mostrava una creatura calva e angosciata, con la testa che pareva una pera
rovesciata, le mani premute sulle
orecchie e la bocca aperta in un immenso urlo muto.
Onde contorte del tormento della
creatura, echi del suo grido, fluttuavano nell’aria che la circondava; l’uomo,
o la donna, qualunque cosa fosse, aveva finito per esser contenuta nel proprio
urlo. Si era coperta le orecchie proprio
per non sentirlo. La creatura era in piedi sul ponte e non c’era nessun
altro presente; urlava nell’ isolamento più totale. Tagliata fuori dal suo sfogo,
oppure nonostante il suo sfogo.
‘Di questo ha fatto anche
un’incisione’, disse Rick, leggendo il
cartellino affisso sotto il
quadro.
‘Secondo me’, disse Phil Resch ‘è
così che deve sentirsi un droide’.
Con un dito seguì nell’aria le volute del grido della
creatura che si vedevano nel quadro.
‘Io non mi sento così, perciò forse non sono un…’.
(P. K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore
elettriche?)
Il io maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito modo drastico ‘dopo batter d’ali del fagiano argo’, il ritmo del
lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupido prodotto della
selezione intraspecifica.
Al tempo in cui fu pronunziata, questa affermazione era decisamente
profetica, ma oggi è una chiara esagerazione per difetto.
Per l’argo, come per molti animali con sviluppo analogo, le influenze
ambientali impediscono che la specie proceda, per effetto della selezione
intraspecifica, su strade evolutive mostruose e infine la catastrofe.
Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regolatore
di questo tipo sullo sviluppo culturale dell'umanità; per sua
sventura essa ha imparato a dominare tutte le potenze dell’ambiente estranee
alla sua specie.
E tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme in balìa
delle conseguenze diaboliche della selezione intraspecifica. ‘Homo homini lupus’:
anche questo detto, come la famosa frase di Heinroth, è ormai divenuto un ‘understatement’.
L’uomo, che è l’unico fattore selettivo a determinare l’ulteriore
sviluppo della propria specie, è ahimè, di gran lunga più pericoloso del
più feroce predatore.
La competizione fra l’uomo e uomo agisce, come nessun fattore biologico
ha mai agito, in senso direttamente opposto a quella potenza eternamente
attiva, beneficamente creatrice e così distrugge con fredda e diabolica
brutalità tutti i valori che ha creato, mossa esclusivamente alle più cieche
considerazioni utilitaristiche.
Sotto la pressione di questa furia competitiva si è dimenticato non
solo ciò che è utile per l’umanità intera, ma anche ciò che è buono e
vantaggioso per il singolo individuo. La stragrande maggioranza degli
uomini contemporanei apprezza soltanto ciò che può assicurare il successo
nella concorrenza spietata, ciò che permette loro di superare i propri
consimili. Ogni mezzo che serve a questo fine viene considerato, a torto, un
valore in sé.
L’errore dell'utilitarismo,
gravido di conseguenze deleterie, sta proprio in questo: nel confondere il
fine con i mezzi.
Il denaro era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio di tutti i
giorni si dice ancora: E’ una persona con molti mezzi. Ma quanta gente è
oggi ancora in grado di capirci quando cerchiamo di spiegare che il denaro
in sé non ha valore alcuno?
Lo stesso si può dire per il Tempo: ‘Time is money’ significa per
coloro i quali attribuiscono al denaro un valore assoluto, che essi
apprezzano in egual misura ogni secondo risparmiato.
Se è possibile costruire un aereo in grado di sorvolare l’Atlantico in
un tempo leggermente inferiore a quello attuale, nessuno si chiede quale
sia la contropartita nel necessario prolungamento delle piste degli
aeroporti, nella maggiore velocità di atterraggio e di decollare che
comporta rischi maggiori, nell’aumento del rumore, ecc. La mezz’ora guadagnata
rappresenta agli occhi di tutti un valore intrinseco per il quale nessun
sacrificio è troppo grande.
Ogni fabbrica di automobili deve cercare di produrre un nuovo tipo di
vettura che sia più veloce di quello precedente, tutte le strade vanno
allargate, tutte le curve rettificate, col pretesto della maggiore
sicurezza: in realtà soltanto per poter guidare un po’ più velocemente, e
quindi più pericolosamente.
Sorge spontaneo il quesito se all’anima dell’uomo odierno procuri
maggiore danno l’accecante sete di denaro oppure la fretta logorante.
Qualunque sia la risposta, coloro che detengono il potere,
indipendentemente dall'orientamento politico, hanno interesse a favorire
entrambi questi fattori e a ingigantire le motivazioni che spingono
l’individuo alla competizione. Non mi risulta che esista finora una analisi
psicologica profonda di queste motivazioni; ritengo tuttavia molto
probabile che, oltre alla brama del possesso e all’ambizione di ottenere
una posizione di rango più elevato, un ruolo molto importante sia
svolto in entrambe dalla paura: paura di essere superati dai concorrenti,
paura di diventare poveri, paura di prendere decisioni sbagliate e di non
essere, o non essere più, all’altezza di una situazione estenuante.
L’angoscia in tutte le sue forme è certamente il
fattore determinante nel minare la salute dell’uomo moderno, ed è causa di
ipertensioni arteriose, di nefrosclerosi, di infarti cardiaci precoci e di
altri bei malanni del genere.
L’uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il possesso, poiché
la mèta più allettante non potrebbe indurlo a essere tanto autolesionista:
egli è spinto da qualcosa, e ciò che lo spinge è solamente l'angoscia. La
fretta e l’angoscia, inscindibili come sono l’una dall’altra, contribuiscono a
privare l’uomo delle sue qualità essenziali.
Una di queste è la riflessione.
(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)
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