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Mia nonna Giuseppina (2)
E' giunta...
L'Hora che pur ti scriva questa mia (3)
...Da codesto mare in burrasca...(4)
Ricordo: era una bella giornata d’autunno e io
passeggiavo nel giardino pubblico della mia città natale. Il luogo era deserto
e io contento perché mi sentivo giovane e magro, perché il cielo era azzurro,
perché avevo superato felicemente certi fastidiosi esami. Ma, più che altro,
ero felice perché inauguravo, proprio quella mattina, una superba giacca color
nocciola, di ottimo taglio, di eccellente stoffa e di singolare leggerezza.
Una sola
panchina era occupata: ben disposta su di essa, una giovane donna stava
leggendo. Mi sedetti chiedendo scusa e mi accorsi allora, con lieto stupore,
che la giovane donna era la stessa giovane donna che io, da tanto tempo, salutavo
almeno venti volte al giorno e che, da tantissimo tempo, avevo stabilito di
informare di certo mio progetto sentimentale.
Cominciammo
a parlare cordialmente: ci conoscevamo e non c’era quindi niente di male. La
giovane donna si mostrò molto cordiale e ben disposta a convenire con me che la
giornata era veramente bella, che alla sera non si sa mai cosa fare, che l’anno
prima la stagione era stata molto peggiore. A un tratto, però, la giovane donna tacque e
cominciò a considerare severamente la mia meravigliosa giacca. Mi fece cenno di
alzarmi e di voltarmi, onde accertarsi se la parte posteriore dell’indumento
corrispondesse alle promesse della parte anteriore. Alla fine la giovane donna
scosse il capo:
– No, no,
esclamò convinta, questa giacca è veramente eccezionale e voi mi farete il
favore di non mettervela più, per ora. Sarebbe un peccato sciuparla senza
nessun costrutto. Serbatela: andrà benissimo per quando noi saremo fidanzati e
avremmo modo per la ‘grandi occasioni’… e voi mi porterete a spasso sul corso.
Io
balbettai qualcosa mentre un certo putiferio accadeva nella parte della mia
cassa toracica; poi salutai correttamente la giovane donna e tornai a casa
saltellando. Dopo matura riflessione, favorita dalla notte fresca e profumata,
io concludevo che, se avessi osato, forse i miei sogni si sarebbero avverati.
Due giorni
dopo, incontrata la giovane donna in luogo poco frequentato, le balbettai
qualcosa. Non ricordo cosa dissi, allora. Ricordo solo che mi fu risposto:
‘Anch’io’. Il primo convegno fu nel pomeriggio del giorno seguente, nello stesso
giardino, e io indossai trionfalmente la mia superba giacca color nocciola.
Appena mi
vide, la giovane donna disapprovò severamente il fatto:
– No,
esclamò, Sarebbe un peccato sciupare questa magnifica giacca adesso. Mettila
nell’armadio: andrà benissimo per quando saremo sposati e, d’estate,
approfittando dei treni popolari, mi porterai a vedere Venezia oppure magari
New York…
Io
tralascio tutti gli altri mille fatti analoghi: voglio soltanto seguire la
sorte di questa mia splendida giacca color nocciola.
Passarono
parecchi anni da quel giorno e finalmente la giovane donna, con la scusa di
tutelare il mio avvenire, mi indusse a confessare a un dignitoso signore in
veste talare che io ero felice di condurla in matrimonio. Entrammo nella nostra
casetta un pomeriggio d’estate: io aprii il mio vecchio baule, armeggiai
attorno a un tessilsacco accuratamente chiuso e, di lì a poco, potevo
cominciare ad infilare il braccio destro nella manica della mia antica, famosa
e sempre stupenda giacca color nocciola.
La dolce
signora che fu già la mia dolcissima signorina, la quale aveva seguito con
interesse la mia azione di recupero, a questo punto ebbe uno scatto:
– No, no!!,
esclamò severamente, sarebbe un peccato sciupare una giacca meravigliosa come
questa. E poi ti è oramai maledettamente stretta. Rimettila pure nell’apposito
alloggiamento e aggiungi naftalina. Andrà benissimo per il nostro bambino, il
nostro futuro bambino. Ci caverò fuori un paltoncino delizioso.
Il fatto è
che oggi come oggi, dopo tanti anni, la mia superba giacca è ancora nel
tessilsacco. Adesso che c’è un Albertino avente diritto a un paltoncino color
nocciola, la esimia signora di cui sopra ha scoperto che sarebbe un peccato
sciupare una meravigliosa giacca per un marmocchietto alto venti centimetri.
Quella giacca andrà benissimo per quando Albertino andrà alla Cresima.
Io ho
citato il semplice fatto della giacca.
Ma tutto è
come la giacca, nel mio quarto-piano.
Ho speso un
patrimonio in tendaggi e tappeti: non c’è uno straccio alle finestre o per
terra in casa mia.
– Quelle tende e quei tappeti, ha detto la
simpatica creatura che il Cielo sparse copiosamente sul mio cammino – andranno
benissimo quando ci sarà una casa in ordine. Non esistono soprammobili, lampade
da tavolo, posaterie, porcellane fini, coperte da letto, materassi di soffice lana,
specchi, servizi da toletta.
O meglio:
io l’ho comprati, ma essi sono chiusi, bene impacchettati, in grandi casse, nel
guardaroba.
– Andranno
benissimo quando ogni cosa sarà in ordine, ha stabilito la dolce conterranea. Adoperarli
adesso sarebbe un delitto.
Io ho
lavorato giorno e notte, per arredare la mia casetta. Ho comprato sedie,
cassettoni, armadi, poltrone tavoli.
– Ma
neanche per sogno, ha esclamato la delicata creatura dei miei sogni, appena ha
visto le suppellettili.
E costruiti
con le sue infernali manine di fata degli enormi sacchi con fettucce, ha
coperto accuratamente tutti gli arnesi. Ma oggi, approfittando della giornata
festiva, ho considerato con serenità la faccenda e ho concluso che la cosa aveva
raggiunto i limiti.
– Signora,
ho comunicato gravemente alla dolce amministratrice dei miei mali,
– Signora:
voi avete chiuso nelle vostre dannate casse dell’avvenire tutte le mie giacche
perché andranno bene per Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti
perché andranno bene per Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti
perché andranno bene, eccetera eccetera. Mi avete privato delle mie più decenti
camicie, dei miei fazzoletti, dei miei pullover, delle mie scarpe migliori. Mi
avete vietato tutto insomma perché tutto andrà benissimo quando… eccetera
eccetera. Signora: la situazione è diventata in questo momento gravissima. O
voi cacciate fuori un paio di calzoni o io sarò costretto a uscire di casa in
mutande!
Ecco così!
La dolce segretaria dei miei dispiaceri d’ufficio ha considerato attentamente lo
spettacolo del suo amministrato in mutande.
Poi ha
lanciato un grido:
– Ma
neanche per sogno! Quelle mutande andranno benissimo per quando indosserai il
vestito sportivo coi calzoni alla zuava.
– Levatele
e mettile nella seconda cassa!
(Guareschi)
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