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Prosegue nella...
Presentazione dei futuri ministri (8) & (9)
Sì, ho
deciso di candidarmi alla presidenza.
Ciò di cui
il paese ha bisogno è un candidato che non possa essere infangato da un’inchiesta
sulla sua storia passata tale da permettere ai nemici del partito di
rovesciargli addosso qualcosa di cui nessuno aveva mai sentito parlare.
Se
conoscete il peggio d’un candidato fin dall’inizio, ogni tentativo di tirar
fuori qualcosa su di lui finisce in uno scacco matto. E io voglio entrare
nell’agone come un libro aperto.
Riconoscerò
in anticipo tutte le malvagità di cui sono stato protagonista, e se una qualche
commissione del Congresso vuol davvero frugare nella mia biografia nella speranza
di scoprire che ho tenuto nascosto qualche atto nefando e letale, be’, che
frughi pure.
Tanto per
iniziare, riconosco di aver spinto a rifugiarsi su un albero un mio nonno
affetto da reumatismi, nell’inverno del 1850. Era vecchio e inesperto nell’arrampicarsi
sugli alberi ma, con la spietata brutalità che mi contraddistingue, fucile in
mano lo cacciai fuori casa vestito solo della sua camicia da notte e lo
costrinsi ad affannarsi su per un acero, dove rimase l’intera notte mentre io
gli scaricavo il fucile nelle gambe.
L’ho fatto
perché russava.
E lo
rifarei se avessi un altro nonno: sono disumano oggi come lo ero nel 1850.
Ammetto
anche, con molto candore, d’essermela data a gambe durante la battaglia di
Gettysburg. I miei amici hanno cercato di minimizzare la cosa: sostengono che
l’avevo fatto per imitare Washington che si nascose fra i boschi a Valley Forge
con il proposito di dire le preghiere.
Miserabile sotterfugio!
In verità,
sono schizzato via in linea retta verso il Tropico del Cancro perché avevo una
fifa matta: certo, volevo che il mio paese si salvasse, ma preferivo che fosse
qualcun altro a salvarlo.
Anche
adesso la penso così.
Se ci si
può guadagnare un’effimera reputazione solo mettendosi davanti alla bocca d’un
cannone, sono anche disposto a farlo, ma a condizione che il cannone sia
scarico; se invece è carico, mio obiettivo unico e irremovibile è scavalcare lo
steccato e filarmela a casa.
È mia
prassi costante, in guerra, riportare indietro da ogni battaglia due terzi di uomini
in più rispetto a quanti ci sono entrati, e ciò, nella sua grandeur, mi pare
affatto napoleonico.
Le mie
opinioni in campo finanziario sono quanto di più deciso si possa immaginare, ma
forse non tali da accrescere la mia popolarità presso i sostenitori
dell’inflazione. Non insisto sull’assoluta supremazia della cartamoneta
piuttosto che del metallo: il grande principio fondamentale della mia vita è
prendere tutto quel che posso.
L’insinuazione
che avrei sepolto nel mio vigneto una zia deceduta coglie nel segno.
La vite
aveva bisogno di fertilizzanti, mia zia andava sepolta e così la destinai a
quest’alta finalità.
Ciò mi
rende forse inadatto alla presidenza?
La
Costituzione del nostro paese non lo dice.
Nessun
altro cittadino fu mai considerato indegno di questa carica per aver arricchito
la terra della propria vigna con i parenti deceduti. Perché mai dovrei essere
io il prescelto per dar inizio a quest’assurdo pregiudizio?
Ammetto
anche di non essere amico del povero: considero il povero, nella sua situazione
attuale, uno spreco di materie prime. Fatto a pezzi e inscatolato nella giusta
maniera, potrebbe servire a ingrassare i cannibali delle isole e a migliorare
il nostro export in quelle aree.
Nel mio
primo messaggio alla nazione, intendo raccomandare che si legiferi in materia.
Il mio slogan durante la campagna sarà:
“Essiccate
il povero lavoratore; ficcatelo nelle salsicce”.
Queste sono
le parti peggiori del mio curriculum.
E con esse
mi pongo di fronte al paese.
Se il mio
paese non mi vuole, mi ritirerò in buon ordine.
Ma raccomando
me stesso come un uomo di cui ci si può fidare: un uomo che parte da una base
di depravazione totale e che fino all’ultimo intende conservarsi malvagio.
(M. Twain)
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