Precedenti capitoli:
Punte di Freccia contro ben altre armi (7/1)
Prosegue nel...
Sogno di un tessitore (9/10)
...Breve suono glutterato. Allora, se non erro, avevi oltre un innato
istinto di sopravvivenza una maggiore comunione con medesimo linguaggio. Poi
lungo l’intero arco evolutivo hai misurato distanza e materia nella presunta
superiore capacità ed appartenenza della lenta regressione in cui non hai
saputo riconoscere origine e primo linguaggio e con loro Dio. Sì certo sei
cresciuto hai costruito il Cielo in Terra e la Terra su in alto sino al Cielo. Dici
e ciarli ad immagine di un Dio. Pur non avendo ancora capito come il suo
Pensiero nato.
O ancor peggio come un Dio pensa e parla in codesto Creato…
Questi oggetti così durevoli devono essere stati
suggeriti al genio meccanico degli indiani, tenendo a mente il mio futuro
divertimento in tempi avvenire. Dopo tutta la fatica che esse sono costate il
‘colpo’ sarà partito forse una volta sola, e l’arma che ad esso serviva è ormai
andata in rovina e rimane solo la punta della Freccia, affondata nella terra,
ad attendermi.
Ogni punta di Freccia è un frutto fossile,
ciascuna mi reca un pensiero: essa mi porta più vicino a chi l’ha fatta di quel
che avverrebbe se avessi ritrovato le sue ossa. Perché le ossa non sarebbero
state testimonianza dello Spirito che le animava, come riesce invece ad essere
questo frutto della sua operosità. Si tratta di umanità incisa sulla faccia
della Terra, che si manifesta ai miei occhi appena la neve se ne va, che non si
nasconde in una cripta, in una tomba o in una piramide. Non mummia disgustosa,
ma pietra polita, il miglior simbolo e la miglior missiva che mi si sarebbe mai
potuta spedire.
Non sono ossa fossili, ma, in un certo qual modo,
pensieri fossili che mi ricordano per sempre la mente che li ha creati. Io mi
figuro di essere sulle tracce di una selvaggina umana – di seguire le tracce di
una mente – e questi piccoli nemmeno mi indicano sempre la strada giusta.
Quando vedo questi segni so che gli Spiriti che li hanno fatti non possono
essere lontani, qualunque sia stata la loro metamorfosi. Ed anche se voi
portate tra di esse il vostro aratro e la vostra vanga che non rimarrà pietra
su pietra, anche in questo caso esse non si disperderanno o frammenteranno.
Quando sconvolgete e buttate all’aria uno strato,
seppellite più profondamente lo strato inferiore. Esse han fatto pace con la
ruggine. Questo carattere ‘da punta di Freccia’ promette di sopravvivere ad
ogni altro. E se anche i vari pestelli e le scuri, di maggior mole, potranno
forse scarseggiare o frantumarsi, le punte di Freccia, forse, non mancheranno
di volare verso l’eternità, attraverso il corso dei secoli.
Originariamente creata per un volo assai breve,
esse mi pare ancora lanciarsi tra le varie età recando il messaggio della mano
che la scagliò. Miriadi di punte di Freccia giacciono, dunque, addormentate
sull’epidermide della Terra in rivoluzione, come le meteore roteano negli
spazi. Sono state seminate, come frumento lento a crescere, su tutta la
superficie della Terra. Così come i denti di drago recavano una messe di
guerrieri, queste recano messi di Filosofi e di Poeti e lo stesso seme può
essere piantato nuovamente.
(7) Pratt mi racconta che un giorno uscì insieme a
Wesson, fucili in spalla, e andarono fino a Hunt’s Bridge. Guardando a valle
del fiume, vide una rondine appollaiata su un cespuglio a parecchia distanza da
loro, al quale mirò e sparò un singolo colpo a palla. Fu sorpreso di vedere che
aveva preso la rondine, poiché quella volò dritta attraverso il fiume verso la
stalla di Simon Brown, scendendo sempre più verso il terreno o l’acqua,
incapace di sostenersi in volo; ma la cosa che maggiormente lo sorprese fu di
vedere una seconda rondine che arrivò da dietro e colpì ripetutamente
l’altra da sotto con tutte le sue forze,
in modo da tirarla su ogni volta che s’avvicinava al suolo e consentirle di
proseguire a volare, e continuò così finché entrambe non sparirono dalla vista.
Pratt disse che decise che non avrebbe mai più sparato ad una rondine.
(8) Nessun essere ‘umano’, passata la spienserata
età della giovinezza, vorrà uccidere per capriccio una qualsiasi creature che
tenga alla vita come lui. La lepre, in agonia, piange come un bambino. Vi
avverto madri, che le miei simpatie non sempre fanno le consuete distinzioni
fil-antropiche. Questa è, assai
spesso, l’iniziazione di un giovane alla foresta, nonché la sua parte più
originale. All’inizio ci va come cacciatore e pescatore, finché, alla fine, se
ha in sé i semi di una vita migliore, distingue i suoi veri obiettivi, magari
nelle vesti di poeta o di naturalista, e si lascia alle spalle il fucile e la
canna da pesca. Sotto quest’aspetto, la massa delle genti è ancora e sempre
giovane. In alcuni paesi non è insolito vedere un parroco che va a caccia. Magari
costui potrà essere un buon cane da pastore, ma è ben lungi dall’essere il Buon
Pastore.
(9) Ogni città dovrebbe avere un Parco ovvero una
foresta primitiva, di 500 o 1000 acri, in cui fosse proibito tagliare anche un
semplice stecco come combustibile: un comune possesso, per istruire e a ricreare
tutti. Sentiamo sempre più parlare di pascoli riservati, e di riserve di caccia
ed ecclesiastiche, ma abbiamo bisogno di riserve per uomini, riserve laiche,
inalienabili per sempre. Conserviamo nuovo questo come l’intero Mondo,
manteniamo tutti i vantaggi della Vita in campagna quanto in montagna. C’è un
campo e un pascolo e un bosco per i poveri della città, poveri di intenti
spirituali; e perché allora non dovrebbe anche esserci una Foresta e un campo
di mirtilli per tutti ricchi di Spirito?
Tutto il bosco di Walden avrebbe potuto esserci conservato come parco per
l’eternità, con un lago nel centro, e tutta la campagna di Easterbrook, un’area
deserta di circa quattro miglia quadrate, avrebbe ben potuto essere il nostro
campo di mirtilli. Se qualcuno dei proprietari di queste zone dovesse
accingersi a lasciar questo mondo senza eredi naturali che abbiano il diritto o
che meritino di essere ricordati in modo particolare si farà bene a lasciare a
tutti i suoi possedimenti senza intestarli a qualcuno che forse ha già troppo
di suo. Così come tanti lasciano i loro averi a Harvard o ad altri istituti,
perché non ci potrebbe essere qualcuno che lasciasse a Concord una Foresta o un
campo di mirtilli? Una città è un’istituzione che merita d’essere ricordata.
Noi che meniamo vanto del nostro sistema d’educazione, perché poi ci fermiamo
ai maestri e agli edifici scolastici? Non siamo tutti maestri e la nostra
scuola non è l’Universo? È assurdo dunque preoccuparsi solo della cattedra e
dell’edificio trascurando il paesaggio in cui essi sono situati. Se non stiamo
attenti, presto ci accorgeremo che la nostra bella scuola si erge in mezzo ad
un campo di bitume quel nuovo petrolio per indurire la terra.
(Thoreau accompagnato da Giuliano)
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