giuliano

domenica 21 maggio 2017

PIU' O MENO NEGLI STESSI ANNI (in Europa) (2)





































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Continuando a girellare a questo modo oziosamente mentre la grande nave da crociera in cui riposta con cura ogni vita… affonda nel mare di una strana ed economica… dottrina…

… Si trovò ad aprire a caso la porta del biliardo, dove il tenore italiano giuocava da sé prendendo pose più o meno estetiche colla persona e colle braccia, allo scopo principale di far risaltare i propri polsini agli occhi della sua bella vicina di mensa, seduta sopra un divano fra due giovanotti ai quali leggeva una lettera poi una poesia…
All’entrare dell’alpinista ella s’interruppe di colpo, e uno dei giovanotti, il più alto, una specie di mujik, di scimpanzé dalle mani ricoperte di un vello nero e coi lunghi capelli corvini che si riunivano alla barba incolta, si alzò in piedi e fece due passi così decisamente verso il sopraggiunto, e squadrandolo da capo a piedi in modo tale che questi ritenne opportuno, senza tanto chiedere spiegazioni, fare un mezzo giro di tacchi con infinita prudenza e dignità ed altrettanta sveltezza…

‘E dicono che sono tanto socievoli bel Nord! Non mi sembra davvero’…




…diss’egli ad alta voce e sbatacchiando la porta per dimostrare a quel selvaggio ch’egli non aveva paura di lui…
Non gli restava che il salone come ultimo rifugio…
Mondo piccino!
Una stanza mortuaria, amici miei!
La stanza mortuaria del Gran San Bernardo, dove i monaci espongono i cadaveri degli sciagurati trovati sulle nevi negli atteggiamenti più diversi che abbi aloro fatto prendere la morte per assideramento…
Tale era il salone del Rigi Kulm!
Le signore, immobili, livide, intirizzite, disposte a gruppi sui divani circolari; alcune isolate, rincantucciate qua e là.
Le misses, stecchite sotto la luce sinistra delle lampade, stringendo ancora il libro, la rivista, il ricamo che avevano in mano nell’istante del loro assideramento. E tra esse le otto figliole del generale, le piccole peruviane dalle faccione color zafferano, i lineamenti alterati e i fiocchi multicolori dei vestiti che scoppiettavano sinistramente nella monotonia del verde bile delle livide inglesi. Povere creaturine, venute dai paesi del sole, dove ognuno se le immagina felici, altelenandosi arrampicate sopra i grandi palmizi del cocco e delle banane, più di tutte le altre vittime facevano stringere il cuore in quello stato di ferale silenzio e di congelamento.




Nel fondo della sala era il vecchio diplomatico austro ungherese, colle manine nei mezzi guanti, irrigidite sulla tastiera del pianoforte che rifletteva sul suo viso chiazze violacee e gialle. Venutegli a mancare le forze, e con le forze la memoria, smarritosi in una polca di sua composizione che ricominciava senza fine nel medesimo motivo, e non giungendo più a trovarne il finale, il disgraziato si era addormentato suonando, e con lui tutte le signore del Rigi che parevano cullare nel sonno certi romantici ricciolini o certe cuffiette di pizzi simili a pasticcini dolci, a cui le dame inglesi sono affezionatissime e che fanno parte indispensabile del loro bagaglio.
Il sopraggiungere dall’alpinista non bastò a ridestare, ma, penetrato egli stesso da quell’atmosfera di ghiaccio, si gettò sopra un divano, scoraggiatissimo, quando degli accordi forti e spensierati scoppiarono nella sala d’ingresso, dove erano apparsi tre suonatori girovaghi, dall’aspetto sciagurato, arpa, violino e flauto, di quelli che girano a piedi per gli alberghi svizzeri con certe rendingote che scendono fino ai garetti.
Dalla prima nota il nostro uomo balza in piedi elettrizzato gridando:

‘Bene! Bravo! Sotto! Forza! Musica, per Dio!’,




…grida dandosi a correre per tutte le sale e spalancando le porte, afferrando bottiglie di champagne che porta ai musicanti per dar loro coraggio e metterli in allegria, ubriacandosi egli stesso senza bisogno di bere, con quella musica che gli rende la vita.
Si mette ad imitare il flauto, l’arpa, il violino, imita colle mani le nacchere sopra la propria testa tutto divincolandosi nel corpo alla bella usanza spagnuola, sgrana e mulina gli occhi, balla, salta e grida:

‘Ohilà! Sotto ragazzi!’…

…col più immenso stupore di tutti, accorsi e accorrenti esterrefatti a tanto scandalo e scompiglio. Finché all’attacco di un valzer di Strauss, che i musicanti già eccitati dallo champagne strimpellano con strepito da tzigani autentici, l’alpinista, scorta all’ingresso della sala la moglie del professore Schwanthaler, piccola viennese rotondetta dagli occhi furbi, rimasti giovani sotto i capelli grigi e molto incipriati, corre verso di lei e, acciuffatala per la vita, la trascina nel mezzzo del salone gridando:

‘Forza! Sotto, ragazzi! Valzer, per Dio!’.




Il ghiaccio era rotto, piano piano l’enorme ammasso di quel funebre albergo incomincia a disgelare, si muove, circola, turbina trascinato dalla musica…
Si balla nell’ingresso, nel salone, intorno alla solenne tavola verde della biblioteca…
Quel diavolo d’uomo era riuscito a rimettere in corpo la vita a tutti quei cadaveri…
Ma lui oramai non balla più!
Dopo qualche giro sbuffa come una vecchia locomotiva, non ne può più; incalza i musicisti, sprona i deboli e gl’incerti, accoppia i ballerini, getta il professore universitario fra le braccia di una vecchia inglese, e fra quelle del ponderoso storico accademico di Francia la più acrobatica delle peruviane.
Non è possibile né umano resistere!
Si sprigionano dal terribile alpinista effluvi che alleggeriscono e sollevano.

‘Forza! Bravi! Sotto, ragazzi!’.




Non più disprezzo né odio né indifferenza, tutto scomparso; né riso né susine, ma valzer di Vienna e polche senza interruzione…
…A questo punto una svizzerina gli si avvicina rossa fiammante del suo valzer interrotto, e gli presenta una penna col registro dell’albergo.

‘Il signore vuole essere tanto gentile di scrivere il proprio nome?’…

Prese la penna con la mano indifferente, e sotto i nomi degli scienziati, diplomatici e storici illustri scrisse il proprio che li eclissò di colpo; e come se nulla fosse accaduto, salì verso la propria camera senza neppure voltarsi per vedere quale fosse l’effetto, di cui era arcisicuro.
La bella svizzerina guardò sul registro:


TARTARINO DI TARASCONA…




…Allorchè questo nome di Tarascona squilla come una fanfara sulla linea Parigi-Lione-Marsiglia, nell’azzurro limpido e palpitante del bel cielo di Provenza, le teste dei curiosi si sporgono da tutti i finestrini del direttissimo, e da un vagone all’altro i viaggiatori si dicono:

‘Tarascona! Tarascona! Ecco Tarascona! Vediamo un po’ Tarascona!’…

Quello che ne può vedere passando a questo modo in fretta, non presenta in fondo nulla di straordinario: una cittadina pulita e tranquilla, delle torri, dei tetti, un ponte sul Rodano.
Ma il sole tarasconese con i suoi prodigiosi effetti di luce così fecondi di sorprese, di creazioni e di abbagli, di bizzarrie deliranti in questo popolo giocondo, grande come un cece, ma che illumina e riassume tanto bene la psicologia di tutto il Mezzogiorno della Francia – vivace, rumoroso, ciarliero, fanfarone, ingenuo e comico, impressionabile: questo è quello che i curiosi del direttissimo cercano al loro passaggio e non possono vedere, e che forma la grande popolarità del paese.
In pagine indimenticabili che la modestia impedisce di ricordare con maggior chiarezza, lo storico Tarascona ha cercato già di descrivere i giorni felici della piccola città, fra le sale del circolo dove si cantano romanze comiche e sentimentali, ciascuno la propria, e in mancanza di selvaggina si organizzano originali cacce ai berretti.




Scoppiata la guerra, e con essa sopraggiunti i tempi difficili, egli ha narrato di Tarascona e della sua eroica difesa; circondata di torpedini, il circolo e il teatro inspugnabili, gli abitanti inquadrati in compagnie di volontari con uniformi fregiate di teschi sui femori incrociati, e grande abbondanza di sciabole, accette, revolver americani, i tarasconesi giungevano a farsi paura gli uni con gli altri, e a non osare più di fermarsi per la via.
Molti anni sono trascorsi dopo la guerra, molti almanacchi sono andati a finire nel fuoco, ma Tarascona non ha dimenticato i suoi giorni eroici, e rinunciando ai futili passatempi di allora non ha nutrito più che un’aspirazione: farsi sangue e muscoli a profitto delle future rivincite. Società di tiro a segno e di ginnastica, in uniforme e fornite tutte di musica e bandiera; sale d’armi, di pugilato, bastone e scherma; podismo, lotta a mano aperta e a mano serrata, fra persone della migliore società; queste nuove istituzioni hanno via via rimpiazzato le vecchie cacce ai berretti e le platoniche discussioni nella bottega dell’armaiolo Costecalde.




Infine il circolo, il vecchio circolo, rinnegando i suoi antichi giuochi sedentari, s’è trasformato in Club Alpino sotto il patronato del famosissimo Alpine Club di Londra, che ha portato fino nelle Indie il nome glorioso dei suoi esploratori. Con questa differenza; che i tarasconesi, invece di espatriare alla ricerca di cime straniere da conquistare, hanno preferito quelle che avevano lì nella loro patria amatissima, alle porte della loro città, a portata di mano, o, per dire più esattamente di piede.
Le Alpi di Tarascona ogni mattina pulite da un esercito di operatori ecologici dei quali abbiam perso conto e numero… Certo non proprio le Alpissime, di quelle cioè che non si finisce mai di andar su, e col pericolo sempre di tornar giù tutto in una volta, ma le alpicelle, le alpette… le alpine!
E’ un vero piacere ogni domenica mattina vedere gli eretici tarasconesi in ghette o calzettoni, la piccozza nella mano sicura, il sacco sulle spalle, partire col trombettiere in testa (il maresciallo della zona che dirige l’intera orchestra un tantino suonato anche lui dicono voci di popolo…), che poi il ‘Forum’ giornale locale, descrive con sfoggio di particolari e lusso di vocaboli:





abissi

voragini crepacci

gole

cime

non meno di strani tagliagole

…da lì transitati o comandati

Ancora non chiaro al traForum di stato!


(A. Daudet, Tartarino sulle Alpi) 

















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