giuliano

lunedì 29 maggio 2017

COINCIDENZA PER LOS ANGELES (provenienza Yuma) (18)



















































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L'ultimo treno per Yuma (17)

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Questa terra è la mia terra (19)














Mi rincalzai il cappello e m’incamminai a ovest di Redding attraverso le foreste di sequoie. Mi feci tutta la costa, città per città, con la chitarra in spalla, e cantai nei ghetti di quarantadue stati: Oklahoma City in Reno Avenue, a Seattle in Lower Pike Street, a Santa Fe sul banco dei giurati, e ho cantato anche nella vostra città, tra le bidonville pidocchiose e nei buchi più squallidi.
Ho cantato nelle tendopoli chiamate Little Mexico, ai margini poveri delle verdi praterie californiane, sulle zattere cariche di ghiaia lungo l’East Coast; e nella Bowery di New York, mentre i poliziotti ed i fascisti davano la caccia a quelli che scolavano rum di contrabbando. Deviai lungo il golfo del Messico e cantai con i marinai e i lupi di mare a Port Arthur, con i fuochisti ed i macchinisti di Texas City, con i fumatori di marijuana nei bassifondi di Houston. Segui le fiere e i rodei di tutta la California settentrionale, Grass Valley, Nevada City; mangiai le albicocche e le pesche che crescevano intorno a Marysville, l’uva delle colline di Auburn, e scolai il vino genuino che tanta brava gente offriva.




Appena arrivavo in posto mi levavo il cappello, lo buttavo a terra e cantavo per raggranellare qualche soldo. A volte ero così fortunato che mi capitava perfino di trovare lavoro. A Los Angeles, per esempio, cantai alla radio, e Zio Sam mi invitò nella valle del fiume Columbia per incidere ventisei… canzoni sulla diga del Grand Coulee. Feci anche due album intitolati ‘Ballate della conca di polvere’, per la Victor.
Poi mi rimisi in viaggio attraverso il paese due volte, in autostop e sui treni merci. La gente mi sentiva nei programmi della CBS e della NBC e pensava che fossi diventato ricco, ma a me non arrivava in tasca neanche il becco di un quattrino ed ero più al verde che mai… Nella mia vita i giorni si avvicendavano uno dopo l’altro, come la gente che incontravo, così un giorno il vento della costa mi soffiò via da San Francisco e per le larghe strade di San José mi riportò a Los Angeles.




Era dicembre e me ne andavo per la Fifth Street, la famosa grande Skid Row, la strada più incasinata di tutte. Cristo che pioggia e che vento quella notte!
Le nuvole si muovevano basse e travolgevano la strada come una mandria di bufali scatenati. A un certo punto mi imbattei in un suonatore di chitarra, stava piantato in un angolo buio e di nome faceva Cisco Kid.
Era un tipo con le gambe lunghe, che aveva l’abitudine di camminare rullando come se stesse sempre su una nave. Aveva viaggiato parecchio per mare e toccato molti porti, insomma i suoi ventisei anni li aveva vissuti abbastanza intensamente. Cantava bene, anche in falsetto, e strimpellava non male: come me, con la pioggia o il sole, il freddo o il caldo, se ne andava sempre con la chitarra a tracolla appesa con una cinghia di cuoio.




Insieme percorremmo la Skid Row sbirciando dentro i bar e le taverne tra le rumorose intermittenze delle insegne al neon, alla ricerca di una comitiva da rallegrare. Le vetrine macchiate e sporche, che neanche quel diluvio riusciva a lavare, e le porte vecchie e malandate davano ai locali un aspetto pallido e malato; all’interno uomini e donne, ricchi e poveri se ne stavano tristemente a parlare del più e del meno.
Fuori qualche edicola cercava disperatamente di rimanere aperta sotto la pioggia, per vendere ai pochi passanti frettolosi e fradici i giornali e i biglietti delle corse dei cavalli. Le sale per le scommesse puzzavano fino all’inverosimile di fumo stantio, di sputo e di sudore, affollate com’erano di gente che urlava e bestemmiava sulle proprie scommesse. Le vetrine dei banchi dei pegni erano stracolme di articoli di ogni genere, buttati lì o appesi, impegnati probabilmente proprio dalle persone che ne avevano più bisogno.




C’erano arnesi da lavoro, pale, pialle, pannelli, compassi, rubinetti di ottone, strumenti idraulici, seghe, asce, grossi orologi che non camminavano dai tempi dell’ultima guerra, tende e sacchi a pelo portati via ai vagabondi. Ecco una tavola calda: lucidi sgabelli imbottiti, un banco con tanti cibi, cibi allineati, e gente che mentre mastica e ingoia spera che su Skid Row insieme alla pioggia caschi anche un po’ di fortuna…
Un fiume di rifiuti scorre ai lati della strada, lungo il bordo del marciapiede; è una poltiglia bituminosa, fatta di pezzi di carta in decomposizione, calunnie, bugie, letame, e tanta roba che dai quartieri più ricchi scende giù per la collina…

(Liberamente ispirato da:Woody Guthrie, Questa terra è la mia terra)
















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