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L'ultimo treno per Yuma (17)
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Questa terra è la mia terra (19)
Mi rincalzai il cappello e m’incamminai a ovest di Redding attraverso
le foreste di sequoie. Mi feci tutta la costa, città per città, con la chitarra
in spalla, e cantai nei ghetti di quarantadue stati: Oklahoma City in Reno
Avenue, a Seattle in Lower Pike Street, a Santa Fe sul banco dei giurati, e ho
cantato anche nella vostra città, tra le bidonville pidocchiose e nei buchi più
squallidi.
Ho cantato nelle tendopoli chiamate Little Mexico, ai margini poveri
delle verdi praterie californiane, sulle zattere cariche di ghiaia lungo l’East
Coast; e nella Bowery di New York, mentre i poliziotti ed i fascisti davano la
caccia a quelli che scolavano rum di contrabbando. Deviai lungo il golfo
del Messico e cantai con i marinai e i lupi di mare a Port Arthur, con i
fuochisti ed i macchinisti di Texas City, con i fumatori di marijuana nei
bassifondi di Houston. Segui le fiere e i rodei di tutta la California
settentrionale, Grass Valley, Nevada City; mangiai le albicocche e le pesche che
crescevano intorno a Marysville, l’uva delle colline di Auburn, e scolai il
vino genuino che tanta brava gente offriva.
Appena arrivavo in posto mi levavo il cappello, lo buttavo a terra e
cantavo per raggranellare qualche soldo. A volte ero così fortunato che mi
capitava perfino di trovare lavoro. A Los Angeles, per esempio, cantai alla
radio, e Zio Sam mi invitò nella valle del fiume Columbia per incidere ventisei…
canzoni sulla diga del Grand Coulee. Feci anche due album intitolati ‘Ballate
della conca di polvere’, per la Victor.
Poi mi rimisi in viaggio attraverso il paese due volte, in autostop e
sui treni merci. La gente mi sentiva nei programmi della CBS e della NBC e pensava
che fossi diventato ricco, ma a me non arrivava in tasca neanche il becco di un
quattrino ed ero più al verde che mai… Nella mia vita i giorni si avvicendavano
uno dopo l’altro, come la gente che incontravo, così un giorno il vento
della costa mi soffiò via da San Francisco e per le larghe strade di San José mi
riportò a Los Angeles.
Era dicembre e me ne andavo per la Fifth Street, la famosa grande Skid
Row, la strada più incasinata di tutte. Cristo che pioggia e che vento quella
notte!
Le nuvole si muovevano basse e travolgevano la strada come una mandria
di bufali scatenati. A un certo punto mi imbattei in un suonatore di chitarra, stava
piantato in un angolo buio e di nome faceva Cisco Kid.
Era un tipo con le gambe lunghe, che aveva l’abitudine di camminare
rullando come se stesse sempre su una nave. Aveva viaggiato parecchio per mare
e toccato molti porti, insomma i suoi ventisei anni li aveva vissuti abbastanza
intensamente. Cantava bene, anche in falsetto, e strimpellava non male: come
me, con la pioggia o il sole, il freddo o il caldo, se ne andava sempre con la
chitarra a tracolla appesa con una cinghia di cuoio.
Insieme percorremmo la Skid Row sbirciando dentro i bar e le taverne
tra le rumorose intermittenze delle insegne al neon, alla ricerca di una
comitiva da rallegrare. Le vetrine macchiate e sporche, che neanche quel
diluvio riusciva a lavare, e le porte vecchie e malandate davano ai locali un
aspetto pallido e malato; all’interno uomini e donne, ricchi e poveri se
ne stavano tristemente a parlare del più e del meno.
Fuori qualche edicola cercava disperatamente di rimanere aperta sotto
la pioggia, per vendere ai pochi passanti frettolosi e fradici i giornali e i
biglietti delle corse dei cavalli. Le sale per le scommesse puzzavano fino
all’inverosimile di fumo stantio, di sputo e di sudore, affollate com’erano di
gente che urlava e bestemmiava sulle proprie scommesse. Le vetrine dei banchi
dei pegni erano stracolme di articoli di ogni genere, buttati lì o appesi,
impegnati probabilmente proprio dalle persone che ne avevano più bisogno.
C’erano arnesi da lavoro, pale, pialle, pannelli, compassi, rubinetti
di ottone, strumenti idraulici, seghe, asce, grossi orologi che non camminavano
dai tempi dell’ultima guerra, tende e sacchi a pelo portati via ai
vagabondi. Ecco una tavola calda: lucidi sgabelli imbottiti, un banco con tanti
cibi, cibi allineati, e gente che mentre mastica e ingoia spera che su Skid Row
insieme alla pioggia caschi anche un po’ di fortuna…
Un fiume di rifiuti scorre ai lati della strada, lungo il bordo del
marciapiede; è una poltiglia bituminosa, fatta di pezzi di carta in
decomposizione, calunnie, bugie, letame, e tanta roba che dai quartieri più
ricchi scende giù per la collina…
(Liberamente ispirato da:Woody Guthrie, Questa terra è la mia terra)
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