Precedenti capitoli:
I vivi al servizio dei morti (17)
Prosegue in:
La scultura funeraria (19/20)
Qui si narra in verità e per il
vero di vite improvvisamente e crudelmente troncate per responsabilità
collettiva o almeno col contributo e spesso con la collaborazione di intere
comunità e per questo destinate a gravare come potenze minacciose sulle
coscienze di chi resta dopo di loro. Sembra tuttavia che si possa individuare
un tratto specifico che caratterizza l’atto di far morire qualcuno in
obbedienza a una legge o comunque in nome e per conto della ‘giustizia’:
l’autorità che decide di mandare ad effetto l’esecuzione capitale ricorre alla
‘visibilità’ dell’atto per legittimarlo. E questo richiede un momento pubblico,
una esibizione del condannato, una notorietà del fatto che si intende ucciderlo
o che lo si è ucciso.
A questo scopo si ricorre ai
mezzi di comunicazione offerti dalla tecnica e dalla cultura dell’epoca. Un
potere sovrano inappellabile può far eliminare le sue vittime nel segreto della
notte e del carcere, ma alla fine ne esporrà pubblicamente i cadaveri (o i ‘trofei’ quando l’economica &
tecnologica scienza asservite ad una ‘invisibile legge’ rubata maldestramente
ai principi evoluzionistici regolatori cui Darwin paladino, e superiori alla
vita dedotta così rilevata e rivelata: applicare una imparziale se pur palese totalitaria
finalità simmetrica ad una globale materiale e ‘solida’, come direbbe Guenon, ora…, secolare nella
ciclicità dello Spazio & del Tempo ‘globalmente’ vissuto oppure ‘subito’):
‘E ora’,
disse Macfarlane, ‘è più che giusto che intaschiate la vostra parte di
guadagno. Io ho già avuto la mia parte. A ogni modo, quando un uomo di mondo ha
un colpo di fortuna, ha qualche scellino extra in tasca... mi vergogno di
parlarne, ma c'è una norma di condotta in questi casi. Niente festeggiamenti, niente
acquisti di costosi libri di studio, niente saldo di vecchi debiti; prendete a
prestito, non prestate’.
‘Macfarlane’, cominciò Fettes ancora un poco
rauco, ‘mi sono messo un cappio intorno al collo per farvi un piacere’.
‘Per farmi un piacere?’, gridò Wolfe.
‘Ma guarda! Non avete fatto, per quanto mi
riesce di vedere, che ciò che dovevate fare per difendervi. Mettete che io
finisca nei pasticci, cosa credete che capiterebbe a voi? Questa seconda
cosuccia deriva chiaramente dalla prima. Il signor Gray è il proseguimento della
signorina Galbraith. Non potete cominciare e poi smettere: se cominciate,
dovete andare avanti; la verità è questa. Non c'è pace per il dannato’.
Un orribile senso di oscurità e il tradimento
del destino piombarono sull'animo dell'infelice studente.
‘Dio mio!’, gridò, ‘ma cosa ho fatto? e quando
ho cominciato? A diventare assistente di classe, in nome della ragione, che
cosa c'è di sbagliato? C’era Service che voleva l’incarico, e Service avrebbe
potuto averlo. E lui si sarebbe trovato dove ora mi trovo io?’.
‘Mio caro’, disse Macfarlane, ‘siete proprio un
ragazzino. Che male ve ne è venuto? Che male può venirvene se tenete la lingua
a posto? Insomma, amico, lo sapete cos’è la vita? Siamo divisi in due
squadre... i leoni e gli agnelli. Se siete un agnello finirete su questi tavoli
come Gray e Jane Galbraith; se siete un leone vivrete e condurrete un cavallo
come me, come K., come tutti coloro che hanno spirito o coraggio. Dapprima si
ha paura. Ma guardate K.! Mio caro amico, voi siete svelto, avete fegato. Mi
piacete e piacete anche a K. Siete nato per guidare la caccia e vi dico, sul
mio onore e per la mia esperienza di vita, che fra tre giorni riderete di
questi spaventapasseri come un ragazzetto a una farsa’.
Detto ciò Macfarlane ripartì, guidando il suo
calesse…
Un potere che vuole ed esige il consenso popolare mostrerà invece tutto il percorso del condannato dal carcere al patibolo e ne diffonderà immagini infamanti…
…Infatti… se i devoti del movimento religioso di risveglio evangelico raccontano
episodi edificanti, una nutrita produzione editoriale puntò invece in direzione
di storie di vite e di morti violente. I racconti delle ultime ore dei
condannati, dei loro ultimi discorsi e del percorso criminale che li aveva
condotti a quella fine furono la materia di una ricca letteratura popolare.
Gli autori che si cimentarono in questo nuovo genere furono tanto
numerosi quanto oscuri: solo in pochi casi ne emersero autentici scrittori. Per
un Daniel Defoe (oppure nel nostro caso di un profetico Stevenson o Dylan dopo
di lui) che da quell’industria miserabile riuscì ad elevarsi a un durevole
successo letterario ci fu una folla di mestieranti impegnati a inseguire i
magri compensi di quell’attività dove i dati di realtà venivano cucinati con gli
ingredienti più adatti (ed odiernamente a disinformare…) a terrorizzare e a
stupire.
Storie composte e ‘cucinate’ in fretta e furia nei giorni della
cattura, il processo e l’esecuzione della sentenza. Si può vedere una scena di
questo mercato in una tavola di Hogarth che rappresenta l’esecuzione di Tom
Idle: qui la figura dominante in basso al centro è una donna che invita a
comprare e a leggere un opuscolo intitolato ‘The Last Dying Speech of Tom Idle’.
Naturalmente quello non era il vero ‘ultimo discorso’ che il morituro stava per
indirizzare alla folla, ma il resoconto scritto da qualcuno che aveva raccolto
informazioni sufficienti sui suoi delitti da catturare la curiosità dei lettori
avidi di storie di delitti e di vite fuori norma.
E qui si affaccia qualcosa che abbiamo già visto nella realtà delle
confraternite italiane: la collaborazione degli incaricati dell’assistenza
religiosa alla stesura delle storie vendute sulle piazze. Solo che in
Inghilterra il meccanismo della collaborazione fu scoperto e sistematico, non
solo, ma si svolse all’insegna della libera concorrenza sul mercato tra
chiunque aveva prodotti da vendere. La lotta per sfruttare il mercato vide da
un lato l’ordinario ecclesiastico del carcere di Negate e dall’altro una folla
di autori e stampatori dilettanti. Il sacerdote anglicano titolare dell’ufficio
di cappellano del carcere arrotondava i suoi introiti redigendo e pubblicando
degli ‘Accounts’, che uscirono a partire dal 1670 come pubblicazione regolare
del bollettino del carcere di Negate passando via via dall’iniziale foglio
volante a opuscoli di diverse pagine. Era un mercato editoriale ‘scalpitante e
suscettibilissimo, di una concorrenza che si affannava sul filo delle ore, di
un pubblico impaziente di notizie e pronto a spendere al massimo delle sue
risorse’. Di norma il pubblico che assisteva all’esecuzione (non diversamente
dall’Opera) poteva così confrontare quello che si leggeva negli opuscoli sul
delitto con ciò che avrebbe detto il condannato nel suo ‘last speech’, un discorso
che veniva stampato subito dopo e che i lettori correvano ad acquistare.
Nella società inglese il contesto di queste storie di patibolo era
particolarmente animato: il rapporto tra il pubblico e gli apparati di
giustizia era quello indocile e rissoso di una società che aveva vissuto i
rivolgimenti della rivoluzione puritana e sperimentava il nuovo assetto della
monarchia parlamentare e l’avvio della rivoluzione industriale. Lo scenario
pubblico delle esecuzioni a Londra appare dalle fonti dell’epoca pieno di
rumore e di furia, dominato da un pubblico attento e reattivo, capace ad
esempio di violente agitazioni alla notizia che i corpi venivano destinati
all’anatomia…, RITENUTA UNA PRATICA INFAMANTE….. E il mercato dei corpi si accompagnava a un
mercato delle storie di vite violente – traffici dove per pochi soldi gli
addetti alla salvezza delle anime guadagnavano di che integrare i loro magri
stipendi….
Per simmetrici aspetti evoluzionistici dell’informazione, nonché della
stessa in riferimento alla ‘cultura del patibolo’ e questa, ancora, con il
nostro ed altrui ‘sistema nervoso’ così come spesso dai media rilevato nelle
ultime confessioni di condannati a morte servitori di opposti regimi e Secoli
puoi continuare l’approfondimento nella
nuova cosmologia compiuta….
(A. Prosperi)
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