Precedenti capitoli:
Laudati si' mi' Signore.... (27)
Prosegue in:
'Laudato sii o mio Signore per nostra sora morte corporale...' (29)
In molte leggende delle Alpi appare
il diavolo come figura malefica e minacciosa. Ora egli invidia gli
uomini e riesce a perderli per tutta l’eternità; ora si accinge a qualche
terribile opera di distruzione, ma non riesce a compierla secondo il suo desiderio,
ed è vinto dalla forza sovrumana dei santi…
Altre volte ancora come nelle leggende più
strane e paurose, note alle nazioni cristiane del Medioevo,
prende forme spaventevoli, che muta a suo talento; o trasporta enormi sassi da
un sito all’altro, facendosi pure con frequenza costruttore ardito di ponti. Era
inevitabile che molte leggende di formazione medioevale accennassero in modo
speciale alle cime delle Alpi, dicendole predilette dimore del nostro
secolare nemico.
Esse nei tempi lontani erano state credute
dalle antiche genti, sedi eccelse dei numi; perché i padroni della folgore ed
altre divinità adorate dai Celti, dai popoli retici e dagli Slavi, dovevano al
pari di Giove Olimpico avere altissimi troni; ed essendo le Alpi i veri giganti
di Europa, si sfidarono infiniti pericoli per elevare sulle più alte cime il
tronco d’albero, il sasso enorme, la colonna, che furono i simulacri e le prime
are delle divinità. Di certo i primi alpinisti furono sacerdoti accesi dal
desiderio di onorare i numi, nelle regioni più alte del loro dominio terreno.
Si credette pure che più facilmente si
potesse conoscere l’avvenire interrogando i numi sulle alture e sulle cime
delle montagne, che divennero sacre innanzi ai popoli delle Alpi. I Celti
credevano che sulle vette sublimi si compiacesse Beleno, prima che conoscessero
il nome di Giove Olimpico; ma coll’andare del tempo le divinità degli alpigiani
dovettero cedere il posto d’onore agli dei vittoriosi di Roma; o per meglio
dire, non potendo quelle antiche genti perdere la memoria del proprio culto, e
disprezzare le divinità nazionali, per adorare unicamente quelle dei Romani,
che erano innanzi ad esse invasori e nemici, accettarono per nuovi numi quelli
che più si avvicinavano nella figura del mito, nel carattere, e nella potenza
ai loro dei. Per questa ragione Giove si confuse col Taranis dei Celti e col
Penn dei Vallesani. Minerva si unì nel concetto popolare con Belisana, Apollo
con Beleno. La stessa confusione accennata fra le divinità dei Celti e quelle
dei Romani, si ripeté fra quelle dei popoli retici e dei nuovi invasori; però
tutte divennero, innanzi ai popoli cristiani del Medioevo, numi infernali,
demoni che atterrivano le genti, e stavano ancora sui troni eccelsi delle Alpi,
come fra gli ultimi baluardi dai quali era difficil cosa bandirli per sempre. Dalle Alpi Marittime fino alle Pennine si ebbe culto verso
questa divinità. Non sarebbe una lontana immagine della dea Bercht del Tirolo e
della Berta svizzera? Czoernig, nella sua opera Die alten Völker
oberitaliens, Wien, 1885, vuole che fra le poche divinità dei Reti, di cui
si conosca il nome, si trovassero Cuslanus, Rhamnagalle e Squanagalle. Non ne
trovai memoria nelle leggende alpine. Un’antica credenza ricordata
gravemente dal Thesauro, faceva sicuri i nostri avi che un demonio ‘tiranneggiava
l’una e l’altra Alpi Graie e Pennine, e da quell’alte rupi, come da eccelso
trono, tutte le soggette valli con barbarie non più udita infestava’.
La sede prediletta di questo terribile demonio alpino trovavasi,
secondo la narrazione del Thesauro, sul monte che ora dicesi ancora di Giove ed
ove alzavasi una statua del sommo dio dell’Olimpo. I Vallesani l’avevan gittata
a terra innalzando in sua vece quella del loro dio Pennino; ma Terenzio Varone,
conquistatore della Valle di Aosta, rimise a suo posto la statua di Giove, che
divenne la dimora del terribile demonio alpino; il quale derubava i passeggeri
e spesso li gettava in profondi burroni. Questo signore delle Alpi era così
spaventevole, che faceva ‘impallidire al suo aspetto le stelle, tremare al suo
moto la terra, vestita della più nera caliggine; il cielo accozzar vento con
vento, infestar le aure col fiato, far piangere le nubi e grandinar sassi’.
Forse questa leggenda accenna ai Saraceni che predarono a lungo su
tanti varchi alpini, e nel Breviario di Aosta, citato dal Thesauro, è scritto
che sull’altare del dio Giove o Pennino, i demoni facevansi pagare la decima
parte di quanto possedevano gli abitanti di quelle montagne, e imponevano a
coloro che passavano sui pericolosi sentieri dei colli, il pagamento di forte
tributo; quando non credevano di seguire miglior consiglio derubando gl’infelici,
e facendoli precipitare nei profondi burroni.
Alcune volte i Saraceni passarono come nembo devastatore sulle Alpi,
ritirandosi prontamente nel loro temuto ricovero di Frassineto col bottino
raccolto; ma vi è anche prova che essi rimasero in altri casi a custodia di
molti varchi alpini; e narrasi che Ugo conte di Arles, nipote di Lotario re di
Lorena, fu chiamato a regnare sui Longobardi e venne accolto così bene in
Milano, che ebbe origine in quell’occasione il proverbio provenzale: ‘Être reçu
comme le Roy Huguet’.
Egli affidò ai Saraceni, dei quali era pure stato nemico terribile, la
custodia delle Alpi. Più tardi Ugo fu di nuovo in guerra coi Saraceni che
scacciò verso la Provenza, ma poi lasciò che molti si ritirassero sulle Alpi
Cozie, e vi si fortificassero esigendo tributi, ed è probabile che si avvalsero
a lungo di questa facoltà anche sulle vicine Alpi Graie e Pennine. In ogni modo
la leggenda narra che giunsero un giorno in Aosta nove pellegrini francesi, che
dissero lo spavento provato e i danni sofferti, per la malvagità del demonio
che imperava sul monte Giove. San Bernardo pensò subito di andarlo a combattere
e salì sui monti dirupati, vestito di bianco e col bastone pastorale in mano. Terribile
fu il combattimento fra il diavolo ed il santo, ed accrescevano il
terrore di quella scena, degna di esse re descritta dal Milton ‘horrendi
ruggiti, larve, spettri e tutto ciò che può per gli occhi mettere il terrore in
un'anima’. Ma San Bernardo fu vittorioso ed il demonio delle Alpi
precipitò in una voragine profondissima chiamata Maglio.
L’antica leggenda del Rocciamelone, narrata nella preziosa cronaca
della Novalesa, dice che era impossibile salire sull’acuminata vetta del monte,
ove i demoni accoglievano con una pioggia di sassi i curiosi, e difendevano il
tesoro accumulato lassù da un certo Re Romolo. Questo tesoro non fu trovato
mai, sebbene innanzi all’ardimento di un marchese Arduino, il quale andò sull’alta
cima, seguito dal clero e col suo vessillo superbamente alzato, i terribili
demoni sparirono. Vi è una certa somiglianza fra questa leggenda e quella che
diceva esservi sui Pirenei il terribile Principe del vento, il quale imperava
dalle cime dei monti fino alle acque burrascose dell’Atlantico, ed era anche a
custodia di tesori. Egli però non accoglieva coll’imperversar della tormenta i
coraggiosi che volevano conoscere i segreti delle montagne, ma sapeva
allettarli con mille inganni onde menarli a sicura rovina.
Fu credenza molto estesa quella che ritenne anche i ghiacciai custoditi
da innumerevoli spiriti malvagi, che impedirono a quanto pare i nostri avi di
dedicarsi con animo sereno all’alpinismo. Nelle regioni ove non penetrarono i
Saraceni, e le loro temute figure non si poterono confondere con quelle di
crudeli divinità, si dovette pur conservare dagli alpigiani, un invincibile
terrore per certi spiriti malefici, i quali secondo alcune credenze dei pagani,
che furono anche comuni ai popoli del Medioevo, si aggiravano nell’aria, ed
impedivano alle anime di salire verso il cielo.
I popoli Slavi chiamarono questi malefici spiriti Vijulici; essi
potevano colla forza sovrumana rendere impossibile agli uomini di andare nelle
alte regioni. Dicesi che trovansi forse ancora nei siti più inaccessibili della
Macedonia.
Il Monte Bianco fu pur detto in tempi lontani il Monte maledetto, e
veniva guardato con terrore dagli alpigiani. Forse più di qualsiasi altro monte
o ghiacciaio leggendario, fu dalla fervida fantasia delle genti, popolato con
animali favolosi, con esseri soprannaturali o divinità di un ordine inferiore,
addette alla custodia di grotte dalle pareti di brillanti; alle quali era
impossibile che si avvicinassero gli uomini, essendo difese da abissi
spaventevoli e da crepacci paurosi. I demoni divennero pure, innanzi alla
fantasia popolare, signori dello stesso monte, e si disse che le tormente erano
cagionate da quegli spiriti infernali. Fu pur creduta opera loro l’avanzarsi
dei ghiacciai, che in certi anni giunsero fino alle case di parecchi villaggi,
e coprirono terre coltivate; di maniera che gli alpigiani usarono di pregare
caldamente per vincere la malefica potenza di quei demoni. Vedremo in altri
capitoli come le popolazioni superstiziose delle Alpi, tremanti al ricordo
delle antiche loro divinità, costringevano i parroci a benedire i laghi ed a
esorcizzare i temporali; egual cosa avvenne rispetto al Monte Bianco, e dicesi
che verso la fine del secolo XVII trovandosi Monsignor Giovanni dìArenthon a
Chamonix, non solo benedisse la popolazione che si era inginocchiata ove egli
passava, ma dietro le calde preghiere di quella buona gente, dovette
avvicinarsi ai ghiacciai ed esorcizzarli.
Anche nelle basse regioni delle Alpi ebbero, ed hanno ancora, secondo
la credenza popolare, dimora i demoni. Nella Svizzera tedesca chiamansi Tobel
certi strettissimi valloni, ove non vedesi un'abitazione di pastori. Chiusi
da alte e nere pareti hanno aspetto selvaggio e nel cantone di Berna sono detti
Krachen. In quei siti desolati dimorano, secondo le leggende, folletti,
diavoli, o altri spiriti malvagi, mentre nel Trentino i montanari della
Rendena, credono che nella Valle di Genova, così imponente e bella coi suoi
vasti ghiacciai dominati dall’Adamello, ed ove il Sarca balza negli
spaventevoli burroni, il Concilio di Trento, o qualche santo potente abbia
mandato in esilio tutte le streghe e i demoni del Trentino.
E per una stranezza della fantasia popolare, parecchi grossi massi che
trovansi a piè delle dirupate pareti, portano i nomi dei demoni più noti nella
valle. Fra questi vi è Zampa de Gal, il quale prende aspetto di elegante
giovanotto per ammaliare le belle fanciulle, ma non può mutar forma al piede di
gallo che gli serve di mano. Poi trovasi Schiena de Mul, il quale
possibilmente offre i suoi servigi a qualche viandante, nel desiderio di
portarlo sulle montagne, finché gli riesca di farlo precipitare in un burrone e
di prendergli l’anima. Manarot è il demone tentatore dei contrabbandieri,
Calcarot manda sogni terribili agli Alpigiani, Balajal, che ha orgoglio pari
all’indomabile coraggio, è il re di quella temuta schiera di demoni.
Il diavolo delle Alpi Cozie, del quale trovasi ricordo in Frossasco, ha
qualche somiglianza col galante e bellissimo Zampa de Gal della Valle di
Genova. Narrasi in quel comune che una giovanetta andava a ballare tutte le
sere all’insaputa dei suoi genitori. Con infinita cura, per non destare i suoi
che dormivano tranquillamente, essa chiudeva l’uscio di casa, e l’amante, che l’aspettava
vicino alla casa paterna, l’accompagnava al lieto convegno. Una sera ella uscì
secondo il solito e nell’oscurità diede il braccio ad un giovane, che stava
fermo sulla via, e che le parve il suo promesso; ma colui non le disse una
parola ed invece di camminare accanto a lei, la sollevò nell’aria. Con sommo
suo sgomento la fanciulla capì che era in balia del diavolo, il quale rideva
fra la notte oscura, mentre dagli occhi mandava faville. La povera fanciulla
aveva la mano destra libera ed appena si riebbe alquanto, dopo la prima
impressione terribile di spavento, poté fare il segno della Santa Croce, che
valse a liberarla subito dal suo nemico, che la lasciò cadere a terra. Nel
mattino seguente certi contadini usciti pel lavoro la trovarono più morta che
viva, in vicinanza di una chiesetta dedicata alla Madonna, e che ora vedesi
ancora. Non v’è altro monte nel Friuli il quale, per l’aspetto imponente, possa
più del monte Canino divenire innanzi alla fantasia popolare un monte
leggendario.
Nelle vicine valli di Raccolana e della Resia, gl’immensi massi
trasportati dagli antichi ghiacciai formano cumuli spaventevoli, che sembrano
rovine delle città dei giganti; mentre altre rocce immense si elevano verso il
cielo come una fortezza immane, e sono anche dimore dei diavoli e dei dannati.
Il vano gigantesco che trovasi su quelle e dicesi Prestrelenich, è, secondo una
leggenda, la finestra dalla quale il diavolo si affaccia; e forse non poche
volte quando le nubi nere si addensano sulle alte cime e le saette flagellano
le rupi, qualche pastore atterrito vedesi innanzi all'accesa fantasia una
gigantesca figura, che si alza fra le rupi, imponente e truce; adattandosi
mirabilmente alla grandezza del paesaggio alpino, e che forse guardando la
valle, ride da quell’altezza sulle miserie dei poveri mortali.
Oltre la valle d’Ala, fra le maestose moli della Bessanese e della
Ciamarella, ritroviamo il diavolo, non in aspetto di mostro spaventevole, come
lo dissero tante leggende che divennero popolari nel Medioevo, ma in forma di
camoscio; mentre corre da ghiacciaio a ghiacciaio, balza da rupe a rupe,
innanzi alle palle di un cacciatore pazzo d’ira, che non aveva ancora fino a
quell’ora fallito il colpo, e che non riesce nella corsa vertiginosa a ferire
il suo nemico. Poi l’uccide, ne beve il sangue e come ebbro di gioia, discende
portandolo sulle spalle, verso l’incantevole Pian della Mussa, ove trionfa in
tutta la sua bellezza la flora alpina; ma pargli che la strana bestia diventi
di piombo e affranto la getta sull’erba. Gli occhi del camoscio si fanno in un
baleno fiammeggianti, e con voce minacciosa quella bestia infernale chiede come
cosa sua l’anima del cacciatore atterrito che salvasi invocando San Giorgio. Questa
leggenda che udii narrare in Balme nell’allegro villaggio alpino, all’imboccatura
della valle che volge al Piano della Mussa, parmi una delle più belle che si
trovino sulle Alpi; ed acquista un fascino maggiore se pensasi al paesaggio
sublime, in mezzo al quale il cacciatore leggendario seguì il suo diabolico
nemico.
Anche assai grandiosa nel concetto è la leggenda che ci mostra il
diavolo in aspetto terribile, mentre passa nel volo audace sulle cime della
Levanna e della Ciamarella, e sui ghiacciai di Sea, oltre l’estrema punta di
Val Grande; portando orgogliosamente l’enorme rupe detta Pietra Cagna, ch’egli
deve far piombare sopra una città .maledetta. La notte è profonda e il diavolo
ride, finché spossato, affranto in modo nuovo, e per una ragione che gli pare
incomprensibile, è costretto a lasciare la rupe nel vallone del Torrione,
mentre la preghiera di un santo eremita, il quale dimorava nel sito ove ora
sorge il Santuario della Madonna di Groscavallo, ha ottenuto il perdono dei
condannati.
Per un caso strano, raccontasi nella Svizzera una leggenda simile a
questa, e dicesi che mentre cominciava a sorgere la città di Berna, il diavolo
ebbe vaghezza di distruggerla; ed avendo sollevato un masso enorme sul Gottardo
lo portava superbamente, volando con rapidità, verso la città condannata,
volendo farlo piombare su quella; ma Iddio conobbe il suo triste proposito
leggendogli nell'animo perverso, e prima che egli giungesse alla meta del suo
viaggio perdette ogni forza lasciando cadere il masso, che vedesi ancora nel
sito ove avvenne la sconfitta dell’orgoglioso nostro nemico. Esso chiamasi il
Peso del diavolo.
Circa ai due terzi della strada che, da Alagna in Val Sesia, conduce al
Col d’Olen, per discendere a Gressoney, si vede un grosso macigno spaccato in
due da cima a fondo, e vien chiamato il Sasso del diavolo. Questo nome basta a
farci intendere che deve avere la sua leggenda, e narrasi che nel mentre gli
abitanti di Gressoney la Trinité fabbricavano la loro chiesa, il diavolo volle
di struggere la parte già costrutta, e prese nel fondo della valle sulla sponda
della Sesia, o come altri afferma, in vicinanza di Roma, un grosso macigno; e
caricandolo sulle spalle lo portò nella Valle di Olen, coll’intenzione di farlo
precipitare dalla vetta della montagna, appena vi fosse giunto, verso l’altro
versante; ove nella caduta avrebbe atterrato la parte della Chiesa che sorgeva
dal terreno. Ma questa volta ancora, come eragli già avvenuto in altre regioni
alpine, mentre voleva compiere opere nefande di distruzione, egli fu vinto da
somma stanchezza, ed a poca distanza dalla vetta del colle di Olen, dovette per
riprendere lena lasciare il gran peso del sasso. Quando volle riprenderlo sulle
spalle, non ci fu verso che vi riuscisse, rimanendo il sasso immobile sulla
terra; ed allora vinto da un tremendo impeto di rabbia, il diavolo scaraventò
un violento pugno sul masso, che si spaccò con enorme fenditura. Poi come a
manifestare ancora il proprio furore egli urlò in modo orrendo dicendo anche la
parola Prebretz, che forse nel suo diabolico linguaggio era qualche
terribile bestemmia, e da quel tempo il macigno fu chiamato sempre il Sasso del
diavolo o Prebretz-Stein.
Una leggenda del Trentino ci mostra anche il diavolo spossato, vinto in
una delle sue tristi imprese notturne. Egli vestito di rosso e cogli occhi
sfavillanti, trovavasi a piè della Cima Gaiarda, mentre la luna irradiava il
bizzarro gruppo di Brenta e la Cima Tosa. Poi tolse da terra un involto
pesante, se lo caricò sulle spalle e andò innanzi fra boschi e burroni, senza
nessuna fatica, benché fosse assai grave il peso ch’egli portava. Ma in un
attimo cominciò a sentirsi affranto, a curvarsi e andò a stento innanzi, mentre
eragli apparsa alla Svolta dei Cavai una croce, innanzi alla quale era stato
acceso un lumicino a ricordo di una recente sventura. Finalmente egli fu
costretto a gettare a terra l'involto, il quale conteneva danaro rubato, e andò
subito a sollevare un grosso masso erratico che collocò sul suo tesoro; poi,
mentre guardava sempre la croce vittoriosa, diresse il volo verso la Valle di
Genova onde tornare nel suo triste regno. Nel giorno seguente una vecchietta
passando vicino al masso erratico, vide delle monete d’oro sparse a terra, che
il diavolo aveva perdute, mentre nascondeva il tesoro. Ella si fermò
inutilmente per raccoglierle, perché da una spaccatura della montagna, vicino
al ghiacciaio di Lares, detta il Crozzon del Diavolo, costui soffiava con tanta
violenza verso il masso, che non era possibile prendere le monete. Intanto
siccome al cacciatore della Valle d’Ala avvenne di perdere la Messa, quando
pazzamente inseguiva il camoscio, così mentre la vecchia affannavasi nel volere
raccogliere le monete, essa mancò al suo dovere di buona cristiana; ed è forza
credere che fu dannata, perché ora ancora dicesi che si aggiri intorno al masso
ed alletti i passeggeri, facendo splendere innanzi ad essi, sulla via, delle
monete che non giungono mai a raccogliere; mentre il diavolo continua a
soffiare senza posa dal leggendario Crozzon.
Nell’alta Vallemaggia trovasi pure il Sasso del diavolo, enorme blocco
di roccia, che si eleva innanzi al villaggio di Prato e vicino al fiume. La
leggenda vuole che il diavolo si adirò fortemente contro quei di Prato, e
divisò di chiudere il corso dell’acqua vicino al paese, trasportando in quel
sito il blocco; e di certo egli si allietava nel pensare che presto avverrebbe
una tremenda inondazione a minaccia del villaggio, travolgendo ogni cosa nella
sua furia indomabile. Ma la Vergine non gli permise di eseguire il suo
terribile disegno, ed egli fu costretto a lasciare il masso nel sito ove ora
trovasi. La gente di Prato a testimoniare la sua gratitudine, eresse alla
Vergine una piccola chiesa che sol da poco tempo fu abbattuta.
Le leggende delle Alpi italiane in cui i massi erratici segnano
terribili sconfitte del diavolo, possono dirsi in relazione colla credenza
espressa in certe leggende francesi, che li dicono rimasti nei siti ove si
trovano, dopo tremende lotte fra il principio del bene e quello del male.
In Valle d’Aosta ritroviamo il nostro secolare nemico, mentre vuole
impedire il passaggio del colle di St. Théodule al gran Santo che gli aveva
dato il nome, essendo stato il primo a varcarlo dopo il passaggio dell’Ebreo
errante; ma non avvenne a quella sublime altezza un epico combattimento, pari a
quello ricordato dal Thesauro a proposito di San Bernardo. Invece il diavolo
della Valle di Aosta prese sulle spalle una delle enormi caldaie che servono ai
pastori, e si mosse allegramente per varcare il colle, perché il santo gli
aveva promesso di farsi suo schiavo, se egli avesse potuto portarlo a
Valtournanche; ma ad un tratto mentre senza guide attraversava il ghiacciaio,
egli perdette la forza e precipitò volgarmente colla caldaia fino a Zermatt, nè
dopo quella sconfitta ha più osato lasciarsi vedere sul colle.
Altra strana leggenda delle Alpi è quella in cui troviamo, nel genio
del male, un ricordo del nordico Wuothan, del quale già parlai come capo dei
cacciatori selvaggi. Questo dio, che si potrebbe chiamare il Marte dei Barbari,
dilettavasi specialmente di cacce e di battaglie, mentre Voldunus era una
divinità dei Celti alla quale consacravasi il fuoco. La sua bizzarra
trasformazione medioevale avvenne sulle Alpi di Vaud, ove egli prese anche il
nome di Vaudai o Wodan. La leggenda che lo riguarda accenna, forse al pari del
combattimento sostenuto da San Bernardo, alla lotta acerba fra il paganesimo e
la nuova legge d’amore; ed essa narra che or sono circa 1500 anni Wodan,
essendo costretto a ritirarsi innanzi al cristianesimo vittorioso, scelse come
suo ultimo baluardo sulle Alpi l’alta punta dei Diablerets a 3250 metri; ma
spiacendogli la solitudine volle intorno tutto lo splendore della sua corte
infernale, ed imperava sopra innumerevoli schiere di demoni, di streghe e di
dannati. Pur fra tante anime maledette non trovava pace sulle alte vette delle
Alpi, perché sembravagli che da un momento all’altro sarebbe vinto sull'ultimo
suo baluardo; ed egli decise finalmente di fare quanto potrebbe, per ottenere
una suprema vittoria, e vendicarsi in modo terribile dei suoi nemici. Con
questo desiderio nell’animo perverso, chiamò tutti i suoi sudditi e diede loro
ordine di seguirlo, poi in aspetto maestoso, discese dal suo trono eccelso, per
andare verso le sorgenti del Rodano. I demoni neri in volto e cogli occhi
sfavillanti, i dannati orribili che gettavano all’aria montana urla di dolore e
maledizioni tremende; le streghe coi capelli irti sulle fronti ingiallite, gli
stavano intorno in aspetto minaccioso, e vi era guerra fra le montagne ed il
cielo, in un violento imperversare della tormenta; mentre il vento flagellava
le rocce ed il fulmine colpiva nelle valli armenti e villaggi.
Finalmente Wodan sedette sopra un trono formato dalle acque del Rodano, sollevatesi al suo comando, e andò seguendo la corrente del fiume. Egli aveva sul capo un serto fiammeggiante, mentre in una mano stringeva lo scettro di fuoco, e ridendo in modo spaventevole si avvicinava sempre in mezzo alla sua corte paurosa verso le prime case abitate dai cristiani; finché ordinò al Rodano di cominciare una terribile opera di distruzione, volendo che precipitasse nella valle con impeto violento e travolgesse ogni cosa nella sua rabbia. Il fiume ubbidì: in un istante le acque livide, spumeggianti, balzarono contro le rocce, frangendosi con violenza innanzi ai massi enormi che facevano ostacolo alla loro furia, e Wodan rideva ancora, mentre le grida di trionfo dei suoi seguaci coprivano la gran voce del fiume, che toccava quasi le modeste case di un villaggio chiamato San Maurizio; quando in un baleno l’acqua non poté andare avanti. Con furia maggiore il Rodano percosse le rupi, balzando più scuro, più minaccioso ancora; ma la croce venerata dai santi difendeva il villaggio, e Wodan umiliato e vinto dovette ritornare su certe altissime cime delle Alpi, donde soffia con violenza il terribile Vaudaire, o vento del diavolo, che passa sibilando nelle foreste, e solleva l’acqua dei laghi. Ma il vecchio dio, dopo la sua terribile sconfitta, rimane con maggior frequenza sulla cima dei Diablerets, ove comanda al fulmine ed alla tormenta; ed in mezzo alla sua corte infernale, fra la quale arrivano di continuo le anime dei suicidi, egli cagiona infiniti danni alle valli, colla caduta di nuove frane, ed il rovinio di spaventevoli valanghe.
Finalmente Wodan sedette sopra un trono formato dalle acque del Rodano, sollevatesi al suo comando, e andò seguendo la corrente del fiume. Egli aveva sul capo un serto fiammeggiante, mentre in una mano stringeva lo scettro di fuoco, e ridendo in modo spaventevole si avvicinava sempre in mezzo alla sua corte paurosa verso le prime case abitate dai cristiani; finché ordinò al Rodano di cominciare una terribile opera di distruzione, volendo che precipitasse nella valle con impeto violento e travolgesse ogni cosa nella sua rabbia. Il fiume ubbidì: in un istante le acque livide, spumeggianti, balzarono contro le rocce, frangendosi con violenza innanzi ai massi enormi che facevano ostacolo alla loro furia, e Wodan rideva ancora, mentre le grida di trionfo dei suoi seguaci coprivano la gran voce del fiume, che toccava quasi le modeste case di un villaggio chiamato San Maurizio; quando in un baleno l’acqua non poté andare avanti. Con furia maggiore il Rodano percosse le rupi, balzando più scuro, più minaccioso ancora; ma la croce venerata dai santi difendeva il villaggio, e Wodan umiliato e vinto dovette ritornare su certe altissime cime delle Alpi, donde soffia con violenza il terribile Vaudaire, o vento del diavolo, che passa sibilando nelle foreste, e solleva l’acqua dei laghi. Ma il vecchio dio, dopo la sua terribile sconfitta, rimane con maggior frequenza sulla cima dei Diablerets, ove comanda al fulmine ed alla tormenta; ed in mezzo alla sua corte infernale, fra la quale arrivano di continuo le anime dei suicidi, egli cagiona infiniti danni alle valli, colla caduta di nuove frane, ed il rovinio di spaventevoli valanghe.
Forse questa leggenda è anche il ricordo di una terribile inondazione
del Rodano, della quale trovai memoria nella storia ecclesiastica dei Franchi,
di Gregoire de Tours; ma se ciò non fosse si potrebbe domandare a quale terribile
invasione dei barbari accennasi in questa leggenda delle Alpi. Non è facile
indovinarlo, ma il Rodano a dispetto del suo corso, così breve, vicino a quello
di altri maggiori fiumi di Europa, doveva avere le sue leggende bizzarre. La
sua importanza somma, innanzi alla fantasia popolare, è stata cagionata dal
ricordo di lotte tremende avvenute nelle regioni ove scorre, mentre dalle Alpi
volge al mare, e dai passaggi famosi d’invasori.
Così dicesi il suo nome in certe leggende che ricordano il fatto storico
del passaggio di Annibale, o che accennano alle invasioni degli Unni.
Ritroviamo pure la sua grandezza leggendaria nelle canzoni di gesta, che
ricordano le lotte tra i Saraceni ed i Franchi; e credo che si potrebbe
scrivere a lungo sulla poesia delle credenze popolari, che si sono formate
intorno ad esso, uscendo però anche dalle regioni alpine, ove trovasi ricordo
dell’audace impresa del dio Wodan. Il diavolo sulle Alpi di Vaud chiamasi anche
Bocan, perchè secondo la credenza popolare assume spesso forma di bouc,
caprone, quando è a custodia di un tesoro, o presiede alle colpevoli adunanze
del sabato.
Sono pure innumerevoli sulle Alpi della Svizzera tedesca le strane
leggende sul diavolo; ma non mi è parso di trovare traccia della credenza nei
demoni custodi dei varchi. Vediamo però spesso su quelle montagne il diavolo
come costruttore ardito di ponti; ed al pari della leggenda così popolare in
Piemonte sulla costruzione del ponte del Diavolo, che trovasi vicino al comune
di Lanzo, sulla Stura che scende dalle Alpi, accennano anche ad un patto col
nostro eterno nemico le leggende sparse non solo sulle Alpi della Svizzera e
nel Tirolo, ma anche in gran parte di Europa intorno alla costruzione dei ponti
del diavolo; ed esse ci mostrano quasi sempre lo spirito malefico tratto in
inganno da qualche astuto mortale, dopo la terribile promessa fatta.
La leggenda svizzera del ponte del Diavolo sulla Reuss, non ha minore
importanza di quella del ponte leggendario sulla nostra Stura; ed essa narra
che un giovane alpigiano non poteva andare a visitare la sua fidanzata senz’attraversare
la Reuss, con infinito suo disagio e pericolo; o era costretto a fare un
lunghissimo giro per giungere fino alla casa ove essa dimorava. Un giorno egli
era sopra una piccola altura, e guardava sgomentato le acque furiose della
Reuss, straordinariamente ingrossata mentre si scioglievano le nevi sulle
montagne. Era pur triste cosa non andare vicino alla fanciulla amata, e di
questo egli dolevasi in cuor suo finché esclamò: ‘Ah ! se il diavolo venisse a
costruire un ponte laggiù’. Aveva appena pronunziato quelle parole quando si
vide allato il diavolo, non già in aspetto spaventevole o grottesco, ma
sorridente e con insolita espressione di benevolenza sul volto. Il pastore che
era un buon cristiano non si smarrì e guardò in faccia il suo terribile vicino,
il quale gli disse che avrebbe in un attimo fabbricato il ponte, sol che gli
venisse promessa l’anima del primo essere vivente che se ne fosse avvalso per
attraversare la Reuss. Il giovane pastore promise ciò che voleva il diavolo,
tale era l’amore ch’egli aveva nel cuore ed il desiderio di vedere fabbricato
quel ponte, che gli avrebbe resa agevole la via per andare dalla fidanzata. Il
diavolo cominciò subito l’arduo lavoro che però egli seppe compiere in un
baleno, secondo la sua promessa; poi con una gioia intensa nel cuore aspettando
il prezzo del suo lavoro, rimase sul ponte ardito. Ma il giovane non osava
essere il primo ad avvalersene, ricordando la promessa fatta all’infernale
costruttore; quando fortuna volle che un camoscio apparisse sulla sponda del
fiume. Con piede leggiero s’inoltrò sul bel ponte nuovo e divenne subito preda
del diavolo, il quale furente nel vedere che non eragli riuscito di far sua un’anima
umana, sbranò la povera bestia gettandone i pezzi sulle rupi vicine.
Un’altra leggenda mostraci San Gottardo come costruttore del medesimo
ponte, mentre il diavolo con mille arti infernali provavasi a non fargli
continuare l’opera cominciata; ma il ponte si elevò sulla Reuss a suo dispetto,
ed all’impressione di meraviglia che provasi nel vedere fra le montagne quell’arditissima
costruzione, si unisce un senso di mestizia se pensasi che l’ira degli uomini
turbò in quel sito la pace solenne delle Alpi, ove pure si svolgono tanti
drammi nelle ardue lotte dell'uomo contro la natura. Nel 1799 quando gli
Austro-Russi battevansi contro i Francesi sulle Alpi, e l’azione principale aveva
luogo sul Gottardo; gl’Imperiali attaccati con impeto violento dai Francesi,
dopo molte ore di accanita difesa si concentrarono nelle gole, presso il
leggendario ponte, avendo perduto 2000 uomini fra morti e feriti.
Una leggenda quasi simile a quella che ci fa vedere il diavolo come
costruttore del ponte sulla Reuss, ritrovasi in lontano paese. Essa dice che il
ponte di Domingo Terne fu fatto dal diavolo che volle aiutare due fidanzati
divisi da un fiume. Tutte le sere lo spirito malefico gettava sull’acqua il
ponte ove il giovanotto affrettavasi a passare, e lo lasciava eretto finché
egli tornava a casa. Vi fu chi si avvide di questo fatto, ed essendo un gran
bene per molta gente, se il ponte rimanesse per sempre in quel sito, le cose
furono disposte in maniera che un frate poté seguire il giovane, mentre egli
passava sul ponte, e benedicendolo prontamente tolse al diavolo la facoltà di
farlo sparire e di danneggiarlo in qualche modo.
Altre leggende somiglianti a queste si trovano pure sulle Alpi del
Tirolo, e sempre il diavolo si offre a costruire un ponte in sito, ove l’arte
umana incontrerebbe immense difficoltà per superare gli ostacoli; come pure
egli chiede sempre nel patto infernale l’anima del primo essere vivente che
passerà sul nuovo ponte. E come se l’inganno nel quale fu tratto una volta, non
bastasse a metterlo in guardia, trovasi invariabilmente chi usando un po’
d'astuzia fa passare sul ponte un animale; che secondo le diverse leggende è un
gatto, un cane, un lupo o un topo.
In una leggenda tirolese la bestia rimasta sopra un ponte nuovo fu una
capra, alla quale il diavolo acceso d’ira strappò la coda. Anche un ponte del
diavolo vedesi nella leggendaria valle bernese di Lauterbrunnen, e molti se ne
trovano ancora in Germania ed in Francia; come pure sono numerosi i racconti in
cui il diavolo vuole impedire la costruzione di ponti, di chiese, di cappelle;
e credo che una delle più antiche leggende scritte su quest’argomento si trovi
in una delle versioni della celebre canzone di gesta detta Le Moniage
Guillaume.
Essa narra che re Luigi di Francia era assediato in Parigi da un
brigante chiamato Isoré, ed egli mandò a chiamare il celebre guerriero
Guglielmo d’Orange, che erasi fatto eremita.
Il prode cavaliere accorse per salvare il re, ma giunto nelle vicinanze di Parigi non poté, a causa della sua gigantesca statura, trovar riparo in una piccola capanna che vedevasi sulla strada, ed avvenne un prodigio; perché il tetto dell'umile dimora si elevò insieme alle mura, e Guglielmo poté entrarvi. Egli sfidò Isoré, lo vinse in duello e poté ritornare in una specie di deserto per fabbricare – belement son Moustier – poi si accinse a costruire un ponte sopra un torrente che passava a piè di una collina; ma il diavolo rovinava di notte il lavoro che il guerriero, mutatosi in eremita, aveva fatto di giorno. Il santo uomo ebbe pazienza per un mese intero, poi essendo stanco di vedere distrutta in quel modo l’opera sua, aspettò una sera il diavolo, e quando gli fu vicino l’afferrò per un braccio e lo gettò in un vortice del torrente. Non di rado su qualche pietra in vicinanza di ponti infernali vedesi, come ciò pure avviene sul leggendario Ponte del Diavolo sulla Stura, l’impronta del piede diabolico, che rassomiglia a quello del caprone e del cavallo. In altri siti delle Alpi egli lasciò pure con frequenza l’infernale impronta, e questa vedesi anche vicino ad una piccola cappella dedicata a San Rocco, non lungi da Melchtal in Isvizzera. In quella cappella i pastori di un villaggio, fabbricato assai in alto sulle Alpi, vanno d’estate ad assistere alle funzioni religiose. Essa è fabbricata vicino ad un tranquillo lago alpino e ad una rupe detta il Salto del diavolo. Pare che costui balzò da un altissimo sasso su quella pietra, volendo impedire ai pastori di costruire la cappella; ma non poté andare avanti, e per castigo della sua audacia dovette lasciare sulla rupe, coll'impronta del piede maledetto, una traccia della sua sconfitta.
Il prode cavaliere accorse per salvare il re, ma giunto nelle vicinanze di Parigi non poté, a causa della sua gigantesca statura, trovar riparo in una piccola capanna che vedevasi sulla strada, ed avvenne un prodigio; perché il tetto dell'umile dimora si elevò insieme alle mura, e Guglielmo poté entrarvi. Egli sfidò Isoré, lo vinse in duello e poté ritornare in una specie di deserto per fabbricare – belement son Moustier – poi si accinse a costruire un ponte sopra un torrente che passava a piè di una collina; ma il diavolo rovinava di notte il lavoro che il guerriero, mutatosi in eremita, aveva fatto di giorno. Il santo uomo ebbe pazienza per un mese intero, poi essendo stanco di vedere distrutta in quel modo l’opera sua, aspettò una sera il diavolo, e quando gli fu vicino l’afferrò per un braccio e lo gettò in un vortice del torrente. Non di rado su qualche pietra in vicinanza di ponti infernali vedesi, come ciò pure avviene sul leggendario Ponte del Diavolo sulla Stura, l’impronta del piede diabolico, che rassomiglia a quello del caprone e del cavallo. In altri siti delle Alpi egli lasciò pure con frequenza l’infernale impronta, e questa vedesi anche vicino ad una piccola cappella dedicata a San Rocco, non lungi da Melchtal in Isvizzera. In quella cappella i pastori di un villaggio, fabbricato assai in alto sulle Alpi, vanno d’estate ad assistere alle funzioni religiose. Essa è fabbricata vicino ad un tranquillo lago alpino e ad una rupe detta il Salto del diavolo. Pare che costui balzò da un altissimo sasso su quella pietra, volendo impedire ai pastori di costruire la cappella; ma non poté andare avanti, e per castigo della sua audacia dovette lasciare sulla rupe, coll'impronta del piede maledetto, una traccia della sua sconfitta.
In certe leggende francesi il diavolo è detto anche il vieux Gérôme o
il vieux Guillaume, ed ha secondo il solito, piede di caprone o di
cavallo e corna minacciose. Egli porta un mantello rosso, e, secondo certi
racconti, assume con frequenza aspetto così imponente che è chiamato – Le grand
seigneur. – Spesso monta, al pari di Teodorico divenuto cacciatore selvaggio,
un cavallo nero, che ha grande importanza leggendaria, o si mostra in forma di
cane barbone; e vario è il modo in cui egli sparisce dopo che si è lasciato
vedere dagli uomini. Alcune volte mutasi in vento o fumo coll’indispensabile
odore di zolfo, altre volte ancora in pioggia. Spesso la distruzione segna il
suo passaggio, le case sono atterrate senza che più riesca agli uomini di
rifabbricarle, gli alberi sono abbattuti, e la fertilità cessa nei campi. Se
posasi nel suo passaggio sopra un pezzo di legno, questo diventa nero, e le
pietre sulle quali si ferma portano l’orma del suo piede maledetto o quella dei
suoi artigli. Dicesi che nel 1798 quando giunsero i Francesi nel cantone di
Lucerna, preceduti da pessima fama, vi fu chi ricordando forse le strane
credenze sui diavoli, guardò curiosamente i loro piedi, perché dicevasi che li
avevano simili a quelli dei caproni!Anche su certe pietre dette delle streghe,
sulle Alpi, vedonsi secondo la credenza popolare, impronte di piedi di caproni
e di artigli enormi, e nella Valle Grande di Lanzo, sulla leggendaria Pietra
Cagna, le tracce lasciate dal passaggio di qualche antico ghiacciaio, sono
credute impronte segnate dal diavolo in un momento di cieco furore, quando
dovette abbandonarla nel Vallone del Torrione.
Una leggenda della Valsesia narra ancora che or sono molti e molti anni
un buon giovanotto in una sera d’estate, passava soletto sulla via che da
Alagna mette all’alp di Bors per andare a passare qualche ora di
allegria, insieme alle fanciulle che stavano a custodia del gregge. A poca
distanza dal ponte sulla Sesia, dietro la cappella di Sant’Antonio, il
poveretto fece un tristissimo incontro, il quale poteva atterrire gli uomini
più coraggiosi; poiché vide sorgere dietro un gran sasso una figura d’uomo
altissima e nera, e di certo si trovò di fronte il diavolo, che l’afferrò e gettandolo
contro il sasso si provò a strozzarlo. Ma l’infelice riuscì con una mano libera
a fare il segno della croce, ed il diavolo urlando in modo spaventevole sparì.
Nel macigno scorgesi ancora in modo distinto l’impronta della spalla e della testa
di un uomo, a ricordo eterno del caso pauroso.
Altra leggenda assai diversa spiega la causa di certi segni
profondamente impressi sopra uno dei molti massi erratici che si vedono ancora
in Savoia, sul vasto piano fra Reignier, l’Arve e le montagne di San Sisto.
Questi massi, come spesso avvenne anche in altri siti, furono usati dai Druidi
come are pei sacrifizi, ed ora al pari dei massi sparsi, come già vedemmo, nel
Trentino, in Val di Genova, ciascuno di essi ha un nome. Così vedonsi laggiù –
la pietra dei morti – la pietra delle fate – la pietra del tesoro – la roccia
del diavolo – il passo del cavallo – ed è quest’ultimo masso il quale ha la sua
leggenda bizzarra, e trovasi non lungi dal villaggio di Arbusigny.
Troveremo in altre leggende delle Alpi ricordo di Pilato e di Erode, ma
la leggenda del – passo del cavallo – dovrebbe superare le altre in antichità, poiché
risale fino a Noè! Dicesi che dopo la scelta da lui fatta degli animali che
volle ritirare nell’Arca, tutti quelli che al pari di tanti uomini rimasero in
balìa delle acque invadenti, si diedero a precipitosa fuga; o con rara prudenza
cercarono siti ove credevano di trovar sicuro riparo. Fra questi un cavallo,
pazzo di terrore, saltò sul masso erratico nel piano in vicinanza di Arbusigny
e si credette al sicuro, ma parecchi uomini pensarono che sarebbe stato per
loro gran ventura se potevano salirgli in groppa. Essi non vi riuscirono perché
il cavallo difendevasi gagliardamente, ed a forza di battere sul sasso lasciò l’impronta
dei ferri, i quali, a quanto pare da questa leggenda, si usavano già nei tempi
antidiluviani. Però a nulla valse il suo egoismo, perché a poco a poco le acque
salirono e lo travolsero nella loro furia.
Anche nelle leggende così numerose sulle Alpi, intorno ai tesori, che
secondo le credenze popolari trovansi ad ogni passo, appare con frequenza il
diavolo, quando le belle regine delle montagne, i draghi spaventevoli o i nani,
che hanno però tutti qualche cosa d’infernale, non sono addetti alla loro
custodia.
Una di queste leggende parla del così detto oro del sole, che ritrovasi
pure in molte regioni alpine, e che forse potrebbe nella sua lontana origine
collegarsi a qualche mito solare, oppure ci ricorda l’uso che si ebbe di
chiamare certe monete – d’oro del sole. – In ogni modo, secondo la leggenda, un
certo cavaliere Runo di Gastelen era uomo avido di ricchezze, il quale avrebbe
fatto volentieri un patto col diavolo per divenire l’uomo più ricco del suo
paese. Il diavolo conobbe il suo segreto pensiero e gli apparve un giorno,
quando egli era sopra una montagna, in vicinanza del suo castello. Questa
volta, come avviene quasi sempre, la leggenda si adatta all’ambiente e ci
mostra il diavolo in aspetto nuovo. Egli si lasciò vedere dal Cavaliere Runo,
come uomo di alta statura, con un bastone nodoso in mano, i piedi di caprone ed
il muso d’orso, e fece subito un patto coll’avido signore, che senza curarsi
della terribile importanza della sua promessa, anelava solo al momento di
vedere le nuove ricchezze che gli erano state promesse. Con un sol cenno del
suo bastone il diavolo fece avvenire sulla montagna un cambiamento
meraviglioso. Le rupi, gli altissimi abeti, i fiori alpini divennero in un
baleno di un oro così lucente, che vinceva al paragone lo splendore del sole; ma
il rapace cavaliere non poté reggere a lungo nel guardare il fulgore che lo
circondava, ed ebbe appena il tempo di vedere quali tesori erangli donati dal
diavolo; poi perdette la vista per sempre, ed ammalandosi pure gravemente pel
dolore di non poter guardare l’oro cotanto amato, divenne presto preda del
diavolo. Lo splendido tesoro è però sparito sotto terra, ma una volta all’anno,
nel Venerdì Santo, a mezzanotte, appare di nuovo sulla montagna; dalle rupi e
dagli alberi partono raggi di vivissima luce e scintille; all'alba tutto
ritorna nella terra, senza che sia dato ad alcuno di possedere il tesoro del
Cavaliere Runo.
Anche altre leggende delle Alpi svizzere e tirolesi accennano all’apparizione,
in certe epoche determinate, di splendidi tesori, i quali mandano una luce
vivissima sulle montagne; mentre sempre avviene che non riesce agli uomini d’impossessarsene;
ma nella Vallemaggia trovasi una variante nelle leggende sui tesori, i quali,
secondo la credenza popolare, appariscono pure in quella regione, nella notte
di Natale o nel Sabato Santo, quando si celebra la Messa. Questi tesori
appartengono agli spiriti delle montagne che li mostrano così all’aperto; essi
spariscono subito innanzi agli uomini, e potrebbe solo impossessarsene chi
vedendoli fosse pronto a gettare un oggetto sui cumuli d’oro. Forse in queste
innumerevoli leggende sui tesori, che sono quasi sempre sotto la custodia del
diavolo, si possono anche avere lontanissime reminiscenze di miti solari;
confusi stranamente colla convinzione che in tante regioni delle Alpi si
trovano preziose miniere d’oro, a scoprire le quali molte persone perdettero il
tempo inutilmente o con poco risultato; essendovi anche però delle regioni ove
l’oro si trovò in abbondanza, come nella Bessa, vicino alla Serra Biellese;
immenso deserto coperto di ciottoli e stranamente sconvolto, ove si dice che
Roma mandasse a cercar l’oro.
Era inevitabile che specialmente nei tempi in cui per combattere il
lusso e la corruzione di una civiltà decrepita, si predicavano con maggiore
entusiasmo le virtù dell’umiltà ed il merito della povertà, le ricchezze
essendo ritenute come fonte di perdizione, il diavolo fosse innanzi alla
fantasia popolare addetto alla custodia dei tesori; e non solo nelle leggende
delle Alpi e di tutta la Germania lo troviamo destinato a quest’ufficio, ma le
leggende francesi ce lo mostrano come padrone di tutte le ricchezze che si
ascondono nelle viscere della terra; dicendolo beato se può riuscirgli di
menare a perdizione un’anima che aneli al loro possesso.
Il Monte Cistella, dal quale scorgesi tanta parte della catena delle
Alpi, sta come gigante fra il paesaggio maestoso e indescrivibile che abbraccia
il Monte Rosa, il Monte Bianco, la Jungfrau, il Breitt e l’intera catena delle
pittoresche Alpi Bernesi. Esso ha pure la sua importanza leggendaria, ed in
Varzo e Valle Antigorio dicesi che racchiuda tesori e che: Però mi sembra che
la riputazione del Monte Cistella non giunga all’altezza di quella che ha in
Val Grande di Lanzo la Pietra Cagna, che già dissi, secondo la credenza
popolare, trasportata dal diavolo, poiché vuolsi che:Bec Ceresin e Pietra
CagnaValgon più di Francia e Spagna.
Ma ritornando al Monte Cistella, esso ha pure, come dimora prediletta
di misteriosi spiriti, la stessa importanza della cima dei Diablerets, del
Monte Pilato, del Monte Canino e di altri colossi alpini, intorno ai quali
narransi in maggior numero portentosi racconti. Vi è pure chi dice che nel
Monte Cistella si trovano pozzi di mercurio, ma coloro che li vedono e vanno a
prendere recipienti per attingerne, non li trovano più al loro ritorno. I
pastori raccontano che il Piano del Cistella è il gran salone da ballo del
diavolo, e che ne incoglierebbe male a chi si trovasse di notte lassù, mentre
forse Satana vi tiene corte bandita e si odono urla e grida che fanno spavento.
Parecchi volumi non basterebbero a contenere tutte le leggende delle
Alpi in cui entra il diavolo, e che trovansi specialmente nelle regioni
appartenenti all’Italia, alla Svizzera ed all’Austria. Ora dirò solo che
secondo il concetto che ho potuto farmi sui racconti creati dalla fantasia
popolare, che vide apparire Satana sull’immensa catena, si trova in essi, in
modo assai spiccato, la grande influenza che l'ambiente ha sull’animo degli
uomini.
Dante che aveva in cuore un alto ideale della bellezza nell’arte, ed
era avvezzo alla classica forma degli antichi, volle, descrivendo molti demoni,
attenersi pure alle credenze sparse da tante leggende popolari; ma non diede
neppure a Lucifero la deformità abominevole e triviale, che la figura del
diavolo ha con tanta frequenza, in certe leggende ed in molti dipinti del
Medioevo.
Gli alpigiani che stanno fra paesaggi grandiosi ed imponenti, e sono
avvezzi a vedersi dinanzi la meravigliosa bellezza delle montagne, adattano la
figura di Satana all’ambiente che li circonda. Essi lo descrivono quasi sempre
come terribile o vinto signore di monti altissimi e di valloni spaventevoli, e
danno una grandezza epica alla sua figura gigantesca. Altre volte se lo mettono
in condizione più umile, e fanno vedere la sua malizia infernale vinta dall’astuzia
degli uomini, o dal potere soprannaturale dei Santi; la sua figura non è neppur
tale da far provare indicibile ribrezzo e nausea a chi può immaginarla secondo
il concetto popolare. Ed anche se appare nelle leggende delle Alpi in forma di
caprone, di drago, di cavallo, basta risalire fino ai miti oscuri delle
religioni diverse, per ritrovare l’antica grandezza epica di certe figure, che
ricordano il genio del male, il quale doveva essere vinto innanzi allo
splendore eterno della Croce….
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