Precedenti capitoli:
Martedì....
Prosegue in:
Soffrire a Tempo...
Son
pacifici, un po’ melanconici, pensano a Domani, cioè, semplicemente, ad un
altro oggi; le città non dispongono che d’una sola giornata che ritorna sempre
uguale ogni mattina. La s’impennacchia un po’ la domenica. Che imbecilli. Mi
ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di
sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, sì sposano, hanno l’estrema
stupidità di fare figli. E frattanto la grande natura incolta s’è insinuata
nella loro città, s’è infiltrata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici,
in loro stessi. Non si muove, sì mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in
pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia
dalla città.
Io la
vedo, questa natura, la vedo...
So che la
sua sottomissione è pigrizia, so ch’essa non ha leggi: quella che scambiano per
la sua costanza... Non ha che abitudini, e le può cambiare domani.
E se
capitasse qualcosa?
Se d’un
tratto si mettesse a palpitare? Allora s’accorgerebbero della sua presenza e
gli sembrerebbe dì sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero,
allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro
altiforni, i loro magli a vapore? Ciò potrebbe succedere in qualunque momento,
magari subito: i presagi ci sono.
Per
esempio, un padre dì famiglia a passeggio vedrà venire verso di lui, attraverso
la strada, uno straccio rosso come spinto dal vento. E quando lo straccio gli
sarà vicinissimo vedrà che è un pezzo di carne marcia, imbrattato di polvere,
che si trascina strisciando, a sbalzi, un pezzo di carne torturata che si
rotola nei rigagnoli proiettando a spasmi getti di sangue.
Oppure
una madre guarderà la guancia del suo bambino e gli domanderà:
‘Che
cos’hai, lì, una pustola?’
…e vedrà
la carne gonfiarsi un poco, screpolarsi, schiudersi, e in fondo alla
screpolatura apparirà un terzo occhio, un occhio beffardo.
Oppure si
sentiranno dolci sfioramenti per tutto il corpo, come le carezze che i giunchi
dei fiumi fanno ai nuotatori. E sì accorgeranno che le loro vesti son divenute
cose viventi.
…E un
altro s’accorgerà che qualcosa lo solletica dentro la bocca. S’accosterà ad uno
specchio, aprirà la bocca: e la lingua gli sarà diventata un enorme millepiedi
vivo, che agiterà le zampe raschiandogli il palato. Vorrà sputarlo, ma il
millepiedi sarà una parte di luì stesso, e dovrà strapparselo con le mani.
…E
apparirà una quantità di cose per le quali bisognerà trovare nomi nuovi,
l’occhio di pietra, il gran braccio tricorno, l’alluce-gruccia, il ragno-mascella.
E colui che sì sarà addormentato nel suo buon letto, nella sua dolce camera
calda si risveglierà tutto nudo sopra un suolo bluastro, in una foresta dì
verghe rumoreggianti, rosse e bianche, erette verso il cielo come le ciminiere
di Jouxtebouville, con grossi coglioni a metà fuori di terra, villosi e turgidi
come cipolle. E attorno a quelle verghe svolazzeranno uccelli che le
becchetteranno facendole sanguinare, e da queste ferite colerà dello sperma,
pian piano, lentamente, sperma mescolato a sangue, vitreo e tiepido, con
piccole bolle.
O anche,
niente di tutto questo succederà, non vi sarà alcun cambiamento apprezzabile,
ma la gente, una mattina, aprendo le persiane, sarà sorpresa da una specie di
senso orribile, pesantemente posato sulle cose, e che sembrerà aver l’aria
d’attendere.
Null’altro
che questo: ma per poco che questo duri vi saranno suicidi a centinaia. Ebbene,
sì! Che tutto questo cambi un poco, non domando di meglio. Se ne vedranno
altri, allora, piombati bruscamente nella solitudine.
Uomini
completamente soli, solissimi, con orribili mostruosità, correranno per le
strade, passeranno pesantemente davanti a me, con gli occhi fissi, fuggendo i
loro mali e portandoli con sé, con la bocca aperta e la loro lingua-insetto che
sbatterà le ali. Allora io creperò dalle risa, anche se il mio corpo sarà
coperto di luride croste sospette che sbocceranno in fiori di carne, in viole,
in ranuncoli. M’addosserò ad un muro, e griderò al loro passaggio:
Che ne
avete fatto della vostra scienza?
Che ne
avete fatto del vostro umanitarismo?
Dov’è
andata a finire la vostra dignità di canna pensante?
Io non
avrò paura - o almeno, non più che in questo momento. Forse che ciò non sarà
pur sempre esistenza? delle variazioni sull’esistenza? Tutti quegli occhi che
mangeranno lentamente un volto saranno di troppo, senza dubbio, ma non più dei
due primi. È dell’esistenza che io ho paura.
Scende la
sera, nella città s’accendono le prime lampade. Mio Dio! Che aria naturale ha
la città, come sembra schiacciata dalla sera, nonostante tutte le sue
geometrie. È talmente. evidente, da qui, possibile che io sia il solo a
vederlo? Non c’è nessun’altra Cassandra in nessun posto, che dalla cima di
qualche collina guardi ai suoi piedi una città inghiottita in fondo alla
natura? E d’altronde che m’importa? Che cosa potrei dirle?
Il mio
corpo, pian piano, si volta verso est, oscilla un poco e si mette in cammino.
(J. P. Sartre & Associati Eretici
Esiliati)
Nessun commento:
Posta un commento