giuliano

martedì 26 febbraio 2019

(ancora) MARTEDI'



















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Martedì....

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Soffrire a Tempo...














Son pacifici, un po’ melanconici, pensano a Domani, cioè, semplicemente, ad un altro oggi; le città non dispongono che d’una sola giornata che ritorna sempre uguale ogni mattina. La s’impennacchia un po’ la domenica. Che imbecilli. Mi ripugna il pensare che sto per rivedere le loro facce ottuse e piene di sicurezza. Legiferano, scrivono romanzi populisti, sì sposano, hanno l’estrema stupidità di fare figli. E frattanto la grande natura incolta s’è insinuata nella loro città, s’è infiltrata dappertutto, nelle loro case, nei loro uffici, in loro stessi. Non si muove, sì mantiene ferma in essi, essi vi stan dentro in pieno, la respirano e non la vedono, credono che sia fuori, a venti miglia dalla città.

Io la vedo, questa natura, la vedo...

So che la sua sottomissione è pigrizia, so ch’essa non ha leggi: quella che scambiano per la sua costanza... Non ha che abitudini, e le può cambiare domani.

E se capitasse qualcosa?




Se d’un tratto si mettesse a palpitare? Allora s’accorgerebbero della sua presenza e gli sembrerebbe dì sentirsi scoppiare il cuore. A che cosa gli servirebbero, allora, le loro dighe, i loro argini, le loro centrali elettriche, i loro altiforni, i loro magli a vapore? Ciò potrebbe succedere in qualunque momento, magari subito: i presagi ci sono.

Per esempio, un padre dì famiglia a passeggio vedrà venire verso di lui, attraverso la strada, uno straccio rosso come spinto dal vento. E quando lo straccio gli sarà vicinissimo vedrà che è un pezzo di carne marcia, imbrattato di polvere, che si trascina strisciando, a sbalzi, un pezzo di carne torturata che si rotola nei rigagnoli proiettando a spasmi getti di sangue.




Oppure una madre guarderà la guancia del suo bambino e gli domanderà:

‘Che cos’hai, lì, una pustola?’

…e vedrà la carne gonfiarsi un poco, screpolarsi, schiudersi, e in fondo alla screpolatura apparirà un terzo occhio, un occhio beffardo.

Oppure si sentiranno dolci sfioramenti per tutto il corpo, come le carezze che i giunchi dei fiumi fanno ai nuotatori. E sì accorgeranno che le loro vesti son divenute cose viventi.

…E un altro s’accorgerà che qualcosa lo solletica dentro la bocca. S’accosterà ad uno specchio, aprirà la bocca: e la lingua gli sarà diventata un enorme millepiedi vivo, che agiterà le zampe raschiandogli il palato. Vorrà sputarlo, ma il millepiedi sarà una parte di luì stesso, e dovrà strapparselo con le mani.




…E apparirà una quantità di cose per le quali bisognerà trovare nomi nuovi, l’occhio di pietra, il gran braccio tricorno, l’alluce-gruccia, il ragno-mascella. E colui che sì sarà addormentato nel suo buon letto, nella sua dolce camera calda si risveglierà tutto nudo sopra un suolo bluastro, in una foresta dì verghe rumoreggianti, rosse e bianche, erette verso il cielo come le ciminiere di Jouxtebouville, con grossi coglioni a metà fuori di terra, villosi e turgidi come cipolle. E attorno a quelle verghe svolazzeranno uccelli che le becchetteranno facendole sanguinare, e da queste ferite colerà dello sperma, pian piano, lentamente, sperma mescolato a sangue, vitreo e tiepido, con piccole bolle.

O anche, niente di tutto questo succederà, non vi sarà alcun cambiamento apprezzabile, ma la gente, una mattina, aprendo le persiane, sarà sorpresa da una specie di senso orribile, pesantemente posato sulle cose, e che sembrerà aver l’aria d’attendere.




Null’altro che questo: ma per poco che questo duri vi saranno suicidi a centinaia. Ebbene, sì! Che tutto questo cambi un poco, non domando di meglio. Se ne vedranno altri, allora, piombati bruscamente nella solitudine.

Uomini completamente soli, solissimi, con orribili mostruosità, correranno per le strade, passeranno pesantemente davanti a me, con gli occhi fissi, fuggendo i loro mali e portandoli con sé, con la bocca aperta e la loro lingua-insetto che sbatterà le ali. Allora io creperò dalle risa, anche se il mio corpo sarà coperto di luride croste sospette che sbocceranno in fiori di carne, in viole, in ranuncoli. M’addosserò ad un muro, e griderò al loro passaggio:

Che ne avete fatto della vostra scienza?

Che ne avete fatto del vostro umanitarismo?

Dov’è andata a finire la vostra dignità di canna pensante?




Io non avrò paura - o almeno, non più che in questo momento. Forse che ciò non sarà pur sempre esistenza? delle variazioni sull’esistenza? Tutti quegli occhi che mangeranno lentamente un volto saranno di troppo, senza dubbio, ma non più dei due primi. È dell’esistenza che io ho paura.

Scende la sera, nella città s’accendono le prime lampade. Mio Dio! Che aria naturale ha la città, come sembra schiacciata dalla sera, nonostante tutte le sue geometrie. È talmente. evidente, da qui, possibile che io sia il solo a vederlo? Non c’è nessun’altra Cassandra in nessun posto, che dalla cima di qualche collina guardi ai suoi piedi una città inghiottita in fondo alla natura? E d’altronde che m’importa? Che cosa potrei dirle?
Il mio corpo, pian piano, si volta verso est, oscilla un poco e si mette in cammino.

 (J. P. Sartre & Associati Eretici Esiliati)












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