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La beatrice duplicata
A quanto
mi è parso di capire, Gilberto non aveva alcuna idea precisa quando aveva
deciso di maggiorare il duplicatore: salvo forse quella, che gli è tipica, di ‘farsi’
un duplicatore più grosso, con le sue proprie mani e con poca spesa; poiché è
abilissimo nel far sparire il ‘dare’ dalla sua contabilità privata, con una
specie di gioco di prestigio mentale. L’idea detestabile di duplicare sua
moglie, mi disse, non gli era venuta che in seguito, vedendo Emma dormire profondamente.
Pare non sia stato particolarmente difficile: Gilberto, che è robusto e
paziente, fece scivolare il materasso, con Emma sopra, dal letto fin dentro al
cassone del duplicatore; ci mise più di un’ora, ma Emma non si svegliò.
Non mi è
affatto chiaro il motivo che ha spinto Gilberto a crearsi una seconda moglie,
ed a violare cosi un buon numero di leggi divine ed umane.
Mi
raccontò, come se fosse la cosa più naturale, che era innamorato di Emma, che
Emma gli era indispensabile, e che perciò gli era sembrata una buona cosa
averne due. Forse me lo raccontò in buona fede (Gilberto è sempre in buona fede),
e certo era ed è innamorato di Emma, a modo suo, puerilmente, e per cosi dire
dal basso verso l’alto: ma sono convinto che si è indotto a duplicarla per tutt’altre
ragioni, per un male inteso spirito di avventura, per un gusto insano da
Erostrato; appunto ‘per vedere che effetto fa’.
Gli
chiesi se non gli era venuto in mente di consigliarsi con Emma, di chiederle il
suo benestare, prima di disporre di lei in un modo cosi inusitato. Divenne
rosso fino ai capelli: aveva fatto di peggio, il sonno profondo di Emma era
stato provocato, le aveva somministrato un sonnifero.
- E ora a
che punto sei, con le tue due mogli?
- Non so,
non ho ancora deciso. Dormono ancora tutte e due.
Domani
vedremo.
L’indomani
non avremmo visto nulla, o almeno non io. Dopo il mese di inerzia forzata dovetti
partire per un lungo viaggio, che mi tenne lontano da Milano per due settimane.
Sapevo già che cosa mi avrebbe atteso al ritorno: avrei dovuto dare una mano a
Gilberto per uscire dai guai, come quella volta che aveva costruito un
aspirapolvere a vapore e l’aveva regalato alla moglie del suo capoufficio. Infatti,
non appena rientrato, fui invitato perentoriamente ad un consiglio di famiglia:
Gilberto, io e le due Emme. Queste avevano avuto il buon gusto di
contrassegnarsi: la seconda, quella abusiva, portava un semplice nastro bianco
sui capelli, che le conferiva un aspetto vagamente monacale. A parte questo,
portava gli abiti di Emma I con disinvoltura; ovviamente, era identica alla
titolare sotto ogni aspetto: viso, denti, capelli, voce, accento, una lieve
cicatrice alla fronte, la permanente, l’andatura, l’abbronzatura delle ferie
recenti.
Notai
però che aveva un forte raffreddore.
Contro le
mie previsioni, mi sembrarono tutti e tre di ottimo umore. Gilberto si dimostrava
stupidamente fiero, non tanto dell’impresa compiuta, quanto del fatto (di cui
non aveva alcun merito) che le due donne andassero d’accordo fra loro. Quanto a
queste, suscitarono in me una sincera ammirazione. Emma I dimostrava nei
riguardi della nuova ‘sorella’ una sollecitudine materna; Emma II rispondeva
con un dignitoso ed affettuoso ossequio filiale. L’esperimento di Gilberto, abominevole
sotto tanti aspetti, costituiva tuttavia una pregevole conferma alla teoria
della Imitazione: la nuova Emma, nata a ventotto anni, aveva ereditato non solo
l’identica spoglia mortale del prototipo, ma anche l’intero suo patrimonio
mentale.
Emma II,
con ammirevole semplicità, mi raccontò che solo dopo due o tre giorni dalla sua
nascita aveva potuto convincersi di essere la prima donna, per cosi dire,
sintetica nella storia del genere umano: o forse la seconda, se si considera il
caso vagamente analogo di Eva.
Era nata
dormendo, poiché il Mimete aveva duplicato anche il sonnifero che correva per
le vene di Emma I, e si era svegliata ‘sapendo’ di essere Emma Perosa in Gatti,
unica moglie del ragionier Gilberto Gatti, nata a Mantova il 7 marzo 1936.
Ricordava bene tutto quanto Emma I ricordava bene, e male tutto quanto Emma I
ricordava male. Ricordava alla perfezione il viaggio di nozze, i nomi dei ‘suoi’
compagni di scuola, i particolari puerili ed intimi di una crisi religiosa che
Emma I aveva attraversata a tredici anni, e non aveva mai confessata ad anima
viva. Però ricordava benissimo anche l’ingresso in casa del Mimete, gli entusiasmi
di Gilberto, i suoi racconti e i suoi tentativi, e perciò non si era stupita
eccessivamente quando era stata informata dell’arbitrario atto creativo a cui doveva
la sua esistenza.
Il fatto
che Emma II fosse infreddata mi fece riflettere che la loro identità,
originariamente perfetta, era destinata a non durare: anche se Gilberto si
fosse dimostrato il più equanime dei bigami, se avesse istituito un rigoroso avvicendamento,
se si fosse astenuto da ogni manifestazione di preferenza per una delle due
donne (ed era una ipotesi assurda, perché Gilberto è un pasticcione e un
confusionario), anche in questo caso una divergenza avrebbe certamente finito
col manifestarsi. Bastava pensare che le due Emme non occupavano materialmente
la stessa porzione di spazio: non avrebbero potuto passare simultaneamente per
una porta stretta, presentarsi insieme a uno sportello, occupare lo stesso posto
a tavola: erano perciò esposte a incidenti diversi (il raffreddore), a diverse
esperienze.
Fatalmente
si sarebbero differenziate, spiritualmente e poi corporalmente: e una volta
differenziate, Gilberto sarebbe riuscito a mantenersi equidistante? Certo no: e
di fronte ad una preferenza, anche minuscola, il fragile equilibrio a tre era
votato al naufragio.
Esposi a
Gilberto queste mie considerazioni, e tentai di fargli intendere che non si
trattava di una mia gratuita ipotesi pessimistica, bensì di una previsione
solidamente fondata sul senso comune, quasi di un teorema. Gli feci presente
inoltre che la sua posizione legale era per lo meno dubbia, e che io ero finito
in prigione per molto meno: era coniugato con Emma Perosa, anche Emma II era
Emma Perosa, ma questo non cancellava il fatto che le Emme Perose erano due. Ma
Gilberto si dimostrò inaccessibile: era stupidamente euforico, in uno stato d’animo
da sposo novello, e mentre io parlavo pensava visibilmente ad altro.
…Invece
di guardare me, era perduto nella considerazione delle due donne, che proprio
in quel momento stavano litigando per burla, quale delle due avrebbe dovuto
sedersi sulla poltrona che entrambe preferivano. Invece di rispondere ai miei
argomenti, mi annunciò che aveva avuto una bellissima idea: partivano tutti e
tre, per un viaggio in Spagna.
- Ho
previsto tutto: Emma I denuncerà di avere smarrito il passaporto, si farà
rilasciare un duplicato e passerà con quello. Anzi no, che sciocco! Lo farò io,
il duplicato: col Mimete, stasera stessa.
Era molto fiero di questa sua trovata, e
sospetto che abbia scelto la Spagna proprio perché il controllo dei documenti,
alla frontiera spagnola, è piuttosto severo. Quando ritornarono, dopo due mesi,
i nodi stavano venendo al pettine. Chiunque se ne sarebbe accorto: i rapporti
fra i tre si mantenevano su un livello di urbanità e di cortesia formale, ma la
tensione era evidente. Gilberto non mi
invitò a casa sua: venne da me, e non era più euforico affatto. Mi narrò quanto
era successo. Me lo narrò in modo assai maldestro, poiché Gilberto, che possiede
un innegabile talento per scarabocchiarti sul pacchetto delle sigarette lo
schema di un differenziale, è invece disperatamente inetto ad esprimere i propri
sentimenti.
Il
viaggio in Spagna era stato ad un tempo divertente e faticoso. A Siviglia, dopo
una giornata dal programma sovraccarico, una discussione era sorta, in un clima
di irritazione e di stanchezza. Era sorta fra le due donne, sull’unico argomento
su cui le loro opinioni potevano divergere, ed in effetti divergevano: Era
stata opportuna o no, lecita o illecita, l’impresa di Gilberto? Emma II aveva
detto di sì; Emma I non aveva detto nulla. Era bastato questo silenzio a dare
il tracollo alla bilancia: da quell’istante la scelta di Gilberto era stata
fatta. Provava davanti ad Emma I un imbarazzo crescente, un senso di colpa che
si aggravava di giorno in giorno: parallelamente, andava aumentando il suo
affetto per la moglie nuova, e divorava a misura il suo affetto per la moglie
legittima.
La
rottura non era ancora avvenuta, ma Gilberto sentiva che non avrebbe potuto
tardare. Anche l’umore ed il carattere delle due donne si stavano differenziando.
Emma II diventava sempre più giovane, attenta, reattiva, aperta; Emma I si
andava chiudendo in un atteggiamento negativo, di rinuncia offesa, di rifiuto.
Che fare?
Raccomandai
a Gilberto di non prendere iniziative inconsulte, e gli promisi, come è
consuetudine, che mi sarei occupato del suo caso; ma, nel mio intimo, ero ben
deciso a stare alla larga da quel malinconico imbroglio, e non potevo reprimere
un senso di soddisfazione maligna e triste davanti alla mia facile profezia che
si era avverata. Non mi sarei mai aspettato di vedermi piovere in ufficio, un
mese dopo, un Gilberto radioso. Era nella sua miglior forma, loquace, rumoroso,
visibilmente ingrassato. Entrò in argomento senza ambagi, con l’egocentrismo
che gli è caratteristico: per Gilberto, quando va bene per lui, va bene per il mondo
intero; è organicamente incapace di occuparsi del suo prossimo, ed è invece
offeso e stupito quando il suo prossimo non si occupa di lui.
-
Gilberto è un asso, - disse:
- Ha sistemato
tutto in un batter d’occhio.
- Me ne
compiaccio, e ti elogio per la tua modestia; d’altra parte era ora che tu
mettessi testa a partito.
- No,
guarda: non mi hai capito. Non ti sto parlando di me: parlo di Gilberto I. E’
lui che è stato un asso. Io, modestamente, gli somiglio parecchio, ma in questa
faccenda non ho molti meriti: esisto da domenica scorsa solamente. Adesso è
tutto a posto: non mi resta che definire con l’anagrafe la posizione di Emma II
e la mia; non è escluso che dovremo fare qualche piccolo trucco, ad esempio
sposarci, io ed Emma II, salvo poi smistarci ciascuno col coniuge che gli pare.
E poi, naturalmente, bisognerà che io mi cerchi un lavoro: ma sono convinto che
la NATCA mi accetterebbe volentieri come propagandista per il Mimete e le altre
sue macchine per ufficio.
(P.Levi)
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