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E San
Pietro era inviolabile: in alto tutto chiuso, alle porte sempre qualcuno di
fazione, un prete, un sagrestano, un sampietrino, un mendicante, un ragazzo con
la fionda.
Il Vaticano,
allora?
Il Vaticano
ha centomila stanze e vi sta l’immenso stato maggiore della cristianità
cattolica. Saloni, gallerie, biblioteche, archivi, uffici, corpi di guardia. Ma
anche camere da letto per un esercito di cardinali, e monsignori, e abati e
giovani pretini; e in ogni camera probabilmente un letto e accanto al letto una
piccola acquasantiera – vero? – per l’ultimo segno della croce a tarda sera, prima
di dormire.
Ci andò di
notte perché di giorno lo avrebbero avvistato e lui non voleva dispiaceri.
Purtroppo
era già freddo e le finestre tutte chiuse.
Se ci avesse pensato in agosto, per esempio, quando anche i vecchissimi prelati affetti d’asma spalancano imposte e vetri perché entri un fiato d’aria; col ponentino pure lui, a cauti colpi d’ala, si sarebbe inoltrato nelle stanze buie, in cerca dell’acqua benedetta.
Toc toc, fece col becco a una finestra.
Toc toc, ripeté, sei sette volte, perché nessuno si
faceva vivo. Finalmente si udì uno scalpiccìo, poi una voce preoccupata:
‘Chi è? Chi
è mai a quest’ora?’.
‘Un’anima in pena’
rispose
correttamente Antonio con l’unzione di cui si sentì capace.
Ma egli
parlava la lingua dei corvi, che l’altro non capiva.
L’altro udì
solo un inarticolato crocidare.
‘Un
diavolo!’
gemette.
‘Gesummaria,
un diavolo da me! Vade retro!... Exorcizamus
te, omnis immunde spiritus, omnis satanica potestas, omnis...’
Né ci fu
verso che aprisse.
Provò a un’altra finestra.
Toc toc, fece col becco. Passò mezz’ora, si udirono dei
colpi di tosse, dei passettini strascicati, poi una voce fina fina:
‘Chi è? chi
è a quest’ora?’.
Antonio:
‘Un’anima
di peccatore in pena!’.
L’altro
però non percepì che un verso informe.
‘Che la Vergine
mi assista’
balbettò.
‘Una goccia
d’acqua santa, nient’altro che una goccettina!’.
…mormorò
Antonio con molto garbo.
‘...Ergo draco, maledicte et omnis legio
diabolica, adjuramus te per Deum...’
…mugolava l’ecclesiastico.
Così per
notti e notti.
Le giornate
intanto si erano fatte brevi, nudi gli alberi, gelide le notti.
Inverno.
Ma che poteva
più aspettarsi?
Piovigginava
quella notte. Antonio si sollevò fino all’ultimo piano. Scelse una finestra a
caso.
Toc toc, fece col becco, senza convinzione; ora tirava
via, con la distaccata indifferenza dei vecchi mestieranti spoetizzati.
Toc toc. Ma
con insolita celerità l’abitatore reagì, avvicinandosi a passi decisi.
‘Chi è?’
…domandò.
‘Chi viene
a un’ora così tarda?’
Meccanicamente
Antonio:
‘Un’anima
di peccatore in pena’.
Contemporaneamente,
nella camera, una seconda voce si fece udire (era chioccia, dolciastra, Antonio
riconobbe dall’accento un prelato che era andato a visitare quattro notti
prima; e che si era molto spaventato).
Ebbene, questa seconda voce disse:
‘Non è
nulla, Santità, scricchiolii delle persiane, penso, foglie secche che il vento
molina. Non mette in conto di prendersi un malanno’.
La Camera
del Papa.
Ma anche
qui Antonio ebbe la fortuna contro. Al ticchettio del corvo, il Santo Padre –
si capiva dai discorsi – avrebbe voluto personalmente accorrere e aprire la
finestra. Macché. I consiglieri, velocissimi, intervenivano sempre ad
impedirlo; ogni sera un pretesto nuovo.
Li
tratteneva il timore di uno scandalo?
Mai il diavolo,
che si sapesse, aveva osato tanto: tentare perfino le sacre soglie!
E ad
accrescere il malessere c’era un dubbio irriverente: forse anche sul Papa il
Nemico alzava gli occhi? Però Antonio non mollava. Qualcosa gli diceva che
quella era finalmente la via giusta. Di sera in sera si presentò a ore sempre
più tarde, quando era più presumibile che il Papa avesse finito il suo lavoro.
A mezzanotte, all’una, all’una e mezzo.
Niente.
Finché
riuscì a trovarlo solo.
Erano le
due dopo mezzanotte. E tra le nubi andava e veniva una grande luna con
magnifici effetti d’ombra e luce.
Toc toc, fece il corvo. Si udì subito un fruscìo di
passi nella stanza.
‘Chi è là?’
…domandò il
Sommo Pastore.
Disse
Antonio:
‘Un
peccatore, un’anima in pena’.
Un
silenzio, poi un metallico armeggiare alla finestra, uno spiraglio, un volto
pallido e sparuto che si affacciava, gli occhiali scintillarono alla luna.
‘Impaziente,
vero?’
…disse il
Santo Padre alla vista del corvo, quasi fosse una vecchia conoscenza.
‘Ma per
ogni cosa c’è il suo tempo. Se nessuno ti voleva aprire, non era una giusta
penitenza?... Su, su, entra al caldo, bestiolina, che tu sia la ben...’…
Non fece in
tempo a terminare.
Il dottor Antonio Huber si risvegliò seduto in automobile con un senso penosissimo di gelo. Aprì gli occhi. Intorno la campagna nuda, la strada vuota, in cielo due tre corvi in allontanamento.
Era stato
tutto un sogno?
Ma allora
come si spiegava tanto freddo?
Si guardò
nello specchietto: una barba incolta gli nascondeva mezza faccia. E l’auto era
incrostata da uno strato ignobile di polvere. Poi si accorse che le quattro
gomme erano a terra.
Quanti mesi
aveva dunque dormito?
Udì allora
un suono di campane, avevano un curioso sapore di Natale. Una cosina bianca e
fredda gli si posò sul naso.
Nevicava.
(D. Buzzati)
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