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Quella combinazione opera politicamente perché è nell’intero ‘progetto’
totalitario – nei suoi presupposti e nelle sue finalità, nelle sue azioni e
nelle sue istituzioni – che essa attualizza il suo potenziale cortocircuito.
Alcuni dei suoi elementi si rafforzano persino o si estremizzano
congiungendosi, a dispetto della loro apparente opposizione. Un caso sembra
particolarmente eloquente e inquietante: il nichilismo annunciato da Nietzsche
nelle sue pagine genealogiche e profetiche, o prefigurato da Netchaiev nel suo Catechismo rivoluzionario,
accompagna e anzi sembra sorreggere il determinismo biologico, il dogmatismo
storicista e i progetti fanatici caratteristici delle imprese totalitarie.
Aron evidenzia talvolta direttamente i presupposti teorici del fondo o
del risvolto nichilista delle tirannie moderne e ne discute le più influenti
formulazioni. Caratteristicamente, mette soprattutto in luce come esso operi politicamente,
come cioè venga a ispirare l’azione degli uomini nella storia e così i regimi
politici: e nei motivi umani che una situazione intellettuale o spirituale si
rivela ed esprime, e in essi che ‘pratica’ e ‘teoria’ per così dire comunicano,
anche quando e una volontà
distruttiva a definirli.
La situazione della ragione nella Città pare dunque in effetti
significativa,se non decisiva, tanto per la ragione quanto per la Città. Il discernimento di quel nesso
filosofico-politico giustifica e illustra il significato dell’incessante sforzo
aroniano di svelamento delle dottrine totalitarie, delle passioni che esse
destano e delle giustificazioni che forniscono. Quell’operazione di
chiarificazione teorica, che si vuole in quanto tale per Aron educazione al
ragionamento politico, si rivolge anche a quanti sono sensibili alla tentazione
totalitaria senza farsene agenti diretti, perché le tirannie moderne, come
abbiamo visto, affondano le loro radici anche in speranze o opinioni diffuse
nella società moderna, in speranze o opinioni che si presentano come liberatrici.
Il cortocircuito poc’anzi richiamato e latente anche in questi ultimi,
in spiriti che sono finiti nell’orbita di quella tentazione senza cedere ad
essa completamente, in pensatori che, dando il ‘là’ a una melodia che
non ha smesso di risuonare, hanno inteso conciliare Kierkegaard (secolarizzato)
e Marx in una prospettiva di prassi storica: Il dottrinarismo degli
esistenzialisti, particolarmente rivelatore, presenta, ingranditi fino alla
caricatura, gli errori intellettuali che paralizzano la riflessione politica.
Gli esistenzialisti cominciano con una negazione, vicina al nichilismo, di ogni
costanza umana e sociale, e finiscono con un’affermazione dogmatica di ‘una
verità unica’ in una materia in cui la verità non può essere una…
Anche l’incontro fra la razionalizzazione
delle istituzioni o degli strumenti e l’irrazionalità dei fini o delle ‘esistenze’ non
sembra solo minacciare, nel mondo moderno industriale, burocratico e nucleare,
gli intellettuali irresponsabili e la Città tirannica: ‘Soffriamo tanto un eccesso di scienza,
che concede a pochi uomini dei poteri smisurati sulla materia e sui loro
simili, quanto una mancanza
di Ragione’.
Nella corruzione politica delle società moderne sembrano in effetti
maturare i germi di una malattia o di una debolezza più generale, condivisi e
diversamente affrontati da quelle società. In questa cornice interpretativa in
cui l’intenzione originaria e le pratiche, l’orizzonte filosofico e le
traduzioni istituzionali, la situazione della ragione e la vita politica
caratterizzano congiuntamente la natura dell’associazione umana, la
comparazione tra regimi precisa ulteriormente la sua portata e, per cosi dire,
si complica approfondendosi.
Democrazia e
totalitarismo
presentano una differenza essenziale
dovuta alla diseguale qualità della loro imperfezione, ma condividono
anche delle finalità ambivalenti – gli ‘imperativi moderni’ – e la comune
natura politica, cioè il carattere di regimi soggetti alle dinamiche delle cose
politiche. Si può cosi dire che a partire da quelle condizioni – dalle basi
politiche e moderne – ogni Città può farsi tirannica e che la Città tirannica
non e necessariamente votata dai suoi vettori moderni (razionalizzazione,
industrializzazione ecc.) alla convergenza democratica, ma anche che la Città
moderna non è condannata a divenire tirannica se sa essere capace di saggezza
politica…
L’insegnamento tirannico trasmesso dal Gerone di Senofonte, scrive Leo Strauss, ‘porta alla
luce la natura delle cose politiche’.
La prima grande opera del filosofo tedesco dedicata alla riscoperta del
razionalismo politico classico non è quindi ‘solamente’ dedicata al recupero di
una categoria perduta dalla scienza politica, quella di
‘tirannide’ o di ‘tiranno’. Con ciò non si intende tuttavia affermare che il
titolo voglia essere fuorviante.
Con una leggera forzatura, si potrebbe addirittura affermare che il
problema della tirannide e stato costantemente presente nel pensiero e
nell’insegnamento di Leo Strauss. A questo proposito significativa e l’affermazione
dell’introduzione, secondo cui ‘La società tenterà sempre di tiranneggiare il
pensiero’.
Naturalmente per pensiero Strauss intende il pensiero filosofico, la
libera ricerca della saggezza.
…E questo pericolo, o meglio la coscienza di questo pericolo, a
trasformare la filosofia in filosofia politica. Non sono infatti le cose
politiche il primo oggetto d’indagine della filosofia. La filosofia nasce
grande, interrogandosi sulla causa o sulle cause prime del tutto. La filosofia
politica sorge nel momento in cui il filosofo si sente minacciato da peculiari
dinamiche della società: dinamiche che, seppur non immediatamente, rivelano
tratti dell’anima tirannica. Proprio per questa ragione va letta cum
grano salis
la cavalcata conclusiva del Restatement
in cui Strauss, rispondendo a Kojeve, tratteggia a tinte fosche una
eventuale tirannide universale e finale. L’ombra del tiranno definitivo, e in
quelle pagine Strauss sembra essersi ispirato a Stalin, e tramontata da tempo.
La terribile urgenza che nel secondo dopoguerra sembra aver giustificato il
ritorno ad un dialogo perduto e dimenticato dalle scienze politiche
contemporanee pare definitivamente svanita. Probabilmente oggi noi non siamo più
minacciati da una tirannide spietata e tecnologica, capace di ridurci in uno
stato subumano ‘in un sol colpo e senza pietà’. Ma che ne è stato di quel lento
processo di livellamento del pensiero, ‘preparato in modo nascosto e spesso del
tutto inconscio dalla diffusione dell’insegnamento secondo cui tutto il
pensiero umano è collettivo indipendentemente da ogni umano sforzo dedito a
questo fine, perché tutto il pensiero umano è storico?’.
Cosa ha da spartire con la tirannide?
Si potrebbe sottolineare l’inattualità maturata dallo studio
straussiano, sanzionata dall’inesorabile passare del tempo – ma non solo. Se da
un lato il senso comune constata il tramonto di poteri mondiali cosi forti da
poter costituire la concreta minaccia di una tirannide perpetua e universale,
dall’altro una prima lettura può escludere che Senofonte avesse di fronte a se
un processo di collettivizzazione del pensiero dovuto alla volgarizzazione di
una corrente filosofica esplosa solamente al tramonto del XIX secolo.
In un caso il lavoro di Strauss richiederebbe una adeguata collocazione
nel museo della storia della scienza politica.
Nell’altro esso appare clamorosamente anacronistico e guidato da una
fuorviante deformazione ermeneutica. Queste due considerazioni, che sembrano
mettere in dubbio la necessità di tornare ancora una volta ad interrogare
filosoficamente un testo già ampiamente approfondito e discusso, suggeriscono
piuttosto di sottrarre l’analisi della tirannide alle urgenze politiche del
presente, e soprattutto di tornare su quel fenomeno di soffocamento del pensiero
cui allude Leo Strauss nell’introduzione di quell’opera per certi versi
decisiva – fenomeno che trova la sede appropriata della propria analisi,
sorprendentemente, in uno studio dedicato al Gerone di Senofonte.
Possiamo e dobbiamo infatti chiederci se quel processo silenzioso e
livellante non abbia fatto qualche passo in avanti. Ciò implica il ritorno alla
questione filosofica delle ‘condizioni elementari e discrete della libertà
umana’ e, seguendo Strauss, alla questione della tirannide.
….La citazione sopra riportata, riguardante il pericolo costituito
dalla società per il pensiero, va riconsiderata nel suo immediato contesto.
Stando alle osservazioni preliminari dell’introduzione, l’opera di Senofonte e
un eccellente esempio di retorica socratica, uno strumento indispensabile alla filosofia
che si mostra necessario a partire dalla ‘premessa secondo cui c’è una
sproporzione fra la ricerca intransigente della verità e le esigenze della
società, o secondo cui non tutte le verità sono sempre inoffensive’: le
necessità della vita politica, ovvero della vita umana in quanto vita in comune,
e della vita filosofica, la vita spesa alla ricerca della conoscenza della
causa o delle cause prime del tutto, non sarebbero conciliabili.
Ma in che senso questa sproporzione può rappresentare un pericolo?
La prima formulazione della premessa fondamentale evidenzia l’aspetto
problematico della ricerca della verità, che come pratica radicale di skepsis metterebbe a
rischio la polis turbando
le opinioni dei cittadini. La vita politica di una comunità, argomenta Strauss,
si sostiene infatti su autorevoli dogmata
morali largamente condivisi che orientano e rafforzano il legame sociale,
ed ogni comunità politica e conservatrice nella misura in cui non può
rinunciare a questi dogmata
senza evitare il disordine e l’anarchia.
Il filosofo, che non può che concentrare tutte le sue energie nel
trascendere la dimensione dell’opinione per accedere alla conoscenza, e
necessariamente trasgressivo dal punto di vista dell’ordine politico. Infatti
il movimento di pensiero che gli permette di ‘uscire dalla caverna’ implica la
messa in discussione dell’autorità della città e quindi del fatto che la giustizia
corrisponda al rispetto delle leggi della città, ovvero di quelle opinioni
autorevoli ratificate dall’autorità dei legislatori. La frizione irrisolvibile fra
pensiero e società è un problema ‘coevo alla vita politica’ che in casi estremi
può degenerare nella persecuzione dei
filosofi, ovvero esporli ad un pericolo mortale. Per evitare la soluzione
estrema della fuga e poter vivere tranquillamente nella città, il
filosofo deve mascherare la propria natura proteggendosi dall’eventuale
indignazione morale che il suo interrogare spregiudicato può suscitare
nell’animo dei ‘buoni cittadini’ o dall’intervento repressivo delle autorità
nei suoi confronti: infatti ‘i saggi sono atti ad essere invidiati da
uomini che sono meno saggi o per niente saggi, e sono esposti ad ogni sorta di
vaghi sospetti da parte dei molti’. […] ‘La diffidenza nei confronti dei saggi,
che deriva da una mancanza di comprensione della saggezza, è caratteristica del
volgo’.
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