Precedenti capitoli...:
Prosegue con la...:
Il
superamento di queste fatiche induce ad altre, dove l’anima duella ancora tra
la libido carnale e una voluptas sapiente. È lo stesso Polifito, fuoriuscito
dalla piramide, che deve riconoscere l’emblematico scontro attraverso le
allegoriche antinomie tra la oziosa corporeità elefantina e il solare monolite
che la sovrasta, tra l’erotismo infantile e arido degli adulescentuli, e l’incavalcabile, virtuoso cavallo pegaseo, tra le
viscere terrificanti del gigante abbattuto e la pronta fuga.
Il Colonna con i tre monumenti mostra la platonica tripartizione dell’anima, ossia la sua parte irascibile, il colosso; quella concupiscibile, il cavallo con i fanciulli; e la razionale, l’elefante.
Platone, in un celebre passo della Respublica, spiega che soltanto acquietando le pulsioni irascibili e passionali dell’anima come quelle concupiscibili si può affidare il sogno alla sua parte razionale, la sola capace, grazie alla sua attività noetica, di avere visioni le più elette e veritiere. Adesso, addormentate dunque le membra, tacitati i desideri irrazionali e le passioni, la parte razionale della psiche può oltrepassare la magna porta.
Come accade
a Lucio nel Metamorphoseon, dove,
varcata la soglia di Proserpina,
viene trascinato ai numinosi confini del mondo e adora da vicino gli dèi, così Polifilo sprofonda al di là delle
viscere terrene a nuovo chiarore, a visioni che finalmente gli mostrano direttamente
i segreti di Venere Natura, la
specularità di Venere Urania e Pandemia, l’unità amorosa del tutto. Questa
teatrale porta di accesso è emblema parlante delle prossime apparizioni
oniriche, costellata di imagines
voluptatis, dall’educazione di Cupido agli amori di Febo, dal rapimento di
Ganimede alla nutrice Amaltea.
Qui all’anima-Polifilo si manifesta Apollo Sminteo sotto le spoglie di un candido topo, messaggero profetico e propizio di arcano viatico. Un ultimo impedimento prima del volo, ovvero la paura dell’anima di separarsi dal corpo in tanto onirico distacco: lo spavento è lancinante, incarnato dall’avanzare del terribile drago, mostro che suscita oblio e vigilanza.
Grazie a
questa, pur nelle buie viscere della portentosa piramide, Polifilo sa ricordare e riconoscere i celesti, santi simulacri che
incontra, mentre rifuggendo l’oblio rimane attento fino a scorgere un lontano
lucore nelle tenebre sì da avanzare più in là, nell’altro mondo.
Dinanzi all’anima,
dopo gli iniziali luoghi scoscesi e inospitali, allusivi, con le loro asprezze,
alle tormentate inquietudini della stessa psiche, si dispiega finalmente una serena
pianura, il locus amoenus, la cui
dolcezza dà pace alle fatiche intraprese. Siamo nel regno di Eleuterillide, personificazione della
Liberalità d’amore e, nel contempo, della Madre
di tutte le cose, della Venere Natura
che elargisce e feconda ogni bene: qui Polifilo
viene istruito sui misteri di tanto dono, sulle mirabili virtù del cosmo e
le inevitabili caducità mondane, è l’apprendistato della psiche involata, segugia del desiderio erotico e del
sapere.
Innanzitutto Polifilo purifica i sensi alle terme ottagonali e lì riceve il primo, fondamentale insegnamento. Alla fonte della ninfa dormiente vede che dai seni della fanciulla scaturiscono due acque distinte, una caldissima e l’altra gelida, che poi mescolandosi generano quell’acqua temperata che sola inonda e perennemente nutre tutto il fertile giardino. La metafora, che verrà ribadita di continuo e attraverso innumerevoli richiami simbolici nel corso dell’intero romanzo, tra i quali risalta il motivo del Jestina tarde, sentenzia il credo morale e gnoseologico del Colonna, tracciato sul mesotes aristotelico: la savia via di mezzo che, virtuosamente perseguita, sa temperare gli estremi e permette di raggiungere la conoscenza del vero Amore.
Viene qui
riproposta un’immagine cara all’amore cortese, codificata da Andrea Cappellano:
le acque fredde figurano l’arido amore per difetto, che mai si concede, quelle
calde l’erotico eccesso dissipatore, le tiepide sanciscono il primato spirituale
e materiale dell’aurea medietas
amorosa.
Accogliendo
e seguendo questo principio Polifilo
può giungere al palazzo della universale Liberalità, dove, come si conviene
alla munificenza dei dona Dei, gli sono mostrati pianeti e stelle, i loro
influssi, il viaggio astrale dell’anima, e gli viene offerto un sontuoso
banchetto ristoratore: è il refrigerium
dell’anima stanca; analogamente fu dato a Psiche
di rifocillarsi nel palazzo di Eros (Apuleio, Metamorphoseon, 5, 2-3).
Qui il Colonna, tra l’altro, descrive lo straordinario spettacolo del gioco degli scacchi figurato, con fanciulle danzanti, in una coreografia che, se certo ricalca analoghi fasti in uso presso le corti italiane, diviene in questo caso corale simbolo dello scontro amoroso tra l’amante e l’amata secondo i fortunati canoni della tenzone cortese. Tuttavia il metaforico attraversamento del reame di Eleuterillide conduce, al di fuori delle rassicuranti mura della reggia, anche ai caduchi e vitrei labirinti della vita terrena, a riflettere sulle fatali sorti delle vicende umane e, vertice iconico della più alta speculazione proposta dal Colonna, ad ammirare il monumento all’Infinita Trinità dell’Unica Essenza.
Con esso l’Autore
traduce, in una composizione plastico-architettonica, la più concettualmente
alta di tutto il romanzo, il proprio, rivisitato, credo platonico, coniugando i
princìpi dell’impenetrabile macchina dell’universo all’Ineffabile.
Infine
giunge alle tre porte, rispettivamente introiti alle glorie divine, a quelle d’amore
e a quelle mondane: dalla scelta di una delle quali dipenderà il significato
dell’imminente, prossimo cammino. Il graduale percorso tra la primitiva magna porta e queste ultime tre,
contrapposti margini e varchi metaforici che delimitano il reame di
Eleuterillide, costituisce un vero e proprio exemplum di fisiologia simbolica, configurata attraverso un
crescendo che passa dalla corporeità alla mente.
Infatti cinque fanciulle, dai nomi dei rispettivi sensi, conducono Polifilo dal suo ingresso fino al palazzo reale, simboleggiando la purificazione delle sue percezioni sensibili. Tre cortine poi, allusive delle corrispettive facoltà abitatrici della testa umana, cioè ragione, immaginazione e memoria, vengono oltrepassate da Polifilo per accedere all’interno della medesima reggia: con esse e con i mondati sensi potrà delibare appieno, con nuova nobiltà percettiva e intellettuale, i fasti micro- e macrocosmici offerti dalla liberale Madre Natura.
Successivamente,
dal palazzo fino alle tre porte, saranno le ninfe Logistica e Telemia, ossia la
Ragione e la Volontà, ad accompagnarlo, spiegandogli il senso degli
incomprensibili monumenti che incontra. Dinanzi alle tre porte, coerentemente
al principio di perseguire la soterica medietà, Polifilo sceglie, seguendo i consigli della Volontà e rifuggendo la
Ragione, la porta centrale, riproducendo così una partitura scenografica e
drammatica ricorrente nella letteratura cortese del Medioevo: è difatti la
virtuosa volontà d’amore che induce il cavaliereamante a conquistare l’amata,
pertanto diviene ineluttabile varcare la soglia del paese dove spadroneggia
Cupido.
Quello che ora Polifilo visita è il regno di Venere Pandemia, dell’amore terreno. Nessuno può sfuggire al suo dominio, come dimostrano i cortei trionfali che si susseguono, nei quali si celebra l’erotica sottomissione di divinità, eroi e uomini, primo fra tutti lo stesso Giove. La guida che lo accompagna in questa parte del viaggio è la ninfa Polia, la sua virtuosa, sapiente amata: insieme giungono al tempio di Venere Physizoa e nel sacro sacello dell’edificio sono finalmente iniziati ai misteri della dea dell’amore, secondo una eclettica, straordinaria ricostruzione rituale….
Nessun commento:
Posta un commento