giuliano

martedì 13 luglio 2021

LA DONNA DELLO SCHERMO (Seconda parte) (6)

 










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Circa la donna dello schermo (5/1)


Prosegue con:


L'età della finzione (7)


& Il male del vostro Secolo (8)


& il racconto della Domenica,


ovvero: ARTE & IDEA 







LA DONNA DELLO SCHERMO

 

 

Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,

che fa tremar di chiaritate l’âre

e mena seco Amor, sì che parlare

null’ omo pote, ma ciascun sospira?

O Deo, che sembra quando li occhi gira,

dical’ Amor, ch’ i’ nol savria contare:

cotanto d’umiltà donna mi pare,

ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ ira.

Non si poria contar la sua piagenza,

ch’a le’ s’ inchin’ ogni gentil vertute,

e la beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra

e non si pose ’n noi tanta salute,

che propriamente n’aviàn canoscenza. 

(G. Cavalcanti)




Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare.

 

Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d’oriente de le dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.

 

Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia. In quello punto dico veracemente che lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare sì fortemente, che apparia ne li menimi polsi orribilmente; e tremando disse queste parole:

 

Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi.




 In quello punto lo spirito animale, lo quale dimora ne l’alta camera ne la quale tutti li spiriti sensitivi portano le loro percezioni, si cominciò a maravigliare molto, e parlando spezialmente a li spiriti del viso, sì disse queste parole:

 

Apparuit iam beatitudo vestra.

 

In quello punto lo spirito naturale, lo quale dimora in quella parte ove si ministra lo nutrimento nostro, cominciò a piangere, e piangendo disse queste parole:

 

Heu miser, quia frequenter impeditus ero deinceps!

 

D’allora innanzi dico che Amore segnoreggiò la mia anima, la quale fu sì tosto a lui disponsata, e cominciò a prendere sopra me tanta sicurtade e tanta signoria per la vertù che li dava la mia imaginazione, che me convenia fare tutti li suoi piaceri compiutamente.

 

Elli mi comandava molte volte che io cercasse per vedere questa angiola giovanissima; onde io ne la mia puerizia molte volte l’andai cercando, e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero:

 

Ella non parea figliuola d’uomo mortale, ma di deo.




 E avvegna che la sua imagine, la quale continuatamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a segnoreggiare me, tuttavia era di sì nobilissime vertù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse sanza lo fedele consiglio de la ragione in quelle cose là ove totale consiglio fosse utile a udire. E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e trapassando molte cose le quali si potrebbero trarre de l’essemplo onde nascono queste, verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.

 

E cominciai allora questo sonetto, lo quale comincia: A ciascun’alma presa…

 

A ciascun’ alma presa e gentil core

nel cui cospetto ven lo dir presente,

in ciò che mi rescrivan suo parvente,

salute in lor segnor, cioè Amore.

Già eran quasi che atterzate l’ore

del tempo che onne stella n’ è lucente,

quando m’apparve Amor subitamente,

cui essenza membrar mi dà orrore.

Allegro mi sembrava Amor tenendo

meo core in mano, e ne le braccia avea

madonna involta in un drappo dormendo.

Poi la svegliava, e d’esto core ardendo

lei paventosa umilmente pascea:

appresso gir lo ne vedea piangendo.




Uno giorno avvenne che questa gentilissima sedea in parte ove s’udiano parole de la regina de la gloria, ed io era in luogo dal quale vedea la mia beatitudine; e nel mezzo di lei e di me per la retta linea sedea una gentile donna di molto piacevole aspetto, la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare, che parea che sopra lei terminasse.

 

Onde molti s’accorsero de lo suo mirare; e in tanto vi fue posto mente, che, partendomi da questo luogo, mi sentìo dicere appresso di me:

 

Vedi come cotale donna distrugge la persona di costui; e nominandola, io intesi che dicea di colei che mezzo era stata ne la linea retta che movea da la gentilissima Beatrice e terminava ne li occhi miei.

 

Allora mi confortai molto, assicurandomi che lo mio secreto non era comunicato lo giorno altrui per mia vista. E mantenente pensai di fare di questa gentile donna schermo de la veritade; e tanto ne mostrai in poco tempo, che lo mio secreto fue creduto sapere da le più persone che di me ragionavano.

 

Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi; e per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima, le quali non è mio intendimento di scrivere qui, se non in quanto facesse a trattare di quella gentilissima Beatrice; e però le lascerò tutte, salvo che alcuna cosa ne scriverò che pare che sia loda di lei.




 Dico che quando ella apparia da parte alcuna, per la speranza de la mirabile salute nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m’avesse offeso; e chi allora m’avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente ‘Amore’, con viso vestito d’umilitade.

 

E quando ella fosse alquanto propinqua al salutare, uno spirito d’amore, distruggendo tutti li altri spiriti sensitivi, pingea fuori li deboletti spiriti del viso, e dicea loro:

 

Andate a onorare la donna vostra;

 

ed elli si rimanea nel luogo loro.

 

E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare de li occhi miei. E quando questa gentilissima salute salutava, non che Amore fosse tal mezzo che potesse obumbrare a me la intollerabile beatitudine, ma elli quasi per soverchio di dolcezza divenia tale, che lo mio corpo, lo quale era tutto allora sotto lo suo reggimento, molte volte si movea come cosa grave inanimata. Sì che appare manifestamente che ne le sue salute abitava la mia beatitudine, la quale molte volte passava e redundava la mia capacitade. 

(D. Alighieri)






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