giuliano

mercoledì 16 febbraio 2022

IL FINE ULTIMO (27)











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la perenne follia... (29/30)








Il flusso della durata è indefinito e inconcludente, un trascorrere perpetuo che non possiede in sé alcuna forma, alcuna possibilità di equilibrio, di simmetria. La natura, in realtà, impone a questo perpetuo svanire una certa apparenza di ordine e simmetria. Così i giorni si alternano alle notti, le stagioni ricorrono con regolarità, le piante e gli animali percorrono il proprio cicli vitale, e ad essi subentra una progenie del tutto somigliante. Lo spazio è un simbolo dell’eternità, poiché nello spazio si dà libertà, esiste la reversibilità del movimento, e non vi è nulla nella natura dello spazio, a differenza di quella del tempo, che condanni quanto da essa abbracciato alla morte ed alla dissoluzione inevitabili. L’evidenza indica che è l’anima individuale, incarnata in un particolare momento del tempo, la sola capace di stabilire un contatto con il Divino, il che significa escludere ogni altra anima.

 

Quanti credono nel primato della persona e pensano che il Fine Ultimo di ogni persona sia quello di trascendere il tempo e comprendere ciò che è eterno e al di fuori del tempo, sono sempre difensori della nonviolenza, della mitezza, della pace e della tolleranza, come gli indù, i buddisti, i taoisti e i cristiani delle origini.




Quanti, al contrario, amano essere ‘profondi’, e pensano che la Storia riguardi l’Umanità in quanto Massa, e l’Umanità in quanto successione di generazioni, non uomini e donne individui, qui e ora, sono indifferenti alla vita umana ed ai valori della persona, venerano Moloch che chiamano Stato e Società, e sono tranquillamente preparati a sacrificare più generazioni di persone reali e concrete, alla ricerca di una felicità del tutto ipotetica che, senza alcun motivo, essi pensano sarà il destino dell’Umanità in un remoto futuro. La politica di coloro i quali considerano l’eternità come realtà ultima, si preoccupa del presente, dei modi e dei mezzi per organizzare il mondo attuale in guisa tale da incontrare il minor numero possibile di ostacoli sulla strada della liberazione individuale dal tempo e dalla ignoranza.

 

Quelli che, al contrario, considerano il tempo come la realtà ultima, si preoccupano anzitutto del futuro, considerano il mondo attuale ed i suoi abitanti come semplici detriti, carne da macello e schiavi da lavoro che vanno sfruttati, terrorizzati, uccisi o ridotti in briciole, affinché persone che potranno anche non nascere mai, in un tempo futuro di cui nulla può essere saputo col benché minimo grado di certezza, possano godere di quell’età meravigliosa che rivoluzionari e guerrafondai odierni pensano sia per esse necessaria.




Il progresso biologico, come ogni altro tipo di trasformazione evolutiva, è determinato da mutazioni, le cui conseguenze vengono ereditate. Plausibilmente, anche il progresso umano dovrebbe essere determinato nella stessa materia, ma, per lo meno nell’ambito delle epoche storiche, non è stato così.

 

Se un progresso ereditario dovrà verificarsi nella specie umana, esso sarà determinato da quello stesso tipo di riproduzione selettiva che ha migliorato le razze degli animali domestici. Diverrebbe possibile, nell’arco di alcuni secoli, innalzare il livello medio dell’intelligenza umana ad un punto che superi di molto quello attuale.

 

Il progresso umano, nell’ambito del tempo storico, differisce dal progresso biologico nell’essere, un fatto non di eredità ma di tradizione. Questa tradizione, orale e scritta, ha svolto la funzione di veicolo per il cui tramite le conquiste di individui eccezionali sono state rese disponibili ai loro contemporanei ed ai loro successori, e le nuove scoperte di una generazione sono state trasmesse, divenendo così un luogo comune per le successive.




Nel formulare standard per misurare il progresso umano, dobbiamo tenere conto dei valori che, secondo l’opinione dei singoli uomini e delle singole donne, rendono la vita degna di essere vissuta.

 

Una dittatura, per quanto benevoli possano essere i suoi intenti, è sempre cattiva, poiché istiga una minoranza ad appagare la sete di potere, mentre costringe i più ad agire in qualità di irresponsabili e servili destinatari di ordini dall’alto.

 

L’esperienza del progresso tecnologico ed anche l’esperienza di quello umano, raramente sono continue e durevoli.

 

Data la natura delle nostre menti, non sperimentiamo il progresso in maniera continua, ma solo a sbalzi, nel corso delle prime fasi di un qualsiasi nuovo avanzamento.

 

Ciò che siamo dipende da ciò che crediamo. Ciò che crediamo dipende da ciò che è stato insegnato – dai nostri genitori e dai nostri maestri di scuola, dai libri e dai giornali che leggiamo, dalle tradizioni, dalle organizzazioni economiche, politiche ed ecclesiastiche cui apparteniamo.




L’edonismo, per esempio, è una filosofia inadatta. La nostra natura ed il mondo sono tali per cui, se facciamo della felicità la nostra meta, non raggiungeremo la felicità.

 

Più adatte risultano quelle filosofie politiche che per milioni di nostri contemporanei hanno preso il posto delle religioni tradizionali. In tali filosofie politiche l’acceso nazionalismo è unito ad una teoria dello stato e ad un sistema economico. Chi accetta simili filosofie, è indotto in molti casi ad una vita di devozione verso la causa nazionale ed ideologica. La nazione ed il partito sono le divinità delle quali il fedele è giustificato nel compiere qualsiasi cosa, per quanto abominevole, che sembri far avanzare la sacra causa.

 

Nelle religioni tradizionali, come in certe forme di Cristianesimo, di Induismo e di Buddismo, la causa cui il fedele si vota è soprannaturale e la piena realizzazione del suo ideale non avviene ‘in questo mondo’. Pertanto, chi vi aderisce possiede una migliore chance di conservare la felicità.




Gli intenti dello stoicismo (il controllo dell’io NdC) vengono pienamente raggiunti non dagli stoici, ma da chi, mediante la contemplazione o la devozione, si apre alla ‘grazia’, al ‘Logos’, al ‘Tao’, all’ ‘Atman-Brahman’, alla ‘luce interiore’. È aspirando alla comprensione dell’eterno che diventiamo capaci di ottenere il meglio dalla nostra esistenza nel tempo.

 

Osservato dal punto di vista della Filosofia Perenne, il progresso biologico è una crescita della coscienza, in qualità ed estensione, che viene ereditata. Nel corso dell’evoluzione terrestre, la vita ha prodotto la coscienza e nell’uomo, il prodotto più alto dell’evoluzione, la coscienza ha raggiunto un livello tale per cui qualsiasi individuo può (solo che desideri, sappia in che modo, e sia preparato ad adempiere certe condizioni), aprirsi alla conoscenza unitiva della realtà spirituale.

 

L’evoluzione biologica non conduce di per sé, automaticamente, a questa conoscenza unitiva. Essa conduce semplicemente alla possibilità di tale conoscenza. E conduce a questa possibilità tramite lo sviluppo del libero volere e dell’autocoscienza. Il libero volere e l’autocoscienza sono però la radice dell’ignoranza e dell’agire erroneo specificamente umani.




Le facoltà che rendono possibile la conoscenza unitiva della realtà sono le stesse che inducono gli essere umani ad abbandonarsi a quella condotta letteralmente insana e diabolica di cui essi, soli fra tutti gli animali, sono capaci. La capacità di giungere più in alto viene acquistata al prezzo della possibilità di cadere più in basso. Solo un angelo della luce può diventare il Principe delle Tenebre.

 

Ogni creatura che vive secondo l’istinto vive in uno stato che può essere definito di grazia animale. Essa compie non la propria, bensì la volontà di Dio-nella-Natura. L’uomo non vive secondo l’istinto; i suoi modelli di comportamento non sono innati, ma acquisiti. Egli è libero, all’interno delle restrizioni imposte dalla società e dalle proprie consuetudini di pensiero, di scegliere il meglio o il peggio, i mezzi morali ed intellettuali in vista del Fine Ultimo oppure i mezzi morali ed intellettuali che conducono all’autodistruzione.

 

Il progresso specificamente umano nella felicità, nella virtù e nella creatività può essere valutato, in ultima analisi, come una condizione del cammino spirituale verso il Fine Ultimo dell’uomo. Fame, privazione e miseria; cupidigia, astio, collera e lussuria; stupidità gonfia di pregiudizi e insensibilità – tutti questi sono ostacoli sulla via del progresso spirituale. 




Allo stesso tempo non si dovrebbe dimenticare che se felicità, virtù e creatività venissero considerate come fini in sé, invece di mezzi in vista di un Fine ulteriore, esse potrebbero diventare ostacoli al progresso spirituale non meno seri, a loro modo, dello squallore, del vizio e del conformismo.

 

L’illuminazione non può essere raggiunta dalle persone il cui scopo nella vita è quello di ‘spassarsela’, dal cultore puritano di una moralità repressiva fine a se stessa o dall’esteta che vive in funzione della creazione o della degustazione della bellezza formale. L’idolatria è sempre fatale.

 

Consideriamo ora il progresso in relazione alla vita spirituale – in relazione cioè alla cosciente ricerca del Fine Ultimo dell’uomo. Significativa in questo contesto è l’osservazione del Buddha per cui chi dice di essere un arhat per ciò stesso proclama di non essere un arhat. In altri termini, è fatale vantarsi di un successo o provare soddisfazione in un’esperienza che, se partecipa genuinamente dell’illuminazione, è un prodotto della grazia piuttosto che di uno sforzo personale.

 

Nell’ambito della spiritualità il progresso porta con sé tanto la contrizione quanto la gioia. L’illuminazione viene sperimentata come gioia; ma questa sfolgorante beatitudine illumina tutto ciò che all’interno dell’io, rimane oscurato, dissipando la nostra usuale cieca compiacenza riguardo a colpe e mancanze, e facendoci pentire non soltanto di ciò che siamo, ma anche di quell’ineludibile fatto che è la nostra individualità separata. Nella totale e ininterrotta illuminazione non vi può essere nulla se non amore, gioia e pace che sono i frutti dello spirito; fasulla via diretta a quel compimento la contrizione deve alternarsi all’estasi, e il progresso può essere misurato dalla natura di ciò di cui ci si pente – peccati, imperfezioni, e finalmente la nostra esistenza individualizzata. 

(A. Huxley)









 

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