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la Storia Universale
DA ADULTI (negli stessi anni, caccia all’orso)
Nel
1899 o 1898 dopo l’obbligo scolastico ho fatto le mie scelte sono partito alla
caccia all’Orso, vi racconto qualcosa, accomodatevi e bevete un bicchierino, il
liquore lo faccio io, lo distillo dalle patate…
Ho
fatto realizzare diverse trappole per orsi dal nostro fabbro locale e ho
iniziato così come cacciatore di orsi visto che con le lepri si guadagna poco,
e sono andato da solo. Dopo essere stato fuori con il signor Harris, presi
alcune preziose lezioni sulla cattura di orsi e altri animali. Ho costruito un
buon accampamento di tronchi sul ramo occidentale di Pine Creek e sono andato a
catturare e cacciare senza compagno o compagna, ma dopo essere stato al campo
la prima stagione ho comprato un cane da pastore che aveva un anno.
Ho
così scoperto che un buon cane intelligente non è solo un compagno, ma anche
prezioso e indispensabile per la caccia. Ho notato che alcuni trapper non vogliono cani sostenendo che sono fastidiosi. Questo
perché il cane non è stato adeguatamente addestrato.
Per tornare alla cattura degli orsi: nella località in cui stavo catturando, non erano molto abbondanti se non in stagione, quando c’era un raccolto di faggiole, anche se c’erano poche altre baracche, come castagne e ghiande. Tuttavia, in alcune stagioni ci sarebbe un’abbondanza di amarene di cui gli orsi sono molto ghiotti. Misi tre trappole alla testata di un ampio bacino dove c’erano tre o quattro sorgenti e il giorno dopo regolai l’equilibrio delle mie trappole per orsi; poi ho costruito alcuni ‘dead-falls’ per i procioni e alcune trappole d’acciaio per la volpe.
Poiché avevo visto diverse orme fresche di orso attraversare il ruscello, dove avevo sistemato le trappole per i procioni, la mattina del terzo giorno dopo aver posizionato le prime tre trappole per orsi, ho pensato che sarei andato a prendermi cura di loro. Erano a circa un miglio e mezzo dal campo e quando sono arrivato in vista della prima trappola ho visto che avevo un orso. Puoi essere certo che mi sono sentito di nuovo un potente cacciatore. Ero più contento per questo orso che per l’ottavo orso che avevamo catturato quando ero con il signor Harris, perché ora ero io il cacciatore e non il signor Harris.
L’orso era una femmina di buone dimensioni.
Era
diventata veloce solo a breve distanza dal punto in cui era stata tesa la
trappola. Ho sparato e scuoiato l’orso, poi ho tagliato la carcassa in quarti,
ho piegato un alberello e vi ho appeso un quarto dell’orso.
Dopo
aver appeso tre quarti in questo modo, lasciandone uno da portare al campo, presi
i polmoni e il fegato e li misi nel recinto delle esche. L’esca era stata
mangiata tutta ed ero abbastanza sicuro che fosse stato fatto dopo che l’orso
era stato catturato, poiché un orso perde immediatamente l’appetito dopo aver
messo il piede in una buona e robusta trappola. Mi aspettavo davvero di trovare
un altro orso in una delle altre trappole dato che non erano molto distanti, ma
le altre trappole erano intatte.
La mattina dopo ho pensato di prendere un’esca dal campo e di innescare la trappola dove avevo messo le frattaglie dell’orso, temendo che se fosse arrivato un orso non avrebbe mangiato l’esca che era nel recinto. Puoi immaginare la mia sorpresa quando sono arrivato in vista della trappola per vederne un altro inchiodato.
Dopo
aver ucciso l’orso ho rimosso le interiora e ho iniziato a trascinarlo verso il
campo. Era un cucciolo e potevo portarlo senza squartarlo. Stavo per partire
per il campo quando ho deciso che sarei andato alle altre trappole. Se fui
sorpreso di vedere il primo cucciolo, lo fui doppiamente, perché c’era un altro
cucciolo impigliato nella trappola.
Pensi
che mi sentissi solo felice?
Beh,
questo non era un aggettivo adatto; ero al settimo cielo!
Ho sparato a questo cucciolo e senza aspettare di vestirlo ho fatto un veloce passo verso l’altra trappola per vedere se c’erano altri orsi ma lì non c’era niente. Gli ultimi due orsi, credo fossero i cuccioli del vecchio orso che avevo catturato la sera prima. Ho passato l’intera giornata a portare gli orsi al campo. Per un po’ di tempo non ho avuto più problemi, anche se ho avuto l’opportunità di imparare molto su di loro.
Alcuni giorni dopo aver preso il vecchio orso e i cuccioli, trovai il recinto dell’esca in una delle trappole abbattute da un orso che aveva abboccato e non aveva fatto scattare la trappola. Dopo aver scoperto che l’esca era sparita, ho pensato che tutto ciò che avrei dovuto fare era rendere la penna dell’esca un po’ più forte in modo che l’orso non potesse abbatterla così prontamente per afferrare l’esca. Non pensavo che un orso non conoscesse alcuna nozione di ‘trappologia’, poiché l’esperienza che ho avuto finora nella loro cattura è che ne sapevano poco più di una trappola di maiale, anche se in seguito ho scoperto che mi sbagliavo di grosso.
ANDIAMO ALLA GUERRA!
È una
stramaledetta guerra ma qualcuno deve pur farcela vedere. La nostra non è solo
una macabra curiosità da sbattere in dispacci o foto sensazionalistiche: di questo
conflitto sappiamo quasi tutto ed è giunta l’ora di guardarlo dritto negli
occhi.
È una
mattina col solito sole che non scalda ma che almeno schiarisce tutto il cielo.
Clint viene a bussarci alla porta: ‘Ho preparato una squadra di uomini che vi
porterà a visitare i luoghi degli ultimi combattimenti’, annuncia orgoglioso.
La prima tappa è un villaggio nei pressi di Novyi Svit, nelle campagne a sud di Donetsk. Accanto alle prime case c’è un grande tank distrutto, letteralmente carbonizzato e martoriato da una gragnuola di colpi. Il miliziano pingue inizia a declamare la sua biografia mentre con Clint monta sullo scheletro del carro armato iniziando a raccogliere qualche rimasuglio, utile a chissà cosa:
‘Io sono russo’,
…dice,
‘non abitavo qui. Ho deciso di unirmi alla
milizia perché ho sentito che i miei fratelli avevano bisogno di aiuto. Io ero
nella Marina russa, avevo un lavoro e una famiglia: ho deciso di lasciare
tutto’.
È uno dei tanti volontari stranieri presenti in questi battaglioni. Ha le orecchie a sventola e uno sguardo convincente. Inizia a raccontare della grande battaglia che ha avuto luogo dove ora stiamo camminando. Apre lo sportello posteriore del tank e mostra l’interno carbonizzato: tra la cenere e la ruggine – assicura – ci sono ancora i resti umani dei soldati ucraini che facevano da equipaggio al mezzo.
L’esplosione
– dice – li ha letteralmente disintegrati.
‘Durante quei giorni ho dovuto fare i conti con
la morte dei miei più cari amici’,
…aggiunge.
‘Funziona così: il dolore dura per un po’, poi
sparisce. Ci fai l’abitudine. Smetti di soffrire e continui a combattere’.
Dal villaggio si fanno avanti altre due persone: un vecchio sulla sedia a rotelle accompagnato da un ragazzo in rigoroso silenzio. Si avvicinano a noi, ci chiedono chi siamo. La lotta si consuma accanto alla vita quotidiana. I due ci indicano le case. Sono a meno di cento metri. Loro vivono lì ma sono rimasti soli, perché quasi tutti i vicini sono andati via.
‘Ieri è tornata l’acqua, seppur razionata’,
dicono,
‘ma dopo le otto di sera va via. Però tutto
quello che è stato distrutto va ricostruito: qualcuno dovrà pure cominciare’.
Con dignità l’uomo dal ciuffo bianco in carrozzella ci invita nella sua casa dove un caffè ancora può offrircelo. Però i nostri ciceroni di trincea non sono d’accordo: hanno paura di un’imboscata. Il tassista è già rintanato nella sua auto. Così Clint può finalmente ripetere la sua formula preferita:
‘Go, go!’
Sempre in
carovana raggiungiamo il centro del villaggio, un paio di chilometri più in là.
Le auto inchiodano di fronte a un edificio interamente raso al suolo: era il
supermercato locale.
Ci facciamo
strada a fatica in mezzo alle mura crollate in un delirio di calcinacci, pezzi
di metallo e vetro. Ci sono ancora i frigoriferi e i cartelloni pubblicitari
mezzi coperti dalle macerie. E poi, buchi infiniti sulle pareti, schegge di
esplosioni lungo l’entrata in ferro. Di fronte, una serie di villette a schiera
tutte perforate. Doveva essere un garage quello caduto sopra ai resti di una
Mercedes.
Ci
avviciniamo.
Accanto all’edificio ci sono un uomo e una donna.
Ci salutano
e ci invitano a entrare: erano i proprietari sia del supermercato distrutto che
della casa bombardata. Un vitigno ha resistito alle bombe e l’uva è ancora
buona. La donna tira fuori il cellulare per mostrarci le foto di com’era il
luogo prima della tragedia. Il marito ci racconta di come la Mercedes sepolta
dalle macerie sia l’ultimo acquisto fatto con i risparmi di quando qui si
lavorava e viveva. Invece ora si cerca di capire come sopravvivere ed
eventualmente ricostruire. Non se la passano meglio i vicini.
Stanno
spalando.
Ci sono solo i muri divisori perché i tetti sono stati spazzati via. A differenza dei proprietari del supermercato che hanno un piccolo stabile dove ancora possono vivere, queste persone non hanno potuto conservare nulla delle proprie case. Allora si spala, si riempiono carriole di massi per fare pulizia e provare a recuperare beni rimasti sotto cumuli di polvere. Una processione di rovine e silenzi. Un labirinto in cui gli occhi sgranati compiono azioni meccaniche per ritrovare oggetti di valore o semplici ricordi. Non c’è da appellarsi al fato o ad altro. È la rabbia della guerra che, in fondo, rende tutti colpevoli.
Vorremmo chiedere altre informazioni alle persone di questo quartiere: vorremmo sapere dell’intensità dei bombardamenti, dei disagi per la mancanza di gas, acqua ed elettricità, di come hanno vissuto questi ultimi mesi. Vorremmo ma non c’è tempo: i tre miliziani ci ributtano in auto. Ci conducono in piena campagna in un posto che si chiama Starovieshevo, qualche chilometro più a sud: il nostro primo ex campo di battaglia. Da queste postazioni in collina l’esercito ucraino controllava l’area che arriva fino a Donetsk. È un campo sterminato: il vento ne scalfisce il silenzio mentre accarezza le cicatrici della guerra. Sarebbe meglio non camminare troppo lontano dalla strada. Il rischio di mine inesplose è altissimo. I nostri tre Caronte, tuttavia, sembrano non badare troppo alle precauzioni. Ci portano per campi mentre raccolgono metallo, mimetiche da ricucire e medicamenti avanzati.
‘Gli ucraini erano trincerati qui e noi li abbiamo presi di spalle’,
racconta il
russo.
‘Loro hanno iniziato a spararci però ci siamo
spinti lo stesso verso le loro postazioni. Così sono scappati’.
La sua
dissertazione sulla strategia militare finisce qui.
Il terzetto
continua a saltellare qua e là frugando senza sosta tra buche e trincee, fino a
quando tra i rifiuti abbandonati dall’esercito ucraino non spunta un’immagine
sacra. Attorno c’è di tutto: documenti con visite mediche di soldati, siringhe
con anestetici, proiettili esplosi, elmetti arrugginiti.
Il ragazzotto russo sembra commuoversi, raccoglie l’icona e la bacia.
Chiude gli
occhi, borbotta una preghiera e ripone l’immagine nella tasca della sua
striminzita mimetica.
Clint nel
campo aperto del fronte ha inesorabilmente perso il controllo della scena
surclassato dall’irruenza del russo. Decide così di imporsi nuovamente dando
improvviso sfoggio delle sue capacità militari.
Sgancia
una bomba a mano.
Tutti
a terra ed esplosione immediata.
Clint mostra l’orizzonte col solito ghigno e giù di kalashnikov: una raffica che entusiasma solo Graziano. Il suo passato da militare gli fa gonfiare il petto, così scatta la spudorata richiesta:
‘Faccio una raffica anche io!’.
Clint fa un
sorriso beffardo.
Lui,
giovane e forte al cospetto di un cinquantenne con gli occhiali da studioso può
giusto concedere un giro in giostra. Qualche dritta su come impugnare l’arma e
raccomandazioni a noi tutti di stare bene indietro. In realtà Graziano sa il
fatto suo: spara con precisione e, a differenza di Clint, riesce persino a
centrare l’obiettivo. La performance colpisce anche il russo che, nel
frattempo, è rimasto a guardare.
Esaltato ci
chiama a sé.
Ritorniamo alle auto, dove improvvisamente si è scatenato il circo. Il miliziano con la bandana arancione ha iniziato a tirare i suoi coltellacci contro una tavola di legno.
Graziano,
dopo gli incitamenti da caserma, tira fuori dal portafoglio un distintivo che
regala adrenalina a tutti:
‘Io
ho fatto l’addestramento alla scuola Russia rincorrevamo lepri…’,
annuncia,
‘ero con i paracadutisti dell’esercito dell’Unione Sovietica quando ancora c’era il Muro di Berlino’.
(Reportage dall’Ucraina)
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