giuliano

venerdì 28 aprile 2023

NEGLI STESSI ANNI

 









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I tragici eventi occorsi dal 1929 alla fine del 1931, non furono che il preludio della tragedia che si compì nel giro di pochi mesi, dall’autunno 1932 alla primavera dell’anno successivo. Non riuscendo a domare i ribelli contadini con i più crudi strumenti repressivi, alternati a fasi di relativa tregua, Stalin si risolse ad adottare una misura estrema mai prima di lui concepita e attuata su scala così vasta: lo sterminio per fame di una parte della popolazione rurale.

 

Ancora prima che la loro terra conquistasse l’indipendenza, gli ucraini all’estero equipararono ad un vero e proprio genocidio nazionale quello che oggi chiamiamo holodomor (il termine non esisteva ancora). Dopo il 1991, poi, gli storici e l’opinione pubblica del nuovo Stato indipendente hanno accolto senza tentennamenti questa tesi, chiamando talvolta il martirio subìto dal loro popolo all’inizio degli anni Trenta l’‘olocausto ucraino’.




 Quest’ultimo termine a me sembra improprio e andrebbe riservato solo allo sterminio degli ebrei per mano dei carnefici nazisti.

 

È invece lecito, e perfino doveroso, definire genocidio sociale la carestia terroristica che, nel 1932-1933, rubò la vita ad alcuni milioni - da tre a quattro - di agricoltori ucraini. Del resto, sono molti gli storici, anche russi, che concordano nel considerare un genocidio sociale la decimazione della popolazione contadina, anche ucraina, decisa da Stalin per collettivizzare le campagne. Quel che essi negano risolutamente è che il caso ucraino sia stato diverso da tutti gli altri, che cioè gli agricoltori di quella terra siano stati crudelmente puniti non solo perché contadini, ma anche perché appartenenti ad una determinata comunità nazionale.

 

[…..]

 

Avanti di chiudere questa mesta rassegna dei riusciti tentativi di occultare e negare la verità, converrà ricordare la solitaria battaglia di un intellettuale il quale, per primo, osò parlare di genocidio. Raphael Lemkin (1900-1959) proveniva da una famiglia ebraica della regione di Grodno, che oggi fa parte della Bielorussia e che era stata una provincia dell’impero russo prima di passare alla Polonia dopo la grande guerra. Compì gli studi universitari a Leopoli, dove frequentò la facoltà di giurisprudenza, interessandosi in special modo di diritto penale internazionale e indagando, tra l’altro, sul massacro degli armeni durante la prima guerra mondiale.

 

Dopo l’invasione tedesca della Polonia, migrò in vari paesi per approdare infine negli Stati Uniti. Qui scrisse una circostanziata denuncia dei crimini della Germania nazista nei paesi europei da essa occupati.




Fu lui, durante la guerra, ad usare per primo il termine genocidio, che entrò poi a far parte del lessico ufficiale delle Nazioni Unite.

 

Finita la guerra e sconfitto il nazismo, Lemkin concentrò la sua attenzione sulla politica espansionistica e oppressiva dell’Unione Sovietica nell’Europa orientale, ravvisandovi una deliberata volontà di cancellare le tradizioni nazionali e l’identità di quei popoli. Entrato in contatto con la comunità ucraina degli Stati Uniti, accettò nel 1953 l’invito a commemorare a New York la grande fame di vent’anni prima.

 

In quell’occasione pronunciò un intervento di chiara e netta denuncia delle responsabilità del governo di Mosca.




Il suo Soviet Genocide in Ukraine inseriva la distruzione della nazione ucraina nel più ampio programma di russificazione, perseguito con tenacia dal regime comunista in continuità con la brutale politica dell’impero zarista.

 

Il genocidio ucraino non era che la logica prosecuzione, su scala più ampia, della guerra contro le minoranze nazionali (i tatari di Crimea o gli ebrei) condotta, prima del 1917, dal regime zarista.

 

Il caso ucraino faceva parte di un più ampio progetto criminoso:

 

‘È parte essenziale del programma sovietico di espansione, perché offre un modo rapido di trasformare in unità la diversità delle culture e delle nazioni che costituiscono l’impero sovietico’.




 Vi erano, senza dubbio, differenze tra l’olocausto, mirante al totale annientamento fisico degli ebrei, e l’attacco alla nazione ucraina, volto all’assorbimento di quest’ultima nella nazione sovietica:

 

Eppure, se il programma sovietico ha completo successo, se l’intellighenzia, i preti e i contadini possono esser eliminati, l’Ucraina sarà morta come se ogni ucraino venisse ucciso, perché avrà perduto quella parte di se che ha custodito e sviluppato la sua cultura, le sue credenze, le sue idee comuni, le quali l’hanno guidata e le hanno dato un’anima e, insomma, ne hanno fatto una nazione anziché una massa di gente.

 

Quella di Lemkin rimase a lungo la voce solitaria di chi grida nel deserto.


[PROSEGUE CON IL POST COMPLETO]








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