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Le dimensioni invisibili
...Difficile da digerire, è forse perché a scuola non gli è mai stato
insegnato il concetto di etere.
A partire dal 1905, con la rivoluzionaria conquista di Einstein, l’etere è diventato terreno riservato agli
storici della scienza, e i pochi scienziati che lo conoscono se ne fanno beffe.
Eppure l’etere fu il blocco
mentale che più di ogni altro ritardò l’avvento della relatività speciale, e il
genio di Einstein consisté per larga parte nella
capacità di liberarsene. Per citare le parole che egli stesso utilizzò nel
suo fondamentale articolo del 1905, “L’introduzione di un ‘etere luminifero’ si
dimostrerà superflua, dato che la visione qui sviluppata non richiede uno spazio assolutamente stazionario”.
Dunque Einstein aveva restituito
l’inesistenza al nulla, la vuotezza al vuoto. E adesso, vent’anni più
tardi, in preda a un tormento cosmico, faceva una retromarcia completa,
domandandosi se in fin dei conti non fosse possibile ascrivere una sorta di
esistenza al vuoto, di modo che potesse produrre gravità.
Poteva il nulla essere qualcosa?
Di fatto, Einstein assegnò un’esistenza al nulla, proponendo che il
vuoto potesse produrre gravità. Ma quando elaborò un modo coerente per inserire
questo fatto nella sua teoria, trovò un risultato curioso: la gravità del vuoto
avrebbe dovuto essere repulsiva. A quel punto Einstein deve avere fatto un gran
salto, perché sapeva che l’impossibilità di un Universo statico era una
conseguenza diretta della natura ‘attrattiva della gravità’.
Possibile che l’energia ‘repulsiva’ del vuoto fosse la soluzione?
Fin qui non c’era nulla di controverso; tutto rientrava nelle
predizioni della relatività. Ma ora notiamo un fatto interessante: la tensione
è una pressione negativa, e quindi gli effetti della tensione dovrebbero essere
tali per cui la capacità attrattiva degli oggetti è ridotta dalla sua presenza.
La tensione del vuoto è molto alta, così alta che gli effetti gravitazionali
della tensione sorpassano quelli della sua massa e, di conseguenza, la gravità
del vuoto è repulsiva. In termini newtoniani, il vuoto ha un peso negativo. Naturalmente
l’energia del vuoto è molto diluita, ed è distribuita uniformemente
dappertutto. Sulla scala del sistema solare, gli effetti gravitazionali della
materia sono di gran lunga superiori a quelli del vuoto. Bisogna spingersi a
distanze cosmologiche perché la densità del vuoto diventi paragonabile a quella
della materia ordinaria, e perché il lato repulsivo della gravità si manifesti.
Per ricapitolare, Einstein sapeva che un Universo irrequieto è una
conseguenza immediata della natura attrattiva della gravità. Ma ora sapeva
anche che, con l’aggiunta di una costante cosmologica, la gravità non è
necessariamente attrattiva. La domanda era: sarebbe stato possibile realizzare
un Universo statico facendo un uso giudizioso del nuovo ingrediente?
Einstein riuscì a ideare un modello di Universo statico all’interno
della teoria della relatività, anche se solo con l’aiuto della costante
cosmologica.
A dire il vero, l’Universo non sembra contento della propria
immobilità; dà anzi l’impressione di indossare una camicia di forza, in una
condizione di quiete imposta ma instabile. E tuttavia rimane immobile, a
beneficio delle generazioni a venire. Tutto questo serve solo a fare in modo
che l’Universo si adegui a un pregiudizio
semireligioso, a una credenza rispettata e tenuta per certa nel contesto della
cultura occidentale. Per ironia della sorte, proprio quando la cosmologia
era sul punto di sfuggire alla morsa della religione e della filosofia,
quest’ultima si prese la rivincita inquinando
il primo modello scientifico del cosmo. A credito di Einstein bisogna
aggiungere che la scienza si basa sui dati e che a quel tempo non esistevano
dati cosmologici; per questo il pregiudizio ne prese il posto. La ricetta che Einstein inventò per
soddisfare quel pregiudizio è ingegnosa, e senza di essa probabilmente non
avremmo mai sentito parlare della costante cosmologica. Fu così che egli trovò
quello che è chiamato oggi l’Universo statico di Einstein, la sua peggior
castroneria.
(Joao Magueijo, Più veloce della luce)
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