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L'ultimo Viaggio
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Padroni del Cielo (3/4)
Il
3 giugno 1928, un giovane guidatore di trattori e proiezionista di cinema che
viveva in un minuscolo villaggio russo, Nikolai Schmidt (appassionato di
trasmissioni radio a onde corte nel tempo libero), stava passando la serata
seduto alla ricetrasmittente che si era costruito da solo. Esplorava le varie
frequenze a onde corte. Sapeva bene che Nobile si trovava in Artide, ma la
notizia che la spedizione fosse dispersa non aveva ancora raggiunto
Voznesenye-Vokhma, il suo villaggio nelle fitte foreste presso Kostroma. In
quel luogo remoto i giornali arrivavano sempre con una settimana di ritardo.
Appena ebbe ricevuto il messaggio di SOS, Schmidt capì che era successo
qualcosa di grave. Il giorno dopo prese in prestito un po’ di denaro da un
vicino e mandò un telegramma a Mosca, alla Società dei Radioamatori Sovietici.
Il messaggio fu inoltrato al Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo,
come era chiamato all’epoca il Consiglio dei Ministri Sovietico). Quest’ultimo
ne informò il governo italiano.
Nel
frattempo, qualcuno in Norvegia aveva cominciato a provare apprensione per la
mancanza di notizie dall’Italia e aveva intuito che doveva essere capitata una
sciagura. Quel qualcuno era Roald Amundsen. Non appena ebbe ricevuto conferma,
Amundsen prese la decisione di organizzare rapidamente un’operazione di ricerca
e soccorso. Durante la spedizione dell’Italia in Norvegia si trovavano,
ovviamente, molti giornalisti italiani. Amundsen fu intervistato da uno di
questi, Davide Giudici del Corriere della Sera, presentando il suo pensiero
sulla vita e sulla morte:
‘Oh,
se solo sapesse quale splendore sia trovarsi lì, alle latitudini più estreme! È
lì che desidero morire. Che la morte possa mostrarsi galante con me, e
cogliermi nel mentre di qualche gloriosa impresa. Che possa essere rapida, e
dolce’.
Qualunque
cosa avesse oscurato i suoi rapporti col Generale Nobile, aggiunse Amundsen,
doveva considerarsi acqua passata. Egli non si sarebbe fermato nemmeno al
pensiero che Bess Magids, una donna statunitense con la quale si era fidanzato
e che aveva infine accettato di divenire sua moglie, era in viaggio per la
Norvegia per il loro matrimonio, che non si sarebbe mai celebrato.
Fridtjof
Nansen aveva quasi undici anni più di Amundsen e nel loro rapporto aveva sempre
avuto il ruolo di tutore e consigliere. Eppure nel 1928 fu lui il sostenitore
delle idee che avrebbero portato alla collaborazione internazionale nella
ricerca polare moderna. L’epoca d’oro del culto degli eroi e delle spedizioni
epiche era finita. I metodi di Amundsen erano datati, il futuro della ricerca
risiedeva nelle mappature dell’Artico con aerei e dirigibili. Anche gli
obiettivi di Amundsen, così incentrati sul successo personale, erano ormai
superati.
Nel
discorso forse più noto e apprezzato della storia polare dal titolo ‘In memoria
di Roald Amundsen’, Nansen fece spazio anche a una piccola, cauta critica alle
spedizioni del collega dopo il viaggio con la Maud. Scienziato Amundsen non lo
era, né voleva esserlo. Certo, in un primo momento si è dedicato a uno studio
metodico per le sue ricerche sul magnetismo, facendo un lavoro straordinario,
ma non c’è mai stato verso di coinvolgerlo nell’elaborazione successiva dei
dati o di convincerlo a proseguire su quella strada. Erano cose che sembravano annoiarlo.
Sono state le imprese in sé, le avventure, a catturarlo sempre di più, benché i
suoi viaggi abbiano portato contributi scientifici di altissimo livello,
espandendo la nostra conoscenza della Terra.
Il
resto del discorso è un tripudio di poesia. Nansen citava spesso i versi del poeta
inglese Robert Service, ma in quel discorso li elevò a elogio funebre. Un atto
finale, una porta che si chiude sul passato:
Importante
tanto quanto il contributo scientifico era per lui l’azione, anzi proprio le imprese
erano quel che lui considerava più importante. Che esempio luminoso per i nostri
giovani! Ogni sua mossa era permeata da una volontà tenace e coraggiosa:
‘Sii fedele a te stesso e la vita ti
incoronerà’,
si
dice.
Egli
è stato fedele alla parte migliore di sé.
Ha
dedicato tutta l’età adulta e tutto ciò che aveva alla realizzazione dei suoi ideali
di gioventù. Gli ostacoli che si sono susseguiti non hanno che rafforzato la
sua volontà, fino alla vittoria. Vedete, è stata questa la sua grande impresa:
la vita l’ha incoronato. E alla fine del viaggio è tornato alle terre di
ghiaccio, dove lo aspettavano le avventure della sua vita. Lì ha trovato una
tomba ignota, sotto il cielo terso del mondo glaciale e nel fruscio d’ali
dell’eternità che attraversa l’aria. Ma in quell’immenso, bianco silenzio il
suo nome brillerà ancora nell’aurora boreale per i giovani norvegesi dei secoli
a venire. Sapere che esistono uomini col suo coraggio, la sua volontà e la sua
forza infonde fiducia nell’uomo e nel futuro. È ancora giovane un mondo capace
di generare simili figli.
Nessuno
poté evitare di commuoversi a queste parole. Non c’era il minimo dubbio sulla
sincerità di Nansen, ma il suo discorso aveva anche un obiettivo preciso:
indipendentemente da quanto era stato detto su Amundsen, con schiettezza o
dietro le sue spalle, ora era importante curare il dolore e la rabbia che
dilagavano nel popolo norvegese, armonizzare le diverse fazioni e schieramenti,
costruire un ponte verso la ricerca polare del tempo nuovo.
In
Italia si scelse un’altra via.
Qualunque
cosa fosse, Amundsen non fu l’unico a rendersi conto che l’Italia era in
difficoltà. I governi di Italia, Norvegia, Svezia e dell’Unione Sovietica
preparavano loro spedizioni di ricerca e soccorso.
Le
ultime notizie dell’Italia risalivano al 25 maggio. Il 27, la Città di Milano
partì dalla Kings Bay e fece rotta verso le coste settentrionali di
Spitsbergen; le condizioni estremamente avverse del ghiaccio, tuttavia,
rallentarono sensibilmente il movimento della nave.
Quello
stesso giorno il governo italiano prese a nolo due baleniere norvegesi — la
Braganza e la Hobby — con a bordo i due aviatori Hjalmar Riiser-Larsen e Finn
Lutzow-Holm (per inciso, Larsen aveva accompagnato Nobile e Amundsen sul
Norge). Molto presto fu chiaro che le normali imbarcazioni erano di poco o
nessun aiuto. Solo un potente rompighiaccio avrebbe potuto portare a termine la
missione.
Nel
frattempo, il lastrone di ghiaccio che trasportava la Tenda Rossa andava alla
deriva verso sud.
28
Maggio — 2 Giugno
Molti
paesi passarono all’azione per organizzare spedizioni alla ricerca dell’Italia.
“Norvegesi, Italiani, Svedesi e Francesi provarono una sorta di nobile rivalità
nella loro intenzione di essere i primi ad aiutare coloro che si trovavano in
difficoltà, così ciascuna spedizione preferì agire indipendentemente dalle
altre, ciascuna prendendo rischi per conto proprio”, avrebbe scritto Nobile,
con estrema delicatezza, ricordando questa competizione alquanto inopportuna.
L’Unione
Sovietica non esitò a partecipare a questo sforzo di ricerca e soccorso. Il 29
maggio, il governo stabilì un’apposita commissione preposta ad assistere nella
ricerca dell’equipaggio dell’Italia. Il Comitato contava in larga misura sulle
risorse e le infrastrutture della Società Volontaria per la Cooperazione con
l’Esercito, l’Aviazione e la Marina, inizialmente chiamata OSOAVIAKHIM. Sulla
base delle indicazioni del direttore dell’Istituto per Ricerche e gli Studi sul
Nord, l’esperto esploratore polare Rudolf
Samoilovich, fu presa la decisione di inviare in missione due
rompighiaccio — il Malygin e il Sedov — con a bordo aerei da ricognizione.
Mussolini
e Balbo erano entrambi uomini orgogliosi e impegnati sul fronte dell’onore
personale e nazionale. Agli occhi dei più la spedizione con l’Italia era stata
una totale disfatta, anche se diversi ricercatori avrebbero poi respinto questa
visione. L’umiliazione subita sulla stampa internazionale era una catastrofe
per la dittatura italiana, che sentiva l’esigenza di risolvere al più presto la
questione delle responsabilità del disastro e di tutti gli scandali che ne
erano seguiti. Nobile fu la vittima più naturale. Con grande sorpresa di chi
aveva seguito da vicino le azioni di soccorso, però, nel rapporto della
commissione d’inchiesta italiana furono criticati duramente anche il giovane
Viglieri, che invece con grande valore aveva tenuto alto il morale
dell’accampamento dopo il salvataggio di Nobile, il radiotelegrafista Biagi e
il ricercatore cecoslovacco Běhounek.
Mariano
e Zappi, che avevano testimoniato contro Nobile, furono invece trattati con riguardo
ed elogiati per la loro impresa eroica. Adolf Hoel avrebbe potuto dare un
contributo per difendere chi veniva usato come capro espiatorio per il
fallimento della spedizione, anche se probabilmente non sarebbe servito a
niente. Optò invece per un approccio più pragmatico: disse sì quello che
pensava, ma non tutto quello che pensava. Il nuovo direttore del l’Ufficio
norvegese per la ricerca alle Svalbard e nell’area artica era un uomo
collaborativo ed era sceso a Roma come diplomatico, curando gli interessi di
una giovane nazione con grandi ambizioni nell’Artide.
Anche
i giornali norvegesi scandalistici alla fine esagerarono con il carico di
recriminazioni nei confronti del generale italiano, ormai destituito.
3–7
Giugno
Il
3 giugno, il radioamatore nel villaggio di Voznesenye-Vokhma ricevette la
chiamata di soccorso dell’Italia. La notizia fece il giro del mondo in pochi
giorni. Il 7 giugno arrivò su tutti i giornali, accompagnata da grande
commozione. Le corrispondenze giornalistiche da tutto il mondo si affollarono
nell’etere causando pericolose interferenze, che non contribuirono affatto a
semplificare le ricerche. Non fu creato alcun centro di coordinamento per la
gestione delle operazioni.
L’Unione
Sovietica procedeva a grandi passi nella preparazione della sua spedizione di
soccorso. Quando fu chiaro che le navi avrebbero dovuto spingersi fino alle
coste nord-occidentali di Spitsbergen, area congestionata da spessi banchi di
ghiaccio, il Sedov fu rimpiazzato dal più potente rompighiaccio sovietico del
tempo — il Krassin. Rudolf Samoilovich si offrì di guidare egli stesso
l’operazione.
Nel
frattempo, la Braganza e la Hobby cercavano di esplorare l’area procedendo per
tentativi.
8–14
Giugno
L’8
giugno, la Città di Milano finalmente ricevette una chiamata di soccorso dai
sopravvissuti del dirigibile. La Braganza tornò indietro alla Kings Bay per
acquisire istruzioni dettagliate, mentre la Hobby iniziò a muoversi nella
direzione opposta alla ricerca del gruppo diretto da Malmgren — i tre che
avevano lasciato la Tenda Rossa in cerca di aiuto.
Il
12 giugno, il primo gruppo sovietico a bordo del rompighiaccio Malygin lasciò
Arcangelo. Il 14 giugno prese a bordo l’aviatore Babushkin e fece rotta verso
Hopen (Hope Island) — l’isola più a sud-est delle Spitzbergen.
Il
13 giugno, la Quest, una baleniera presa a nolo dal governo svedese, partì da
Tromsø con a bordo aviatori. Uno di loro, Einar Lundborg, avrebbe avuto un
ruolo importante nelle operazioni di soccorso.
15–17
Giugno
Il
15 giugno, il rompighiaccio Krassin salpò dal porto di Leningrado: la
spedizione, al comando di Rudolf Samoilovich, del Capitano Karl Eggi e del
pilota Boris Chuhnovsky procedette lungo le coste della Scandinavia, avendo
come destinazione ultima Capo Leigh-Smith — l’estremità nord-orientale delle
Svalbard. Esploratori polari di grande esperienza, compreso il leggendario
Fridtjof Nansen, puntarono inequivocabilmente le loro speranze sul successo del
Krassin.
Il
17 giugno, il Malygin entrò nella zona dei ghiacci. Intanto, Riiser-Larsen e
Lutzow-Holm continuavano a volare su sconfinati banchi di ghiaccio. Più tardi
risultò che Nobile li aveva visti, ma loro non avevano scorto la tenda.
Apparentemente, gli aerei erano arrivati ad appena un paio di chilometri dal
campo.
Il
contratto della Hobby col governo italiano stava scadendo ed entrambi gli
aviatori norvegesi si imbarcarono sulla Braganza.
18–21
Giugno
Per
tutta la giornata del 18, gli Italiani e gli Svedesi condussero tentativi
infruttuosi di giungere in volo alle Svalbard. Il tempo peggiorava, a causa di
una bassa pressione che si formatasi sull’arcipelago. Ciò tuttavia non bastò a
fermare Amundsen. Egli si imbarcò su un idrovolante costruito ed equipaggiato
dai Francesi, il Latham 47, decollando alla volta delle Svalbard. Il Latham 47
era inadatto alle missioni in Artico, perché era incapace di atterrare su
superfici solide e, se il mare fosse stato mosso, anche sull’acqua.
L’ultimo
contatto radio col velivolo si ebbe 2 ore e 45 minuti dopo la partenza. A
quell’ora, esso doveva trovarsi approssimativamente a metà del percorso verso
le Svalbard. Tre giorni dopo, fu chiaro che anche Amundsen era in pericolo. La
Norvegia chiese all’Unione Sovietica di prendere parte alle operazioni di
ricerca per il suo eroe nazionale.
Altri
tentativi di ricerca ebbero alla fine successo. Il 20 giugno, l’aviatore
Umberto Maddalena individuò la Tenda Rossa e lanciò ai naufraghi viveri di
conforto.
22–28
Giugno
La
Tenda Rossa era stata finalmente individuata, ma non vi era alcun idrovolante
in grado di atterrare nei suoi pressi. Il 22–23 giugno, Maddalena e i colleghi
svedesi aviolanciarono ancora provviste, medicinali, armi, batterie e una
piccola imbarcazione.
Il
24 giugno, lo svedese Einar Lundborg riuscì ad atterrare sul ghiaccio. Per
questo volo poteva riportare indietro solo uno dei naufraghi. Nobile chiese che
fosse prelevato Cecioni che, come lui, aveva una gamba rotta. Cecioni tuttavia
era troppo pesante per l’aereo di Lundborg. Il pilota riuscì a convincere
Nobile a partire dalla Tenda Rossa per primo. Con la grave ferita alla gamba,
il comandante della spedizione era più che altro di peso per i suoi compagni. I
contemporanei di Nobile, tuttavia, non gli avrebbero perdonato di aver
acconsentito. Il comandante sarebbe dovuto essere l’ultimo a partire; ma la sua
nave, del resto, era ormai perduta da tempo. La decisione di Nobile di portare
con sé Titina avrebbe suscitato ancora più astio nei suoi riguardi, poiché
diede l’impressione che tenesse più a mettere in salvo la sua mascotte che i
suoi compagni.
Nobile
accettò di partire solo ad una condizione: che Lundborg effettuasse subito un
altro volo per recuperare un altro membro della spedizione. Lundborg mantenne
la promessa e tornò subito indietro. Tuttavia, durante la manovra di
atterraggio, il suo Fokker cappottò nella neve. Lo svedese, che aveva appena
soccorso Nobile, si trovò a fare a cambio di posto con lui, divenendo un altro
naufrago della Tenda Rossa.
Frattanto,
il Krassin aveva raggiunto l’Oceano Artico.
29
Giugno — 11 Luglio
Maltempo
e tempeste magnetiche ostacolavano le comunicazioni radio e rallentarono i
soccorsi per oltre una settimana. Il Krassin lottava contro ghiacci di grande
spessore e subì alcuni problemi al timone. Gli aviatori effettuavano
ricognizioni dall’alto per identificare la rotta più praticabile.
Boris
Chukhnovsky decollò il 10 luglio e individuò immediatamente il gruppo Malmgren,
che aveva lasciato il campo alla ricerca di aiuto il quinto giorno dopo
l’incidente. Era da quel momento che non si avevano notizie dei tre. Le
coordinate del Gruppo furono trasmesse via radio al Krassin e il rompighiaccio
iniziò a dirigersi verso quella posizione.
Malmgren,
però, non era più coi suoi compagni.
7:00
| 12 Luglio
Il
Krassin prese a bordo Filippo Zappi e Adalberto Mariano, che avevano lasciato
il campo insieme a Finn Malmgren. Il contrasto fra i due suscitò perplessità:
Zappi appariva in buona forma, non appariva denutrito e indossava molti strati
di vestiti; Mariano invece era stremato e insufficientemente coperto: i suoi
piedi apparivano tanto gravemente congelati che uno di essi, dovette essere
amputato non appena egli fu a bordo del rompighiaccio.
La
loro guida, Finn Malmgren, dissero, era morto un mese prima. Secondo le loro
dichiarazioni, aveva chiesto di essere lasciato dov’era, con un braccio rotto e
un piede congelato, e di poter morire nel ghiaccio. Dissero che aveva lasciato
i suoi vestiti pesanti agli Italiani. Il suo ultimo desiderio era stato che i
compagni preparassero per lui una tomba nel ghiaccio con un’ascia.
Malmgren
avrebbe detto loro: “Mi metterò a giacere in questa fossa per morire. Quando le
onde del mare riempiranno d’acqua la mia tomba di ghiaccio, io resterò
congelato in essa fino a che una nave non mi troverà in questa bara
trasparente”. Zappi avrebbe cercato di fare una battuta per sdrammatizzare la
loro condizione: “Staresti qui come un frutto congelato”. Malmgren non avrebbe
apprezzato lo scherzo e, con impazienza, avrebbe mosso la mano in segno di
saluto.
12:00
| 12 Luglio
Il
Krassin passò in prossimità di Gennaro Sora e dell’olandese Sjef van Dongen,
due uomini di una delle molte spedizioni che erano andate in soccorso di
Nobile, che erano sbarcati dalla Braganza il 18 giugno. Il terzo membro del
loro gruppo — Ludvig Varming, un danese — aveva dovuto lasciarli poco dopo la
partenza. Aveva sviluppato una oftalmia da ghiacci, non era più stato in grado
di guidare la slitta trainata da cani ed era stato costretto a tornare
indietro. I due uomini erano a corto di provviste e il viaggio era stato molto
difficile per i cani. Cinque su nove erano morti, uno dopo l’altro. La carne di
cane aveva permesso a Sora e Van Dongen di sopravvivere fino al momento in cui
erano stati soccorsi: “Solo due cani erano rimasti vivi. Stavamo finendo la
carne del terzo; il corpo del quarto era stato messo da parte”.
Col
tempo la polemica si smorzò e cominciarono ad affiorare diversi punti di vista.
Tuttavia, fu solo con il libro del 2002 di Steinar Aas, Tragedien Umberto
Nobile, che i norvegesi fecero ammenda per le critiche più aggressive e fuori
luogo rivolte a Nobile come capo della spedizione. Già dal 1905 Roald Amundsen
era un simbolo unificante per il popolo norvegese, in un momento storico in cui
lentamente si costruiva l’autonomia della nazione.
La
percezione dei norvegesi delle proprie capacità in ambito polare aveva radici
profonde e fu rinforzata, a cavallo del secolo, dalle spedizioni e dai libri di
Fridtjof Nansen. Il punto non era solo la vicinanza geografica, ma una
sensibilità che era maturata nei secoli, una sintonia con il paesaggio. Le
nobili imprese di cui parlava e scriveva Nansen trovarono la loro realizzazione
nelle numerose conquiste di Roald Amundsen.
Lui
non aveva il talento di Nansen nella scrittura o nella retorica, ma quando
parlava lo faceva col cuore. Nonostante la sua riservatezza, era molto più
accessibile alla gente comune. Nell’estate del 1928, quando era partito per il
suo ultimo viaggio con il Latham, può darsi che Amundsen volesse riconquistarsi
quel ruolo da eroe che aveva conosciuto dopo la spedizione al Polo Sud. Forse
voleva rivivere le euforiche acclamazioni popolari del passato. Era come se
avesse chiuso le orecchie alle critiche seguite alla pubblicazione, l’anno
prima, della sua autobiografia. Non si rendeva conto di non dover dimostrare
più nulla alla gente. Per tutta la vita aveva inseguito l’affetto e il rispetto
genuini del popolo norvegese.
Nel
1928 non aveva ancora capito di averli già conquistati.
La
rabbia della gente per la morte di Amundsen si sfogò in ogni direzione. Si
disse che l’esploratore non era stato sostenuto nel suo tentativo eroico di salvare
Nobile.
Perché
proprio lui, di tutti coloro che erano partiti per le Svalbard, era stato
costretto a elemosinare un sostegno economico?
La
compagnia tedesca Dornier non poteva prestarglielo, un aereo?
Era
risaputo che Amundsen non aveva un soldo e che spesso, quando partiva per le spedizioni,
le sue finanze non erano proprio in ordine, ma le cose sarebbero andate
diversamente se avesse avuto un mezzo di cui potersi fidare. Quell’idrovolante
francese offerto all’ultimo minuto, poi, non era che un prototipo, non era
stato nemmeno collaudato. Era adatto, quel Latham, a un viaggio nell’Artide? In
Norvegia fu detto e scritto che l’aspetto più drammatico della grande tragedia
dell’Italia era stato il sacrificio della propria vita compiuto da Amundsen per
salvare un italiano che già durante la spedizione con il Norge si era mostrato
suo rivale.
Si
decise di recuperare i due uomini durante la tratta di ritorno, dopo aver
salvato il “gruppo Viglieri”. Questo nome iniziò ad essere usato in relazione a
quelli che erano rimasti nella Tenda Rossa dopo l’evacuazione di Nobile.
Tuttavia, alcuni aviatori svedesi recuperarono Sora e van Dongen lo stesso
giorno. I due cani superstiti furono abbandonati al loro destino.
22:00
| 12 Luglio
La
sera dello stesso giorno, il Krassin raggiunse gli ultimi cinque uomini della
Tenda Rossa — Viglieri, Behounek, Biagi, Trojani e Cecioni. Al momento in cui
era arrivato il rompighiaccio, il pack su cui si trovavano i naufraghi aveva
iniziato a sciogliersi e a restringersi. Era stato necessario spostare più
volte la tenda verso luoghi più asciutti.
Rudolf
Samoilovich e altri 20 uomini del Krassin scesero sul ghiaccio per accogliere i
naufraghi. L’operatore radio Biagi si alzò e richiuse il coperchio della
stazione radio da campo con una frase teatrale: “È finita la commedia!”
Qualunque
tentativo di Nobile e del Krassin di continuare la ricerca per i sei membri
dell’equipaggio trascinati via dall’involucro dopo l’incidente fu impedito da
Roma, dove i dispersi erano già stati dichiarati morti.
Non
posso smettere di pensare alla sorte degli altri sei che si trovavano
nell’involucro volato via. Riusciremo a riportarli alla vita? Le operazioni per
il soccorso dei naufraghi dell’Italia era finita. Era durata poco meno di due
mesi e aveva coinvolto sei paesi, 18 navi, 21 aerei e 1.500 uomini.
All’arrivo
alla Kings Bay, tutti quelli che erano stati soccorsi furono trasferiti sulla
Città di Milano. Il 22 luglio partirono verso casa. Il Krassin restò in Artide
fino all’autunno, impegnato nelle ricerche di Roald Amundsen — vivo o morto che
fosse — ma non trovò nulla. Fece ritorno a Leningrado il 5 ottobre, accolto da
250.000 cittadini.
La
scomparsa di Amundsen fu vissuta come una tragedia nazionale in Norvegia. I
membri dell’equipaggio del Krassin ricordavano che mentre il rompighiaccio si
muoveva lungo le coste della Norvegia, le popolazioni locali gridavano verso di
loro: “Salvate il nostro Amundsen!” Finché, nelle prime ore del 1° settembre,
un peschereccio chiamato Brodd recuperò un galleggiante del Latham 47. Di lì a
poco fu ritrovato anche un serbatoio dell’aereo.
In
patria, Nobile ricevette, dalle autorità un’accoglienza fredda. Fu accusato
d’aver abbandonato i suoi uomini tra i ghiacci e, più in generale, di aver
provocato il disastro. Il governo italiano lo marginalizzò, inducendolo alle
dimissioni dai ranghi dell’Aeronautica. Un anno dopo, Nobile ricevette l’invito
inatteso, da parte delle autorità sovietiche, di recarsi a dirigere
un’industria sperimentale di costruzione per dirigibili. Accettò. Nobile arrivò
in Unione Sovietica nella primavera del 1932 insieme ad un gruppo di tecnici,
uno dei quali era stato membro del suo equipaggio sull’Italia, Felice Trojani.
Nei
circa cinque anni che passò in Unione Sovietica, Nobile organizzò il progetto e
la costruzione di tre dirigibili che per alcuni aspetti erano delle copie
dell’Italia. Più tardi avrebbe descritto il periodo in Unione Sovietica come
gli anni più belli della sua vita. Condusse uno stile di vita agiato e
confortevole. Costruì un piccolo dirigibile per sé, col quale andare da casa al
lavoro. Per quanto riguardava poi la sua mascotte, Titina, che aveva contratto
lo scorbuto nell’Artide, la portò da un dentista. Secondo le fonti russe,
girava voce che Titina avesse avuto impiantati denti d’oro e che la cosa fosse
stata considerata divertente dai bambini del luogo. Si dice che fossero anche
stati compiuti tentativi di rapire il cane dai denti d’oro. Tutto questo
accadeva nella località detta Dirizhablestroi (letteralmente “Fabbrica per
Dirigibili”), presso Mosca. Oggi l’area corrisponde alla cittadina di
Dolgoprudny.
La
grande operazione di ricerca internazionale dei sopravvissuti dell’Italia era
costata molte vite umane e per molti norvegesi – dai minatori delle Svalbard ai
pescatori del Nord, dagli esploratori ai ricercatori polari, la scomparsa del Latham restava un mistero.
Eppure doveva esserci una spiegazione. Possibile che Amundsen, il più esperto
al mondo di aree polari, dovesse essere svanito nel nulla proprio lì? Era
troppo presto per abbandonare la speranza. Lui e il resto dell’equipaggio
dovevano essere là fuori da qualche parte.
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