giuliano

sabato 2 maggio 2020

L'ULTIMO VIAGGIO (2)











































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L'ultimo Viaggio

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Il 3 giugno 1928, un giovane guidatore di trattori e proiezionista di cinema che viveva in un minuscolo villaggio russo, Nikolai Schmidt (appassionato di trasmissioni radio a onde corte nel tempo libero), stava passando la serata seduto alla ricetrasmittente che si era costruito da solo. Esplorava le varie frequenze a onde corte. Sapeva bene che Nobile si trovava in Artide, ma la notizia che la spedizione fosse dispersa non aveva ancora raggiunto Voznesenye-Vokhma, il suo villaggio nelle fitte foreste presso Kostroma. In quel luogo remoto i giornali arrivavano sempre con una settimana di ritardo. Appena ebbe ricevuto il messaggio di SOS, Schmidt capì che era successo qualcosa di grave. Il giorno dopo prese in prestito un po’ di denaro da un vicino e mandò un telegramma a Mosca, alla Società dei Radioamatori Sovietici. Il messaggio fu inoltrato al Sovnarkom (il Consiglio dei Commissari del Popolo, come era chiamato all’epoca il Consiglio dei Ministri Sovietico). Quest’ultimo ne informò il governo italiano.

Nel frattempo, qualcuno in Norvegia aveva cominciato a provare apprensione per la mancanza di notizie dall’Italia e aveva intuito che doveva essere capitata una sciagura. Quel qualcuno era Roald Amundsen. Non appena ebbe ricevuto conferma, Amundsen prese la decisione di organizzare rapidamente un’operazione di ricerca e soccorso. Durante la spedizione dell’Italia in Norvegia si trovavano, ovviamente, molti giornalisti italiani. Amundsen fu intervistato da uno di questi, Davide Giudici del Corriere della Sera, presentando il suo pensiero sulla vita e sulla morte:

‘Oh, se solo sapesse quale splendore sia trovarsi lì, alle latitudini più estreme! È lì che desidero morire. Che la morte possa mostrarsi galante con me, e cogliermi nel mentre di qualche gloriosa impresa. Che possa essere rapida, e dolce’.

Qualunque cosa avesse oscurato i suoi rapporti col Generale Nobile, aggiunse Amundsen, doveva considerarsi acqua passata. Egli non si sarebbe fermato nemmeno al pensiero che Bess Magids, una donna statunitense con la quale si era fidanzato e che aveva infine accettato di divenire sua moglie, era in viaggio per la Norvegia per il loro matrimonio, che non si sarebbe mai celebrato.




Fridtjof Nansen aveva quasi undici anni più di Amundsen e nel loro rapporto aveva sempre avuto il ruolo di tutore e consigliere. Eppure nel 1928 fu lui il sostenitore delle idee che avrebbero portato alla collaborazione internazionale nella ricerca polare moderna. L’epoca d’oro del culto degli eroi e delle spedizioni epiche era finita. I metodi di Amundsen erano datati, il futuro della ricerca risiedeva nelle mappature dell’Artico con aerei e dirigibili. Anche gli obiettivi di Amundsen, così incentrati sul successo personale, erano ormai superati.

Nel discorso forse più noto e apprezzato della storia polare dal titolo ‘In memoria di Roald Amundsen’, Nansen fece spazio anche a una piccola, cauta critica alle spedizioni del collega dopo il viaggio con la Maud. Scienziato Amundsen non lo era, né voleva esserlo. Certo, in un primo momento si è dedicato a uno studio metodico per le sue ricerche sul magnetismo, facendo un lavoro straordinario, ma non c’è mai stato verso di coinvolgerlo nell’elaborazione successiva dei dati o di convincerlo a proseguire su quella strada. Erano cose che sembravano annoiarlo. Sono state le imprese in sé, le avventure, a catturarlo sempre di più, benché i suoi viaggi abbiano portato contributi scientifici di altissimo livello, espandendo la nostra conoscenza della Terra.

Il resto del discorso è un tripudio di poesia. Nansen citava spesso i versi del poeta inglese Robert Service, ma in quel discorso li elevò a elogio funebre. Un atto finale, una porta che si chiude sul passato:

Importante tanto quanto il contributo scientifico era per lui l’azione, anzi proprio le imprese erano quel che lui considerava più importante. Che esempio luminoso per i nostri giovani! Ogni sua mossa era permeata da una volontà tenace e coraggiosa:

‘Sii fedele a te stesso e la vita ti incoronerà’,

si dice.

Egli è stato fedele alla parte migliore di sé.

Ha dedicato tutta l’età adulta e tutto ciò che aveva alla realizzazione dei suoi ideali di gioventù. Gli ostacoli che si sono susseguiti non hanno che rafforzato la sua volontà, fino alla vittoria. Vedete, è stata questa la sua grande impresa: la vita l’ha incoronato. E alla fine del viaggio è tornato alle terre di ghiaccio, dove lo aspettavano le avventure della sua vita. Lì ha trovato una tomba ignota, sotto il cielo terso del mondo glaciale e nel fruscio d’ali dell’eternità che attraversa l’aria. Ma in quell’immenso, bianco silenzio il suo nome brillerà ancora nell’aurora boreale per i giovani norvegesi dei secoli a venire. Sapere che esistono uomini col suo coraggio, la sua volontà e la sua forza infonde fiducia nell’uomo e nel futuro. È ancora giovane un mondo capace di generare simili figli.

Nessuno poté evitare di commuoversi a queste parole. Non c’era il minimo dubbio sulla sincerità di Nansen, ma il suo discorso aveva anche un obiettivo preciso: indipendentemente da quanto era stato detto su Amundsen, con schiettezza o dietro le sue spalle, ora era importante curare il dolore e la rabbia che dilagavano nel popolo norvegese, armonizzare le diverse fazioni e schieramenti, costruire un ponte verso la ricerca polare del tempo nuovo.

In Italia si scelse un’altra via.




Qualunque cosa fosse, Amundsen non fu l’unico a rendersi conto che l’Italia era in difficoltà. I governi di Italia, Norvegia, Svezia e dell’Unione Sovietica preparavano loro spedizioni di ricerca e soccorso.

Le ultime notizie dell’Italia risalivano al 25 maggio. Il 27, la Città di Milano partì dalla Kings Bay e fece rotta verso le coste settentrionali di Spitsbergen; le condizioni estremamente avverse del ghiaccio, tuttavia, rallentarono sensibilmente il movimento della nave.

Quello stesso giorno il governo italiano prese a nolo due baleniere norvegesi — la Braganza e la Hobby — con a bordo i due aviatori Hjalmar Riiser-Larsen e Finn Lutzow-Holm (per inciso, Larsen aveva accompagnato Nobile e Amundsen sul Norge). Molto presto fu chiaro che le normali imbarcazioni erano di poco o nessun aiuto. Solo un potente rompighiaccio avrebbe potuto portare a termine la missione.

Nel frattempo, il lastrone di ghiaccio che trasportava la Tenda Rossa andava alla deriva verso sud.

28 Maggio — 2 Giugno

Molti paesi passarono all’azione per organizzare spedizioni alla ricerca dell’Italia. “Norvegesi, Italiani, Svedesi e Francesi provarono una sorta di nobile rivalità nella loro intenzione di essere i primi ad aiutare coloro che si trovavano in difficoltà, così ciascuna spedizione preferì agire indipendentemente dalle altre, ciascuna prendendo rischi per conto proprio”, avrebbe scritto Nobile, con estrema delicatezza, ricordando questa competizione alquanto inopportuna.

L’Unione Sovietica non esitò a partecipare a questo sforzo di ricerca e soccorso. Il 29 maggio, il governo stabilì un’apposita commissione preposta ad assistere nella ricerca dell’equipaggio dell’Italia. Il Comitato contava in larga misura sulle risorse e le infrastrutture della Società Volontaria per la Cooperazione con l’Esercito, l’Aviazione e la Marina, inizialmente chiamata OSOAVIAKHIM. Sulla base delle indicazioni del direttore dell’Istituto per Ricerche e gli Studi sul Nord, l’esperto esploratore polare Rudolf  Samoilovich, fu presa la decisione di inviare in missione due rompighiaccio — il Malygin e il Sedov — con a bordo aerei da ricognizione.




Mussolini e Balbo erano entrambi uomini orgogliosi e impegnati sul fronte dell’onore personale e nazionale. Agli occhi dei più la spedizione con l’Italia era stata una totale disfatta, anche se diversi ricercatori avrebbero poi respinto questa visione. L’umiliazione subita sulla stampa internazionale era una catastrofe per la dittatura italiana, che sentiva l’esigenza di risolvere al più presto la questione delle responsabilità del disastro e di tutti gli scandali che ne erano seguiti. Nobile fu la vittima più naturale. Con grande sorpresa di chi aveva seguito da vicino le azioni di soccorso, però, nel rapporto della commissione d’inchiesta italiana furono criticati duramente anche il giovane Viglieri, che invece con grande valore aveva tenuto alto il morale dell’accampamento dopo il salvataggio di Nobile, il radiotelegrafista Biagi e il ricercatore cecoslovacco Běhounek.

Mariano e Zappi, che avevano testimoniato contro Nobile, furono invece trattati con riguardo ed elogiati per la loro impresa eroica. Adolf Hoel avrebbe potuto dare un contributo per difendere chi veniva usato come capro espiatorio per il fallimento della spedizione, anche se probabilmente non sarebbe servito a niente. Optò invece per un approccio più pragmatico: disse sì quello che pensava, ma non tutto quello che pensava. Il nuovo direttore del l’Ufficio norvegese per la ricerca alle Svalbard e nell’area artica era un uomo collaborativo ed era sceso a Roma come diplomatico, curando gli interessi di una giovane nazione con grandi ambizioni nell’Artide.

Anche i giornali norvegesi scandalistici alla fine esagerarono con il carico di recriminazioni nei confronti del generale italiano, ormai destituito.




3–7 Giugno
Il 3 giugno, il radioamatore nel villaggio di Voznesenye-Vokhma ricevette la chiamata di soccorso dell’Italia. La notizia fece il giro del mondo in pochi giorni. Il 7 giugno arrivò su tutti i giornali, accompagnata da grande commozione. Le corrispondenze giornalistiche da tutto il mondo si affollarono nell’etere causando pericolose interferenze, che non contribuirono affatto a semplificare le ricerche. Non fu creato alcun centro di coordinamento per la gestione delle operazioni.

L’Unione Sovietica procedeva a grandi passi nella preparazione della sua spedizione di soccorso. Quando fu chiaro che le navi avrebbero dovuto spingersi fino alle coste nord-occidentali di Spitsbergen, area congestionata da spessi banchi di ghiaccio, il Sedov fu rimpiazzato dal più potente rompighiaccio sovietico del tempo — il Krassin. Rudolf Samoilovich si offrì di guidare egli stesso l’operazione.

Nel frattempo, la Braganza e la Hobby cercavano di esplorare l’area procedendo per tentativi.

8–14 Giugno
L’8 giugno, la Città di Milano finalmente ricevette una chiamata di soccorso dai sopravvissuti del dirigibile. La Braganza tornò indietro alla Kings Bay per acquisire istruzioni dettagliate, mentre la Hobby iniziò a muoversi nella direzione opposta alla ricerca del gruppo diretto da Malmgren — i tre che avevano lasciato la Tenda Rossa in cerca di aiuto.

Il 12 giugno, il primo gruppo sovietico a bordo del rompighiaccio Malygin lasciò Arcangelo. Il 14 giugno prese a bordo l’aviatore Babushkin e fece rotta verso Hopen (Hope Island) — l’isola più a sud-est delle Spitzbergen.

Il 13 giugno, la Quest, una baleniera presa a nolo dal governo svedese, partì da Tromsø con a bordo aviatori. Uno di loro, Einar Lundborg, avrebbe avuto un ruolo importante nelle operazioni di soccorso.

15–17 Giugno
Il 15 giugno, il rompighiaccio Krassin salpò dal porto di Leningrado: la spedizione, al comando di Rudolf Samoilovich, del Capitano Karl Eggi e del pilota Boris Chuhnovsky procedette lungo le coste della Scandinavia, avendo come destinazione ultima Capo Leigh-Smith — l’estremità nord-orientale delle Svalbard. Esploratori polari di grande esperienza, compreso il leggendario Fridtjof Nansen, puntarono inequivocabilmente le loro speranze sul successo del Krassin.

Il 17 giugno, il Malygin entrò nella zona dei ghiacci. Intanto, Riiser-Larsen e Lutzow-Holm continuavano a volare su sconfinati banchi di ghiaccio. Più tardi risultò che Nobile li aveva visti, ma loro non avevano scorto la tenda. Apparentemente, gli aerei erano arrivati ad appena un paio di chilometri dal campo.

Il contratto della Hobby col governo italiano stava scadendo ed entrambi gli aviatori norvegesi si imbarcarono sulla Braganza.

18–21 Giugno
Per tutta la giornata del 18, gli Italiani e gli Svedesi condussero tentativi infruttuosi di giungere in volo alle Svalbard. Il tempo peggiorava, a causa di una bassa pressione che si formatasi sull’arcipelago. Ciò tuttavia non bastò a fermare Amundsen. Egli si imbarcò su un idrovolante costruito ed equipaggiato dai Francesi, il Latham 47, decollando alla volta delle Svalbard. Il Latham 47 era inadatto alle missioni in Artico, perché era incapace di atterrare su superfici solide e, se il mare fosse stato mosso, anche sull’acqua.

L’ultimo contatto radio col velivolo si ebbe 2 ore e 45 minuti dopo la partenza. A quell’ora, esso doveva trovarsi approssimativamente a metà del percorso verso le Svalbard. Tre giorni dopo, fu chiaro che anche Amundsen era in pericolo. La Norvegia chiese all’Unione Sovietica di prendere parte alle operazioni di ricerca per il suo eroe nazionale.

Altri tentativi di ricerca ebbero alla fine successo. Il 20 giugno, l’aviatore Umberto Maddalena individuò la Tenda Rossa e lanciò ai naufraghi viveri di conforto.

22–28 Giugno
La Tenda Rossa era stata finalmente individuata, ma non vi era alcun idrovolante in grado di atterrare nei suoi pressi. Il 22–23 giugno, Maddalena e i colleghi svedesi aviolanciarono ancora provviste, medicinali, armi, batterie e una piccola imbarcazione.

Il 24 giugno, lo svedese Einar Lundborg riuscì ad atterrare sul ghiaccio. Per questo volo poteva riportare indietro solo uno dei naufraghi. Nobile chiese che fosse prelevato Cecioni che, come lui, aveva una gamba rotta. Cecioni tuttavia era troppo pesante per l’aereo di Lundborg. Il pilota riuscì a convincere Nobile a partire dalla Tenda Rossa per primo. Con la grave ferita alla gamba, il comandante della spedizione era più che altro di peso per i suoi compagni. I contemporanei di Nobile, tuttavia, non gli avrebbero perdonato di aver acconsentito. Il comandante sarebbe dovuto essere l’ultimo a partire; ma la sua nave, del resto, era ormai perduta da tempo. La decisione di Nobile di portare con sé Titina avrebbe suscitato ancora più astio nei suoi riguardi, poiché diede l’impressione che tenesse più a mettere in salvo la sua mascotte che i suoi compagni.

Nobile accettò di partire solo ad una condizione: che Lundborg effettuasse subito un altro volo per recuperare un altro membro della spedizione. Lundborg mantenne la promessa e tornò subito indietro. Tuttavia, durante la manovra di atterraggio, il suo Fokker cappottò nella neve. Lo svedese, che aveva appena soccorso Nobile, si trovò a fare a cambio di posto con lui, divenendo un altro naufrago della Tenda Rossa.

Frattanto, il Krassin aveva raggiunto l’Oceano Artico.

29 Giugno — 11 Luglio
Maltempo e tempeste magnetiche ostacolavano le comunicazioni radio e rallentarono i soccorsi per oltre una settimana. Il Krassin lottava contro ghiacci di grande spessore e subì alcuni problemi al timone. Gli aviatori effettuavano ricognizioni dall’alto per identificare la rotta più praticabile.

Boris Chukhnovsky decollò il 10 luglio e individuò immediatamente il gruppo Malmgren, che aveva lasciato il campo alla ricerca di aiuto il quinto giorno dopo l’incidente. Era da quel momento che non si avevano notizie dei tre. Le coordinate del Gruppo furono trasmesse via radio al Krassin e il rompighiaccio iniziò a dirigersi verso quella posizione.

Malmgren, però, non era più coi suoi compagni.

7:00 | 12 Luglio
Il Krassin prese a bordo Filippo Zappi e Adalberto Mariano, che avevano lasciato il campo insieme a Finn Malmgren. Il contrasto fra i due suscitò perplessità: Zappi appariva in buona forma, non appariva denutrito e indossava molti strati di vestiti; Mariano invece era stremato e insufficientemente coperto: i suoi piedi apparivano tanto gravemente congelati che uno di essi, dovette essere amputato non appena egli fu a bordo del rompighiaccio.

La loro guida, Finn Malmgren, dissero, era morto un mese prima. Secondo le loro dichiarazioni, aveva chiesto di essere lasciato dov’era, con un braccio rotto e un piede congelato, e di poter morire nel ghiaccio. Dissero che aveva lasciato i suoi vestiti pesanti agli Italiani. Il suo ultimo desiderio era stato che i compagni preparassero per lui una tomba nel ghiaccio con un’ascia.

Malmgren avrebbe detto loro: “Mi metterò a giacere in questa fossa per morire. Quando le onde del mare riempiranno d’acqua la mia tomba di ghiaccio, io resterò congelato in essa fino a che una nave non mi troverà in questa bara trasparente”. Zappi avrebbe cercato di fare una battuta per sdrammatizzare la loro condizione: “Staresti qui come un frutto congelato”. Malmgren non avrebbe apprezzato lo scherzo e, con impazienza, avrebbe mosso la mano in segno di saluto.

12:00 | 12 Luglio
Il Krassin passò in prossimità di Gennaro Sora e dell’olandese Sjef van Dongen, due uomini di una delle molte spedizioni che erano andate in soccorso di Nobile, che erano sbarcati dalla Braganza il 18 giugno. Il terzo membro del loro gruppo — Ludvig Varming, un danese — aveva dovuto lasciarli poco dopo la partenza. Aveva sviluppato una oftalmia da ghiacci, non era più stato in grado di guidare la slitta trainata da cani ed era stato costretto a tornare indietro. I due uomini erano a corto di provviste e il viaggio era stato molto difficile per i cani. Cinque su nove erano morti, uno dopo l’altro. La carne di cane aveva permesso a Sora e Van Dongen di sopravvivere fino al momento in cui erano stati soccorsi: “Solo due cani erano rimasti vivi. Stavamo finendo la carne del terzo; il corpo del quarto era stato messo da parte”.




Col tempo la polemica si smorzò e cominciarono ad affiorare diversi punti di vista. Tuttavia, fu solo con il libro del 2002 di Steinar Aas, Tragedien Umberto Nobile, che i norvegesi fecero ammenda per le critiche più aggressive e fuori luogo rivolte a Nobile come capo della spedizione. Già dal 1905 Roald Amundsen era un simbolo unificante per il popolo norvegese, in un momento storico in cui lentamente si costruiva l’autonomia della nazione.

La percezione dei norvegesi delle proprie capacità in ambito polare aveva radici profonde e fu rinforzata, a cavallo del secolo, dalle spedizioni e dai libri di Fridtjof Nansen. Il punto non era solo la vicinanza geografica, ma una sensibilità che era maturata nei secoli, una sintonia con il paesaggio. Le nobili imprese di cui parlava e scriveva Nansen trovarono la loro realizzazione nelle numerose conquiste di Roald Amundsen.

Lui non aveva il talento di Nansen nella scrittura o nella retorica, ma quando parlava lo faceva col cuore. Nonostante la sua riservatezza, era molto più accessibile alla gente comune. Nell’estate del 1928, quando era partito per il suo ultimo viaggio con il Latham, può darsi che Amundsen volesse riconquistarsi quel ruolo da eroe che aveva conosciuto dopo la spedizione al Polo Sud. Forse voleva rivivere le euforiche acclamazioni popolari del passato. Era come se avesse chiuso le orecchie alle critiche seguite alla pubblicazione, l’anno prima, della sua autobiografia. Non si rendeva conto di non dover dimostrare più nulla alla gente. Per tutta la vita aveva inseguito l’affetto e il rispetto genuini del popolo norvegese.

Nel 1928 non aveva ancora capito di averli già conquistati.

La rabbia della gente per la morte di Amundsen si sfogò in ogni direzione. Si disse che l’esploratore non era stato sostenuto nel suo tentativo eroico di salvare Nobile.

Perché proprio lui, di tutti coloro che erano partiti per le Svalbard, era stato costretto a elemosinare un sostegno economico?

La compagnia tedesca Dornier non poteva prestarglielo, un aereo?

Era risaputo che Amundsen non aveva un soldo e che spesso, quando partiva per le spedizioni, le sue finanze non erano proprio in ordine, ma le cose sarebbero andate diversamente se avesse avuto un mezzo di cui potersi fidare. Quell’idrovolante francese offerto all’ultimo minuto, poi, non era che un prototipo, non era stato nemmeno collaudato. Era adatto, quel Latham, a un viaggio nell’Artide? In Norvegia fu detto e scritto che l’aspetto più drammatico della grande tragedia dell’Italia era stato il sacrificio della propria vita compiuto da Amundsen per salvare un italiano che già durante la spedizione con il Norge si era mostrato suo rivale.




Si decise di recuperare i due uomini durante la tratta di ritorno, dopo aver salvato il “gruppo Viglieri”. Questo nome iniziò ad essere usato in relazione a quelli che erano rimasti nella Tenda Rossa dopo l’evacuazione di Nobile. Tuttavia, alcuni aviatori svedesi recuperarono Sora e van Dongen lo stesso giorno. I due cani superstiti furono abbandonati al loro destino.

22:00 | 12 Luglio
La sera dello stesso giorno, il Krassin raggiunse gli ultimi cinque uomini della Tenda Rossa — Viglieri, Behounek, Biagi, Trojani e Cecioni. Al momento in cui era arrivato il rompighiaccio, il pack su cui si trovavano i naufraghi aveva iniziato a sciogliersi e a restringersi. Era stato necessario spostare più volte la tenda verso luoghi più asciutti.

Rudolf Samoilovich e altri 20 uomini del Krassin scesero sul ghiaccio per accogliere i naufraghi. L’operatore radio Biagi si alzò e richiuse il coperchio della stazione radio da campo con una frase teatrale: “È finita la commedia!”

Qualunque tentativo di Nobile e del Krassin di continuare la ricerca per i sei membri dell’equipaggio trascinati via dall’involucro dopo l’incidente fu impedito da Roma, dove i dispersi erano già stati dichiarati morti.

Non posso smettere di pensare alla sorte degli altri sei che si trovavano nell’involucro volato via. Riusciremo a riportarli alla vita? Le operazioni per il soccorso dei naufraghi dell’Italia era finita. Era durata poco meno di due mesi e aveva coinvolto sei paesi, 18 navi, 21 aerei e 1.500 uomini.

All’arrivo alla Kings Bay, tutti quelli che erano stati soccorsi furono trasferiti sulla Città di Milano. Il 22 luglio partirono verso casa. Il Krassin restò in Artide fino all’autunno, impegnato nelle ricerche di Roald Amundsen — vivo o morto che fosse — ma non trovò nulla. Fece ritorno a Leningrado il 5 ottobre, accolto da 250.000 cittadini.

La scomparsa di Amundsen fu vissuta come una tragedia nazionale in Norvegia. I membri dell’equipaggio del Krassin ricordavano che mentre il rompighiaccio si muoveva lungo le coste della Norvegia, le popolazioni locali gridavano verso di loro: “Salvate il nostro Amundsen!” Finché, nelle prime ore del 1° settembre, un peschereccio chiamato Brodd recuperò un galleggiante del Latham 47. Di lì a poco fu ritrovato anche un serbatoio dell’aereo.

In patria, Nobile ricevette, dalle autorità un’accoglienza fredda. Fu accusato d’aver abbandonato i suoi uomini tra i ghiacci e, più in generale, di aver provocato il disastro. Il governo italiano lo marginalizzò, inducendolo alle dimissioni dai ranghi dell’Aeronautica. Un anno dopo, Nobile ricevette l’invito inatteso, da parte delle autorità sovietiche, di recarsi a dirigere un’industria sperimentale di costruzione per dirigibili. Accettò. Nobile arrivò in Unione Sovietica nella primavera del 1932 insieme ad un gruppo di tecnici, uno dei quali era stato membro del suo equipaggio sull’Italia, Felice Trojani.

Nei circa cinque anni che passò in Unione Sovietica, Nobile organizzò il progetto e la costruzione di tre dirigibili che per alcuni aspetti erano delle copie dell’Italia. Più tardi avrebbe descritto il periodo in Unione Sovietica come gli anni più belli della sua vita. Condusse uno stile di vita agiato e confortevole. Costruì un piccolo dirigibile per sé, col quale andare da casa al lavoro. Per quanto riguardava poi la sua mascotte, Titina, che aveva contratto lo scorbuto nell’Artide, la portò da un dentista. Secondo le fonti russe, girava voce che Titina avesse avuto impiantati denti d’oro e che la cosa fosse stata considerata divertente dai bambini del luogo. Si dice che fossero anche stati compiuti tentativi di rapire il cane dai denti d’oro. Tutto questo accadeva nella località detta Dirizhablestroi (letteralmente “Fabbrica per Dirigibili”), presso Mosca. Oggi l’area corrisponde alla cittadina di Dolgoprudny.   

La grande operazione di ricerca internazionale dei sopravvissuti dell’Italia era costata molte vite umane e per molti norvegesi – dai minatori delle Svalbard ai pescatori del Nord, dagli esploratori ai ricercatori polari,  la scomparsa del Latham restava un mistero. Eppure doveva esserci una spiegazione. Possibile che Amundsen, il più esperto al mondo di aree polari, dovesse essere svanito nel nulla proprio lì? Era troppo presto per abbandonare la speranza. Lui e il resto dell’equipaggio dovevano essere là fuori da qualche parte.

(M. Kristensen L’ultimo viaggio di Amundsen)  &  (Agenzia Tass)
















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