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‘Molte ragazze come me scappano dalla Turchia.
Soprattutto in Germania, in cerca di un futuro migliore. Un futuro lontano da
una società che ci vorrebbe sempre di più chiuse in casa, nascoste dietro un
velo e in silenzio’.
Sono parole
che colpiscono nel segno, quelle di Mine O, una ragazza turca di 32 anni che,
dopo il tentato colpo di stato del 15 luglio di appena 3 anni fa, ha sentito la
morsa del governo di Erdogan
stringersi intorno alla sua vita, alla sua libertà, al suo futuro.
‘Dopo quel
giorno per molte donne le cose sono cambiate: molte amiche hanno smesso di
uscire la sera perché spaventate – racconta a InsideOver – Ci incontravamo
sempre nello stesso luogo dopo una giornata di lavoro: poi, di colpo, molte
hanno iniziato a presentarsi velate o addirittura hanno smesso di presentarsi.
Il quartiere dove uscivamo non era più sicuro, ci sentivamo osservate da
sguardi severi. Non era raro che gruppi di uomini ci chiedessero dove fossero i
nostri mariti e cosa ci facessimo in giro da sole’.
Non sono
rari per le strade delle grandi città turche infatti, gruppi di integralisti
che aggrediscono verbalmente e fisicamente donne non vestite come il Corano
imporrebbe: con il capo velato e il volto nascosto alla luce.
‘Si sentivano legittimati a mortificarci, ad
aggredirci, a punirci. Così due anni fa ho deciso di partire, per salvarmi. Non
c’era più posto per me a casa mia e sono sempre più convinta di aver fatto la
scelta giusta’.
Mine ora
vive in Germania, dove lavora e vive con un uomo tedesco. La sua testimonianza
non è la prima e non sarà l’ultima di una sterminata serie di denunce di
repressione nei confronti del genere femminile sotto il governo di Recep Tayyip Erdogan.
Se facendo
un ampio balzo all’indietro, dagli inizi dell’XX secolo il movimento femminista
turco è cresciuto esponenzialmente fino ad ottenere il divieto di ‘discriminazione
di genere’ sancito dalla costituzione nel 1982, oggi l’aria che tira non solo
non è più la stessa di inizio millennio, ma nemmeno la stessa di appena 5 anni
fa. Se è vero che un cambiamento culturale richiede tempo, il cambiamento di
mentalità in una società è ancora più difficile da ottenere: le femministe
turche hanno infatti lottato per anni per la parità, ottenendo un’uguaglianza
formale dal punto di vista legislativo mai tradotta fino in fondo nella realtà.
Come se non
bastasse, ad oggi la situazione si è ulteriormente aggravata. A tre anni esatti
dal tentato golpe delle forze armate atto al rovesciamento di Erdogan, cui è seguita una dura
repressione, in Turchia infatti la ‘deriva autoritaria’ di stampo islamista del
presidente (riconfermato nel 2018) non sembra volersi arrestare. Fa piuttosto
impressione certo, che una nazione che per anni ha bussato alle porte dell’Ue
si ritrovi con un uomo solo al comando e una continua reprimenda della libertà
di parola e dello stato di diritto. E tra le categorie che maggiormente hanno
risentito dell’ascesa di Erdogan
troviamo senza dubbio minoranze etniche e linguistiche, come religiose, Lgbt e
in buona parte anche le donne.
Se il
pluralismo di opinione è fortemente limitato e gli oppositori del ‘sultanato’
sono dovuti scappare per evitare di essere arrestati (tra questi attivisti,
giornalisti, docenti e parlamentari), il sottoinsieme femminile ha visto in
maniera ancora più drastica anni di battaglie infranti e passati sotto
silenzio. Per assurdo, appena nel 2004, un aggiornamento all’art 10 della
Costituzione ha ribadito che: ‘Uomini e
donne hanno uguali diritti’, aggiungendo che ‘lo Stato ha l’obbligo di
assicurare che questa uguaglianza esista nella pratica’.
Incrociando
i dati di piattaforme attive nell’osservazione di dati sul femminicidio,
risulta che solamente nei primi mesi del 2017 sono state uccise in Turchia 365
donne. Nel 2018 il numero è cresciuto ancora, salendo fino a 440 femminicidi
perpetrati da uomini secondo le seguenti motivazioni: volontà della donna di
divorziare, decidere della propria vita indipendentemente o del futuro dei
figli e rifiuto di un tentativo di riconciliazione con l’uomo.
Le logiche
di una società con mentalità patriarcale, si uniscono alle indicazioni di un
leader come Erdogan che si è
lanciato in dichiarazioni pubbliche come: ‘La nostra religione ha definito il
posto delle donne nella società: la maternità’ e ancora ‘Porre donne e uomini
sullo stesso piano è contro natura. Uomini e donne sono stati creati diversi.
La loro natura è differente. La loro costituzione è differente’. Un insieme che
non può che far riflettere sul reale stato delle cose in Turchia.
Oltre al
problema delle violenze e dell’intolleranza, insorge come sempre più rilevante
come causa della fuga femminile dalla Turchia, quello dell’occupazione. Gli
ultimi dati parlano chiaro: la Turchia ad oggi è l’unico paese in Europa con un
tasso di occupazione femminile sotto il 40%. Se le donne infatti costituiscono
circa il 51% della popolazione attiva in Turchia (circa 60 mln di persone), la
partecipazione delle stesse alla forza lavoro – fatta salva l’università – si è
attestato al 33,6% nel 2017 (dato stabile negli ultimi 20 anni), rispetto a una
media OECD del 51,9%, con una tendenza pressoché invariata nel 2018 e nel 2019.
Ridotto all’osso, questo dato, ci dice che circa 7 donne su 10 in Turchia sono
inoccupate; un dato che ‘Dal punto di vista sociologico evidenzia che alle
donne in Turchia viene impedito di stare in piedi da sole’, come spiega
l’economista Güldem Atabay Şanlı alla Bbc, spingendo sempre più giovani donne a
lasciare il paese alla ricerca di un futuro migliore.
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