Precedenti capitoli:
Circa il Sacro (1)
Dissacrato (2)
Con relativo *commentario (3)
& Eugnosto e la Filosofia (4)
Prosegue con...:
I cenni storici (6)
Il codice I del quale fa parte il presente trattato
ha alcune particolarità estrinseche che lo distinguono: gli altri codici
constano di un fascio di fogli di papiro rilegati, il nostro consta di tre
quaderni rilegati; fu il primo, nel 1946-47, ad essere esaminato criticamente -
seppure in modo necessariamente sommario - da persone competenti sia quanto
alla lingua sia quanto al contenuto; fu l’unico a essere portato
clandestinamente fuori dall’Egitto e a conoscere varie banche europee.
Il 10
maggio 1952 (al prezzo di 35.000 fr. sviz. offerti dal mecenate americano
George H. Page) fu acquistato, a Bruxelles (ove si trovava dal 1951), dal celebre studioso Gilles Quispel per
conto dell’Istituto Jung; G. Quispel lo portò a Zurigo e il 15 novembre
1953 fu offerto pro forma a. C. G. Jung e ‘battezzato’ Codex Jung.
Già nell’agosto
del 1951, ad Ascona, le parti si accordarono sulla restituzione al Museo Copto
del Cairo; e così fu.
Oggi dopo
tante peripezie e controversie, il codice è al Cairo, ove l’attendevano poche pagine
mancanti a Zurigo, e ha ufficialmente il suo numero come tutti gli altri
codici.
I vantaggi
di tutta questa lunga storia furono, e sono tuttora, enormi per gli studi sullo
gnosticismo e sugli stessi ulteriori sviluppi delle scoperte e pubblicazioni
dei codici.
CADUTA DEL
LOGOS:
Gli eòni
furono prodotti secondo il terzo frutto per opera della libera volontà e della
sapienza che egli concesse loro per il loro pensiero. Essi non vogliono onorare
colui che è sorto dall’armonia, sebbene sia stato prodotto per parole di lode
per ognuna delle pienezze, non vogliono dare gloria con il tutto, né vogliono
(dare gloria) con un altro che è stato il primo al di sopra della profondità di
quello o del suo luogo, a meno che non si tratti di colui che è situato nel
nome elevato e nel luogo elevato, ed egli lo riceva da colui che volle
innalzarlo a sé stesso, verso colui che è al di sopra di lui. Egli lo genera,
per così dire, come sé stesso, perciò lo genera con ciò che è. Rinnova sé
stesso con quello che andò da lui tramite suo fratello; lo vede e lo prega per
questo. Poiché colui che volle innalzarsi fino a lui, affinché ciò si
avverasse, non gli disse nulla al riguardo - cioè su quello al quale voleva
rendere onore -, se non quando fu solo.
Nella
pienezza, infatti, vi è un limite per la parola: perché si mantenga il silenzio
a proposito della incomprensibilità del Padre, e perché si parli del desiderio
di comprenderlo.
Ora accadde
che uno degli eòni tentò di comprendere l’incomprensibile. Egli rende onore a
esso, ma ancor più all’ineffabilità del Padre. Pur essendo un Logos dell’unità,
egli non proviene dal Padre dei tutti, né da colui che li ha prodotti: poiché
colui che ha prodotto il tutto è il Padre.
Questo eòne
era uno di quelli ai quali era stata data la sapienza, ognuno dei quali era
preesistente nel suo (del Padre) pensiero, e conforme alla sua volontà di
produrli. Egli perciò ricevette una natura di sapienza per scrutare l’ordine
nascosto, quale frutto della sapienza: la libera volontà, prodotta con i tutti,
fu — per quest’unico — la causa per cui volle compiere ciò che voleva, senza
venire trattenuto da nulla.
L’intenzione
di questo Logos era certo qualcosa di buono.
Fattosi
avanti, diede gloria al Padre, sebbene avesse posto mano a qualcosa più grande
della sua forza. Desiderava, infatti, produrre uno che fosse perfetto, al di
fuori dell’armonia, che non era con lui, e senza alcun ordine in proposito.
Questo
eòne, infatti, era l’ultimo, allorché egli li produsse in conformità di un muto
accordo, ed era il più giovane di età. Prima di generare qualcosa d’altro alla
gloria della volontà (del Padre), e in armonia con i tutti, egli agì con
grandezza di pensiero, mosso da un sovrabbondante amore. Si portò verso colui
che è nella regione della gloria perfetta.
Questo
Logos, infatti, non fu generato senza il volere del Padre, né è senza di lui
che si portò avanti. Al contrario, il Padre stesso l’aveva prodotto per coloro
che egli sapeva essere necessario che venissero all’esistenza.
Il Padre e
i tutti si ritrassero da lui affinché fosse stabile il limite posto dal Padre -
esso, infatti, non deriva dall’avere egli ghermito l’inafferrabile, bensì dalla
volontà del Padre -, inoltre (si ritrassero) affinché si realizzasse ciò che
doveva accadere per una economia che sarebbe stata amara qualora non avesse
avuto origine dalla rivelazione della pienezza. Ne consegue che non è giusto
accusare tale movimento che è il Logos, mentre è giusto affermare che il movimento
del Logos è una causa dell’economia predeterminata a realizzarsi.
Invero, il
Logos generò sé stesso come unità perfetta a gloria del Padre, colui che l’ama
e in lui si compiace; ma quanti egli (il Logos) voleva afferrare pienamente, li
generò come ombre, come simulacri, come somiglianze. Egli, infatti, non poté
sostenere la vista della luce; guardò, invece, in direzione della profondità e
divenne dubbioso. Di conseguenza ne derivò una divisione, causa di grande
angoscia, e col suo dubbio (originò) una rottura, un oblio, un’ignoranza di sé
stesso e di ciò che è.
Il suo
slancio verso l’alto e l’attesa di raggiungere l’incomprensibile si
rinvigorirono in lui, e restarono in lui. Ma le malattie che lo seguirono
allorché sorpassò sé stesso, derivarono dal dubbio, cioè dal fatto che egli non
raggiunse la gloria del Padre la cui altezza non ha limiti. Non l’ha raggiunta
perché non l’aveva ricevuta.
Poiché ciò
che produsse da sé stesso, come un eòne unico, corse verso ciò che è suo, e
verso il suo parente nella pienezza. Abbandonò ciò che aveva avuto origine
dalla insufficienza, quanti erano stati prodotti da lui in modo fantasioso,
perché non erano suoi. Quando, infatti, lo produsse — egli lo produsse da se
stesso quando era ancora perfetto -, divenne debole come io una natura femminea
abbandonata dal suo elemento virile.
Quanti
provennero dal suo pensiero e dal suo orgoglio sono dei prodotti di colui che
in sé stesso è insufficiente. Per questo il suo essere perfetto lo ha
abbandonato e si è trasferito presso coloro che sono suoi. Nella pienezza, egli
era come un ricordo per colui che sarebbe stato salvato dal suo orgoglio.
Colui,
infatti, che si slanciò verso l’alto e colui che l’attrasse a sé non rimasero
oziosi, ma trassero un frutto dalla pienezza: essi abbatterono coloro che
avevano avuto origine dalla insufficienza. Poiché quelli che ebbero origine dal
pensiero orgoglioso erano proprio simili alle pienezze, ma erano (in realtà)
somiglianze, immagini, ombre, fantasie prive del Logos e della luce. Quanti
appartengono al pensiero vuoto non sono affatto una (sua) prole. Perciò la loro
fine sarà come il loro inizio: provengono da ciò che non esisteva, ritorneranno
a ciò che non esisterà. Tuttavia, considerati in se stessi, sono grandi, più
potenti e onorati dei nomi che sono dati loro; (nomi) che sono le loro ombre: sono
belli a mo’ di somiglianze. In quanto l’aspetto di un’immagine deriva la sua
bellezza da ciò di cui è immagine.
Si
credevano giunti all’esistenza da soli, senza un inizio, non vedendo alcun
altro che fosse esistito prima di loro; perciò si mostravano disobbedienti e
ribelli, non si umiliavano davanti a coso lui dal quale avevano avuto
l’esistenza; volevano comandare gli uni sugli altri, trionfare sugli altri per
amore di vana ambizione; mentre la gloria che possedevano era ordinata al
futuro ed essi non erano che somiglianze di quelli che sono in alto; erano
indotti al desiderio di comandare agli altri secondo la grandezza del nome, il
quale non è che un’ombra, ognuno immaginandosi di essere superiore ai propri compagni.
Il pensiero
degli altri non rimase ozioso, bensì a somiglianza di coloro dei quali essi
sono ombre, tutto ciò al quale pensavano l’ebbero come figli, e quelli ai quali
volgevano il pensiero l’hanno come prole. Perciò fu numerosa la prole derivata
da essi, come combattenti, come guerrieri, come perturbatori, come arroganti,
come disobbedienti, come ambiziosi, e tanti altri del genere, derivante da essi.
Il Logos era infatti, divenuto la causa di coloro che avevano ricevuto
l’esistenza; ed egli stesso rimase in larga misura imbarazzato e sconvolto:
invece della perfezione vide insufficienza; invece della coesione vide
divisione; invece della stabilità vide disordine; invece del riposo vide
agitazioni. Non possedeva la forza di distoglierli dall’amore del tumulto, né
possedeva la forza di distruggerli.
Quando il
suo tutto gli fu tolto, egli rimase impotente, la sua elevazione lo abbandonò.
Coloro che avevano avuto l’esistenza non conoscevano sé stessi, non conoscevano
la pienezza dalla quale erano derivati, non conoscevano colui che era stato la
causa della loro esistenza.
Il Logos,
in queste instabili condizioni, non seguitò a produrre, col processo di
emanazione, le cose che sono nella pienezza e che erano venute all’esistenza
per la gloria del Padre; produsse, invece, cose deboli, piccole, e limitate
dalla loro infermità, dalla quale egli pure era limitato. Fu l’imitazione
dell’unica disposizione a essere causa delle cose che per sé stesse dall’inizio
non esistevano.
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