giuliano

mercoledì 20 novembre 2019

LA CADUTA DEL LOGOS (5)



















Precedenti capitoli:

Circa il Sacro (1)

Dissacrato (2)

Con relativo *commentario (3)

& Eugnosto e la Filosofia (4)

Prosegue con...:

I cenni storici (6)















Il codice I del quale fa parte il presente trattato ha alcune particolarità estrinseche che lo distinguono: gli altri codici constano di un fascio di fogli di papiro rilegati, il nostro consta di tre quaderni rilegati; fu il primo, nel 1946-47, ad essere esaminato criticamente - seppure in modo necessariamente sommario - da persone competenti sia quanto alla lingua sia quanto al contenuto; fu l’unico a essere portato clandestinamente fuori dall’Egitto e a conoscere varie banche europee.

Il 10 maggio 1952 (al prezzo di 35.000 fr. sviz. offerti dal mecenate americano George H. Page) fu acquistato, a Bruxelles (ove si trovava dal 1951), dal celebre studioso Gilles Quispel per conto dell’Istituto Jung; G. Quispel lo portò a Zurigo e il 15 novembre 1953 fu offerto pro forma a. C. G. Jung e ‘battezzato’ Codex Jung.

Già nell’agosto del 1951, ad Ascona, le parti si accordarono sulla restituzione al Museo Copto del Cairo; e così fu.

Oggi dopo tante peripezie e controversie, il codice è al Cairo, ove l’attendevano poche pagine mancanti a Zurigo, e ha ufficialmente il suo numero come tutti gli altri codici.

I vantaggi di tutta questa lunga storia furono, e sono tuttora, enormi per gli studi sullo gnosticismo e sugli stessi ulteriori sviluppi delle scoperte e pubblicazioni dei codici.




CADUTA DEL LOGOS:













Gli eòni furono prodotti secondo il terzo frutto per opera della libera volontà e della sapienza che egli concesse loro per il loro pensiero. Essi non vogliono onorare colui che è sorto dall’armonia, sebbene sia stato prodotto per parole di lode per ognuna delle pienezze, non vogliono dare gloria con il tutto, né vogliono (dare gloria) con un altro che è stato il primo al di sopra della profondità di quello o del suo luogo, a meno che non si tratti di colui che è situato nel nome elevato e nel luogo elevato, ed egli lo riceva da colui che volle innalzarlo a sé stesso, verso colui che è al di sopra di lui. Egli lo genera, per così dire, come sé stesso, perciò lo genera con ciò che è. Rinnova sé stesso con quello che andò da lui tramite suo fratello; lo vede e lo prega per questo. Poiché colui che volle innalzarsi fino a lui, affinché ciò si avverasse, non gli disse nulla al riguardo - cioè su quello al quale voleva rendere onore -, se non quando fu solo.




Nella pienezza, infatti, vi è un limite per la parola: perché si mantenga il silenzio a proposito della incomprensibilità del Padre, e perché si parli del desiderio di comprenderlo.




Ora accadde che uno degli eòni tentò di comprendere l’incomprensibile. Egli rende onore a esso, ma ancor più all’ineffabilità del Padre. Pur essendo un Logos dell’unità, egli non proviene dal Padre dei tutti, né da colui che li ha prodotti: poiché colui che ha prodotto il tutto è il Padre.




Questo eòne era uno di quelli ai quali era stata data la sapienza, ognuno dei quali era preesistente nel suo (del Padre) pensiero, e conforme alla sua volontà di produrli. Egli perciò ricevette una natura di sapienza per scrutare l’ordine nascosto, quale frutto della sapienza: la libera volontà, prodotta con i tutti, fu — per quest’unico — la causa per cui volle compiere ciò che voleva, senza venire trattenuto da nulla.




L’intenzione di questo Logos era certo qualcosa di buono.

Fattosi avanti, diede gloria al Padre, sebbene avesse posto mano a qualcosa più grande della sua forza. Desiderava, infatti, produrre uno che fosse perfetto, al di fuori dell’armonia, che non era con lui, e senza alcun ordine in proposito.




Questo eòne, infatti, era l’ultimo, allorché egli li produsse in conformità di un muto accordo, ed era il più giovane di età. Prima di generare qualcosa d’altro alla gloria della volontà (del Padre), e in armonia con i tutti, egli agì con grandezza di pensiero, mosso da un sovrabbondante amore. Si portò verso colui che è nella regione della gloria perfetta.




Questo Logos, infatti, non fu generato senza il volere del Padre, né è senza di lui che si portò avanti. Al contrario, il Padre stesso l’aveva prodotto per coloro che egli sapeva essere necessario che venissero all’esistenza.




Il Padre e i tutti si ritrassero da lui affinché fosse stabile il limite posto dal Padre - esso, infatti, non deriva dall’avere egli ghermito l’inafferrabile, bensì dalla volontà del Padre -, inoltre (si ritrassero) affinché si realizzasse ciò che doveva accadere per una economia che sarebbe stata amara qualora non avesse avuto origine dalla rivelazione della pienezza. Ne consegue che non è giusto accusare tale movimento che è il Logos, mentre è giusto affermare che il movimento del Logos è una causa dell’economia predeterminata a realizzarsi.




Invero, il Logos generò sé stesso come unità perfetta a gloria del Padre, colui che l’ama e in lui si compiace; ma quanti egli (il Logos) voleva afferrare pienamente, li generò come ombre, come simulacri, come somiglianze. Egli, infatti, non poté sostenere la vista della luce; guardò, invece, in direzione della profondità e divenne dubbioso. Di conseguenza ne derivò una divisione, causa di grande angoscia, e col suo dubbio (originò) una rottura, un oblio, un’ignoranza di sé stesso e di ciò che è.




Il suo slancio verso l’alto e l’attesa di raggiungere l’incomprensibile si rinvigorirono in lui, e restarono in lui. Ma le malattie che lo seguirono allorché sorpassò sé stesso, derivarono dal dubbio, cioè dal fatto che egli non raggiunse la gloria del Padre la cui altezza non ha limiti. Non l’ha raggiunta perché non l’aveva ricevuta.




Poiché ciò che produsse da sé stesso, come un eòne unico, corse verso ciò che è suo, e verso il suo parente nella pienezza. Abbandonò ciò che aveva avuto origine dalla insufficienza, quanti erano stati prodotti da lui in modo fantasioso, perché non erano suoi. Quando, infatti, lo produsse — egli lo produsse da se stesso quando era ancora perfetto -, divenne debole come io una natura femminea abbandonata dal suo elemento virile.




Quanti provennero dal suo pensiero e dal suo orgoglio sono dei prodotti di colui che in sé stesso è insufficiente. Per questo il suo essere perfetto lo ha abbandonato e si è trasferito presso coloro che sono suoi. Nella pienezza, egli era come un ricordo per colui che sarebbe stato salvato dal suo orgoglio.




Colui, infatti, che si slanciò verso l’alto e colui che l’attrasse a sé non rimasero oziosi, ma trassero un frutto dalla pienezza: essi abbatterono coloro che avevano avuto origine dalla insufficienza. Poiché quelli che ebbero origine dal pensiero orgoglioso erano proprio simili alle pienezze, ma erano (in realtà) somiglianze, immagini, ombre, fantasie prive del Logos e della luce. Quanti appartengono al pensiero vuoto non sono affatto una (sua) prole. Perciò la loro fine sarà come il loro inizio: provengono da ciò che non esisteva, ritorneranno a ciò che non esisterà. Tuttavia, considerati in se stessi, sono grandi, più potenti e onorati dei nomi che sono dati loro; (nomi) che sono le loro ombre: sono belli a mo’ di somiglianze. In quanto l’aspetto di un’immagine deriva la sua bellezza da ciò di cui è immagine.




Si credevano giunti all’esistenza da soli, senza un inizio, non vedendo alcun altro che fosse esistito prima di loro; perciò si mostravano disobbedienti e ribelli, non si umiliavano davanti a coso lui dal quale avevano avuto l’esistenza; volevano comandare gli uni sugli altri, trionfare sugli altri per amore di vana ambizione; mentre la gloria che possedevano era ordinata al futuro ed essi non erano che somiglianze di quelli che sono in alto; erano indotti al desiderio di comandare agli altri secondo la grandezza del nome, il quale non è che un’ombra, ognuno immaginandosi di essere superiore ai propri compagni.




Il pensiero degli altri non rimase ozioso, bensì a somiglianza di coloro dei quali essi sono ombre, tutto ciò al quale pensavano l’ebbero come figli, e quelli ai quali volgevano il pensiero l’hanno come prole. Perciò fu numerosa la prole derivata da essi, come combattenti, come guerrieri, come perturbatori, come arroganti, come disobbedienti, come ambiziosi, e tanti altri del genere, derivante da essi. Il Logos era infatti, divenuto la causa di coloro che avevano ricevuto l’esistenza; ed egli stesso rimase in larga misura imbarazzato e sconvolto: invece della perfezione vide insufficienza; invece della coesione vide divisione; invece della stabilità vide disordine; invece del riposo vide agitazioni. Non possedeva la forza di distoglierli dall’amore del tumulto, né possedeva la forza di distruggerli.




Quando il suo tutto gli fu tolto, egli rimase impotente, la sua elevazione lo abbandonò. Coloro che avevano avuto l’esistenza non conoscevano sé stessi, non conoscevano la pienezza dalla quale erano derivati, non conoscevano colui che era stato la causa della loro esistenza. 




Il Logos, in queste instabili condizioni, non seguitò a produrre, col processo di emanazione, le cose che sono nella pienezza e che erano venute all’esistenza per la gloria del Padre; produsse, invece, cose deboli, piccole, e limitate dalla loro infermità, dalla quale egli pure era limitato. Fu l’imitazione dell’unica disposizione a essere causa delle cose che per sé stesse dall’inizio non esistevano.












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