giuliano

domenica 10 novembre 2019

SILENZIO DEL TEMPO (29)




















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Un Terapeuta (30)














Filone è stato veramente il più efficace strumento di mediazione fra la spiritualità ebraica e l’intellettualità ellenica. Si comprende come sotto l’assillo predominante dei suoi intenti morali; avido solo di mostrare ai rappresentanti della cultura profana quale meraviglioso retaggio di idealità morali conservasse nel proprio grembo la tradizione sacra di Israele; Filone non abbia tralasciato di segnalare una sola di quelle manifestazioni di vitalità etica, che potevano ridondare a gloria della sua razza e della sua fede.

Tanto più scrupolosamente egli assolve questo compito di segnalazione e di celebrazione quanto più intensamente egli avverte che in ogni insigne pratica virtuosa è lo sfolgoramento di una eccezionale assistenza di Dio, e che quindi il popolo, nelle cui fila il bene raccoglie stuolo più copioso e più volonteroso di gregari, non può andare spoglio di una singolare investitura carismatica.

Filone è così tratto dalle stesse esigenze logiche della sua apologetica a indurci nella conoscenza più circostanziata dei movimenti ascetici della società giudaica ai suoi tempi:

essenismo e terapeutismo.




Dell’essenismo ci parla nel Quod omnis probus, liber e in alcuni frammenti riportati da Eusebio nella sua Preparazione evangelica. Lo scrittore alessandrino si introduce, secondo il suo piano consueto, con una rapida disquisizione sulla vita virtuosa, ch’egli definisce irraggiungibile, finché si vagoli nel tumulto del mondo.

“Di gente avida di gloria e di piacere è ricolma la terra e il mare: di saggi, di giusti, di buoni, esiguo è il numero, raro il genere”.

Ma immediatamente dopo s’indugia a rilevare, con compiacimento manifesto, che la Siria e la Palestina non sono sterili di virtù, abitate da quel popolo quanto mai prolifico che è il giudaico.

Gli Esseni sono appunto una delle espressioni tipiche della pietà giudaica. Essi abitano i villaggi,

“lungi dalle città tumultuose, disgustati dalle colpe quotidiane dei cittadini, ben sapendo come da esse, quasi da turbine pestifero, si propaga il contagio di un morbo insanabile, che soffoca e uccide lo spirito”.




La descrizione della loro foggia di esistenza assume rapidamente il tono solenne e idilliaco del panegirico:

“In mezzo ad essi non si incontrano schiavi. Tutti vivono, uguali e liberi, nella assistenza e nel servizio reciproci. Condannano recisamente ogni personale dominio, non solamente come ingiusto, in quanto violatore della comune uguaglianza, ma anche come irrimediabilmente empio, perché sovvertitore delle naturali leggi. La parte della filosofia che involge i procedimenti dialettici, essi lasciano ai cacciatori di parole. Quella, fisica, che investe la natura, lasciano agli oziosi ricercatori delle cose. Ma coltivano quella che implica la conoscenza di Dio e del suo rapporto con l’universo. Studiano assiduamente l’etica. Il loro programma di vita è tutto in queste tre parole: amanti della virtù, di Dio, degli uomini. Nessuno di essi possiede una casa propria: ogni loro dimora è casa di tutti. Una filosofia completamente spoglia del vano lavorio per il possesso della cultura ellenica ha generato questi insigni atleti della virtù”.




Filone conclude osservando che a giudizio di tutti la vita in comune degli Esseni rappresenta un’immagine luminosa della vita perfetta e della beatitudine. Un movimento come l’essenico, dai caratteri così variamente compositi, dalla fisionomia così evanescente e così tendenziosamente ritratta dai suoi testimoni storici, non si presta agevolmente ad una valutazione esatta.

Quali sono i suoi presupposti, quali le sue interferenze col giudaismo dell’epoca neotestamentaria e con la coltura ellenistica, quali i suoi possibili collegamenti ideali con le correnti rigoristiche del cristianesimo primitivo?

Una risposta unilaterale sarebbe, con probabilità, storicamente ingiustificabile. L’essenismo ha tutta l’aria di avere raccolto in sé le più disparate tendenze spirituali, che caratterizzavano la vita morale nel mondo ellenistico alla vigilia del messaggio cristiano e di averle amalgamate nel programma di una perfezione associata, la quale, pur sul solco della tradizione mosaica, instaura una purezza di prescrizioni e una larghezza di proselitismo, in cui non sarà arbitrario scoprire un segno precursore delle future forme dell’ascetismo cristiano.




Di molto maggiore interesse per la nostra analisi comparativa appare la organizzazione dei terapeuti, che Filone descrive ampiamente in uno speciale suo scritto, de vita contemplativa, e che tradisce i caratteri di una vera e propria società monacale.

La rassomiglianza fra i due istituti è così palmare, che fin dai suoi tempi Eusebio vi ha preso abbaglio e si è dato ad immaginare che Filone parli precisamente di monaci cristiani.

Si tramanda – egli osserva – che Marco, giunto in Egitto, vi predicò il Vangelo, ch’egli aveva già dettato, e fondò in Alessandria le prime comunità; fin dal primo momento fu così densa la moltitudine di uomini e di donne che abbracciarono la fede di Cristo, che Filone ritenne opportuno ricordare nei suoi scritti le loro occupazioni, le loro adunanze, i loro banchetti, tutto il genere di vita che essi menavano”.

Eusebio rileva che le regole di condotta, segnalate da Filone come disciplinanti la vita dei terapeuti, son le stesse osservate dagli asceti cristiani ai suoi tempi. L’abbaglio eusebiano ebbe lusinghiera fortuna. Il buon Epifanio di Salamina, sulle orme di un così autorevole testimone, non esitò ad affermare nel suo Panárion che Filone dimorò per un anno intero presso i terapeuti cristiani, assistendo, in mezzo ad essi, alla celebrazione del rito pasquale.




Il medioevo ecclesiastico ripeté, senza ombra di contestazione, l’anacronistico equivoco, finché la Riforma, preoccupata di dimostrare che l’ascetismo è fenomeno estraneo e contrastante alla primitiva predicazione cristiana, lo abbatté in pieno.

Anche senza il de vita contemplativa la produzione filoniana offre argomenti sicuri ed indizi eloquenti per constatare come le aspirazioni ascetiche costituiscono nei primi secoli cristiani un tratto comune a tutta la cultura morale del mondo ellenistico, e sgorgano dal bisogno di creare, di contro all’opprimente gerarchia dei valori sociali e politici, un fascio di liberi rapporti mistici e una impalpabile federazione di coscienze, dominate dal programma della gioia nella rinuncia.

I terapeuti si sono offerti a Filone come l’attuazione stupenda del suo ideale etico e religioso. La descrizione che egli ci fa della loro forma di esistenza non è esauriente. Dopo aver accennato alla loro uscita dal mondo e dopo aver descritto il luogo del loro rifugio presso lo stagno della Mareotide, nelle vicinanze di Alessandria, egli, premessa una dichiarazione di assoluta ed oggettiva imparzialità, espone gli usi che disciplinano l’esistenza associata di questi transfughi del mondo. Isolati dal consorzio umano, essi vivono in piccole casette, a due a due, avendo un cenacolo comune per il raccoglimento e la lettura. Una volta alla settimana convengono insieme e nella solennità della Pentecoste si raccolgono insieme, terapeuti e terapeutidi, per leggere testi sacri e sciogliere insieme canti religiosi.




“La vocazione caratteristica di tali filosofi è spiegata dalla loro stessa denominazione – terapeuti e terapeutidi – poiché praticano una virtù medica superiore a quella praticata nelle città, in quanto questa cura solamente i corpi, quella invece anche le anime possedute dalle malattie crudeli e difficilmente guaribili, in cui le gettarono i piaceri, le concupiscenze, le tristezze, i timori, l’avidità, la stoltezza, le ingiustizie e la moltitudine sterminata di tutti gli altri mali e di tutte le sofferenze. O anche perché dalle sante leggi e dalla natura furono chiamati ad adorare l’ente che è migliore del bene, più schietto dell’uomo, più antico della stessa unità”.

 L’allusione al culto monoteistico dei terapeuti, induce naturalmente Filone, senz’altro, a diffondersi in celebrare l’adorazione del Dio unico, contrapponendola alle forme religiose dell’idolatria, che egli definisce come cieco e stolto ossequio agli stoicheía (elementi) del mondo.




“La classe dei terapeuti, già addestrata alla contemplazione di Dio, non si allontanerà dalla meditazione si trovano gruppi di questo tipo in molte parti dell’universo, poiché era conveniente che partecipassero a questa foggia di esistenza pagani e cristiani; ma sopra ogni altro luogo fioriscono in Egitto e precisamente nelle vicinanze di Alessandria”.

Di questi terapeuti alessandrini, quelli che egli doveva conoscere di persona, Filone descrive la residenza e le occupazioni.

“Le piccole case dove essi vivono hanno ciascuna un minuscolo sacello (semneíon), nel quale i solitari compiono i misteri. È così vivo in essi il sentimento del divino che anche nel sogno hanno la visione della bellezza e della potenza di Dio. Due volte al giorno essi sono soliti pregare: all’alba e alla sera. Al sorgere del sole per chiedere una felice giornata, per impetrare che il loro intelletto sia illuminato dall’alto: al tramonto, affinché l’anima del tutto sgombra dal tumulto delle esperienze sensibili si raccolga nel proprio riposto sinedrio, nel segreto della impenetrabile coscienza, e segua le orme della verità. L’intervallo dalla mattina alla sera è per essi una ininterrotta ascesi”.











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