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Un Terapeuta (30)
Filone è stato veramente il più efficace strumento di
mediazione fra la spiritualità ebraica e l’intellettualità ellenica. Si
comprende come sotto l’assillo predominante dei suoi intenti morali; avido solo
di mostrare ai rappresentanti della cultura profana quale meraviglioso retaggio
di idealità morali conservasse nel proprio grembo la tradizione sacra di
Israele; Filone non abbia tralasciato
di segnalare una sola di quelle manifestazioni di vitalità etica, che potevano
ridondare a gloria della sua razza e della sua fede.
Tanto più
scrupolosamente egli assolve questo compito di segnalazione e di celebrazione
quanto più intensamente egli avverte che in ogni insigne pratica virtuosa è lo
sfolgoramento di una eccezionale assistenza di Dio, e che quindi il popolo,
nelle cui fila il bene raccoglie stuolo più copioso e più volonteroso di
gregari, non può andare spoglio di una singolare investitura carismatica.
Filone è così tratto dalle stesse esigenze logiche
della sua apologetica a indurci nella conoscenza più circostanziata dei
movimenti ascetici della società giudaica ai suoi tempi:
essenismo e terapeutismo.
Dell’essenismo ci parla nel Quod omnis probus, liber e in alcuni
frammenti riportati da Eusebio nella sua Preparazione
evangelica. Lo scrittore alessandrino si introduce, secondo il suo piano
consueto, con una rapida disquisizione sulla vita virtuosa, ch’egli definisce
irraggiungibile, finché si vagoli nel tumulto del mondo.
“Di gente avida di gloria e di piacere è ricolma
la terra e il mare: di saggi, di giusti, di buoni, esiguo è il numero, raro il
genere”.
Ma
immediatamente dopo s’indugia a rilevare, con compiacimento manifesto, che la
Siria e la Palestina non sono sterili di virtù, abitate da quel popolo quanto
mai prolifico che è il giudaico.
Gli Esseni sono appunto una delle espressioni tipiche della
pietà giudaica. Essi abitano i villaggi,
“lungi dalle città tumultuose, disgustati dalle
colpe quotidiane dei cittadini, ben sapendo come da esse, quasi da turbine
pestifero, si propaga il contagio di un morbo insanabile, che soffoca e uccide
lo spirito”.
La
descrizione della loro foggia di esistenza assume rapidamente il tono solenne e
idilliaco del panegirico:
“In mezzo ad essi non si incontrano schiavi.
Tutti vivono, uguali e liberi, nella assistenza e nel servizio reciproci.
Condannano recisamente ogni personale dominio, non solamente come ingiusto, in quanto
violatore della comune uguaglianza, ma anche come irrimediabilmente empio, perché
sovvertitore delle naturali leggi. La parte della filosofia che involge i procedimenti
dialettici, essi lasciano ai cacciatori di parole. Quella, fisica, che investe
la natura, lasciano agli oziosi ricercatori delle cose. Ma coltivano quella che
implica la conoscenza di Dio e del suo rapporto con l’universo. Studiano
assiduamente l’etica. Il loro programma di vita è tutto in queste tre parole:
amanti della virtù, di Dio, degli uomini. Nessuno di essi possiede una casa
propria: ogni loro dimora è casa di tutti. Una filosofia completamente spoglia
del vano lavorio per il possesso della cultura ellenica ha generato questi
insigni atleti della virtù”.
Filone conclude osservando che a giudizio di tutti la
vita in comune degli Esseni
rappresenta un’immagine luminosa della vita perfetta e della beatitudine. Un
movimento come l’essenico, dai caratteri così variamente compositi, dalla
fisionomia così evanescente e così tendenziosamente ritratta dai suoi testimoni
storici, non si presta agevolmente ad una valutazione esatta.
Quali sono
i suoi presupposti, quali le sue interferenze col giudaismo dell’epoca
neotestamentaria e con la coltura ellenistica, quali i suoi possibili
collegamenti ideali con le correnti rigoristiche del cristianesimo primitivo?
Una risposta unilaterale sarebbe, con
probabilità, storicamente ingiustificabile. L’essenismo ha tutta l’aria di avere raccolto in sé le più disparate
tendenze spirituali, che caratterizzavano la vita morale nel mondo ellenistico alla
vigilia del messaggio cristiano e di averle amalgamate nel programma di una
perfezione associata, la quale, pur sul solco della tradizione mosaica,
instaura una purezza di prescrizioni e una larghezza di proselitismo, in cui
non sarà arbitrario scoprire un segno precursore delle future forme dell’ascetismo
cristiano.
Di molto
maggiore interesse per la nostra analisi comparativa appare la organizzazione
dei terapeuti, che Filone descrive ampiamente in uno
speciale suo scritto, de vita
contemplativa, e che tradisce i caratteri di una vera e propria società
monacale.
La rassomiglianza fra i due istituti è così
palmare, che fin dai suoi tempi Eusebio vi ha preso abbaglio e si è dato ad
immaginare che Filone parli precisamente di monaci cristiani.
“Si tramanda – egli osserva
– che Marco, giunto in Egitto, vi predicò il Vangelo, ch’egli aveva già
dettato, e fondò in Alessandria le prime comunità; fin dal primo momento fu
così densa la moltitudine di uomini e di donne che abbracciarono la fede di
Cristo, che Filone ritenne opportuno ricordare nei suoi scritti le loro
occupazioni, le loro adunanze, i loro banchetti, tutto il genere di vita che essi
menavano”.
Eusebio rileva che le regole di condotta, segnalate da Filone come disciplinanti la vita dei terapeuti, son le stesse osservate dagli
asceti cristiani ai suoi tempi.
L’abbaglio eusebiano ebbe lusinghiera fortuna. Il buon Epifanio di Salamina, sulle orme di un così autorevole testimone,
non esitò ad affermare nel suo Panárion
che Filone dimorò per un anno intero
presso i terapeuti cristiani, assistendo, in mezzo ad essi, alla celebrazione del
rito pasquale.
Il medioevo ecclesiastico ripeté, senza ombra di
contestazione, l’anacronistico equivoco, finché la Riforma, preoccupata di dimostrare che l’ascetismo è fenomeno
estraneo e contrastante alla primitiva predicazione cristiana, lo abbatté in
pieno.
Anche senza
il de vita contemplativa la
produzione filoniana offre argomenti sicuri ed indizi eloquenti per constatare
come le aspirazioni ascetiche costituiscono nei primi secoli cristiani un tratto comune a tutta la cultura morale
del mondo ellenistico, e sgorgano dal bisogno di creare, di contro
all’opprimente gerarchia dei valori sociali e politici, un fascio di liberi rapporti mistici e una impalpabile federazione di
coscienze, dominate dal programma della gioia nella rinuncia.
I terapeuti si sono offerti a Filone come l’attuazione stupenda del suo ideale etico e religioso.
La descrizione che egli ci fa della loro forma di esistenza non è esauriente. Dopo
aver accennato alla loro uscita dal mondo
e dopo aver descritto il luogo del loro rifugio presso lo stagno della
Mareotide, nelle vicinanze di Alessandria, egli, premessa una dichiarazione di
assoluta ed oggettiva imparzialità, espone gli usi che disciplinano l’esistenza
associata di questi transfughi del mondo. Isolati
dal consorzio umano, essi vivono in piccole casette, a due a due, avendo un
cenacolo comune per il raccoglimento e la lettura. Una volta alla settimana
convengono insieme e nella solennità della Pentecoste si raccolgono insieme, terapeuti e terapeutidi, per leggere
testi sacri e sciogliere insieme canti religiosi.
“La vocazione caratteristica di tali filosofi è
spiegata dalla loro stessa denominazione – terapeuti e terapeutidi – poiché
praticano una virtù medica superiore a quella praticata nelle città, in quanto questa
cura solamente i corpi, quella invece anche le anime possedute dalle malattie
crudeli e difficilmente guaribili, in cui le gettarono i piaceri, le
concupiscenze, le tristezze, i timori, l’avidità, la stoltezza, le ingiustizie e
la moltitudine sterminata di tutti gli altri mali e di tutte le sofferenze. O
anche perché dalle sante leggi e dalla natura furono chiamati ad adorare l’ente
che è migliore del bene, più schietto dell’uomo, più antico della stessa unità”.
L’allusione al culto monoteistico dei
terapeuti, induce naturalmente Filone,
senz’altro, a diffondersi in celebrare l’adorazione del Dio unico,
contrapponendola alle forme religiose dell’idolatria, che egli definisce come cieco
e stolto ossequio agli stoicheía (elementi) del mondo.
“La classe dei terapeuti, già addestrata alla
contemplazione di Dio, non si allontanerà dalla meditazione si trovano gruppi
di questo tipo in molte parti dell’universo, poiché era conveniente che
partecipassero a questa foggia di esistenza pagani e cristiani; ma sopra ogni
altro luogo fioriscono in Egitto e precisamente nelle vicinanze di Alessandria”.
Di questi terapeuti alessandrini, quelli che egli
doveva conoscere di persona, Filone
descrive la residenza e le occupazioni.
“Le piccole case dove essi vivono hanno ciascuna
un minuscolo sacello (semneíon), nel quale i solitari compiono i misteri. È così
vivo in essi il sentimento del divino che anche nel sogno hanno la visione
della bellezza e della potenza di Dio. Due volte al giorno essi sono soliti
pregare: all’alba e alla sera. Al sorgere del sole per chiedere una felice giornata,
per impetrare che il loro intelletto sia illuminato dall’alto: al tramonto, affinché
l’anima del tutto sgombra dal tumulto delle esperienze sensibili si raccolga nel
proprio riposto sinedrio, nel segreto della impenetrabile coscienza, e segua le
orme della verità. L’intervallo dalla mattina alla sera è per essi una
ininterrotta ascesi”.
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