giuliano

venerdì 7 febbraio 2020

STORIE D'OLTRE CONFINE (Racconti d'Archivio) [8]













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Storie d'oltre confine








Nella sua oscura e coraggiosa storia abbondano le soluzioni di
continuità.
Intorno al 1868 lo sappiamo di nuovo nel Pergamino: sposato
o convivente con una donna, padre di un figlio, padrone d'un
pezzetto di terra.
Nel 1869 fu nominato sergente della polizia rurale.
Aveva riparato il passato; in quel tempo dovette considerarsi
felice, benché nel profondo non lo fosse.
(Lo attendeva, segreta nel futuro, una lucida notte fondamen-
tale: la notte in cui finalmente vide il proprio volto, la notte in
cui finalmente udì il proprio nome. Intesa bene, quella notte
consuma la sua storia; per dir meglio, un istante di quella not-
te, un atto di quella notte, perché gli atti sono il nostro simbo-
lo.)
Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in
realtà d'un sol momento: il momento in cui l'uomo sa per sem-
pre chi è.
Si narra che Alessandro di Macedonia vide riflesso il suo fu-
turo di ferro nella favolosa storia di Achille; Carlo XII di Sve-
zia, in quella di Alessandro. A Tadeo Isidoro Cruz, che non
sapeva leggere, tale nozione fu rivelata in un libro; egli si vi-
de in uno scontro e in un uomo.
I fatti si svolsero così:
Negli ultimi giorni del mese di giugno 1870, ricevette l'ordine
di catturare un malfattore, che aveva da render conto di due
omicidi.
Si trattava di un disertore delle forze comandate, alla frontie-
ra sud, dal colonnello Benito Machado; ubriaco, aveva ucci-
so un negro in un postribolo; in un'altra occasione, un uomo
del partito di Rojas; il rapporto aggiungeva che era originario
della Laguna Rossa.
In quel luogo, quarant'anni prima, s'erano fermati i guerriglie-
ri per la sventura che dette le loro carni in pasto agli uccelli e
ai cani; di lì era venuto Manuel Mesa, che fu giustiziato nella
Plaza della Vittoria, mentre i tamburi suonavano perché non
si udissero le sue imprecazioni; di lì, lo sconosciuto che ave-
va generato Cruz e ch'era morto in un fosso, il cranio rotto
da una sciabola della battaglia di Perù e Brasile.
Cruz aveva dimenticato quel nome; con lieve ma inspiegabi-
le inquietudine lo riconobbe.... Il criminale, incalzato dai sol-
dati, intessé a cavallo un lungo labirinto di andirivieni; tutta-
via lo accerchiarono la notte del 12 di luglio.
S'era rifugiato in un canneto.
Le tenebre erano quasi indecifrabili; Cruz e i suoi, cautamen-
te, a piedi, avanzarono verso i cespugli nel cui vibrante grem-
bo vigilava o dormiva l'uomo occulto.
Gridò un trampoliere; Tadeo Isidoro Cruz ebbe l'impressio-
ne di aver già vissuto quel momento. L'uomo uscì dal nascon-
diglio per battersi. Cruz lo intravide, terribile; i capelli lunghi
e la barba grigia parevano mangiargli il volto.
Un ovvio motivo mi vieta di riferire la lotta.
Basti ricordare che il disertore ferì e uccise vari uomini di
Cruz. Questi, mentre combatteva nell'oscurità, cominciò a
comprendere.
Comprese che un destino non è migliore d'un altro, ma che
ogni uomo deve compiere quello che porta in sé.
Comprese che le spalline e l'uniforme ormai lo impacciava-
no.
Comprese il suo intimo destino di lupo, non di cane da greg-
ge; comprese che l'altro era lui.
Faceva giorno nella sterminata pianura; Cruz gettò in terra
il berretto, gridò che non avrebbe permesso il delitto che fos-
se ucciso un coraggioso e si mise a combattere contro i solda-
ti a fianco del disertore Martìn Fierro....
(J. L. Borges)












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