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Nell'evoluzione degli agenti patogeni (11)
...Della
scomparsa dell’Impero d’Occidente e della crisi di quello d’Oriente; cominciata
in Africa lungo il Nilo nel 541, aveva colpito il mondo mediterraneo seguendo i
percorsi delle navi bizantine e aveva risalito l’interno dell’Europa,
estinguendosi solo verso la metà del secolo VIII. Ma il flagello era conosciuto
soprattutto attraverso la Bibbia, come arma punitrice di Dio. E a Dio ci si
rivolse per cercare aiuto. Papa Clemente
VI indisse un pellegrinaggio straordinario a Roma nel 1348.
E in tutte
le città si moltiplicarono allora le preghiere, le processioni, gli atti di
espiazione per gli sconosciuti peccati che avevano scatenato l’ira divina.
Processioni, pellegrinaggi: modi straordinariamente efficaci per propagare il
contagio.
Ma chi
portava la morte?
Questa è
una delle cose che oggi sappiamo.
Era un
nemico minuscolo, invisibile: pochi millesimi di millimetro. Un germe insediato
nel sangue dei ratti neri, diffuso dal morso delle pulci. La pulce parassita –
la Xenopsilla cheopis – assorbe col
sangue del ratto il germe della peste e lo trasmette agli esseri umani
eventualmente presenti nel raggio della sua azione.
Anno 1340. — La pestilenza
risolleva il capo in primavera e percuote soprattutto la città di Firenze, dove
dalla fine di Marzo durò sino al verno vegnente, togliendo di vita, tra maschi e
femmine e fanciulli più di 15 mila corpi:
“onde la Città era tutta piena di pianto e dolore, e non
s’intendea a pena ad altro che a sopellire morti”.
L’Anonimo Fiorentino dice
“che di febbre continua in pochi di si moriva, e porta il
numero de’ morti a più di 20 mila, tra’ quali 3 mila dei maggiori da nome, ed
anco più li ricchi che li poveri”.
Il predetto numero è grandemente cresciuto dalle
Istorie Pistoiesi,
secondo le quali da mezzo Marzo a tutto Luglio nella sola Firenze sarebbero
morte
“24 migliaja di persone, senza li altri Fiorentini, che
morirono nelle parti d’attorno, che furono grandissima quantità”.
Ed in Pistoja la pestilenza bastò più d’un anno
continuo, e vi morì, tra nella Città e nel Contado, più che la quarta parte
della gente. Le altre città della
Toscana non furono meno travagliate, e come dice il precitato Anonimo Fiorentino,
“discendendo di paese in paese propagossi l’infermaria alla
maggior parte d’ Italia, la quale era già, siccome abbiamo veduto, oppressa
dalla fame”.
Narrano Villani e Della Tosa…
“essere stato ordinato in Firenze, quando di
Maggio se n’erano sotterrati 80 per un giorno, onde la gente non Sbigottisse, ‘non
andasse chiamatole a morti, e non suonasse campane, e non si stesse all’uficio de’
morti’.
Questi
buoni provvedimenti erano resi inefficaci da malinteso fervore religioso, e
cioè da una generale processione alla metà di Giugno, ove furono quasi tutti i
cittadini sani maschie femmine: ma siffatta maniera di soccorrere al furore
delle pestilenze quanto tempo ancora non dovea durare!
Fu creduto
che la stella cometa apparsa all’uscita di Marzo verso Levante, annunziasse le
sventure dell’anno…
“a dì 16 Marzo del quale di mezzo giorno cadde in
Firenze, e d’intorno una grugnitola grossa e spessa, alta come grande neve, che
guastò quasi tutti i frutti”.
L’inverno
invece era corso senza freddo per quanto almeno si legge nella Cronaca del Cornazani…
Ma
oltremonti od almeno in Austria, dopo un caldo ed una serenità, sicut solet
evenire in solstitium Joannis Baptistae, alla metà di Gennajo sorse freddo
acerbissimo che durò per 5 settimane, e fu seguito da pioggie e inondazioni. In questo stesso anno scomparvero nel
mese d’ Agosto per le molte acque cadute le locuste, che da tanto tempo
flagellavano quelle contrade; ed in pari tempo grossi stormi di carpioni
scendevano dell’Ungheria nel Danubio:
“vendevansi a vii prezzo, di guisa che il popolo
quasi immundos abnueret”.
Altre
moltitudini in Italia congregavansi, ed
in quella stessa Lombardia, da cui pochi anni innanzi uscivano le
Palombelle di Fra Venturino: più di 10 mila uomini dai vescovati di Brescia, Mantova, Cremona, Piacenza, Parma, e Reggio
convenivano il 25 Marzo in una terra
del Cremonese…
“erano scalzi, poveri di vestimenti, ed andavano
battendosi raccogliendo grandi elemosine movevali all’aspra penitenza non l’austerità
di qualche romito, ma bellissima giovane che da ciascuno era riputala
santissima: nondimeno eli’ era concubina di sozzo prete; lo che scopertosi
stavan per esser amendue dannati al fuoco quando dai Signori Gonzaga furono
liberati”.
Né quella devozione
ebbe maggior seguito.
Egualmente sconvolte, ma in altro modo, erano le
menti in Inghilterra;
e benché non sia avvenimento italiano, parmi non debba esser taciuto il
seguente ricordo del Knyghton, tanto più che niuno scrittore medico vi ha fatto
attenzione.
“In aestate scilicet anno Gratiae 1340 aceidit quaedam
execrabilis et enortnis infìrmilas in Anglia quasi communis, et praecipue in
comitatu Leieestriae adeo quod durante passione homines emiserunt vocem
latrabilem ac si esset latratus canum, et fuit quasi intolerabilis poena
durante passione. Exinde fuit magna pestilentia hominum”.
Anno 1341.
— La pestilenza dell’anno precedente, che abbiamo veduto prodotta da malvagità
di stagione e da grave penuria, prosegue ancora in varj luoghi: in Verona è
portata da alcuni mercanti Fiorentini, ma non è di molto danno.
L’Inverno
fu assai freddo e con brine: il Giovedì Santo il terremoto si fece sentire in
Parma. Altrove l’inverno fu mite fino all’Aprile, quindi sopraggiunse tanta asperìtas et importunitas frigoris, ut omnes
desperarent, et durabat usque ad Majum.
Anno 1342.
— Grandi inondazioni in Francia, in Germania ed in Italia per il sollecito
scioglimento delle nevi. La stessa cronaca ricorda altre pioggie e inondazioni
nell’autunno del medesimo anno verso la festa di S. Martino. Secondo la Cronaca
Claustro Neoburgense oltre le inondazioni furon anche terremoti in varj luoghi.
Anno 1347.
— Prosegue la carestia, anzi fame, con il seguito ordinario delle infermità e
delle morti. In quest’anno, dice il cronista Bolognese…
“fu la maggior carestia che si ricordi mai uomo
alcuno: i contadini vennero alla città e per la fame cascavano per le contrade.
Grande mortalità fu, e ogni mattina venivano alla Chiesa Grande molte famiglie
di poveri per avere limosina, che di continuo si dava ogni mattina. Tra’ quali
poveri vedeansi morire molti giovani e putti di fame in braccio alle madri
loro, o una grande schiuma veniva loro alla bocca. E questo vidi io Scrittore
in San Jacopo de’ Frati Eremitani. La qual cosa era grandissima passione a
vedere”.
La mortalità in Firenze e nel contado durò fino
al Novembre…
“pezialmente nelle femmine e ne’ fanciulli di
povere genti: ella non fu però così grande come l’altra mortalità del 1340, ed
in grosso si stimò che morissero nella città 4 mila persone. Come altre volte
fecesi comandamento che niun morto si dovesse bandire, nò sonare campane alle chiese,
dove i morti si sotterravano, perché la gente non sbigottisse d’udire di tanti
morti. Nel mese d’Aprile furono messi in libertà quelli ch’erano in prigione
dal Febbraio addietro; e chiunque fossevi per debito di lire 100 in giù,
rimanendo però obbligato ai suo creditore: e fu grande bene perciocché nelle
carceri era cominciata la mortalità, ed ogni dì due o tre prigioni mancavano.
In Marzo era pure stato decretato che gl’impiegati non fossero tribolali di
loro debiti avendo la passione della fame e della mortalità: ma il bando che
niuno potesse vendere lo stajo del grano più di soldi 40, non fu punto
osservato”.
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