giuliano

lunedì 24 febbraio 2020

(la peste) NERA (9)










































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...Della scomparsa dell’Impero d’Occidente e della crisi di quello d’Oriente; cominciata in Africa lungo il Nilo nel 541, aveva colpito il mondo mediterraneo seguendo i percorsi delle navi bizantine e aveva risalito l’interno dell’Europa, estinguendosi solo verso la metà del secolo VIII. Ma il flagello era conosciuto soprattutto attraverso la Bibbia, come arma punitrice di Dio. E a Dio ci si rivolse per cercare aiuto. Papa Clemente VI indisse un pellegrinaggio straordinario a Roma nel 1348.

E in tutte le città si moltiplicarono allora le preghiere, le processioni, gli atti di espiazione per gli sconosciuti peccati che avevano scatenato l’ira divina. Processioni, pellegrinaggi: modi straordinariamente efficaci per propagare il contagio.

Ma chi portava la morte?

Questa è una delle cose che oggi sappiamo.

Era un nemico minuscolo, invisibile: pochi millesimi di millimetro. Un germe insediato nel sangue dei ratti neri, diffuso dal morso delle pulci. La pulce parassita – la Xenopsilla cheopis – assorbe col sangue del ratto il germe della peste e lo trasmette agli esseri umani eventualmente presenti nel raggio della sua azione.






Anno 1340. — La pestilenza risolleva il capo in primavera e percuote soprattutto la città di Firenze, dove dalla fine di Marzo durò sino al verno vegnente, togliendo di vita, tra maschi e femmine e fanciulli più di 15 mila corpi:

onde la Città era tutta piena di pianto e dolore, e non s’intendea a pena ad altro che a sopellire morti”.

L’Anonimo Fiorentino dice

che di febbre continua in pochi di si moriva, e porta il numero de’ morti a più di 20 mila, tra’ quali 3 mila dei maggiori da nome, ed anco più li ricchi che li poveri”.

Il predetto numero è grandemente cresciuto dalle Istorie Pistoiesi, secondo le quali da mezzo Marzo a tutto Luglio nella sola Firenze sarebbero morte

24 migliaja di persone, senza li altri Fiorentini, che morirono nelle parti d’attorno, che furono grandissima quantità”.

Ed in Pistoja la pestilenza bastò più d’un anno continuo, e vi morì, tra nella Città e nel Contado, più che la quarta parte della gente. Le altre città della Toscana non furono meno travagliate, e come dice il precitato Anonimo Fiorentino,

discendendo di paese in paese propagossi l’infermaria alla maggior parte d’ Italia, la quale era già, siccome abbiamo veduto, oppressa dalla fame”.

Narrano Villani e Della Tosa…

“essere stato ordinato in Firenze, quando di Maggio se n’erano sotterrati 80 per un giorno, onde la gente non Sbigottisse, ‘non andasse chiamatole a morti, e non suonasse campane, e non si stesse all’uficio de’ morti’.

Questi buoni provvedimenti erano resi inefficaci da malinteso fervore religioso, e cioè da una generale processione alla metà di Giugno, ove furono quasi tutti i cittadini sani maschie femmine: ma siffatta maniera di soccorrere al furore delle pestilenze quanto tempo ancora non dovea durare!

Fu creduto che la stella cometa apparsa all’uscita di Marzo verso Levante, annunziasse le sventure dell’anno…

“a dì 16 Marzo del quale di mezzo giorno cadde in Firenze, e d’intorno una grugnitola grossa e spessa, alta come grande neve, che guastò quasi tutti i frutti”.

L’inverno invece era corso senza freddo per quanto almeno si legge nella Cronaca del Cornazani…

Ma oltremonti od almeno in Austria, dopo un caldo ed una serenità, sicut solet evenire in solstitium Joannis Baptistae, alla metà di Gennajo sorse freddo acerbissimo che durò per 5 settimane, e fu seguito da pioggie e inondazioni. In questo stesso anno scomparvero nel mese d’ Agosto per le molte acque cadute le locuste, che da tanto tempo flagellavano quelle contrade; ed in pari tempo grossi stormi di carpioni scendevano dell’Ungheria nel Danubio:

“vendevansi a vii prezzo, di guisa che il popolo quasi immundos abnueret”.

Altre moltitudini in Italia congregavansi, ed in quella stessa Lombardia, da cui pochi anni innanzi uscivano le Palombelle di Fra Venturino: più di 10 mila uomini dai vescovati di Brescia, Mantova, Cremona, Piacenza, Parma, e Reggio convenivano il 25 Marzo in una terra del Cremonese…

“erano scalzi, poveri di vestimenti, ed andavano battendosi raccogliendo grandi elemosine movevali all’aspra penitenza non l’austerità di qualche romito, ma bellissima giovane che da ciascuno era riputala santissima: nondimeno eli’ era concubina di sozzo prete; lo che scopertosi stavan per esser amendue dannati al fuoco quando dai Signori Gonzaga furono liberati”.

Né quella devozione ebbe maggior seguito.

Egualmente sconvolte, ma in altro modo, erano le menti in Inghilterra; e benché non sia avvenimento italiano, parmi non debba esser taciuto il seguente ricordo del Knyghton, tanto più che niuno scrittore medico vi ha fatto attenzione.

“In aestate scilicet anno Gratiae 1340 aceidit quaedam execrabilis et enortnis infìrmilas in Anglia quasi communis, et praecipue in comitatu Leieestriae adeo quod durante passione homines emiserunt vocem latrabilem ac si esset latratus canum, et fuit quasi intolerabilis poena durante passione. Exinde fuit magna pestilentia hominum”.

Anno 1341. — La pestilenza dell’anno precedente, che abbiamo veduto prodotta da malvagità di stagione e da grave penuria, prosegue ancora in varj luoghi: in Verona è portata da alcuni mercanti Fiorentini, ma non è di molto danno.

L’Inverno fu assai freddo e con brine: il Giovedì Santo il terremoto si fece sentire in Parma. Altrove l’inverno fu mite fino all’Aprile, quindi sopraggiunse tanta asperìtas et importunitas frigoris, ut omnes desperarent, et durabat usque ad Majum.

Anno 1342. — Grandi inondazioni in Francia, in Germania ed in Italia per il sollecito scioglimento delle nevi. La stessa cronaca ricorda altre pioggie e inondazioni nell’autunno del medesimo anno verso la festa di S. Martino. Secondo la Cronaca Claustro Neoburgense oltre le inondazioni furon anche terremoti in varj luoghi.

Anno 1347. — Prosegue la carestia, anzi fame, con il seguito ordinario delle infermità e delle morti. In quest’anno, dice il cronista Bolognese…

“fu la maggior carestia che si ricordi mai uomo alcuno: i contadini vennero alla città e per la fame cascavano per le contrade. Grande mortalità fu, e ogni mattina venivano alla Chiesa Grande molte famiglie di poveri per avere limosina, che di continuo si dava ogni mattina. Tra’ quali poveri vedeansi morire molti giovani e putti di fame in braccio alle madri loro, o una grande schiuma veniva loro alla bocca. E questo vidi io Scrittore in San Jacopo de’ Frati Eremitani. La qual cosa era grandissima passione a vedere”.

La mortalità in Firenze e nel contado durò fino al Novembre…

“pezialmente nelle femmine e ne’ fanciulli di povere genti: ella non fu però così grande come l’altra mortalità del 1340, ed in grosso si stimò che morissero nella città 4 mila persone. Come altre volte fecesi comandamento che niun morto si dovesse bandire, nò sonare campane alle chiese, dove i morti si sotterravano, perché la gente non sbigottisse d’udire di tanti morti. Nel mese d’Aprile furono messi in libertà quelli ch’erano in prigione dal Febbraio addietro; e chiunque fossevi per debito di lire 100 in giù, rimanendo però obbligato ai suo creditore: e fu grande bene perciocché nelle carceri era cominciata la mortalità, ed ogni dì due o tre prigioni mancavano. In Marzo era pure stato decretato che gl’impiegati non fossero tribolali di loro debiti avendo la passione della fame e della mortalità: ma il bando che niuno potesse vendere lo stajo del grano più di soldi 40, non fu punto osservato”.














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