giuliano

mercoledì 10 aprile 2013

LA FEBBRE DELL'ORO (76)
















































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Quando li scorgemmo, i tre erano in una forra breve
e incassata, intenti a scavare con piccoli machete e
coltelli spagnoli.
Non appena si accorsero di noi, ci gettarono sguar-
di pieni di astio, come se fosse stata nostra inten-
zione interferire nel loro pieno diritto alla scoperta.
Devo dire che tale diritto è di solito tenuto in gran
conto. Quando un gruppo di persone trova l'oro, non
viene mai ostacolato dagli altri, anzi, si tengono tut-
ti a debita distanza.




Un esempio di questo sentimento naturale della giu-
stizia è costituito da un bel banco d'oro che giace
nei pressi del mulino del capitano Sutter e che nes-
suno si è mai sognato di intaccare per rispetto ver-
so il capitano, anche se questi non potrebbe vanta-
re alcuna proprietà del luogo.
Ben presto gli indiani si resero conto che non ave-
vamo alcuna intenzione di invadere il loro territo-
rio e ripresero a lavorare, mentre il vecchio bor-
bottava in spagnolo rispondendo come poteva al-
le nostre domande.




Si portava un rozzo sacchettino contenente - così
mi parve - sei o sette once d'oro che mostrava con
un misto di esultanza e di diffidenza.
Mentre discutevamo con il vecchio, che era prece-
duto innanzi di alcuni passi, intento nel proprio la-
voro, se ne uscì in un improvviso 'Augh!' che è l'-
espressione indiana di meraviglia.
Quando ci volgemmo verso di lui, lo vedemmo che
alzava con aria di gioia sconfinata una pepita d'oro
incrostata di terriccio, grossa come un pugno.




Il vecchio gli si gettò addosso come un forsenna-
to e, strappatagliela dalle mani, si mise a pulirla
dalla terra e dalle incrostazioni.
Lo fece con grande rapidità e precisione e in meno
di un minuto ci mostrò quella che aveva tutta l'aria
di essere una pepita d'oro del peso di sei o sette
once.
L'esaminammo con cura e con grande ammirazio-
ne. Non saprei dire se predominasse allora in me
la brama o la meraviglia per uno dei più begli e-
semplari che avessi mai visto.




Suppongo che me lo si leggesse in faccia, perché
il vecchio indiano mi guardò fisso negli occhi e quin-
di, dopo aver scambiato alcune parole nella sua lin-
gua con la 'squaw', mi tese la pepita con la destra
mentre con la sinistra si mise a tirare una fusciacca
rossa che portavo attorno alla vita, con l'evidente
intenzione di propormi il baratto.
Era una gran bella fusciacca, la mia, e sebbene va-
lesse senza alcun dubbio quanto mi veniva offerto
in oro, l'avrei potuta vendere ad un prezzo maggio-
re in quei posti.




Infatti, tutti sanno che gli indiani soddisfano i loro
capricci a prezzi ben più esorbitanti. Ma non fu
questo che mi fece esitare, bensì la sensazione di
star speculando sull'ignoranza di un selvaggio.
- Pigliala, Harry,
mi fa Charley.
- Non voglio approfittarmi del vecchio, Charley,
gli rispondo.
- Già, poi arriva qualcuno che gli rifila una pezza
di cotonina e si becca la pepita. Allora è meglio
che la prenda tu, no?




L'indiano dovette pensare che la nostra titubanza
nascesse dall'intenzione di alzare il prezzo, infatti
si mise a confabulare qualche minuto con la 'squaw'
e quindi fece l'atto di sciogliere il sacchetto, come
se volesse aggiungere qualcosa all'offerta.
Allora scossi il capo per fargli capire che non impor-
tava e, slacciata la fusciacca, gliela detti in cambio
dell'oro.
La vanità è un dolcissimo nettare per l'uomo, se
perfino il proverbiale stoicismo dei selvaggi cede
alla magica influenza.
Non appena il vecchio mise le mani sull'agognato
tesoro, la moglie e il figlio gli si fecero d'attorno e,
dimentichi del lavoro, restarono in stupefatta ammi-
razione dello sgargiante trofeo che avevamo conqui-
stato ad un prezzo di gran lunga superiore al suo in-
trinseco valore.....
(Guida del cercatore d'oro della California)













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