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Favola della Domenica: la Povera Cosa (1)
Ora tornarono alla barca col ferro di cavallo e quando l’alba spuntò si
accorsero del fumo della città del conte e delle campane della chiesa che
rintoccavano. Così posero piede a terra; e l’uomo andò fino al mercato tra i
pescatori intorno al palazzo e alla chiesa; ed egli era poverissimo e
bruttissimo e non aveva neppure un pesce da vendere ma soltanto un ferro di
cavallo nella cesta, e arrugginito.
‘Ora’, disse la Povera Cosa, ‘fa’ così e cosà e tu troverai moglie e io
madre’. Accadde che la figlia del conte uscisse per recarsi in chiesa a
pregare; e quando vide il pover’uomo che se ne stava nel mercato soltanto con
un ferro di cavallo, e arrugginito, le venne da pensare che doveva trattarsi di
un oggetto di valore.
‘Cos’è quello?’, chiese.
‘E’ un ferro di cavallo’, disse l’uomo.
‘E a che cosa serve?’. Chiese la figlia del conte.
‘Non serve a nulla, non certo ai moderni cavalli a vapore ed ai
corrotti politici che li governano’.
‘Non posso crederlo’, disse lei; ‘altrimenti perché l’avresti
portato?’.
‘Così faccio’, disse lui, ‘perché così facevano i miei padri; non ho
altro motivo, né migliore né peggiore’.
Ora la figlia del conte per quanto si provasse non riusciva a
credergli.
‘Suvvia’, fece lei, ‘’vendimelo, perché son sicura che è un oggetto di
valore, come quel foglio scritto con delle strane parole…, voglio il ferro e
quelle Rime…’.
‘No’, disse l’uomo, ‘non è in vendita’.
‘Cosa?’, esclamò la figlia del conte, ‘non sai che tutto il mondo è
nelle mie mani e nei miei occhi! Ed allora che viene a fare qui nel grande
mercato di città con quella cosa nella cesta e quelle inutili parole?’.
‘Sto qui’, disse l’uomo, ‘a procurarmi moglie’.
‘Non c’è alcun senso in tutte queste risposte’, pensò la figlia del
ricco conte; ‘è roba da mettersi a piangere’.
A questo punto eccoti il conte; e lei lo chiamò subito e gli raccontò
tutto quanto. E quando egli ebbe udito, fu dell’opinione della figlia, e cioè
che doveva trattarsi di cosa pregiata; e impose all’uomo di dirne il prezzo se
non voleva penzolare sulla forca, perché con le buone maniere o con le cattive,
doveva avere quanto aveva visto.
‘La via della vita è dritta come i binari di un varo’, dichiarò l’uomo.
E se devo morire, che sia’. ‘Diamine!’, esclamò il conte, ‘vuoi rimetterci il
collo per un ferro e poche parole, ed il ferro è anche arrugginito e vecchio’.
‘Io penso’, disse l’uomo, ‘che in questo mondo una cosa valga l’altra; e ciò
che per te può apparire insignificante o di grande valore, per me può avere un
significato importantissimo’. ‘Ciò è impossibile’, pensò il conte e rimase lì a
guardare quell’uomo tormentandosi la barba.
… E l’uomo ricambiò lo sguardo e sorrise….
‘Così fecero i miei padri ai Tempi andati’, dichiarò al conte, ‘e non
ho altro motivo, né migliore né peggiore’. ‘Tutto ciò è privo di senso’, pensò
il conte, ‘e io devo stare invecchiando’. Così prese da una parte la figlia e
disse: ‘Molti pretendenti hai rifiutato, bambina mia. Ma che un uomo si tenga
così stretto un vecchio ferro arrugginito, è una faccenda molto strana. E che
la mostri come una qualsiasi altra merce posta in vendita ma che non la venda;
e che se ne stia qui a cercar moglie. Se non riesco a venire a capo di questa
faccenda, non piglierò più piacere nel cibo; e non vedo altra via che o impiccarlo
o dartelo per marito’.
‘Sul mio onore, è bruttissimo’, disse la figlia del conte. ‘E perché
poi se la forca è proprio qui vicino?’. ‘Non era così’, disse il conte, ‘che
facevano i miei padri ai Tempi andati. Io sono come quell’uomo e non ho da darti
altro motivo, migliore o peggiore che sia. Ma tu, te ne prego, parlagli di
nuovo’.
Così la figlia del conte parlò all’uomo…..
‘Se tu non fossi così brutto’, disse, ‘mio padre il conte ci avrebbe
fatto sposare’. ‘Bruttissimo son io’, disse l’uomo, ‘e voi bella come il
maggio. Bruttissimo son io, e con ciò? Fu così che i miei padri..’. ‘In nome di
Dio’, disse la figlia del conte, ‘lascia stare i tuoi padri!’. ‘Se lo avessi
fatto’, disse l’uomo, ‘non sareste mai stata qui a mercanteggiare con me al
mercato né vostro padre il conte a sorvegliarci con la coda dell’occhio’. ‘Ma
via’ dichiarò la figlia del conte, ‘è cosa troppo strana che tu possa pensare
di avermi in sposa con un ferro di cavallo, e arruginito’.
… ‘Io penso’, dichiarò l’uomo, ‘che queste due cose, una antica e questo
foglio, per me valgano più…. della vostra povera moneta…’. ‘Oh, risparmiela’,
disse la figlia del conte, in modo alterato, ‘e dimmi perché dovrei sposarmi’.
‘Ascolta e guarda’, disse l’uomo.
ORA IL VENTO SOFFIO’ ATTRAVERSO LA POVERA COSA come un pianto di
pargolo, così che il cuore di lei s’intenerì; ed i suoi occhi si aprirono e si
rese conto che la Cosa era come un neonato senza madre e se lo prese al collo e
tra le braccia sue quello si sciolse come aria.
‘Suvvia’, disse l’uomo, ‘osserva questa scena: i nostri figli, il
focolare operoso, le teste bianche. E ciò basti, perché è tutto quel che Dio ci
offre e con queste ci salva, e queste parole che tengo strette, ci parla..’.
‘Non è che la cosa mi piaccia’, disse lei, ma le uscì un sospiro.
‘Le vie della vita sono dritte come i binari di un varo’, disse l’uomo
e la prese per la mano. ‘E che ne faremo del vecchio ferro arrugginito?’ fece
lei. ‘Lo darò a tuo padre’, disse l’uomo; ‘e, per me, può farcene una chiesa o
un mulino’.
A suo Tempo accadde che la Povera Cosa nacque; ma il ricordo di tutto
ciò dormiva dentro di lui e nulla sapeva di quel che aveva fatto. Ma egli era
parte del figlio maggiore e godeva virilmente nel mettere la barca in mare
contro la risacca, nel governare abilmente il timone e nell’essere un uomo
forzuto dove il cerchio si chiude e soffia a raffiche il vento.
(R. L. Stevenson)
(R. L. Stevenson)
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