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Le vie dei canti (3)
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Primo Sogno: il principe delle tenebre nel suo regno
Ma so che l’uomo impersonò il lucertolone più realistico che si possa
immaginare. Era maschio e femmina, seduttore e sedotta. Era via via l’ingordo
tradito, il tradito, l’esausto viaggiatore. Camminava coi piedi lucertoleschi
di traverso, poi divenne di marmo e drizzò la testa. Copriva l’iride sollevando
la palpebra inferiore e faceva guizzare la lingua. Gonfiò il collo e il gozzo
gli pulsò per il furore, quando venne la sua ora, si contorse e si dibatté con
movimenti sempre più deboli, come una ballerina nella ‘Morte del cigno’.
Poi chiuse di scatto la mascella, e tutto finì.
L’uomo celeste indicò la collina e col tono trionfante di chi ha appena
raccontato la storia più bella del mondo, esclamò: ‘Ed eccola là!’. Naturalmente,
mi disse Alan, quello che avevamo visto non era il ‘vero’ canto della
Lucertola, ma un ‘falso’, una scenetta recitata per i forestieri.
IL CANTO VERO AVREBBE ENUMERATO OGNI POZZO A CUI BEVVE L’UOMO
LUCERTOLA, ogni albero da cui tagliò una lancia, ogni caverna in cui dormì
durante tutto il suo lungo cammino (in fuga dal cosiddetto mondo civilizzato,
ove i Sogni non sono più permessi….).
La Lucertola e sua moglie partirono a piedi per il mare, ed io ed
Arkady restammo a meditare su questa storia di un’Elena degli antipodi. Da lì a
Port Augusta, in linea d’aria, c’erano pressappoco 1600 chilometri, circa il
doppio – secondo i nostri calcoli – che da Troia a Itaca. Provammo ad
immaginare un’Odissea con un verso per ogni svolta che l’eroe ha fatto nel corso
del suo Viaggio decennale. Guardando la Via Lattea dissi: ‘Sarebbe come contare
le stelle’.
Quasi ogni tribù, proseguì Arkady, parlava la lingua delle tribù
vicine, perciò non esistevano le difficoltà di comunicazione caratteristiche
delle frontiere. Ma come facesse un uomo della tribù A, che viveva ad una
estremità di una Via del Canto, a dire esattamente quale regione venisse
cantata nelle poche battute che udiva dalla tribù Q di cui non sapeva la
lingua, era un mistero.
‘Cristo!’ esclamai.
‘Mi stai dicendo che magari il vecchio Alan conosce i canti di una
regione lontana duemila chilometri?’.
‘E’ molto probabile’.
‘Senza esserci mai stato?’.
‘Sì’.
C’erano un paio di etnomusicologi, disse, che stavano studiando la
questione. Nel frattempo la cosa migliore era immaginare un piccolo esperimento
tutto nostro. Supponiamo di trovare, dalle parti di Port Augusta, un
uomo-del-canto che conosca il canto della Lucertola. Supponiamo di fargli
cantare le sue strofe al registratore e poi di far sentire il nastro ad Alan,
che è della regione kaititj. Può darsi che egli riconosca immediatamente la
melodia – come noi riconosceremmo la sonata ‘Chiaro di luna’ – ma che gli
sfugga il significato delle parole.
Tuttavia, ascolterebbe molto attentamente la struttura melodica; forse
ci chiederebbe anche di riascoltare qualche battuta. Poi, di colpo, si
sincronizzerebbe e, al posto delle parole ‘senza senso’, sarebbe in grado di
cantare le proprie.
‘Le proprie parole per la regione attorno a Port Augusta?’.
‘Sì’ rispose Arkady.
‘Succede proprio così?’.
‘Sì’.
‘Come diavolo fa?’.
Nessuno, disse, lo sapeva con certezza. C’era chi sosteneva che era per
telepatia. Gli aborigeni raccontavano di uomini-del-canto che in stato di
trance sfrecciavano con un sibilo su e giù per la Via. Ma c’era anche un’altra
ipotesi, ancora più stupefacente. A quanto pare, è l’andamento melodico,
indipendentemente dalle parole, descrivere il tipo di terreno su cui passa il
canto….
‘Quindi una frase musicale (ed la Rima corrispondente…) è un
riferimento geografico?’.
‘La musica’ rispose Arkady ‘è una banca dati per trovare la strada
quando si è in giro per il mondo (chi odia la musica e la sua Rima, odia la
Terra… e questa si vendicherà e risponderà all’uomo che abusa di Lei…).
‘Mi ci vorrà un po’ per raccapezzarmici’.
‘Hai tutta la notte’ sorrise. ‘Con i serpenti’…..
(B. Chatwin, Le vie dei canti)
(B. Chatwin, Le vie dei canti)
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