giuliano

giovedì 31 agosto 2023

LA PARTENZA

 









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circa il 


..."Ritorno"  


Prosegue con il 


convoglio al completo! 


e... la Fuga







LA TRANSIBERIANA 

 

 

La sirena della ferrovia del BAM urla a lungo…

 

Il treno si ferma, un treno curioso. I vagoni merci sono rivestiti di tavole, le botole sono a vetri, sul tetto ci sono cammini, che fumano come quello della locomotiva.

 

E’ pazzesco tutto quello che c’è sulle piattaforme…

 

Ruote per cucine da campo, barili per far bollire l’acqua, mucchi di fieno, teloni, secchi e marmitte…

 

Fra i vagoni voci umane, nitriti di cavalli, grugniti di maiali e muggiti di mucche….

 

Uomini con gabbani e giacche rivoltate di feltro e berretti: solo uomini, e però si sentono voci femminili…

 

Cosa succede?

 

Ecco: sono donne con vestiti maschili. Il calderone e le marmitte si ritrovano subito a terra. Si accendono i fuochi, si agganciano le marmitte, e il tè è pronto. Si sentono tintinnare le gavette e i boccali, i cucchiai, le bottiglie, i secchi…




E’ buffo e strano: gente che arriva, si ferma in piena campagna e si sente a casa sua. Risuona una canzone molto, molto allegra quasi una cantilena…

 

All’altro capo del treno, sono le pale, i picconi e le zappe che si fanno sentire. Già il fabbro fa andare il suo mantice. Il cuoco arriva portando un carico di patate, la lavandaia con la biancheria, il palafreniere con secchi e fieno. Abbattono degli alberi vicino alla ferrovia, tagliano la legna. Si lavano, battono i materassi imbottiti di fieno, scuotono i loro vestiti. Alcuni contemplano il paesaggio, altri scelgono un albero ben secco da tagliare, certi forse pensano al loro paese natale, si ricordano dei luoghi familiari, altri ancora pensano all’evasione, tanti pensieri quante persone.

 

Un gruppo rimane lì a fumare, altri discutono…




Un ragazzo cerca di dimostrare qualcosa con forza di convinzione, gesticolando e sistemando a ogni istante il suo colbacco che continua a cadere. Alcuni lanciano sputacchi per terra, tossicchiano e si raschiano la gola. Tre persone costeggiano la ferrovia, esaminano qualche cosa, battono il piede sul terreno, mostrano il terrapieno e le rotaie dell’antica ferrovia. Uno degli uomini prende una pertica, la innalza per mostrare lo spazio tutto intorno, la lontananza. Le persone seguono con gli occhi la mano che tiene il bastone, si girano, riflettono, prendono delle note.

 

E’ così che nasce una falange…

 

Qui fra un giorno ad alcuni metri dalla linea ferroviaria ci saranno tende, baracche, orti, un’intera città. Vivace di mattina, calma di giorno, e di nuovo vivace la sera. Non guardare e non dire se qui è meglio o peggio, ovunque è uguale, vivere tre-cinque mesi e oltre. Passeremo l’inverno, e d’estate ogni ramo germoglierà.

 

Si sente un grido: ‘Mamma, mamma!’.





Non è un bambino che chiama la mamma, sono le donne articolo 35 che chiamano il loro capo. Con gli uomini non esistono simili collettivi, non ci sono brigate così unite. Con le donne è diverso, ma non solo con le 35.

 

…E’ un collettivo di criminali, con i propri usi e costumi da ladro, qui la capo brigata è ‘atamano’, ‘pascià’, ‘mamma’. La ‘mamma’ dirige tutto e tutti, è lei che colpisce, è lei che perdona, è lei che permette di non andare a lavorare, che dà da mangiare o priva del cibo.

 

La ‘mamma’ è tutto…

 

Gli uomini, invece, restano soli, raramente in due. Vincere o perdere giocando a carte per loro è più importante dell’amicizia. Ci vogliono dieci minuti per fabbricare delle carte. Per questo non serve a nulla confiscarle.

 

Perdono tutto…

 

Perdono interi magazzini…




In questi casi, ci si deve aspettare uno svaligiamento. I perdenti devono andare a insultare quelli della direzione. A volte, si giocano una parte del corpo, un dito della mano o del piede, o tutta la mano. Il perdente si taglia un dito o la mano davanti a tutti e lo getta sul tavolo dicendo:

 

BEVETE IL MIO SANGUE, PARASSITI!

 

Di nuovo il sole, ma il vento dell’est è freddo, e i pensieri non si possono frenare.

 

Né trattenere, né racchiudere e i pensieri sono una cosa che non si può frenare né afferrare.

 

Mosca, la fabbrica, il rumore dei martelli, lo stridore della sega…

 

Il baccano delle macchine, l’officina polverosa.





Un raggio di sole che penetra attraverso la doppia vetrata… risplende così dolcemente.

 

Le persone mi vengono incontro, io incontro loro.

 

Il lavoro qui ferve di buona lena quando la porta dell’officina si chiude alle mie spalle respiro infine a pieni polmoni, liberamente…

 

Davanti a me, un viso.

 

Lo stridio dei tram, il rombo delle automobili.

 

Le sirene delle fabbriche e l’occhio rosso del semaforo.

 

Rumore di passi sul marciapiede.

 

Le persone corrono, come forsennati.

 

Ognuno ha i suoi affari, le sue emozioni uno va a teatro, un altro alla riunione.

 

E io, tra questa folla, mi affretto verso lo stadio.

 

Sono forse un milione, le persone come me?




La vita di una città è così varia così seria, ma al tempo stesso così gioiosa che talvolta ho voglia di partire, di sparire sottoterra, di fondermi in questa folla rumorosa o di volteggiare, gettandomi a testa in giù nel turbine.

 

Ma qui? Nella taiga!


Un tale silenzio tutto intorno, calma solo calma si sente il picchio e lo stridio delle gazze solo, senza amici, l’anima sconvolta, vago, come un nomade, per il bosco per un sentiero solitario.

 

Ponti magazzini, secondo binario, strada parole e discorsi magniloquenti.

 

Ci vuole tutto questo, ci vuole entusiasmo, perché senza l’imbroglio e l’ammonal non sarebbe costruito il canale, come si dice da noi, senza l’imbroglio e l’ammonal, e senza di noi voi non avreste costruito il secondo binario.

 

Freddo feroce, monti.

 

Mondo criminale.

 

Feroce Natura.

 

Pale, grida ammonal.




Circolari, evasioni, caos.

 

Caos.

 

Tutto si è confuso, tutto si è intrecciato, una gran confusione da non capirci niente.

 

No si sa se si ha torto o ragione!

 

A volte, non si sa cosa si deve fare.




Non si dovrebbe dimenticare gli uomini, i comandanti, ci dicono che voi siete la forza, voi siete i rappresentanti del potere sovietico.

 

Ma in questo sta la felicità.

 

Siamo gentucola, gente senza grandi pretese.

 

Ci accontenteremmo dello stretto necessario: stare al caldo, avere una camicia pulita, un alloggio separato dai vitelli e dai maiali!

 

E’ tutto, io ve lo giuro.

 

Non reclamiamo pane bianco né burro, né teatro né cinema.

 

Noi vogliamo solo dormire tranquillamente una notte o godere di un giorno di riposo.

 

Noi abbiamo anche un sogno segreto: lasciare il BAM, tornare a casa nostra.




 All’alba si aspettano i comandanti di sezione per l’istruzione.

 

Non sono venuti per tutta la mattina…

 

Due ore di tattica e di geometria.

 

Baccano e zuffa alla falange.

 

Ci vado.

 

Prendiamo due ragazzi per le maniche, li trasciniamo nella cella. Osipov si è preso un colpo nell’occhio, peccato che non si siano buttati su di me, ne avrei ammazzato uno, e si sarebbero calmati. Il capo distaccamento, ‘certamente’ non vede niente e non vuol sapere niente. Devo solo provare a fare il mio lavoro, e capirà.

 

Tutti sanno dirigere, bene o male.

 

E tutti sanno esigere.

 

Come venire fuori dal BAM?




‘Rifletti testolina, ti regalerò un berretto’.

 

Ma io non ho nemmeno il tempo di riflettere. Dunque, si dovrà trovare un modo per venirne fuori. Affondare nell’alcolismo è escluso, finirei nella prima sezione. Sarebbe bello che mi congedassero per inadeguatezza.

 

Ma non esistono casi di congedo.

 

Troverò un sistema.

 

In qualunque affare, l’occasione e l’umore della persona da cui dipende il successo dell’impresa giocano un ruolo importante. Per il momento, l’occasione non mi si è presentata, è troppo presto, ma l’occasione fa l’uomo ladro. Se si presenta, ne approfitterò anche se è troppo presto.

 

Le falangi se ne vanno a poco a poco.




Gli zek rientrano sono stati fuori tutta la notte... vanno a dormire...  immagino il loro stato d’animo. A loro il lager deve sembrare un vero incubo, senza senso, mostruoso.

 

E’ così che lo vedo anch’io.

 

Fino a oggi, non riuscivo a rendermi conto di essere in un lager…

 

Qui non occorre nessun sapere, niente cultura, i libri più importanti sono censurati, niente cultura generale... Finché non ci sono evasioni, tutto va bene. Sono arrivato ad Archara. Un buco sperduto. Non c’è nessun posto per ripararsi per un’ora o due. Fa meno trentasette, si gela e penso di avere un po’ di febbre.      


   


                               

...Nel 1932 il Soviet dei Commissari del popolo dell’URSS diede ordine per la costruzione di una ferrovia Bajkal-Amur. Il BAM era il progetto di importanza militare, che all'inizio fu affidato al Commissariato dei trasporti e comunicazioni. Il tempo concesso per il suo completamento era di soli tre anni e mezzo, data la situazione nell’Estremo Oriente russo.

 

Nel 1931-32 il Giappone aveva occupato la Manciuria, privando così la Russia della Ferrovia orientale cinese. Questa era il principale collegamento tra Vladivostock, unico grande porto della Russia nella regione e sede della flotta dell’oceano Pacifico, la Siberia e le regioni centrali della Russia.

 

Il resto della Transiberiana era a un solo binario in molti tratti e per più di mille chilometri correva lungo il confine sovietico con la Manciuria. Sachalin meridionale apparteneva al Giappone, e quindi un secondo sbocco alla costa del Pacifico era di primaria importanza strategica per l’URSS. Nonostante una campagna di propaganda, apparve impossibile mobilitare gli enormi numeri di lavoratori necessari per un duro lavoro in condizioni estremamente severe in quello che una canzone popolare in un film di propaganda sovietica definiva ‘il nostro vicino e caro Estremo Oriente’.

 

Ben presto apparve chiaro che l’unico modo per completare l’opera fissata da Stalin in un tempo così breve era quello di usare manodopera forzata. La responsabilità del progetto fu quindi trasferita alla OGPU. Successivamente al completamento del canale mar Bianco-Baltico, primo grande progetto di costruzione del Gulag con l’impiego di lavoro forzato, migliaia di persone furono trasferite al BAM.

 

Un gran numero di detenuti confluirono nel BAM-lag.

 

A metà del 1935, quando Cistjakov era al BAM-lag, circa 170.000 detenuti vi stavano lavorando, e quando il lager fu smantellato nel maggio 1938 il numero era salito a oltre 200.000. All’epoca del gulag si trovava un totale di oltre 1.800.000 detenuti. Nel suo romanzo ‘Vita e destino’, Vasilij Grossman descrive questo nuovo
mondo dei lager di detenzione e il suo organizzatore:


‘All’inizio della Nuova Politica Economica, Frankel si era costruito una fabbrica di motori a Odessa. A metà degli anni Venti, lo arrestarono e lo deportarono sulle isole Solovki. Dal lager Frenkel spedì a Stalin un progetto geniale: ‘geniale’, il vecchio cekista usò proprio questa parola. Nel progetto esponeva meticolosamente con competenza economica e tecnica, come impiegare masse enormi di detenuti per costruire strade, centrali idroelettriche e bacini artificiali. Non mancò neppure l’apporto degli ‘schiavi’ slavi... E il detenuto Frenkel nel freddo e buio della sua cella venne promosso su due piedi tenente generale dell’MGB: il padrone aveva apprezzato la sua... idea...’.

 

L’Associazione Internazionale Memorial è stata fondata nel 1988 all’interno di un vasto movimento a cui partecipavano personalità di diverso orientamento e credo politico quanto religioso: ortodossi e non della politica quanto della religione, di diverse generazioni, unite dal desiderio di costruire uno STATO DI DIRITTO ed REALMENTE DEMOCRATICO (non virtualmente quindi…).




Il primo presidente dell’Associazione Memorial è stato l’accademico Andrej Sacharov. Oggi Memorial riunisce decine di sezioni in Russia, Bielorussia, Germania, Italia, Kazakhstan, Lettonia, Ucrania che svolgono attività di ricerca, di divulgazione e di DIFESA DEI DIRITTI UMANI.

 

Per iniziativa di Memorial nel 1991 è stata approvata la Legge sulla RIABILITAZIONE DELLE VITTIME DELLA REPRESSIONE POLITICHE: IL 30 OTTOBRE è stato proclamato GIORNO DELLA MEMORIA DELLE VITTIME DELLE REPRESSIONI POLITICHE (dunque poniamo distinguo fra criminali comuni e veri perseguitati….).

 

Fin dalla sua fondazione Memorial si è posta il compito di salvaguardare la memoria culturale DELLE VITTIME, e in venti anni sono stati creati collezioni museali, raccolte di documenti, una biblioteca specializzata e l’unico archivio dedicato a questi temi…

 

Un altro aspetto dell’attività di Memorial è stata la ricostruzione DELLE BIOGRAFIE (quindi di una più attendibile verità occultata dalla loro storia), con la CREAZIONE DEI ‘LIBRI DELLA MEMORIA’, che raccolgono DUE MILIONI E SEICENTOMILA NOMI (mi auguro che il progetto venga conservato ed esteso in ogni campo ove regna il ‘libero arbitrio’ perseguitato…)

 

(I.   Cistjakov, Diario di un guardiano del Gulag) 




Forse Dostoevskij non faceva dell’ironia quando nell’introduzione del suo racconto autobiografico ‘Memorie di una casa morta’ scriveva:

 

‘in Siberia si può vivere beati. Il clima è eccellente; ci sono molti mercanti notevolmente ricchi e ospitali; molti allogeni oltremodo rispettabili. Le signorine vi fioriscono come rose e sono costumate oltre ogni dire. La selvaggina vola per le vie e va da sé addosso al cacciatore. Di sciampagna se ne beve una quantità inverosimile. Il caviale è stupendo. Il raccolto è in certi luoghi quindici volte la semente (…). In generale, una terra benedetta. Bisogna soltanto saperne approfittare’.....


[PROSEGUE CON IL CAPITOLO COMPLETO]








lunedì 14 agosto 2023

I MECCANICI

 











Precedenti capitoli circa...: 


i Geni della...  







 

Oro avverso alla lingua mannaia del sano palato, bocca del più intonato grammaticato… composto strano nobile verso infierire, quantunque sempre un poco alla ‘tavola’ masticato e da una preghiera ringraziato nonché omaggiato.

 

Giacché fu a loro donato come Comandamento:

 

‘va! Saccheggia il mondo intero, e divora ogni immonda Bestia a tempo pieno, senza più creato e peccato haver commesso’.

 

L’estinzione d’ogni Elemento come un fulmine a ciel sereno ogni tanto rimembra e ravviva la Ragion persa del ‘mostro’: vaga come un prometeico Golem a caccia del suo Signore e padrone.

 

Di colui che lo havea creato più bestia che umano!

 

Tutto ciò al rogo o alla mannaia del camino, allieta il ricco palato accompagnato dal fedele disgraziato ubriaco, con l’intero Teatro esposto al periglioso fuoco nemico, di colui cioè, che di noi si vuol cibar con un sol boccone, come il pluridecorato cuoco detto Mangiafuoco, la più nota osteria del rione.




 Oggi, infatti, più d’un cervello è squilibrato, si potrebbe anzi domandare: qual cervello non è così. La Grecia  ebbe sette Savi, ma qual vanto per lei se il numero de’ suoi Savi avesse agguagliato quello de’ nostri pazzi!

 

Il miglior Teatro meccanico& di prosa, che sia aperto in ogni stagione, è il Teatrino Meccanico dei  Cardinali.  

 

Mi direte che non vi si recita mai prosa.

 

Per questo è il miglior Teatro di prosa!




Quel Teatrino è una meraviglia: nella Compagnia il solo fatto un po’ comune è che non ci è un attore, il quale sappia parlar italiano. Ciò accade in quasi tutte le nostre Compagnie drammatiche. Mi diceva il proprietario del Teatrino Meccanico:

 

‘I miei attori sono di ferro. Li potreste far muovere con ogni calamita: solo quella de’ guadagni o dell’ambizione li muovono come Prometeo! Resistono a ogni fatica; ce ne sono di quelli che, da quarant’anni, vengono ogni sera su la scena: e non sono ne ridicoli né commendatori, né esigenti, ne noiosi. Li vedete sempre freschi, specialmente quando sono stati tinti da poco. L’esser tinti è una loro debolezza, una delle poche, le quali abbiano comuni con i più grandi attori!’.

 

Lo ascoltavo questo filosofo: e, con la mia attitudine, lo incoraggiavo a parlare. Levando dal palchetto di uno scaffale una figurina, le cui giunture cigolavano, disse:

 

‘Ecco la mia prima donna: ha viaggiato con me in Francia, in Spagna, in Germania, in Inghilterra, in Italia. Non mi ha mai costretto a chiuder il Teatro una sera per indisposizione. Ha carattere e viscere di ferro!’.




E continuava a andar qua e là, carezzando or questo or quello de’ suoi minuscoli attori.

 

‘Tutta brava gente, e che posso assicurarvi, non m’ha dato mai un dispiacere! Ciascuno di loro è contento della sua sorte: se una sera, alla rappresentazione, uno è applaudito più dell’altro, non c’è caso che ritornino tra le quinte con l’idea di mangiarsi gli uni agli altri l’accresciuto naso.... Ma lo avete sentito il più bravo detto il Drago? Lo avete ascoltato all’ultima Prima del Teatro? Alla comunione senza liberazione alcuna, ovvero, rimpianta castigata Gerusalemme, ed hora celebrata anche alla Scala, giacché il Duomo infortunato. Così interpretata piangeva per il nobile suo successore, con impareggiabile scena che il palco quasi delirava alla Borsa di Amleto suo vero proprietario. Dopo la banca un nuovo Tempio. Non c’è tra essi chi voglia insegnare allo Shakespeare la letteratura drammatica, al Bismark la politica, ai letterati la critica, ai credenti la buona Fede’.




Quel teatrino è un mondo in piccolo, e un mondo che desta la più spontanea ammirazione.

 

Per esempio, siamo al temporale. Vedete come il vento agita tutto all’intorno, con quanta naturalezza tutto è studiato; eccovi il brav’uomo col suo ombrello in mano, che lotta col temporale, e il fiotto del vento che rovescia l’ombrello: ad un altro porta via di testa il cappello. È curioso vedere andare, tornare indietro uomini donne, curioso vedere il cacciatore che spara un colpo, il fuoco che scintilla, e il cane che corre…

 

A tal proposito voglio hora ravvivare la memoria di così nobile cacciatore con un componimento antico a lui dedicato…





  

Cinque compagni un giorn’ andorn’ a caccia,

E questi furno, se ben mi raccordo,

Un senza piedi, un muto, un ciec’ e un sordo,

Ed un che li mancava ambi le braccia.

 

E mentre ogn’un di questi si procaccia

L’un più de l’altro a la campagna, ingordo,

Cercando non da pazzo o da balordo

Ma da bon cacciator che si procaccia.

 

Ecco, for da un cespuglio appresso un fosso

Una lepre smarrita ferma stare,

Tal ch’ li andorno tutti cinqui addosso.

 

Il sordo prima udì perché squassava

Le foglie ov’era ascosa la meschina,

E che tacess’ ogn’un così parlava.

 

Ma il cieco che guardava

La vide che fuggir facea pensiero,

E il muto gridò forte: “Cavaliero!”

 

Ond’essa sul sentiero

Sbalzò fuggendo lieve com’un vento,

Ma il zoppo a seguitarla non fu lento,

 

E in passi più di cento

La giunse, perché il can l’aveva uccisa,

Onde ciascun crepava dalle risa.

 

E in più parte divisa

La miserabil lepre in quella caccia

Di bocca a il can la tolse il senza braccia.

 

Hor parmi che si faccia

Un consiglio fra lor senza tardare,

A chi di lor la lepre abbia toccare.

 

Dice il sordo: “Mi pare

Ch’ella debba esser mia senz’altro dire,

Perché di voi fui il primo a udire.”

 

“Tu te ne poi mentire”,

Disse il cieco, “E la è mia di ragione,

Perché prima la vidi nel macchione”.

 

“Ed io farò questione”,

Rispose il muto, “Se a me non la dai,

Che il primo fui che ‘cavalier!’ gridai”.

 

“S’io corsi e la pigliai”,

Soggiuns’ il zopp’ con voce umil e pia,

“Perché non deve dunqu’ ella esser mia?

 

Questa non è bugia,

Che se voi stavi saldi, i’ sol voleva

Correrli dietro, s’ella non fuggeva”.

 

Il monchin poi diceva:

“Che state a contrastare, oh voi, se tocca

A me, perché la tolsi al can di boccha.

 

E vo’ con quatte broccha

Cucinarmela, e poi da noi mangiata

Sarà la meschinella, s’a voi quata”.

 

All’hor con faccia irata

Replicò il sordo: “Ella è mia senza dolie,

Perché prima l’udì fra quelle folie.”

 

E con maligne voglie,

Voltossi con molt’ira al senza braccia

E lui li diede un pugno su la faccia.

 

Il cieco, a tal minaccia,

Vedend’ i doi compagni in quella stretta,

Disse col zoppo: “Andiam a far vendetta.”

 

All’hora con gran fretta

Il zoppo corse e seco si mischiava,

E insieme ciaschedun si pettenava.

 

E ben forte gridava il muto

Col dire: “Aiuto! Aiuto!”,

Onde un villan fu a quel rumor ridutto,

 

Qual, essendo venuto

Fori d’un bosco con il suo bastone,

Gridando: “Perché fate voi questione?”

 

Ma, avendo la tenzone

Udita di costor, e lor sermone,

Si risolse di far a quei ragione,

 

E levando il bastone

Incominciò con impeto e ruina

A dare a ciaschedun su per la schina,

 

E poi, con tal rovina,

Gridò: “Fermate! Che con questo legno

Over darete a me la lepre in pegno”.

 

E quei, con poc’ ingegno,

Gli dan la lepre in mano, oh che pazzia,

Esso la tolle e poi si fuggi via,

 

Onde con pena ria

Lasciò quelli scherniti e star in forsi,

E d’aspettarl’ ogn’uno si risolse.

 

Ma poi ogn’un si tolse

Di villa e ritornaron senza caccia,

Il senza piedi, il mut’, il cieco e il sordo,

E quel che li mancava ambi le braccia. 


(G.C.C)