giuliano

lunedì 25 marzo 2013

PERSI NEI BOSCHI (53)


































Precedente capitolo:

il campo di battaglia del soldato Story Green...(52)

Prosegue....(in).....

Owl Creek (54)







Al mattino quando Tom si svegliò, non riusciva a capire dove
fosse. Si tirò su a sedere, si strofinò gli occhi, e si guardò in-
torno; allora ricordò.
L'alba era fredda e grigia, e la calma ed il silenzio dei boschi
infondevano un delizioso senso di riposo e di pace. Non si
muoveva una foglia; nessun suono turbava la grande medita-
zione della Natura.
Gocce di rugiada pendevano dalle foglie e dai fili di erba.
Uno strato bianco di cenere copriva il fuoco, e un'esile filo di
fumo si alzava nell'aria.




Joe e Huck dormivano ancora.
Allora, lontano, nei boschi un uccello chiamò; un altro rispo-
se; poi si udì il martellare del picchio.
Gradatamente il fresco grigiore del mattino sbiancò, e altret-
tanto gradatamente i suoni si moltiplicarono e la vita si aperse.
La meraviglia della natura che si scuoteva dal sonno e che ini-
ziava il lavoro quotidiano, si svelava alla rapita attenzione del
ragazzo.




Un vermiciattolo verde si arrampicò su di una foglia rugiado-
sa, alzando due terzi del suo corpo nell'aria, e 'annusando in
giro', e poi riprendendo il suo cammino, perché, come Tom
diceva 'stava misurando'.
Quando il bruco vi si accostò di sua spontanea volontà, egli
rimase immobile come una pietra, in un'altalena di speranze
a seconda che la piccola creatura si avvicinava o si allonta-
nava; e quando alla fine, dopo un lunghissimo istante duran-




te il quale rimase dubbioso con il corpo curvo nell'aria, si av-
viò decisamente sulla gamba di Tom e vi iniziò un Viaggio, tut-
 to il suo cuore esultò, perché ciò significava che stava per a-
vere un abito nuovo; senza ombra di dubbio, una sgargiante
uniforme da pirata.
Poi apparve una processione di formiche sbucate dal nulla,
e se andarono per le loro faccende: una lottava eroicamente
con un ragno morto che teneva tra le zampine e che era cin-
que volte più grande di lei; e lo portò diritto su di un albero




Una coccinella macchiata di marrone si arrampicò per la
vertiginosa altezza di un filo d'erba, e Tom si chinò su di
lei e disse:

Coccinella, coccinella, vola vola al tuo covo
   e la tua casa è tutta in fiamme, e il tuo bimbo è tutto 
                                                                             solo

ed essa aprì le ali e andò a vedere, cosa che non sorprese
il ragazzo, perché sapeva da un pezzo che questo insetto e-
ra molto credulone per quello che riguardava gli...incendi..,




e più di una volta aveva fatto esperienza della sua credulità.
Poi avanzò uno scarabeo stercorario che spingeva convinto
 la sua pallottola, e Tom lo toccò per vedere che ritraeva le
zampine sotto il corpo e fingeva di essere morto.
Ormai gli uccelli cantavano a gola spiegata.
Un tordo, il motteggiatore del nord, si posò su di un ramo
sopra la testa di Tom; e trillò un'imitazione del verso dei vi-
cini, in un rapimento di gioia.




Poi, in un turbinio di piume azzurre, scese in volo una gaz-
za chiassosa, che si fermò su di un ramoscello quasi a por-
tata di mano di Tom, piegò il capino da un lato, e occhieg-
giò l'estraneo con acuta curiosità; uno scoiattolo grigio e
un grosso esemplare di volpe passarono correndo, seden-
dosi ogni tanto per guardare i ragazzi e parlare di loro, poi-
ché quegli animali selvaggi non avevano mai visto prima,
con ogni probabilità, un essere umano, e non sapevano se




averne paura o no.
Ora tutta la Natura era sveglia e in movimento, e lunghi
fasci di sole fendevano il denso fogliame, vicini e lontani,
e qualche farfalla volteggiava sulla scena.
Allora Tom riscosse gli altri pirati e si misero tutti a grida-
re e a far chiasso, e dopo un minuto o due si erano spo-
gliati e si inseguivano cadendo uno sull'altro, nell'acqua
limpida e bassa del banco di sabbia.
Non sentivano nessuna nostalgia del piccolo villaggio ad-
dormentato oltre la maestosa distesa delle acque.....
(M. Twain, Tom Sawyer)













  

lunedì 18 marzo 2013

AVI (38)














Precedente capitolo:

Pionieri e nativi: l'altro John Brown (37)

Prosegue in:

Avi (39)







(....Allora proviamo  a dare seguito al racconto precedente così
come era nato fin dall'origine (omessa...).
Provo a conferire un nesso logico in ambito 'storico' letterale...
ed eretico. Così in effetti inizia il 'gioco' del precedente racconto,
e siccome non 'pecco' di superficialità seguiamo l'invisibile filo let-
terario, l'anima invisibile: la storia è reale, ma sappiamo che in
questa sua peculiarità....non essere sempre vera....
O meglio non appaga gli animi degli umani....che vi albergano...
Ricostruiamo il filo logico invisibile ed immaterale della storia ..)




- Quarantaquattro, ho notato....è 44 il tuo nome, vero?
Il ragazzo annuì e aggiunse con grande serietà,
- Nuova Serie 864.962
- "Non è questo che mi interessa adesso,
rispose il padrone col tono di chi vuol evitare una questione
difficile,
- il nome che porti è affare tuo, e penso che la carità cristiana
ci richieda di non investigare.....quindi ti meriti una promozio-
ne, e la riceverai. Qui e ora io ti sollevo all'onorevole rango
di apprendista dell'arte della stampa, che è la più nobile e la
più potente tra le arti, destinata negli anni a preservare ogni
altra ...arte....."




(Ecco la breve mia introduzione, nel treno cui udimmo la
 storia e di cui abbiamo seguito l'invisibile rotaia crollata
sotto il peso dell'invisibile 'trama' non del tutto 'svelata' che
si ricompone; e di nuovo sullo stesso treno, e sulla stessa
nave, provo ad una breve soluzione del problema....così
come è nato...l' intricato evento qui 'tramandato'.....sen-
za 'finale' ai posteri...narrato.....sarebbe un vero peccato...
per tutte le stamperie del 'Santo Creato'....)




....Queste parole sembrarono provocare in 44 una sorta di
piacere maligno. Si sfregò le mani energicamente, e disse:
- E' stata una buona idea, quella dei Doppi; manovrati con
una certa furbizia possono creare un sacco di guai!
Sai, quelle creature sono abbastanza interessanti, se ci
pensi bene, non sono mica delle persone 'vere'.
- Oh cielo, e allora cosa sono?
- Te lo spiego. Avvicinati al fuoco.....
E dal fuoco del rogo, come un antico sciamano iniziò a
comporre ...l'invisibile....
- Vedi questi miei 'Primi Pensieri' sono stati inventati in
Messico...
- Che cos'è il Messico?
- Un paese.
- Un paese?
- Sì.
- E dov'è?




- Molto lontano, non è stato scoperto (ti ricordi cosa ti
ho detto circa la trappola del tempo...)
- E tu ci sei....
- Già stato? Sì, molte volte. Nel passato, nel presente e nel
futuro. No, i Doppi non sono veri, sono finti. Adesso ti spie-
go.
Sospirai, ma non dissi nulla. Io volevo sapere del Messico,
ma lui mi deludeva sempre.
- "Ecco come stanno le cose,
disse.
- Tu sai, naturalmente, che ognuno di noi non è una persona
sola, ma bensì due.
Una parte è il tuo Io-Di-Tutti-I-Giorni, e si occupa delle fac-
cende quotidiane, e l'altra parte è Io-Del-Sogno e non ha
nessun senso di responsabilità: si interessa (come adesso..)
solo...di storie, svaghi e avventure.
Questo Io-Del-Sogno dorme mentre il tuo altro Io è sveglio;
quando invece l'altro Io dorme, il tuo Io-Del-Sogno ha il con-
trollo della situazione, e fa quello che gli pare.




Ha molta più fantasia dell'Io-Di-Tutti-I-Giorni, quindi i dolo-
ri e i piaceri che prova sono molto più intensi e reali di quel-
li dell'altro Io, e le avventure che vive, di conseguenza, sono
molto più straordinarie e stravaganti.
Quando un certo numero di Io-Del-Sogno si riuniscono e van-
no a farsi un giro per il mondo, puoi star sicuro che si  diver-
tono come matti....
Ma sai, non sono fatti di materia, sono solo spiriti.....
L'Io-Di-Tutti-I-Giorni se la passa decisamente peggio, e si an-
noia anche di più: non può liberarsi dalla carne, che lo impri-
giona e lo limita; e poi del resto anche il basso livello della sua
fantasia lo vincola".
- Ma 44, questi Doppi sono ben solidi!
- Certo, in apparenza, ma si tratta di finta carne e finte ossa,
che gli abbiamo dato io e il mago.......




(Certamente non è una conclusione, soprattutto poi per chi
conosca poco 'Lo Straniero', è poco più di un nebuloso indi-
zio, ma siccome l'autore, come il sottoscritto, è arrivato e
partito (si fa' così per dire...) con una cometa, credo che
sia...sufficiente....
Adesso andiamo alla casa che brucia, l'altro John Brown a-
 veva un altro programma, ma la matta.......
(prosegue.....)












L' ALTRO JOHN BROWN (37)











Precedenti capitoli:

Pionieri e nativi: l'altro John Brown (34)

Pionieri e nativi: l'altro John Brown (35)

Pionieri e nativi: l'altro John Brown (36)

Prosegue in:

Avi (38)









Il piano fu discusso e accettato; pareva la cosa migliore
da farsi, in quella situazione, ed era probabile che le Vec-
chie, ormai, stessero perdendo la speranza.
Brown si sentì sollevato, ed era assai riconoscente.
Se solo fosse riuscito a raggiungere la strada maestra, a-
vrebbe trovato una via...di fuga.....
...Poi la signora Taylor disse:
- "Il freddo della sera arriverà abbastanza in fretta, e quel
le povere vecchie creature sfinite avranno bisogno di qual-
cosa da mettersi addosso. Porta con te la coperta da viag-
gio, cara".
- "Va bene mamma".
Montò sul carretto e allungò la mano per prenderla.....




....La storia s'intorrompeva qui.
Il passaggero che l'aveva raccontata disse che, quando l'-
aveva letta venticinque anni prima, su un treno, era stato
interrotto a quel punto - il treno era precipitato da un pon-
te.
...Sulle prime pensammo di poter concludere il racconto
(come il precedente su questo stesso blog) con facilità,
e ci mettemmo al lavoro fiduciosi; ma in breve apparve
chiaro che non si trattava di un compito semplice, bensì
difficile e sconcertante.
Ciò dipendeva dall'indole di Brown - grande generosità
e gentilezza, complicate però da una timidezza e da una
diffidenza fuori dal comune, specialmente in presenza del-
le signore.




Vi era il suo amore per Mary, pieno di speranze ma an-
cora per nulla sicuro - una condizione per cui la relazio-
ne andava gestita con tatto estremo, senza commettere
errori o recare offesa.
E c'era la madre - titubante, indecisa - da convincersi
con destra e impeccabile diplomazia, ora o forse mai
più.
Inoltre, vi erano le Vecchie indifese che attendevano lag-
giù nella foresta - il loro destino e la felicità di Brown
sarebbero stati determinanti nei prossimi due secoli dal-
le scelte di Brown.
Mary stava per mettere le mani sulla coperta da viaggio;
Brown doveva decidere, non c'era tempo da perdere.
Naturalmente, la giuria non avrebbe accettato alcun fi-
nale che non fosse lieto; la chiusa doveva trovare Brown
in grande credito presso le signore, il suo comportamen-
to senza macchia, la sua modestia intatta, la sua inclina-
zione all'altruismo immutata, le Vecchie salvate grazie a
lui, loro benefattore, tutto il gruppo fiero di lui, felice
per lui, a riempirsi la bocca di lodi per lui....




Ci provammo, ma i nostri tentativi sprofondarono in per-
sistenti e irrisolvibili difficoltà.
Vedemmo che la timidezza di Brown gli avrebbe impedi-
to di cedere la coperta. Ciò avrebbe offeso Mary e sua
madre, e avrebbe sorpreso le altre signore, un po' perché
questa meschineria nei confronti delle povere Vecchie sa-
rebbe stata in contrasto con l'indole di Brown, un po' per-
ché egli era una Provvidenza speciale e non poteva certo
comportarsi così.
Se gli avessero chiesto di spiegare la sua condotta, la sua
timidezza gli avrebbe impedito di dire la verità, e la man-
canza di immaginazione e di pratica lo avrebbero reso in-
capace di escogitare una menzogna che reggesse.
Lavorammo allo spinoso problema sino alle tre del matti-
no (non trascurando neppure i dettagli della coperta di
cui la carretta era provvista...).
Nel frattempo, infatti, Mary...stava ancora tendendo la
mano verso la coperta da viaggio (del calesse...).
Gettammo la spugna, e decidemmo di lasciare che con-
tinuasse a tendere la mano o il dolce suo ......piedino.

(E' privilegio del lettore determinare da sé come la cosa
si sia intellingentemente risolta.....e dove l'intelligenza
 sembra ora più che mai albergare in felice riparo.....
Sicuri che questo sottile, arguto, felice umorismo di al-
tri tempi, non cada nelle strette e deleterie ed uguali
vicissitudini cui anche il nostro Brown ......ebbe a
patire.. - curatore del blog-) 
(M. Twain, Seguendo l'Equatore)















venerdì 15 marzo 2013

UNA FOTOGRAFIA


















Pur avendo espresso la volonta di astenermi da qualsiasi commento,
lasciando che le pagine e i documenti storici parlassero da soli, il ca-
so del reverendo e del professore, rappresentando l'incontro fra scien-
za progresso conquista ricerca... e fede, mi hanno indotto ad una
breve riflessione.
Forse una sorta di personale o impersonale lettera senza nessun de-
stinatario specifico. Semplici considerazioni....
Questo è un tema ampiamente dibattuto, ed anche se non per mira-
ti interessi ho parteggiato dalla parte del reverendo, certo posso ca-
pire le motivazioni del pioniere, scienziato,... e conquistatore artico.
Certo per chi abbia dimistichezza con Cook, sappiamo non essere
nuovo a queste vicende, ricordiamo la difficile controversia per il 
primato della conquista del Polo.
Una vicenda tutta americana, senza contorni coloniali i quali posso-
no dare il sospetto (per me quanto per il reverendo) di un 'conser-
vatorismo' in ambito politico; una vicenda la quale rappresentò lo
scienziato di nuovo in odor di 'frode' e 'sete' di arrivismo e che lo
vide primo attore 'artico'.
Forse sottilmente, questo aspetto (colono-conservatore) è stato
presentato dal capitano della Belgica, il quale ci informa della con-
dotta del Bridges nella colonia da lui gestita, poi però nel giro di po-
che pagine cambia opinione sul famoso colono in maniera inaspet-
tata...., comunque lo 'dipinge' come un personaggio a caccia della
buona fede altrui.
Stessa 'buona fede' dello 'scienziato progressista' a danno del 'con-
servatore colono'.
Comunque, pur avendo manifestato il proposito di astenermi da qual-
siasi considerazione e lasciare quindi il giudizio ai lettori, se ve ne fos-
sero, credo e ripeto che la vicenda del dizionario e del suo autore, e
la lingua perduta, sia il pretesto di una riflessione di più ampio respiro.
La storia è fatta dai conquistatori, in questo caso dovremmo decidere
chi è il conquistatore, chi il colono, e chi l'ecologo-ricercatore propria-
mente detto dell'intera vicenda.
Le fonti sono attendibili, certo se avessi potuto tradurre l'opera del
Cook in merito allo stesso viaggio, avremmo avuto un terzo punto di
vista che può aiutarci ancor di più nel giudizio dell'intera storia.
Perché è proprio di storia che qui si parla, fatti e cronache di storia
nel difficile terreno che corre e divide il pioniere dal nativo. Argomen-
to ampiamente trattato, ampiamente documentato, ampiamente criti-
cato, ampiamente sfruttato.
Argomento che ha alimentato innumerevoli esami di coscienza, sem-
pre dopo, mai durante; argomento che ha sempre conferito l'illusione
di potere, e di contro, profonda riflessione su come il fenomeno si con-
solida all'interno della storia.
La storia, appunto, è il nostro argomento.
Questo tengo a precisarlo, perché quale gnostico, e forse anche un
po' eretico, penso che la storia sia dettata da fenomeni ciclici riflessi
nella costanza della sua misura, il Tempo, quindi nella realtà dei fatti
non vi sono cambiamenti specifici a parte quelli che riteniamo quanti-
ficabili e misurati dal progresso, nell''evento' della storia.....fra una
frazione di tempo e l'altra.....
Ciò può apparire non gradito, e sicuramente lo è.
Può apparire blasfemo, e sicuramente lo è.
Può apparire superficiale....e sicuramente...non lo è...
Innanzitutto esaminiamo la prima eresia: la scienza incontra la fede,
pensa di preservare un enorme tesoro o meglio di studiarlo per con-
ferire una giustificazione alla sua motivazione di partenza: il viaggio;
quale fonte di ricerca, scoperta, studio, confronto, dibattito, analisi,
divulgazione.
Poi, però, scopriamo gli scienziati essere i peggiori colonizzatori.
Prendiamo atto con acume e fondato rigore scientifico, lo stesso dei
nostri illustri scienziati, che ogni fine giustifica ogni mezzo adottato
per l'obiettivo prefissato.
Cosa li divide dai coloni e li accomuna e fraternizza ai nativi?
Qualche caramella? Qualche perlina? Qualche parola di conforto per
le loro e nostre coscienze?
Certo, quale eretico avrei dovuto convenire immediatamente con le
note in merito del capitano della Belgica, circa le difficoltà enormi dei
nativi, del loro numero e della difficile sopravvivenza in un ambiente
dove poco tempo prima erano una razza affermata. Però ho scorto an-
che delle contraddizioni di fondo per l'arco dell'intero libro, ho scorto
delle giustificazioni volutamente e volontariamente apportate per rende-
re sensazionale l'intero evento il quale può giustificare un viaggio così
bene sponsorizzato nell'arco di 'lunghi quindici mesi' che appaiono se-
coli, dinnanzi ad una vita intera spesa per uno sforzo, una volontà, una
coscienza dedicata ad un impegno non richiesto, e il cui valore si è ri-
dotto ad un gesto di pochi minuti per ridurla a meno del valore di una
perlina o caramellina....offerta al nativo quanto al reverendo...
Una vita e pochi mesi, quale occhio e quale macchina fotografica può
essere veramente attendibile per quella fotografia che noi nominiamo
anima...se la scienza ne riconosce una.......
...Ecco l'eresia....
Quale occhio può essere attendibile, l'occhio prodigioso di Cook e tut-
ti i suoi consimili ...o una vita intera spesa per un'anima...., e quale
valore è concesso e con quale valore viene giudicato l'impegno....
Anche io spesso mi trovo di fronte allo stesso problema, per scoprire
con amarezza che i nemici della mia costante e volontà gratuita di cultu-
ra crescono nel rigoglioso terreno ben retribuito ...della stessa cultura e
molto spesso della scienza.
Coloro i quali spesso amano definirsi progressisti.
Su questo dovremmo porre il dovuto confronto fra 'ricercatore' propria-
mente detto, e 'colono' propriamente detto. Cosa significa questo con-
fronto.
Lo spiego in termini letterari, e forse non propriamente scientifici.
Quando precedentemente in un altro post ho fatto riferimento al genio
di Faulkner, non ho accennato al grande dilemma rilevato nei suoi scrit-
ti, intendiamoci non sono una Pivano, ho letto qualcosa di lui, del suo
tempo e della sua difficile biografia; felice in facile apparenza.
Dicevo....il grande dilemma, il grande complesso di colpa, il peccato di
un intero popolo dinnanzi ad una terra ugualmente conquistata e coloniz-
zata: la macchia della schiavitù, il fardello dell'uomo del sud in riferimento
alla difficile colpa della schiavitù della quale sembra riscattarne il peccato
instaurando con lo schiavo un rapporto 'ecologicamente' emancipato.
Nel quale nutre per lo schiavo un rapporto di colpa che lo spinge a per-
mettere il suo graduale inserimento nella comunità dei piccoli proprietari.
Se confrontato lo stesso senso di colpa con l'acume di un Tacqueville, si
noteranno le stesse differenze e simmetrie che corrono fra Bridges il re-
verendo,... e Cook lo scienziato.
Tocqueville, ad una attenta e minuziosa osservazione fra il rosso ed il
nero, cioè fra il negro importato schiavo, ed il libero indiano, ci offre in
merito al primo una descrizione che oserei definire razzista progressista.
Piange le sorti del negro e ne canta, peggio di un colono, i suoi limiti;
parla del rosso e libero indiano, e ne evidenzia la sua uguale sottomis-
sione, forse dimenticando gli innumerevoli anni di colonizzazione fran-
cese, quando astenendosi da qualsiasi intervento nelle colonie, con-
dannaro centinai di indiani alla morte.
Però, ciò che colpisce nella definizione del nero, è il freddo formalismo
scientifico che lo colloca ad un gradino più in basso dello stesso suo
consimile il quale è chiamato a condividere ugual disgrazia: l'indiano;
e di conseguenza e involontariamente pone l'illuminato suo giudizio
ad un gradino più in basso del colono per il quale manifesta diffusa
antipatia....
Forse trascurando quel reale problema di coscienza che così bene
saprà rilevare lo scrittore, non scienziato.
Il peccato, il problema, la colpa che si possono leggere nelle bellis-
sime pagine di Faulkner. Ebbene, pur il primo, Tacqueville, un illu-
minista affine alla rivoluzione francese, ed il secondo discendente
da una famiglia di coloni, come altri negli stessi luoghi, si è portati
a scorgere più umanità là dove abbiamo sempre pensato non ve
ne fosse.
Dilemmi e conflitti di coscienza, che sfociano in odio e amore.
Che sfociano in crisi esistenziali riflessi nell'Universo dell'intera esi-
stenza e per tutta la durata di questa.
Ecco quindi il confronto fra ricercatore e colono, nativo e pioniere;
fra lo scienziato e colui il quale invece ha cercato di apportare una
propria coltura confrontandola e 'barrattandola' non solo come mer-
ce ma anche come pensiero con le stesse 'specie' studiate, che noi
solitamente chiamiamo nativi.
Il dilemma è lo stesso dell'ecologia dei primordi.
Come porsi in riferimento a questa neonata materia, quando questa
era in fase embrione. Si intuì che il problema delle specie viventi ed
il loro ambiente comportava una visuale di studio che per essere at-
tendibile e valida sotto ogni punto di vista, per i risultati che voleva
e vuole raggiungere, deve essere innanzitutto obiettiva e specifica,
non trascurando, cioè, tutti quei fenomeni che ne potrebbero limita-
re la visione per il suo fine.
Questo è lo sforzo unito ad una considerazione o meglio un'analisi
corretta del primato scientifico che si prefigge una disciplina evoluta.
In merito a questa stessa evoluzione, ed in merito a queste stesse
considerazioni, mi è parso doveroso riscontrare e applicare uguali
principi 'formali' ad il problema che abbiamo sollevato nel principio
della presente, anzi l'intero motivo della presente.
Cook  lo scienziato...., ed Bridges il colono ...reverendo......
(prosegue......)
(Giuliano Lazzari per Pietro Autier...)









          

giovedì 14 marzo 2013

PIONIERI E NATIVI: (31)














Precedenti capitoli:

la sofferenza necessaria all'uomo (27) &

pionieri e nativi: il dottor Cook e Thomas Bridges (28) &

pionieri e nativi: un caso di plagio (29) &

pionieri e nativi: anatomia di un incontro (30)

Prosegue in:

pionieri e nativi: anatomia di un incontro (32)

pionieri e nativi: anatomia di un incontro (33)










....La frode perpetrata dal dottor Cook trentacinque anni
fa ha lasciato una matassa ancora tutta da sbrogliare, in
quanto la lettera del governo militare lascia intendere che
l'università di Liegi avanza su di esso qualche oscuro dirit-
to.





Solo quando raggiungerà Londra le persone a cui sta a
cuore potranno essere certe che lo sfuggente tesoro sia
finalmente al sicuro (poiché la lingua dei nativi interpreti
della natura è e rimane viva, perché lo stesso Dio cui
pregava Bridges ed i nativi era il medesimo, solamente
che i nativi potevano ascoltare come sciamani diretta-
mente la sua voce....).




Siamo ora in grado di aggiungere un poscritto all'arti-
colo della signorina Moeller.
Il 9 gennaio 1946 ricevette da Buenos Aires il seguen-
te cablogramma:
Manoscritto dizionario suo padre arrivato sicuro al
British Museum (si attende per ora nuova stesura e
revisione testo...) oggi 9 gennaio.
Eric Miller responsabile Ufficio manoscritti riferirà a
consiglio di amministrazione museo 9 febbraio e do-
po approvazione celebreremo come d'accordo (in
quanto l'interprete Pietro nativo-sciamano apporte-
rà lievi modifiche alla già studiata grammatica.....
anche Dio commette errori ortografici....).




Un mese più tardi il dizionario di mio padre trovò
il suo definitivo luogo di riposo nello storico edificio
che ospita il Codice Sinaitico e molti altri manoscrit-
ti più preziosi al mondo.
Venne esposto superbamente in una teca illuminata
all'interno di una stanza vuota, e molti di coloro che
ne conoscevano la storia vennero a esaminarlo e a
celebrare il trionfo conclusivo della sua avventurosa
carriera.




Successivamente il gruppo, invitato dal signor Bar-
clay, si riunì per un pranzo in onore dell'occasione,
dove i brindisi furono elevati unicamente 'al Diziona-
rio yamanà-inglese e al suo autore, il reverendo...
Thomas (Pietro) Bridges'.
Avrei voluto essere presente per proporre un altro
brindisi in omaggio all'uomo che si rifiutò di accetta-
re un 'no' come risposta o di ascoltare la parola 'im-
possibile'; il tranquillo, timido, umile, ostinato, Mr.
William S. Barclay, senza la cui ispirata fiducia e te-




nacia nessun'altra ricerca sarebbe stata intrapresa
per rintracciare il cimelio (rubato) e perduto.
Fu lui a presentare un breve riassunto della progres-
siva costruzione del dizionario (e la difficile lingua
del Suo Autore), fin dai primi inizi, quasi un secolo
fa, su una collina battuta dal vento a Keppel Island
(ed in ogni luogo dove vi sia una lingua antica e un
popolo ad interpretare la stessa parola di ugual Dio),




dove per studiare la lingua mio padre, al tempo ap-
pena un ragazzo, aveva diviso una piccola capanna
(e una tenda...) di legno con gli impervi elementi del-
la natura, ascoltando le loro ciarle e unendosi ai nati-
vi.
Barclay avrà sicuramente raccontato di come l'ope-
ra crebbe in molti wigwam pieni di fumo nella Terra
del Fuoco e nel corso di lunghe notti passate nella
nostra cucina a Ushuaia (ed in molti altri luoghi...),




in veste di allievo, con qualche indigeno scelto a far-
gli da professore, con qualche sciamano ad ascolta-
re i segreti di Dio, si preparava una buona dose di
caffè forte e le consumava fino alle ore piccole del
mattino, nel tentativo di sottrarre a Madre Natura
(solo) il sonno, solo quello, che pretendeva da loro.
Successivamente, in lunghi viaggi su vascelli a vela
e durante gli inverni della terra del Fuoco, l'opera
venne corretta e organizzata nella forma attuale (af-
finché ad ognuno possa essere concesso l'uso del-
la sua lingua, o Prima Lingua...ed affinché questa
non vada "persa dimenticata o cancellata").




Sulla vicenda del reverendo Thomas c'è molto da
imparare perché attraverso essa, non solo i poveri
nativi, ma anche tutti coloro che nel nome della ...
storia: la storia non dettata dal potere, dal privile-
gio, dalla casta, dalla sottomissione, dall'inganno e
conquista, dal raggiro, dal sopruso..., dall'interes-
se; ma la vera storia, la vera natura, il 'vero' Dio,
possono narrare le verità taciute, di cui non solo
Bridges, ma anche quel 'pioniere' o 'genio' di Faul-
kner (assieme a pochi altri) ci hanno lasciato una
importante testimonianza.
Il loro genio consistette, appunto, nel raccontare e
'fotografare' i fatti così come l'anima calata nell''e-
cologia' del luogo li aveva percepiti, a dare voce a
chi la voce ed il ricordo fu tolto in ragione di prin-
cipi e valori cui l'ecologia e la storia divergono ir-
rimediabilmente, e di cui la storia diviene un limi-
te in cui leggere un paradosso...., il paradosso del-
la vita.....
Questa fu la grande capacità di Faulkner ed in lui
quanto nei suoi successivi critici quelli del rifiuto
per intenderci, come nel dottor Cook,  riconoscia-
mo i limiti di quella stessa società con la sua 'sto-
ria' che vorrebbe scrivere, trascurando per il ve-
ro quella 'ecologia' e quella 'natura umana' che
tende a modificare o rimuovere taluni 'habitat' o
peggio interpretarli per proprio 'uso & consumo',
facenti parte...della stessa 'sua storia'.
Per concludere il mio breve intervento in questo
post, mi pare doveroso riportare le parole di W.
Cronon nel già citato 'La terra trasformata' ed in
cui, per chi è avvezzo alla 'vera letteratura' ed an-
che alla vera poesia potrà scorgere....simmetrie
importanti e forse taciute, fraintese, e non del ...
tutto capite..

'Per questa ragione, dalla metà del ventesimo seco-
lo l'ecologia abbandonò la metafora dell'organismo
in favore dell'idea di un 'ecosistema' meno teologico.
Le specie individuali potevano essere descritte sem-
plicemente per le loro associazioni con altre specie
lungo una continua varietà di condizioni ambientali'.
(E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo)














    

martedì 12 marzo 2013

QUANDO LA 'LINGUA' CONTRIBUISCE ALLA VITTORIA (23)






























Precedenti capitoli:

li ho creati io (22) &

(l'enigma si complica &

....dallo sguardo compassionevole di uno spettatore...)

Prosegue in:

pionieri e nativi: la terra trasformata (24)

pionieri e nativi: la terra trasformata (25)

pionieri e nativi: la terra trasformata (26)

la sofferenza necessaria all'uomo.....  (27)








Mentre i crittoanalisti britannici facevano breccia in Enigma
modificando il corso della guerra in Europa, i loro colleghi
americani influenzavano in modo altrettanto profondo gli e-
venti bellici del Pacifico venendo a capo del funzionamento
 della cifratrice 'Porpora'.




Le garanzie di segretezza e gli altri vantaggi delle macchine
per cifrare furono dimostrati dalla Typex adottata dalle for-
ze armate britanniche, e dalla SIGABA, impiegata da quel-
le americane.
Entambe le cifratrici erano più complesse di Enigma ed en-
trambe furono usate correttamente; perciò, rimasero invio-
late per tutta la durata del conflitto.




Uno dei primi a reagire a questa situazione fu Philip John-
ston, un ingegnere di Los Angeles troppo anziano per com-
battere ma desideroso di aiutare il suo Paese.
All'inizio del 1942 cominciò a progettare un sistema critto-
grafico ispirandosi alle sue esperienze giovanili.
Figlio di un missionario protestante, Johnston era cresciu-
to nelle riserve navajo dell'Arizona, immerso nella cultura
indiana.




Essendo uno dei pochi bianchi che parlavano e capivano
il navajo, egli fu spesso chiamato a far da interprete nei
colloqui tra pellirosse e agenti governativi.
Il suo ruolo di intermediario culminò in una visita alla Ca-
sa Bianca; in tale occasione,  Johnston fece da interprete
a due navajo appellatisi al presidente Roosevelt per un
più equo trattamento della loro tribù.




Consapevole di quanto quella lingua fosse impenetrabile
per gli estranei, Johnston fu colpito dall'idea che il navajo,
o qualunque lingua autoctona del Nord America, poteva
rappresentare un codice perfetto.




Quando l'America entrò nella seconda guerra mondiale,
i navajo vivevano in condizioni difficili ed erano conside-
rati cittadini di seconda categoria; ciò nonostante il consi-
glio della tribù si dichiarò leale alla patria in guerra e pron-
to a contribuire alla sua vittoria: 'In nessuno l'attaccamen-
to all'America può essere più forte che tra i Primi Ameri-
cani'.




I navajo erano così ansiosi di combattere che alcuni menti-
rono sulla loro età. Altri ingurgitarono acqua e banane per
raggiungere il peso minimo per il servizio militare, che era
di 55 chili.
Né fu difficile trovare candidati adatti al ruolo di 'code-tal-
kers', cioè di 'parla-codice' come questi singolari marconi-
sti furono soprannominati.




Quattro mesi dopo Pearl Harbour, 29 navajo, alcuni ap-
pena ventenni, frequentarono un corso di comunicazione
della durata di otto settimane organizzato dal Corpo dei
'Marines'.
In otto settimane, le reclute e futuri 'parla-codice' aveva-
no imparato tutto il lessico e l'alfabeto (cosa non facile,
numeri e parole...).




Non avrebbero quindi avuto bisogno di cifrari, che hanno
sempre lo svantaggio di poter essere catturati.
Per i navajo affidare tutto alla memoria era normale, per-
ché la loro lingua non esisteva in forma 'scritta': miti e tra-
dizioni familiari erano tramandati oralmente.
William McCabe, una delle reclute, commentò: 'I navajo
 non hanno bisogno di libri, tutto è affidato alla memoria
 - canti, preghiere, tutto....
E' così che veniamo allevati.....'.




Alla fine dell'addestramento, i navajo furono messi alla
prova.
I mittenti tradussero una serie di messaggi dall'inglese al
navajo, li trasmisero, e i destinatari volsero i messaggi di
nuovo in inglese usando, se necessario, il lessico e l'alfabe-
 to di cui disponevano.




L'impenetrabilità della lingua navajo dipende dal fatto che
appartiene alla famiglia linguistica Na-Dene, priva di qual-
siasi legame con qualunque lingua-idioma asiatico o euro-
peo.
Per esempio, i verbi navajo non sono coniugati solo in ba-
se al soggetto, ma anche all'oggetto; le desinenze verbali
dipendono dalla categoria alla quale l'oggetto appartiene
(caso più unico...che raro..): lungo e rigido (una pipa, una
matita..), lungo e non rigido (un serpente, una striscia di
cuoio), granuloso (lo zucchero, il sale..), composto (un
covone), viscoso (il fango, gli escrementi) e così via....




Il verbo incorpora anche gli avverbi, e proprietà del sog-
getto come il fatto che parli di qualcosa che conosce (?)
direttamente o per sentito dire (?).
Di conseguenza un verbo, può, da solo, trasmettere il
contenuto di un'intera frase, rendendo impossibile, per
chi non abbia familiarità con questa (difficile) lingua, di-
stricare tutti i suoi significati......
(S. Singh, Codici & Segreti)














domenica 10 marzo 2013

RIVOLUZIONARI (21)












Precedente capitolo:

pionieri e nativi (20)

Prosegue in:

li ho creati io (22)








La data in cui John Brown si risolse a tradurre in pratica i suoi
propositi è materia di contestazione: certo, sin dal 1839 egli im-
pegnò con giuramento i suoi figli alla lotta armata per la distru-
zione della schiavitù: ma pare che per il momento non avesse
superato del tutto la fase intenzionale.
Nel 1847, parlando con un illustre rappresentante dei negri li-
beri, Frederick Douglass, egli entrò nei particolari del suo pia-
no. Bisognava penetrare nel Sud alla testa di uomini armati e
risoluti e accendervi tra gli schiavi la fiamma dell'insurrezione;
allora sarebbe stato possibile rifugiarsi tra le valli impervie e
inaccessibili degli Allegheny e condurvi la guerriglia indefiniti-
vamente.




Le fonti a cui John Brown attinse l'idea della guerriglia insurre-
zionale sono ancora oggi poco chiare. Molti studiosi sono por-
tati a vedere nei piani di John Brown solo l'aspetto utopistico:
pare ad essi pazzesco che un uomo potesse pensare di sfidare
con un pugni di uomini l'enorme potenza degli Stati del Sud e
addirittura dell'intera Unione; per cui le sue idee vengono defi-
nite assurde e degne di un 'fanatico'.
Ovviamente, non si trova molto interesse ad indagare la gene-
si delle farneticazioni di uno 'squilibrato'.
Altri studiosi si limitano a porre la questione delle fonti da cui
il Capitano attinse le sue idee su di un piano prevalentemente
psicologico.
Ci sia concesso di ricordare in sede storica, ed in onore della
verità, e della futura unità d'Italia, che egli fu (pur non essen-
do italiano, ma di origine europee...) 'conterraneo' non solo di
Attilio Bandiera e di Carlo Pisacane, ma anche di Giuseppe
Garibaldi e dei suoi 'Mille', sia dunque concesso in sede stori-
ca, e non solo rivoluzionaria, di cercare di individuare la gene-
si di un pensiero in ambito di più ampio respiro.




La verità è che le idee di John Brown sulla guerriglia insurre-
zionalista si possono riallacciare assai bene ad un 'milieu' che
non era americano, ma europeo.
Accostate a quelle degli insurrezionalisti europei dell'età roman-
tica, le idee di John Brown mostrano una somiglianza così sor-
prendente da far pensare subito ad una 'stretta' parentela.
L'idea dell'insurrezione era, nella prima metà del XIX secolo po-
 polarissima in Europa; e ad essa si dedicavano pensatori ed
uomini d'azione che avrebbero lasciato una impronta non indif-
ferente nella storia.




Per quanto se ne sa, John Brown, così come la media degli ame-
 ricani, seguiva con interesse e con profonda simpatia i movi-
menti nazionali e democratici d'oltre Oceano: se non fosse per
il fervore religioso di stampo puritano, egli si sarebbe potuto
senz'altro annoverare tra le file del 'radicalismo' democratico e-
uropeo di cui in effetti, come vedremo, fu in parte figlio, e di
cui sempre sarebbe stato considerato in futuro con stima e ve-
nerazione.




I testi fondamentali dell'insurrezionalismo europeo ad opera di
Mazzini e Clausewitz erano stati scritti; e sebbene non esista
per ora alcuna prova che John Brown abbia mai letto le opere
del Bianco e nemmeno quelle di Mazzini, occorre però ricorda-
re come le idee di questi godessero di larga popolarità negli
ambienti democratici che erano ampiamente ramificati per
tutta l'Europa ed anche di là dell'Atlantico; proprio a New York,
nel 1836,l'esule Pietro Maroncelli aveva definitivamente conver-
tito alla causa nazionale il giovane Attilio Bandiera che nel 1844
sarebbe perito insieme al fratello in un tentativo straordinaria-
mente simile a quello che John Brown stesso, in ambiente diver-
so, doveva compiere quindici anni più tardi.




Infine, poco prima del 1848, lo stesso Mazzini aveva affrontato
direttamente la questione della schiavitù negli Stati Uniti d'Ame-
rica con uno scritto pubblicato successivamente su 'The Bell of
Liberty'.
In esso il problema era discusso con una elevatezza e una nobil-
tà di intenti che facevano onore al grande Esule.
Cero è evidente che le similitudini esistenti tra le idee del Bianco,
del Mazzini e dei loro seguaci e quelle di John Brown siano assai
strette......
(R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana)