giuliano

sabato 17 settembre 2016

L'AUTUNNO (22)

































Precedenti capitoli:

L'Autunno (21/1)

Prosegue in:

L'Autunno (23)













Come fosse lo stesso disegno ripetuto e non visto, come fosse una doppia natura non scorta. E quando la foglia dona l’illusione della morte in un ultimo urlo di dolore, linfa di morta natura urla la bellezza dell’anima caduta, io ascolto la sua nuova venuta in un altro Universo sospeso di questa visibile natura.




Ogni fiocco di neve mi accarezza la pelle, io che non provo il brivido da loro nominato dolore mentre cercano inutile calore nella eterna illusione di un fuoco purificatore che preserva lo spirito da questa strana… e insensata eresia, la esposi ad una platea sbigottita nell’‘immenso et innumerabile’ di una verità troppo antica… per essere da loro capita.
Non combatto la verità con il fuoco dell’ignoranza che avanza, rimango in ascolto della meravigliosa armonia e quando la nota di ogni strofa percepita mi accarezza l’anima fin a quel momento assopita, io rincorro il vento e parlo con la foglia, scruto la rima, poi seguo il torrente e come un pazzo uscito di senno inondo la vallata della mia poesia.



Mi raccontano, ora, la loro storia, l’inganno e il patimento subiti nel Tempo. Quando ornavano la bella vallata, quando raccoglievano il sole… e la cima  donava linfa principio di vita. Poi venne uno strano uomo, padrone del loro arbitrio, volle abbattere e profanare quanto spetta al Primo Architetto creatore Straniero dell’Universo mai detto. Volle sottomettere e controllare la vita che da secoli governa l’intera vallata.



Volle aprire il sentiero nominato ‘progresso’, una paginetta scritta nel Tempo, un Secondo contato nella materia, lui per il vero è solo una virgola, un punto…, l’inutile grammatica di questa storia qui e per sempre perseguitata, forse perché la verità non può essere narrata?
Volle abbattere secolari Dèi, piante e arbusti nel Tempo cresciuti.
Volle abbattere la vita che dimora all’alba di una Prima Mattina, quando un uomo, un Dio sceso si confuse e vagò nella nebbia del suo Universo, volle scrutare il sogno nella materia creato, per poi piangere il suo vero Creato.




Ma ora che il ricordo si fa tempesta, e la neve… strofa di questa eretica preghiera, a lui rimane solo la memoria della triste tortura ricevuta: quando una bella mattina fu lentamente abbattuta, una giornata intera di vita compiuta e una lenta rima al rumore di una accetta, Tempo che batte la lingua sul tamburo di una nuova calunnia rogo al calore della Storia.
Una giornata di martirio come una vita dedicata a Dio quando al rogo arde l’innocenza della vita vittima di una falsa preghiera, e la verità perì con lui nel bosco di una fitta nebbia di Prima materia creata nell’invisibile pensiero di una volontà celata alla comprensione di una immagine mai svelata e narrata.




Ugual sorte toccò ad un altro arbusto come fosse stato suo fratello nel martirio subito, proprio lì all’inizio del grande sentiero. Si piegava al vento come fosse stato uno strano lamento, poi gli furono spezzati uno ad uno i rami, come quando si mozzano le mani e gli arti ad un uomo in una guerra incompresa, stagione del Tempo che avanza nella fredda nebbia che avvolge l’intera vallata, affinché la lenta agonia inflitta diventi verità compiuta, il rumore sordo dell’accetta una sana preghiera… pagina della memoria.
Alla fine di quella funesta e terribile giornata fu legato con una corda stretta alla cima di un masso scolpito in un Teschio di una impervia via, fu trascinato senza riguardo per il piacere di strappargli la vita, fu mortificato per il diletto nominato dovere nell’apparente legge della vita.





Lei morì nella sua grande bellezza, se pur privata della radice, rimase dritta sospesa come per ingannare l’attesa, così immobile e priva della vita era più bella di prima. Rimase dritta ed eterna come a guardia della sua cima accanto alla foglia ingiallita… compagna di un'altra vita, eresia mai svelata per l’invisibile via. Fratello in ugual sorte di chi non conosce la morte, abdicando alla vista l’inganno scritto nella debolezza del Tempo, lasciando alla vista l’illusione della  morte e la fine diviene spirito di vita. 




Certo che la stagione avanza, ma guarda il mondo e contempla la vita con l’anima di una diversa rima, riscalda la stagione della tua nuova venuta con la saggezza che illumina l’invisibile via intrapresa; certo che lottiamo, da quando fui maestro e poeta di una immensa cima, combattevo il male di un’altra vita. 
Combattevo la materia invisibile alla tua misera ora e lo spirito rinasceva nella tua parola per ogni calunnia detta e non detta, mentre mortificavi la carne della Prima Venuta con l’arma di una stagione compiuta: tu combatti il Tempo e il Tempo ti...















venerdì 16 settembre 2016

TEONE (19)


















Precedenti capitoli:

Teone (18/1)

Prosegue in:

Il Mouseion (20)














Mentre si avvicina la nuova stagione venatoria “ufficiale” (2016/2017) anche quest’anno ben 16 regioni hanno le “preaperture”. Dal 1 settembre (tranne che in Lombardia, Liguria, Valle d'Aosta e Trentino) migliaia di animali tornano nei mirini delle doppiette italiane. Vedremo di nuovo cacciatori in azione in stagni e lagune pronti a puntare contro anatre selvatiche come alzavole, germani e marzaiole, ma anche nei boschi all’inseguimento di colombacci e ghiandaie.
Nonostante le evidenze scientifiche e le normative europee che non consentono la caccia nel periodo di fine estate, nel nostro Paese si continua ad autorizzare l’uccisione di animali selvatici proprio quando questi sono più vulnerabili. Di sovente, poi, oltre al danno si concretizza anche la beffa perché alla strage di migliaia di animali dichiarati cacciabili dalle regioni bisogna aggiungere il disturbo alle specie non cacciabili e le numerose uccisioni “accidentali” (molte specie possono essere confuse) o, peggio, veri e propri episodi di bracconaggio.




Non è un caso che l’Europa (l’Italia è stata più volte richiamata dalla Commissione UE con l’avvio di procedure d’infrazione) non consenta la caccia in alcuni periodi dell’anno fra i quali rientra la fine dell’estate per le condizioni in cui si trovano numerose specie: piccoli ancora immaturi, le specie migratrici che devono prepararsi ai lunghi voli di ritorno verso  i luoghi di svernamento, la scarsità di acqua e cibo a causa delle siccità estive, degli incendi e le specie che stanno ancora nidificando.
A tutto questo, in Italia si aggiunge anche un deficit di controlli, sempre più scarsi e, quindi, inefficaci, per la prevenzione e la deterrenza rispetto ai reati venatori. Situazione in peggioramento anche a causa dei vari “riordini” che interessano le Polizie Provinciali e il Corpo Forestale dello Stato.




Anche se è impossibile calcolare il numero reale degli animali uccisi dalla caccia “autorizzata”, a causa delle falle nel sistema venatorio, si stima che sotto i colpi delle doppiette potranno essere abbattuti in tutta la stagione venatoria decine di milioni di animali: una mattanza compiuta dai circa 700 mila cacciatori italiani (ovvero poco più dell’1% della popolazione italiana, in diminuzione nel numero e in aumento per età media). La stragrande maggioranza degli italiani è invece contraria alla caccia, come dimostra una recente indagine Eurispes secondo la quale il 68% degli italiani si schiera contro l’attività venatoria.
Le preaperture della stagione della venatoria, in Italia si inseriscono in un quadro di estrema difficoltà per la fauna selvatica, già fortissimamente segnata dagli abbattimenti illegali. In particolare per gli uccelli, secondo il rapporto di BirdLife International, uscito proprio quest’anno, nel nostro paese si arriva a un numero di uccisioni illegali pari a 5.600.000 di stima media (range da 3.400.000 a 7.800.000).




La crescita di sensibilità certamente positiva nei confronti della Natura, frutto del grande lavoro di sensibilizzazione ed educazione ambientale svolto da associazioni come il WWF che nei suoi 50 anni di vita ha contribuito al miglioramento delle condizioni della fauna e nel rispetto delle norme europee. Il 2016 è l’anno del cinquantesimo anniversario dalla fondazione del WWF Italia: 5 decenni di impegno grazie all’attività di volontari, guardie ambientali, avvocati, studiosi ed esperti sempre in favore della Natura.Lazio e Marche avranno la stagione venatoria più lunga, dal 1 settembre al 9 febbraio 2017.
Inoltre altre regioni continuano ad escogitare “escamotage” per impedire ricorsi alle associazioni ambientaliste: è il caso della Toscana che ha approvato la preapertura con un provvedimento “last minute” con soli due giorni d’anticipo dal via libera alle doppiette. In attesa dell’apertura ordinaria prevista per il 18 settembre non resta che sperare che il minor numero possibile di cacciatori approfitti di queste deroghe e che provvedano alla riduzione dell’inquinamento non utilizzando munizioni in piombo, elemento estremamente inquinante sia per gli uomini che per gli animali.

















domenica 11 settembre 2016

QUADRATURA DEL CERCHIO CERCHIATURA DEL QUADRO (il sogno di Giuliano) (17)





































Precedenti capitoli:

Quadratura del cerchio Cerchiatura del quadro (il sogno di Giuliano) (16/1)

Prosegue in:

Teone (18)















Così ora, tra una pagina e l’altra,
che dono come panorami mai morti della natura umana,
che offro come acqua preziosa,
come un fiume dove non ci bagnammo mai due volte,
ma che tanto sangue ha visto scorrere,
compongo in frammenti,
sentieri e strade,
fra scenari da non dimenticare,
fra vallate da ricordare,
fra case da contare,
fra sogni da numerare,
fra guerre da fotografare,
fra promesse fatte e altre…
appena scordate,
fra templi e monoliti scolpiti,
fra croci e cimiteri,
fra confini e tradizioni,
che si muovono in cartine nel sentimento di ciò che chiamano geografia,
dove ammutoliti guardiamo amori e rancori,
gioie e dolori,
inverni e sudori,
ghiaccio e fiori,
bestie e signori,
servi e padroni.
Fra una pagina e l’altra,
compongo i panorami muti alla vista,
dipingo i volti morti alla storia,
ricompongo le anime vive nella coscienza.
Fra una voce e l’altra,
fra una chiacchierata e l’altra,
con i miei illustri ospiti, converso con Pietro,
il mio amico Pietro,
a lui faccio tesoro, caro lettore …. se ve ne fosse qualcuno,
dei miei stati d’animo, e della coscienza che li compone,
del sogno che li anima,
della paura che li incita,
del coraggio che arma,
della preveggenza che li chiama.
Dell’oracolo che li implora,
dello sciamano che li prega,
del Cristo che li veglia,
dell’eretico che li implora,
del Budda che li osserva,
di Giuda che impreca,
del sacerdote che conta moneta.
Con lui, e solo con lui (il mio eretico Pietro),
lettori ammutoliti,
viandanti terrorizzati,
preti ubriachi,
soldati angosciati;
cerco il sano conforto della dialettica,
quella a noi negata.
Quell’oste allegra che dona sollievo e conforto,
alla speranza e un po’ di linfa che chiamano vita.
Quella bevanda sacra,
che accompagna
il felice e ingordo pasto del viandante affamato,
su per queste difficili vie, per questi agitati mari.
Per quelle lontane cime,
per quei fari dimenticati.
Quella sete di ridere e raccontare la vita,
quella fame di tacitare il ventre del ricordo divenuto rancore,
quel piacere di immaginare vista ed odori,
con ugual appetito alla stessa tavola della storia.
Alla stessa tela del quadro,
cui vorremmo dipingere un panorama degno della cornice,
di ciò che chiamano tempo e denaro,
geografia e storia.
Allo stesso spettacolo,
dove molti si saziarono e videro,
altri piansero e morirono.
Allo stesso panorama,
dove componiamo la lenta stratigrafia della roccia,
poggiata su roccia,
pagina poggiata su pagina,
montagne incastonate nella fitta trama della natura,
che compone una lenta geologia,
tomi accatastati nel fitto bosco della parola,
e del pensiero che la precede,
in una infinita biblioteca che nominano sapere,
a cui ho dato l’onore e l’offesa di una luce prematura,
al pensiero ed al gesto dell’uomo (classificato) evoluto.
Dove conservo pretesa, e con essa l’ambizione,
di perdermi in questo grande mare,
dove il navigare non mi è facile.
Dove il raccontare non è propizio alla natura dei tempi.
Ma spingo la vela, arranco su per il sentiero.
Spero così, che ciò che non si concilia con il tempo,
sposerà serena verità di un passato mai morto,
nell’Universo nascosto e raccolto dove ogni sogno non è mai morto,
ed ogni illusione diviene una stella,
ogni speranza una nuova terra.
Ciò che è immagine,
combatte nella difficile crosta di terra,
di ciò che è spirito.
Non vendo l’anima,
nel ricco mercato prima del tempio,
non vendo Cristo ai nuovi sacerdoti della casta,
non incido immagini prima della scrittura,
e parole prive di filosofia,
perché il Sogno che difendo,
è prima dell’immagine e della parola,
del pensiero e la coscienza,
dell’istinto e dell’azione.
Atemporale al tempo e al luogo,
eterno come l’anima e quel Dio che la compone,
imperscrutabile come quell’onda che avvolge,
come la particella che penetra.
Come la vita che avanza.
Immutabile e perfetto,
come la simmetria che precede il tutto.
Così caro Pietro,
siamo diventati un algoritmo di memoria
in un circuito prestampato,
in una connessione super-veloce,
ricomposto su uno schermo ultrapiatto,
digitato dall’uno all’altro polo di un nuovo mare,
osservato dall’uno all’altro occhio di questo oceano.
Deriso o contemplato su ogni terra,
ed isola che questa Odissea ci comanda.
Siamo tornati nel difficile viaggio dell’umanità,
di nuovo frammenti apparentemente scomposti,
di antico e immutato sapere,
di intuizione,
lasciata scorrere nella nuova geografia che si forma,
ogni volta e per tutte le volte,
che l’infinito e perfetto compone nel grande oceano dell’Universo,
nel vasto mare del sapere,
ogni volta e per sempre bruciati,
al rogo di ciò che intuimmo in ‘infiniti mondi’.
Ho raccontato di te, Pietro,
ed ho subito i patimenti e conosciuto l’ingiuria,
e con essa l’ingiustizia,
che pagò il tuo ed il mio pensiero.
Pagammo con la vita,
la nostra umile conversazione,
pagammo con l’inganno la vera intuizione,
morimmo a stento in quell’aula,
in quella bottega,
nel mulino della grande visione,
del sogno che diventa verità,
del pensiero che diventa realtà,
del Dio che compone la sua Terra.
Pagammo con l’offesa e con essa l’umiliazione,
con il rogo del sacrificio,
con le risa dell’inganno,
con il sangue della guerra,
con la privazione di una casa,
di una famiglia,
di una verità.
Non ci fu concessa in questo mondo che creammo,
non ci fu permessa in questo Universo che preghiamo,
non ci fu lasciata possibilità di spiegare,
fra un’anima e l’altra che incarniamo.
Non ci fu possibile sognare,
non ci fu possibile parlare,
piangere e ascoltare,
il suono che avevamo composto:
vento che agita,
acqua che penetra,
ghiaccio che parla,
fuoco che urla.
Non ci fu possibile ascoltare il suono scomposto prima,
ordinato poi,
di ciò che è pensiero non ancora parola;
divenimmo parola poi,
quando in cima alla montagna,
al largo di quel mare,
urlavamo all’idea divenuta creazione,
componevamo il pensiero divenuto frammento,
pregavamo allo spirito divenuto materia,
celebravamo,
luogo tempo e verità in oscure caverne,
in sperduti anfratti,
in segreti luoghi,
sognavamo il sogno prima del sogno,
per questa anima inquieta,
e per suo Dio che la canta,
pagammo con la vita per aver osato la verità.
Siamo morti tante volte Pietro,
su quel sentiero,
in quella strada,
nell’immenso grande mare,
siamo rinati altrettante vite,
nella testimonianza di ciò che lasciammo e scrivemmo,
ricomposto in frammenti che scriviamo e abbiamo scritto,
secoli e millenni fa.
Così,
fra un Universo e l’altro di un anima che li ha composti,
scopriamo un Dio che li ha pensati,
e di una realtà mai una verità,
che li ha uccisi e dimenticati.
Hanno composto così la geografia,
nel quadrante della storia che non ci appartiene;
hanno sacrificato così il pensiero
che non vogliono,
ed il sogno che non desiderano,
perché fra desiderio e volontà c’è un baratro non compreso,
fra spirito e materia, c’è una immensa linea stratigrafica,
fra il divenire e l’essere,
che muove la terra,
che segna la crosta,
che cambia la vita.
Ciò che eravamo e non siamo più,
ciò che è, ma è mutato fra il sé originario e immutato,
e il lento divenire,
di questa grande geologia che è fuori e dentro noi.
Ma prima è dentro noi, poi lentamente creata.
Questo sogno antico che non riusciamo più a sognare,
questo pensiero primo che non riusciamo più ad afferrare,
questo Dio che non riescono ad immaginare.
Quando sognammo, il sogno comune della vita,
il geroglifico della creazione,
avevamo tanti nomi diversi, ma tutti simmetrici fra loro.
Avevamo volti diversi,
ma medesime linee sul corpo,
sulla roccia,
sulla terra.
Stessi graffiti, stesse intuizioni, stesse paure, angosce …e visioni.
Uguali stupori, stessi tremori, e sogni premonitori.
Ci siamo dati nomi diversi, ma un solo intento ci unisce,
ci siamo inchinati agli stessi dèi,
celebrato la stessa fonte di vita,
adorato il fuoco,
interrogati sulla pietra,
ascoltato il vento,
contemplato per millenni la nostra terra,
in un luogo e mille altri diversi.
Poi abbiamo ritrovato le parole,
sconnesse,
divinatorie,
allucinate,
senza apparente logica e nesso,
suoni multiformi prima, di stupore poi;
lo stupore è divenuto oracolo e intuizione del creato.
Stupore di tutto nel tutto,
dove a stento ci siamo formati,
stupore di quel cielo nero riflesso nelle acque,
stupore di poter uscire da queste,
per un qualcosa che assomiglia ad un arrancare,
poi ad un lento camminare,
in fine una corsa retta,
agile ed eretti su quelle che sembrano ora due gambe. (3)

Pietro,
abbiamo ripercorso assieme tutte queste tappe della memoria,
ci siamo visti e parlati migliaia di volte,
ti ho riconosciuto negli occhi di tanti esseri animati e non,
la tua anima ha vagato così a lungo ed è ovunque,
che ogni volta trovarti mi par cosa così facile,
che gli altri,
i savi…dicono,
ci guardano inorriditi, stupefatti, schifati, preoccupati,
ed in onor della loro grande ed immensa rettitudine,
che ci accompagna per milioni di anime più sfortunata della tua,
debbo ritrovare e scavare nella memoria.
No! Pietro,
non è un semplice lavoro di archeologi della terra e della mente,
non è solo un’opera da eruditi fuori dal tempo, disadattati alla vita,
non è solo un fuggire a ritroso per non vedere il futuro,
respirare il presente,
che puntualmente celebriamo nel tempio che divide Dèi ed uomini.
Perché troppo spesso,
in questo sognare ci siamo sentiti esseri di altri universi,
pensieri di altri mondi,
luce prima della luce,
né onda né particella.
Qualcosa di indefinito e incomprensibile nello stesso tempo e luogo,
quando tempo e luogo sono ancora nella nostra mente,
e vederli pian piano comporsi, per poi dissolversi,
lasciandoci soli in quello che altri,
nel pieno della loro luce,
chiamano con nomi innominabili,
con frasi e gesti ripetuti nella costanza del loro tempo,
con una precisione meccanica,
che nulla ha dell’universale che pregano,
cantano e celebrano.
Medesimi gesti,
urla,
imprecazioni,
accuse,
umiliazioni,
morti e resurrezioni,
privazioni,
solitudini,
angosce e dolori.
Visioni che ci chiamano a custodire la memoria.
Spiriti che ci vogliono custodi di un sogno lontano,
e non ancora del tutto svelato. (4)

(G. Lazzari, Frammenti in Rima; Appunti fra una pagina e l’altra, prima dell’Universo)