giuliano

domenica 28 maggio 2023

E' TEMPO DI CHIEDERE A QUESTI SIGNORI CHE LA SMETTANNO..... (B. Mussolini)

 

 


 

 





Precedenti capitoli: 


negli stessi anni







Ma tre o quattro mesi fa era successo qualcosa di inaspettato. Un uomo che possedeva uno o due acri di terreno in cima alla collina aveva fatto salire a fatica un paio di autocarri su per il pendio, carichi di grosse travi squadrate di pino dell’Oregon; i carpentieri avevano cominciato a lavorarci sopra, e il vicinato li aveva fissati, chiedendosi che strano tipo di casa potesse essere. Improvvisamente la notizia si era diffusa, in un’esplosione di eccitazione: una torre petrolifera!

 

La trivellazione iniziò e continuò, monotona e tranquilla. I giornali locali riportarono i risultati: il DH Culver Prospect No. 1 era a 1478 piedi, in una dura formazione di arenaria e senza segni di petrolio. Era lo stesso a 2.000 ea 3.000; e poi per settimane l’impianto ha ‘pesca’ un trapano rotto e tutti hanno perso interesse; non era altro che un ‘buco secco’ e le persone che avevano rifiutato il doppio dei prezzi per i loro lotti iniziarono a maledirsi. ‘Wild-gatting’ non era altro che il gioco d’azzardo in ogni caso, molto diverso dagli investimenti prudenti in lotti urbani. Poi i giornali riferirono che DH Culver Prospect n. 1 stava perforando di nuovo; era a 3059 piedi, ma i proprietari non avevano ancora perso la speranza di scoprire qualcosa.




Poi è successa una cosa strana. Arrivarono camion carichi di roba, accuratamente ricoperti di tela. Tutti coloro che avevano a che fare con l’impresa erano stati avvertiti o corrotti affinché tacessero; ma ragazzini sbirciavano sotto il telo mentre i camion risalivano faticosamente la collina con motori rombanti, e riferivano di grosse lastre di metallo ricurve, con buchi lungo i bordi per i bulloni. Potrebbe essere solo una cosa, carri armati. E allo stesso tempo arrivarono voci secondo cui DH Culver aveva acquistato un altro tratto di terreno sulla collina. Il significato di tutto questo era ovvio: il Prospect No. 1 era finito nelle sabbie bituminose!   




Roma, 10 giugno 1924. Alle 16,30 il deputato socialista Giacomo Matteotti lasciò la sua abitazione di via Pisanelli 40. La moglie Velia lo seguì dal pianerottolo fino alle scale e poi, dalla finestra, finché poté accompagnarlo con lo sguardo. Egli aveva già preso parte in mattinata ai lavori della Camera e ora intendeva tornare a Montecitorio per fermarsi nella biblioteca della giunta del Bilancio, leggere e prendere appunti, in vista di un infuocato discorso contro il governo che avrebbe voluto pronunciare in Parlamento.




In abito chiaro, scarpe bianche di camoscio e cravatta in tinta, con una busta sotto il braccio intestata ‘Camera dei deputati’ che portava sempre con sé, Matteotti attraversò la brevissima via Mancini e iniziò a percorrere il lungotevere Arnaldo da Brescia, diretto verso la fermata del tram numero 15 in Piazza del Popolo. Il clima pomeridiano di tarda primavera invogliava a riversarsi in riva al fiume. I ragazzi, dopo un bagno rinfrescante, trascorrevano qualche ora distesi al sole sui gradoni in pietra.

 

Due bambini che giocavano accanto al parapetto del lungotevere videro arrivare Matteotti. Lo riconobbero, perché era solito passare di lì; talvolta in tenuta sportiva saliva su una canoa e remava per ore su e giù. Quel giorno, però, un fatto inconsueto attirò la loro attenzione.




Matteotti procedeva a passo svelto. Era assorto nelle sue riflessioni e non badava molto alle persone che in quel momento lo circondavano. All’improvviso due uomini interruppero il corso dei suoi pensieri. Lo bloccarono e lo afferrarono bruscamente, cercando di trascinarlo a forza verso la strada. Ad attenderli, accostata al marciapiede, un’elegante auto scura, una Lancia Lambda a sei posti, modello limousine chiusa.

 

Resosi conto di quanto stava avvenendo, il deputato socialista, non molto robusto ma con un fisico scattante, iniziò subito a dibattersi e a contorcersi in tutti i modi, pur di riuscire a liberarsi dalla presa dei due sgherri e a sottrarsi alle loro intenzioni. Gli assalitori non si aspettavano questa vigorosa reazione, e infatti egli riuscì per un attimo a divincolarsi buttandone uno a terra.




In quell’istante la salvezza sembrava ancora alla portata. Sennonché, mentre Matteotti cercava di sfuggire definitivamente alla morsa degli aggressori, si diresse di gran carriera verso di lui un terzo uomo, vestito di grigio, elegante, alto e robusto, che lo colpì violentemente al volto e lo gettò sull’asfalto. Il giovane deputato, tramortito, poteva ora essere sollevato di peso e trasportato sull’automobile.

 

Egli però non si arrese.                       

 

Ripresosi in pochi secondi, tornò a opporre ogni resistenza di cui era capace, dibattendosi e gridando aiuto, mentre gli uomini della banda gli assestavano tremendi colpi al torace e al basso ventre.




Matteotti, con gli abiti strappati, il viso tumefatto, e tuttavia combattivo, fu caricato sul veicolo. Nella concitazione la Lancia partì di scatto e percorse a zig-zag le prime centinaia di metri, con uno degli sgherri ancora fuori sul predellino, aggrappato alla maniglia della portiera. Il deputato socialista continuava intanto ad agitarsi e a urlare. Fece in tempo a spedire un ultimo appello: gettò per strada la sua tessera ferroviaria, poi raccolta da due contadini che transitavano sul lungotevere con un carretto.

 

A bordo proseguì nella sua lotta disperata e, dimenandosi, riuscì a frantumare con un calcio il vetro che divideva l’abitacolo posteriore da quello del conducente. Mentre la Lancia superava il ponte Milvio e imboccava la via Flaminia, Matteotti e i suoi rapitori, sudati e stremati già dalla lunga attesa in macchina prima dell’agguato con le tendine abbassate e i finestrini chiusi, non mettevano fine a una battaglia furibonda.




Per coprire le grida l’autista fu costretto a procedere con il clacson bloccato fino all’uscita dalla città. Di fronte all’irriducibile resistenza del deputato socialista gli aguzzini non esitarono a prendere una decisione estrema: meglio finirlo all’interno della vettura anziché attendere di raggiungere l’aperta campagna.

 

Fu questione di un attimo: un pugnale attraversò il torace di Matteotti. La ferita penetrante gli causò la perforazione di un polmone, con conseguenti rigurgiti dalla bocca. Il sangue imbrattò gli indumenti, la tappezzeria e il sedile del veicolo.

 

Matteotti era morto.




A questo punto i sicari poterono procedere, con il cadavere a bordo, alla ricerca di un luogo adatto per occultarlo. Uscirono dalla città in direzione nord-est, verso Civita Castellana. Dopo alcune ore, quando ormai era buio, a 23 chilometri da Roma, nella macchia della Quartarella vicino al villaggio di Riano Flaminio, trovarono un terreno molle e scavarono in fretta e furia una fossa, facendosi luce con alcuni cerini: non avevano attrezzi adeguati per solcare il terreno, perciò adoperarono una lima che avevano trovato nell’auto.




Essendo stanchi e volendo seppellire la vittima il più in fretta possibile, non rimasero lì per più di mezz’ora. L’esito dei loro sforzi fu una buca di forma ovoidale, non molto grande e poco profonda. Vi gettarono il corpo straziato di Matteotti dopo averlo denudato per rendere più difficile l’identificazione. Dovettero però rannicchiarlo con manovre assai violente in modo da riuscire a farlo entrare nella fossa. Al termine di queste macabre operazioni, poterono finalmente risalire sulla Lancia, alla volta della città.

 

I passeggeri dell’auto erano ora solo quattro: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo; alla guida Augusto Malacria.




Tutti ricollegabili all’esperienza dell’ ‘arditismo’ milanese, nato da ex componenti dei reparti d’assalto dell’esercito italiano che nel ’19 avevano partecipato alla fondazione dell’Associazione nazionale degli arditi d’Italia e avevano poi aderito in gran numero al fascismo, adorandone il leader carismatico, Benito Mussolini. Più in generale, i cinque uomini della banda erano, per molti versi, degni rappresentanti del sottobosco fascista, ‘pesci piccoli’ disposti a qualunque cosa per sbarcare il lunario, gregari ottusi e devoti, operanti per cieco fanatismo e per piccoli arricchimenti personali, servili quanto basta a tutelare il proprio tornaconto e ottenere la gratitudine dei potenti.

 

Erano dunque pronti a eseguire anche ‘lavori sporchi’ pur di soddisfare il capo, a maggior ragione da quando, nel ’22, questi era giunto alla guida del governo italiano. Mussolini, peraltro, li conosceva bene tutti: era loro legato da una complicità che risaliva al 1918, quando aveva cercato amici e appoggi in giro per Milano.




Dumini, l’organizzatore dell’attentato, aveva preso parte a molte azioni in Toscana, facendo della violenza il suo biglietto da visita. Circolava voce che amasse provocare il sobbalzo dell’interlocutore presentandosi come ‘Dumini, undici omicidi’, in realtà, al di là di quanto millantava, era più che altro uno spaccone sempre in prima fila quando si trattava di intervenire in pestaggi o bastonature. Tentando in ogni modo di infilarsi in solide reti di conoscenze e di mutua assistenza, era anche entrato a fare parte della massoneria. Coltivava inoltre da tempo il desiderio di diventare giornalista; un primo passo in questa direzione gli era sembrata l’assunzione come dipendente presso un importante quotidiano, il ‘Corriere italiano’.

 

Ciò che più contava per lui, comunque, erano le amicizie di alcuni uomini potenti: quella di Cesare Rossi, capo dell’Ufficio stampa di Mussolini, e quella di Giovanni Marinelli, segretario amministrativo del Partito fascista. Dumini era pertanto frequentatore dei palazzi governativi, dove incrociava anche il presidente del Consiglio e i suoi più stretti collaboratori. Gli venivano affidate operazioni poco pulite per alimentare le casse del partito, quelle del quotidiano della famiglia Mussolini, ‘Il Popolo d’Italia’, così come pure i conti correnti personali dei dirigenti fascisti.




Godeva di un’assoluta impunità, contraccambiandola con un’ostentata e totale abnegazione al capo del fascismo. Nel ’23, ad esempio, si era recato in Jugoslavia per negoziare segretamente con il governo di Belgrado la vendita di una partita di armi che aveva ottenuto dal ministero della Guerra italiano grazie alla copertura finanziaria garantitagli da un istituto di credito. Un personaggio come Dumini non avrebbe mai potuto accedere a quel materiale bellico, né alle risorse finanziarie necessarie per l’operazione, se non vi fossero state personalità più importanti a garantire per lui.

 

Al suo ritorno in Italia era stato arrestato dalla polizia ma aveva ottenuto immediatamente il rilascio grazie a interventi di altissimo livello. L’entourage del primo ministro si era impegnato altresì nel tentativo di soffocare lo scandalo: Mussolini, fratello del presidente del Consiglio e direttore del ‘Popolo d’Italia’, aveva pubblicato un articolo benevolo, che presentava la vicenda del contrabbando di armi come un ‘equivoco’ e descriveva Dumini quale ‘valoroso ex combattente di vecchio e provato patriottismo’.




 Anche Albino Volpi era uno dei tanti volenterosi gregari, esecutori di lavori sporchi, abbagliato dal carisma del capo del fascismo, nonché dalla possibilità di ottenere vantaggi materiali dalla propria dedizione. Era un pregiudicato, già condannato diverse volte negli anni Dieci per reati comuni. Nel dopoguerra, però, aveva preso parte all’organizzazione degli Arditi, si era poi unito al movimento fascista milanese ed era entrato così nella sfera dei collaboratori di Mussolini, il quale si era servito di lui per varie mansioni di fiducia e, nel ’21, aveva persino testimoniato a favore della sua innocenza in un processo per omicidio, sostenendo falsamente che il colpevole fosse stato un altro fascista, nel frattempo deceduto. Con questi sistemi, da Volpi così come da moltissimi altri devoti membri del suo movimento, il capo del fascismo era riuscito a ottenere una fedeltà assoluta.





Consumato il delitto, gli uomini della banda fecero ritorno a Roma in tarda serata, mentre la spensierata vita notturna della capitale affollava le strade e i caffè del centro. Erano stremati, l’auto era mal ridotta, impolverata a causa delle strade percorse, cosparsa di frammenti di vetro, sporca di sangue. Dumini la parcheggiò dapprima spavaldamente nel cortile del Viminale, sede del ministero dell’Interno. Poi tornò a riprenderla. Sotto la Galleria Colonna, luogo come ogni notte di chiacchiere e confidenze per molti romani, Albino Volpi incontrò Arturo Benedetto Fasciolo, stenografo e segretario particolare di Mussolini, e gli raccontò quanto era avvenuto.

 

Secondo una delle versioni dei fatti, i membri della banda andarono pure a casa di Fasciolo: la prima cosa da fare era lavarsi le mani, togliersi di dosso i segni del crimine e consegnare la busta con i documenti di Matteotti. Grazie all’aiuto di Filippelli e di altri complici, Dumini si liberò poi dell’auto nascondendola in un garage. E a quel punto – erano passate le tre del mattino – si fece portare da un taxi al suo appartamento di via Cavour 44. Il lavoro era compiuto e finalmente poteva andare a riposare.

 

Quella notte Velia Matteotti la passò alla finestra in attesa del marito.




Giacomo Matteotti stava lavorando ad un Libro di 91 pagine, su due fitte colonne, pubblicato e distribuito quasi clandestinamente ai primi del 1924. Quando fu assassinato, stava lavorando a una ristampa corretta e aggiornata dell’opera, che non vide mai la luce.

 

Questi sono taluni suoi appunti:

 

 

 

LA LIBERTA’ DI STAMPA (e di libero arbitrio)

 

 

 

1922, 6 Dicembre

 

 

Così non si può andare avanti. Gli ambienti fascisti più vicini al Governo sono decisi di porre una disciplina anche ai giornali (sia pubblici che privati… e ON LINE), davanti allo spettacolo offerto quotidianamente da certa stampa, nessuno si meraviglia se il Governo fascista imporrà la censura e adotterà misure ancora più severe.

 

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini






 

7 Dicembre

 

Avvertimento da meditare: Se accade che i fogli socialisti, ed in particolar modo la cosiddetta unitaria “Giustizia”, si sono abbandonati alle più gesuitiche campagne contro il Governo…

 

È tempo di chiedere a questi signori che la smettano.

 

La rivoluzione fascista è stata generosa…

 

Ma guai se i capi del socialismo e del comunismo ne abuseranno. La rivoluzione fascista non ha proceduto ad esecuzioni sommarie – e lo poteva fare benissimo. – Ma, attenzione ai mali passi, vecchie canaglie del socialismo italiano.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini




 

13 Dicembre

 

 

Il Direttorio del Fascio milanese di combattimento… diffida la Direzione del giornale “La Giustizia” dal più oltre propalare notizie destituite di ogni fondamento di verità, tendenziose o comunque tali da eccitare l’odio di classe, ammonendola che ove dovesse perseverare in tale scorretto sistema giornalistico il Fascio milanese di combattimento determinerà pei provvedimenti che riterrà del caso per ridurla all’osservanza delle norme di correttezza e di onestà giornalistica.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini


 




1923, 5 Gennaio

 

 

La Questura invia ai giornali una circolare per intimare, d’ordine del Governo, di non pubblicare nessuna notizia sulla ribellione della Guardia Regia a Napoli, a Torino, a Roma e altrove, che non sia quella distribuita dal Governo stesso – pena le sanzioni che il Governo applicherà… in virtù dei pieni poteri (!?).

 

 

6 Marzo

 

 

Il “Corriere è inquieto”: “Per le zucche che si rialzano ci sono cinquecentomila manganelli sempre pronti. E c’è della gente dal fegato sano. E c’è una milizia fascista. E ci saranno, occorrendo, della buona mitraglia e delle bombe a mano. Dorma dunque i suoi sonni tranquilli il “Corriere”… E lasci fare allo stato fascista!”.





  

6 Aprile

 

 

Non si può continuare ad abusare impunemente dell’enorme e forse già eccessiva longanimità dei capi del fascismo. Guai se questi capi saranno costretti, davanti al vituperio immondo, a rilanciare lo storico e terribile grido di “A noi!”… Ci pensi chi deve. È ormai tempo!

 

POPOLO D’ITALIA

 

 

8 Aprile

 

Sempre “La Giustizia”! Questo giornale, che sta diventando un libello, abusa della pazienza del fascismo. Sembra che già si approssimi il giorno in cui desterà una tale reazione tra i fascisti, che non saranno gli svenimenti, i piagnistei, gli appelli disperati della paura a salvarla da una fine immatura.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini







8 Aprile

 

 

Ora sarà bene avvertire cotesti giornali e chi li dirige che se essi hanno il diritto di usare della libertà mantenuta dal dittatore Mussolini e dal suo tiranno governo, hanno anche il dovere imprescindibile di non abusare. Altrimenti non è proprio da escludersi che l’esempio di Lenin possa essere seguito in Italia nei riguardi di certe canaglie.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini

 

 

9 Maggio

 

 

Quando la fatica è improba e si cammina sotto un carico enorme di responsabilità, non si sopporta il lazzo dei lazzaroni, il dileggio dei vagabondi, e colpiremo anche se la libertà di stampa, la semivergine, leva alte le grida.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini





 

24 Giugno

 

 

La miglior risposta sarebbe il sacrosanto manganello che ha tante volte punito dei capilega, colpevoli più che altro di… ubriachezza e di ignoranza e che non provocavano, in ogni caso, un danno nazionale. Questi scribi invece danneggiano la nazione in faccia all’estero e non v’è purtroppo mezzo di farli tacere a meno si attui una buona volta quella necessaria limitazione della libertà di stampa.

 

Quanto al manganello fascista non è proprio detto che non debba e non possa essere richiamato in servizio da un momento all’altro.

 

(A proposito di un articolo stampato sul «Secolo» dal prof. G. Ferrero.)

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini





 

8 Luglio

 

 

Senatore Albertini, (cioè, “Corriere della Sera”), a noi! Senatore Albertini, vi sopportiamo già da molto tempo, da troppo tempo, e vi diciamo apertamente che basta!… Senatore Albertini, ci sono tanti fascisti, tanti! tanti! tanti!… Noti, notissimi ed ignoti in molte città d’Italia che solo domandano, per iscritto – assumendo in pieno l’onore e la dignità del gesto – di essere presenti a radere al suolo la vostra indegna “baracca”. Se questo non è avvenuto ancora voi potete bene immaginare chi potete ringraziare, senatore Albertini! Ma piantatela, ve ne prego. E ve ne prego non già per amore di voi e per amore del vostro giornale.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini





 

8 Luglio

 

 

L’obliquo senatore liberale, responsabile morale degli assassinii dei fascisti compiuti in questi giorni dalla canaglia rossa di cui ormai è palese e cinico alleato, tenta di scamotare e di ciurlare nel manico. Non glielo permetteremo. È tempo di ricacciargli in gola il grido di “Viva la libertà” perché questo mestatore ha tutta la libertà di sputare sul Governo, ha perfino la libertà di trovare ridicolo il gesto del Governo che si inginocchiava il 4 novembre… Il senatore Albertini accetta dunque in pieno la sua complicità coi comunisti?… Quando risulta, come risulta documentato e documentabile, che i leninisti di Mosca riportano gli articoli del “Corriere” e contano sulla campagna antifascista del senatore liberale Albertini, il marchio rosso che lo bolla a sangue è definitivo ed incancellabile. Lo ricordino i fascisti!

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini





 

11 Luglio

 

 

L’on. Mussolini dichiara che fin dal novembre scorso aveva preparato provvedimenti contro gli abusi della stampa ma che ne ha sempre dilazionata la presentazione sperando nel ravvedimento. Scomparso il pericolo dell’azione diretta illegale del fascismo, gli oppositori hanno rialzata la testa e intensificano l’opera sobillatrice… Il Governo fascista ha l’obbligo di intervenire, o per prevenire o per rapidamente colpire… Il Consiglio all’unanimità deferisce a tre ministri l’incarico di presentare uno schema di provvedimento.

 

 

12 Luglio

 

 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto per la stampa, secondo il quale:

 

‘Il prefetto della provincia ha facoltà di diffidare e successivamente di sospendere il giornale che con notizie false o tendenziose rechi intralcio all’azione diplomatica del governo, o danneggi il credito nazionale all’interno o all’estero, e desti un ingiustificato allarme nella popolazione, ovvero in qualsiasi modo turbi l’ordine pubblico… se ecciti all’odio o alla disobbedienza delle leggi o turbi la disciplina degli addetti ad un pubblico servizio’.




 

CONSIGLIO DEI MINISTRI, comunicato ufficiale

 

 

16 Luglio

 

 

“Ci risulta che S. M. il Re ha firmato il decreto per un nuovo regolamento sulla stampa. Il decreto è adunque nelle mani del presidente del Consiglio, il quale si riserva di dargli corso al momento opportuno”.

 

 

30 Aprile – Aquila

 

 

I fascisti invadono la tipografia e sequestrano 500 copie del Giornale socialista ‘L’Avvenire’, il cui redattore è percosso gravemente; è bastonato anche il socialista Oscar Del Re.

 

(G. Matteotti)







                                                     

mercoledì 24 maggio 2023

NEGLI STESSI ANNI (Seconda parte, LA MEMORIA...)









Precedenti casi 


di doppiezza 


(storica e morale)


Prosegue con uno 


... o più Vermeer 


& un ricordo 


di G. Matteotti








LA MEMORIA 

 

 

Le parole dei Capi…

 

 

1922, 11 Novembre

 

‘Se la dittatura non è stata instaurata, la Camera è pregata di non nutrire illusioni. Se farà dei mali passi sarà soppressa’.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini 

 

17 Novembre

 

‘Con 300 mila uomini armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il fascismo.

 

Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli; potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho voluto almeno in questo primo tempo…



 Io non voglio, fin che mi sarà possibile, governare contro la Camera, ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni’.

 

MUSSOLINI, discorso alla Camera 




8 Dicembre

 

‘La nostra propaganda sarà fascismo fascismo e fascismo; e per i duri di orecchio dichiariamo che il manganello potrà funzionare a meraviglia’.

 

Intervista BOLZON, della Direzione Partito fascista 

 

9 Dicembre

 

‘Contro i disertori saranno – da nostri speciali agenti provocatori – aizzate le turbe rosse che presumibilmente potessero riprendere animo, e contro i loro beni saranno diretti gli appetiti di tutti i disperati!’.

 

POPOLO D’ITALIA, giornale di Mussolini

 

10 Dicembre

 

‘Se per dannata ventura la democrazia avesse da rallegrarsi del risultato della celebrazione di Capaci sappiano che le strade della città saranno inesorabilmente precluse a turbe ed a cortei di rossi.

 

Ogni tentativo di rialzare la voce e di riunirsi, di muovere verso il centro, sarebbe duramente represso!’ 




 

GIACOMO MATTEOTTI:

 

 

Se il gruppo parlamentare socialista ha indicato me per lo svolgimento della sua mozione, non può essere a caso. Non sono abituato ai grandi discorsi politici, bensì ai discorsi tecnici; quindi il gruppo, indicandomi, volle che fosse esposto, con la precisione di una cifra, con la schematicità di un sillogismo, il nostro pensiero, per trame da una parte e dall’altra il chiarimento della situazione e la norma della propria condotta.

 

Nella nostra mozione nulla vi è di tutto ciò che è stato detto e che ci è stato attribuito dalla stampa. Noi non ci lagniamo della violenza fascista. Siamo un partito che non si restringe dentro una semplice competizione politica, che non aspira a successione di Ministeri, che vuole invece arrivare ad una grandiosa trasformazione sociale; e quindi prevede necessariamente le violenze, sa che, ledendo un’infinità di interessi, ne avrà delle reazioni più o meno violente; e non se ne duole.

 

È stato detto che saremmo venuti qui a protestare, a lanciare invettive contro il fascismo che ci percuote, e così via.

 

Neppur questo. Siamo i primi a riconoscere le origini storiche, e la necessità del fascismo, siamo i primi a interpretarne la giustificazione economica, a riconoscerne la esistenza, quasi direi come necessità sociale di questo momento.


Non ci dorremo dei delitti, né li racconteremo, né andremo ad investigare come si formano le schiere fasciste... Tutto questo non ha che una importanza assai accessoria. E se anche, qualche volta, dovremo accennarvi, sarà solamente per arrivare con maggior precisione alle nostre conclusioni.




È stato detto, in fine, dall’onorevole Giolitti, che noi qui parleremo in contrapposizione alla mozione presentata dalla destra parlamentare, perché ciascun partito vuole il Governo al proprio servizio. L’onorevole Giolitti s’inganna completamente.

 

Noi non abbiamo da invocare Governo alcuno a servizio nostro, non abbiamo nulla da chiedere, né al Governo né a nessuno. Qui non si tratta di quella abilità, di quelle schermaglie parlamentari, nelle quali l’onorevole Giolitti è certamente maestro. Si tratta semplicemente di chiarire la reciproca posizione in cui, da una parte egli, come rappresentante del Governo, e dall’altra i rappresentanti delle classi dirigenti si trovano, e in cui noi, in seguito alle vostre dichiarazioni, ci verremo a trovare, quando andremo a portare ai nostri compagni, al Paese, l’impressione del risultato di questa discussione.

 

Ma vediamo anzitutto e rapidamente la situazione di fatto.

 

Sarebbe impossibile riassumerla in una sintesi, perché essa si sfalda in una quantità di episodi secondari, accessori e diversi; ed ogni episodio a sua volta è snaturato, deformato nel racconto.

 

Si può dire che in questo momento di subbuglio, di violenza, nulla subisca maggiore violenza quanto la verità, quanto l’esposizione veritiera dei fatti.




Sembra quasi che la stampa italiana si diletti a questo terribile giuoco di bambini, che l’uno all’altro rimproverano di essere stato il primo, di aver provocato per primo; e le violenze frattanto continuano.

 

Quando, una ventina di giorni fa, un fascista, di notte, a Rovigo, ferisce tre socialisti perfettamente inermi, come risulta dai rapporti delle autorità, e ferisce gravemente anche uno dei suoi stessi compagni, i giornali come raccontano l’episodio? Così: ‘Conflitto tra fascisti e socialisti a Rovigo’. ‘Furono sparate (da chi? Non si sa!) delle revolverate; rimasero feriti tre socialisti ed un fascista’. E il lettore serba così impressioni perfettamente false della situazione di fatto.

 

Quando domenica scorsa a Ferrara, le incursioni in camions dei fascisti armati nella campagna, danno questo bilancio preciso della giornata: quattro leghisti feriti di cui due gravemente, due locali di leghe distrutti ed incendiati, venti socialisti arrestati, nessun fascista ferito, nessun fascista arrestato, i giornali intitolano la faccenda così: ‘Nuovi agguati e nuove violenze dei socialisti ferraresi nelle campagne’. È così che si racconta la verità!

 

Quando nella notte a Ferrara (come risulta, anche questo, dai resoconti delle autorità e non dalla versione socialista) un gruppo di fornai, che abbandonato il lavoro percorreva cantarellando una strada, è improvvisamente colpito da una scarica di revolverate, una delle quali ferisce un fornaio; il “Giornale d’Italia” del 20 gennaio racconta il fatto così: ‘Un gruppo di fascisti è stato aggredito nella piazzetta comunale nella notte; furono (sempre indeterminato chi è stato? Non si sa) furono sparati dei colpi di rivoltella, uno dei quali ferì un passante’. E chi ha avuto, ha avuto.




Ma quando per contro avviene, e dolorosamente avviene, che un fascista o più fascisti rimangono feriti e uccisi, allora la stampa, codesta parte per lo meno della stampa, muta completamente il tono. Allora sono i grandi caratteri; allora, mentre ancora l’autorità non sa nulla e sta investigando, a due ore di distanza si sa già che sono stati i socialisti a compiere l’eccidio! Si sa che è stato un complotto socialista, organizzato dalla Camera del lavoro! Si sa già che responsabili sono quindi i capi socialisti, e in conseguenza, immediatamente, dopo poche ore, si dà l’assalto alla Camera del lavoro, si aggrediscono le rappresentanze del partito socialista, assessori, deputati ecc.; allora la campagna giornalistica trascina per un mese un cadavere sulle sue colonne, facendone una speculazione illecita e immonda.

 

Ma non mi voglio attardare sui fatti e sugli episodi, ognuno dei quali può essere a nostra posta, dalle nostre passioni di parte, contorto o deformato, diversamente da quella che è la verità. Io voglio essere più conservatore di quel che non siano oggi i rappresentanti delle altre parti, voglio aspettare i risultati delle inchieste delle autorità. Più ancora: ammetto senz’altro che in ogni partito, che in ogni massa, da ogni parte vi possano essere dei delinquenti, dei male intenzionati, dei violenti. Ma la questione sta più in là di questi episodi, sta più in là di questa ammissione.




Il fatto nella sua precisione è questo: oggi in Italia esiste una organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano (hanno questo coraggio che io volentieri riconosco) dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono, non appena avvenga o si pretesti che avvenga alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile.

 

Se sui singoli fatti, quelli che ho esposto e quelli che non ho esposti, quelli che la Camera conosce e quelli che non conosce, si può dubitare, questa esistenza di una organizzazione di bande armate, con simili precisi scopi dentro lo Stato italiano, è un fatto, sul quale nessuno può opporre contestazioni. Documenti ne sono i loro stessi giornali che si intitolano come una volta si intitolavano i giornaletti anarchici: “La Fiamma”, “L’Assalto”, “Il Pugnale” e così via; che portano articoli intitolati: ‘La parola è alle rivoltelle’ che dicono: ‘Noi arriveremo anche alla guerra civile’.




Tutto ciò è detto pubblicamente e pubblicamente risulta da atti, per i quali noi riconosciamo al fascismo il coraggio di esporsi, mentre perdura nella gran maggioranza della società capitalistica del Paese la ipocrisia di non apertamente sostenerlo, la ipocrisia di attribuire le violenze di questi giorni alle più stupide provocazioni socialiste!

 

Per le strade ci sono manifesti che dicono: ‘Occhio per occhio dente per dente’. Nettamente, in manifesti, in avvisi, in colloqui coi questori e coi prefetti si dichiara di volere abbattere ‘a tutti i costi’ le amministrazioni che hanno testé raggiunto migliaia di voti di maggioranza contro la minoranza dei blocchi. Si afferma che si vogliono abbattere le organizzazioni, si minacciano scomuniche o rappresaglie contro determinate persone: si intima a determinate persone di non frequentare determinate strade, determinati punti.




Vorrei sentirmi obbiettare dalla parte avversaria della Camera, che ciò non è vero; perché anche i vostri giornali dicono che non è vero, che siamo noi che provochiamo! Non è forse vero, per esempio, che nelle città di Modena, Ferrara, Bologna le vie sono percorse da gruppi armati, militarmente indrappellati, militarmente comandati, che hanno spesso le armi in pugno, i quali pretendono o affermano di volere ristabilire un ordine proprio, indipendentemente da quello che è l’ordine governativo, l’ordine dell’autorità?

 

È vero che si va ai funerali oggi non più con la sola pietà, ma col pugnale tra i denti e le rivoltelle in mano; è vero o non è vero questo?

 

È vero che nell’ora del passeggio, dalle città maggiori, per esempio da Ferrara, davanti alla cattedrale, partono camions pieni di fascisti armati, qualcuno con due rivoltelle nelle mani, e sfilano allegramente per le strade, con canti di vendetta, senza che alcuna autorità si muova?




E per chi ancora non credesse, per chi ritenesse che queste nostre parole siano esagerate, rileggerò quello che con magnifica e rara sincerità hanno affermato il “Giornale d’Italia”, organo della sopravvissuta reazione, e l’“Avvenire d’Italia”, organo dei cristiani di Bologna. (Interruzioni dei deputati Siciliani e Cappa – Scambio di apostrofi vivaci tra questi e il deputato Ferrari – Vivi richiami del presidente)

 

‘Tutti i giorni partono delle spedizioni. Un camion carico di giovanotti (non c’è il ministro delle Finanze, per chiedergli se i camions non possono portare persone non addette allo scarico!) va al tale paese, si presenta al tale capolega. Si tratta prima; o il capolega cede, o la violenza terrà luogo della persuasione. Accade, quasi sempre, che le trattative raggiungono lo scopo, se no la parola è alle rivoltelle... I racconti, gli episodi e gli aneddoti delle spedizioni fioriscono durante la giornata. Le rivoltelle sono le compagne, le amiche legittime, oppure no, inseparabili dei racconti; occhieggiano e luccicano da ogni tasca. Ci si domanda con la maggiore naturalezza di questo mondo: quanti colpi hai? E si vuole sapere quante rivoltelle e di quali tipi...




Tali sono in semplici linee gli aspetti della jacquerie borghese che nel ferrarese combatte una battaglia di portata nazionale.

 

Tale è la descrizione sintetica e magnifica, che noi non potremmo fare con parole più precise, di quello che avviene e determina realmente in quella regione la situazione attuale. Almeno i fascisti e codesti giornali reazionari e clericali hanno il coraggio di dirlo, mentre i manutengoli di quello stesso fascismo, tutti i giornali e partiti democratici che oggi si sono nascosti, per ripararsi dietro il fascismo, tacciono vigliaccamente e vigliaccamente adducono come scusanti le provocazioni socialiste!

 

Ma allora che vale raccontare i singoli episodi di chi sia stato il primo a provocare, se il tale che non si levò il cappello o il tal altro che lanciò un’invettiva, quando c’è un’organizzazione premeditata di queste violenze, di questa giustizia privata, di questa rappresaglia? I funerali di Modena si svolgono tragicamente; ma già parecchie ore prima che avessero luogo gli incidenti, il prefetto di Modena era stato avvertito, e una staffetta partita da Bologna per Modena aveva annunziato che nella serata sarebbe avvenuto l’incendio della Camera del lavoro di Modena e della casa del collega Donati!




Certo è dunque che nelle violenze fasciste non è da vedersi una pura e semplice ritorsione o risposta a singole e occasionali violenze proletarie.

 

Contro le violenze proletarie la classe borghese possiede una quantità di strumenti che sono stati spesso usati, e che sono ancora in uso; possiede leggi, carabinieri, carceri, manette, e, quando è stato il caso, li ha adoperati!

 

Sono stati distribuiti anni di galera ai nostri, ai proletari, in molti casi, per violenze usate, e quando sulle piazze d’Italia la forza armata ha steso per terra dei proletari, nessuno di quella parte ha protestato.

 

La sensibilità capitalista si è svegliata solamente quando, nell’ultimo tempo, anche sangue borghese è stato sparso.




La verità è che la violenza e l’illegalità in cui si pone quella organizzazione armata corrisponde, in questo momento, ad un supposto interesse della classe capitalistica. Il problema è tutto qui, onorevoli colleghi!

 

Noi non protestiamo, ve l’ho detto fin da principio, non ci lagniamo, non lanciamo né invettive né offese a coloro che coraggiosamente adempiono la missione fascista. Ma domandiamo: quale partito, quale frazione assume qui dentro la responsabilità di questa organizzazione armata extra-legale, nel territorio dello Stato italiano? (Interruzioni)

 

Sento che un interruttore ricorre a giustificazioni storiche; senza però osare di assumerne la responsabilità, e perciò le sue dichiarazioni sono meno coraggiose e meno simpatiche degli atti del fascismo.




Neppure la mozione dell’onorevole Sarrocchi (che pur ha avuto spesso un simpatico coraggio reazionario alla Camera), arriva ad assumersi la paternità e la responsabilità della organizzazione fascista.

 

Questa mozione si limita a filosofare in materia, e dice... ‘Dall’altro lato questa situazione determinò l’istintivo bisogno di difesa e di reazione ecc..

 

Si parla cioè di istinto, di bisogni istintivi, ma non si ha il coraggio di assumerne la responsabilità politica, proprio nello stesso momento in cui nei vostri giornali, nelle riunioni private, nelle vostre conventicole, fate l’apologia del fascismo, e deliberate di sussidiarlo, di garantirlo, di continuarne la vita. Non è coraggio civile codesto vostro, o colleghi.

 

Ora questo è appunto il centro della discussione.




Vi rivolgete al partito socialista, e dite: ‘Voi socialisti dovete assumere la responsabilità di tutte le violenze che i proletari, socialisti o non socialisti, proletari comunque, lavoratori, hanno esercitato o esercitano in qualsiasi momento sulle piazze e sulle vie d’Italia’.

 

Voi domandate a noi, partito, di assumere la responsabilità anche di atti che non sono nostri, per il semplice fatto che sono provenienti da lavoratori, e che sono addebitati a socialisti.

 

E noi, che siamo un partito di massa, e di organizzazione, neppure rinneghiamo alcuno degli errori della massa. Siamo anzi pronti a riconoscere che qualche volta possa essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo stato borghese, e a sostituire lo stato socialista, possa avere indotto alcuni nell’errore di azioni episodiche di violenza; ma altrettanto prontamente rivendichiamo al nostro partito il diritto di essere direttamente responsabile solo per ciò che esso vuole, e ordina alle sue organizzazioni.




Nessun ordine da parte nostra è partito di esercitare atti episodici di violenza, perché noi tutti sappiamo che questi (e ciò è stato ripetuto infinite volte nelle nostre assise di partito, e nei nostri manifesti) non servono alla causa del socialismo, ma la danneggiano, come pure la causa del socialismo rivoluzionario, che vuole instaurare la immediata conquista del potere da parte del proletariato.

 

Non solo, ma anche tutti i nostri giornali, e i manifesti delle nostre sezioni, Giunte, amministrazioni comunali, e Camere del lavoro, pubblicati ovunque si sono verificati questi casi, suonano quasi tutti allo stesso modo: ‘bisogna ritornare alla vita civile; la lotta del Diritto deve riprendersi sul terreno civile; gli episodi di violenza sono condannevoli perché non servono alla causa dello stesso’.

 

(G. Matteotti)