Precedenti capitoli del lungo...:
Viaggio della nostra Anima (3)
Il Viaggio prosegue...:
…L’Anima
vedendo dall’alto questo giro, trovò il tempo di posarsi su un olmo della
pianura della Tessaglia ai piedi del quale un giovane pastore suonava il flauto
per incantare i serpenti; nel frattempo, rimesso il treno sulla strada giusta,
il capostazione trasse un sospiro di sollievo e telefonò secondo gli ordini
aggiungendo un ronzio in più ai fili che passavano al di sopra del Plinios,
fiume dolce, fiume verde e indifferente al resto della pianura che vive la
stessa vita di schiavitù da quando è stata liberata; solo il Fiume, diceva
l’Anima a se stessa, sogno dei sedentari di questa pianura, solo Lui porta al
mare i loro sogni per lasciarli liberi, solo il Fiume, Anima di un paese
piatto, fiancheggiato sa salici piangenti e platani centenari che nuotano nelle
sue acque, conosce prima di gettarsi in mare, i turbamenti e i fremiti
dell’adolescenza proprio come lei, l’Anima, prima dissolversi in una nuvola,
riesce a vedere oltre il suo corpo morto, a contemplare lo spettacolo di un
mondo che perderà ben preso…
Discese, passò oltre la valle di Tempe, la strada nazionale e la raffineria di zucchero con i suoi camion carichi di barbabiotele allineato davanti all’ingresso, e arrivò alla stazione di Larissa che il treno attraversò come una freccia…
Il corpo
chiuso nel vagone non vede e scorge nulla…
Il corpo è
senza Memoria…
La Memoria
lo ha lasciato quel mercoledì sera alla dieci meno due…
Dal punto di vista clinico Z era morto; da quel momento nessun organo, nessun senso aveva più funzionato. Il corpo, il suo magnifico corpo di atleta, viveva inerte come quelle ruote di macchine rovesciate che non sono più collegate a niente e girano da sole nel vuoto.
Così era per il suo corpo il cui profondo rantolare accompagnava l’angoscia dei medici come un basso continuo. Questi erano numerosi, alcuni erano venuti dall’estero: dall’Ungheria, dalla Germania, dal Belgio; non potevano far niente. Si stupivano soltanto vedendo l’organismo ancora in vita mentre tutti i centri erano colpiti, l’organismo rifiutava di ammettere la propria morte; era troppo presto per morire, il suo corpo senza testa conservava una sua propria esistenza.
Ora ha
accettato la sua morte!
Placato è
in cammino verso la tomba.
L’Anima era afflitta, non per aver dovuto lasciare il corpo e assistere all’autopsia, per quanto non sia certo piacevole gettar via un vestito fuori uso e vederlo fare a pezzi davanti ai propri occhi. Eppure l’aveva sopportato, ma era afflitta perché un medico legale ‘fin dal primo momento, molto prima dell’autopsia e anche dopo quando ne furono conosciuti i risultati, diffuse la tesi della caduta sul selciato, escludendo in tal modo che la frattura fosse stata provocata da un colpo che aveva raggiunto Z. alla testa mentre era in piedi. L’urto violento che si era prodotto quando la testa aveva battuto sulla superficie dura della strada era stata dunque, la sola causa della frattura del cranio’.
Il treno
correva come un diavolo, attraversava pianure e montagne come se stesse
chiudendo una cerniera lampo su questo grosso caso, ma era una cerniera lampo
rotta che si riapriva dietro man mano che davanti si chiudeva, perché nessun
caso poteva venir chiuso così da un treno drogato che bruciava tutte le tappe.
Il caso rimaneva spalancato come le porte delle abitazioni in piena estate. Il treno fischiava e correva spaventato dalla sua colpevolezza; i parenti temevano il peggio, la moglie guardava dal finestrino senza vedere niente. Il suo Spirito era nel vagone vicino dove suo marito era solo, chiuso come in una prigione, senza acqua, senza luce, senza nutrimento, mentre i poliziotti, quelli si rimpinzavano…
Si alzò, da
una parte c’era suo marito morto, dall’atra dormivano quelli che l’avevano
ammazzato!
Non si poteva muovere, non poteva andare da nessuna parte, il treno diventò una prigione su ruote; non ne poteva più. Soffocava. Il segnale d’allarme? Non poteva rimanere con quest’ultima visione: Lui, sotto la tenda a ossigeno che respirava a fatica col polso sempre più debole e intorno i medici che non credevano più ai miracoli.
Le montagne
lasciavano il posto alle montagne.
I campi ai
campi.
Lei non
vedeva nulla!
Lassù fra
le montagne, i poliziotti scesero dal vagone per montare la guardia intorno al
convoglio, là sulle montagne, su quelle alte montagne, l’Anima posata su un
palo aspettava che i partigiani della libertà venissero ad impadronirsi del
corpo.
Ad una
stazione, quando il treno fu ridisceso in pianura, da qualche parte, la diesel
fu sostituita da una locomotiva a vapore…
E ora l’Anima Falena, l’Anima Saturnia, l’Anima Nottua, l’Anima Esperia, si riempiva di fumo; i suoi bei colori dell’iride cominciarono ad annerirsi, le sue ali si appesantirono. Improvvisamente aveva bisogno di protezione. Aveva voglia di rientrare in una pelle dove niente avrebbe potuto toccare.
Stava
cadendo la notte e l’Anima aveva avuto paura dell’oscurità, le ultime tre notti
passate allo scoperto, l’avevano spossata, ma il corpo non sentiva nessuno dei
suoi richiami e questo faceva disperare. Le batterie del corpo, le sue antenne,
non funzionava più niente…
Una
macchina da scrivere sfasciata, buttata sul mercato delle robe vecchie…
Una
macchina sorda!
Muta!
Inferma!
Mutilata!
Un po’ così si sentiva l’Anima quando l’ardore del sole cominciò ad indebolirsi.
Una vecchia
abbassò la catena del passaggio a livello.
Un trattore
attraversò la strada, ora i radi villaggi con le luci brillavano ai piedi delle
montagne, la notte era venuta ormai; le stazioni si proiettavano nell’oscurità
come diapositive su un muro anonimo. Il treno non si fermava in nessun luogo,
correva e fischiava come un demonio. Un treno che fischia nella notte, un
treno, il treno, il vagone Z, un
treno, il treno e il corpo muto, porta che si è rinchiusa sulla notte, e il
corpo come un Albero colpito dalla folgore, e il corpo privato della carezza
che lo resuscitavano in una bara di noce, una buona bara, ma che deserto là
dentro senza la sua anima!
L’Anima sospira sorvolando Tatoi, i boschi del palazzo reale ben cintati perché i fagiani non possano fuggire.
Queste mani
non toccheranno mai più una carne umana!
Queste mani
ritorneranno allo stato di acqua.
Diverranno
il terriccio che nutre i fiori.
Queste mani
che reggevano mani di altri e che guarivano la sofferenza umana senza chiedere
niente in cambio.
Questo viso
non si tufferà più nel mare!
Queste
labbra non baceranno più!
Corpo chiuso, lettera respinta al mittente con l’indicazione ‘partito senza lasciare indirizzo’, partito per la madre terra.
Corpo col
sangue gelato nelle vene, col sangue che non circola più!
Fotografia
‘congelata’ sullo schermo nell’ora in cui le strade e i negozi sono più
animati, in questo istante preciso tutto si compie.
Maggio è un
mese crudele.
La terra
riassorbe i suoi frutti, la prima e la seconda fioritura sono già finite, ora,
pesante come le spighe di grano, ogni cosa ritorna al suo principio.
Ora
scomparirà anche la Memoria.
Potrà
rivivere in altri, nutrita da altro sangue. La sua, quella della sua Anima e
del suo corpo diminuirà, si spegnerà. Eppure no! No! Non è possibile che tutto
finisca, dove cade un eroe, si alza un popolo. È impossibile che io muoia.
Quando?
Come?
Non lo so!
Te ne
ricorderai sempre perché ti ho molto amato.
Ti
ricorderai di me, tu che il mare colmava di gioia, che il sole sfiniva, tu che
volevi fare l’amore anche a costo di fare a meno di me, tu, mio corpo, ti
ricorderai di me. Ora che sarai disteso nel seno della terra, ricorderai che ti
ho amato e che per questo non morirai mai. Amore mio, se potessi prenderti per
mano in questo momento, mi parleresti, mi guarderesti. Sono stanza. Come? Perché
tutto è finito in questa maniera? Senza che abbia potuto godere di te nel
declino. Senza aver imparato a perderti un po’ per volta. Mi hai lasciato così
improvvisamente che sono rimasta con un vuoto quadrato fra le tue braccia tutto
angoli aguzzi tra cui soffia il vento. Senza di te, sono una cisterna vuota.
(V.V. Z
L’orgia del potere)