giuliano

giovedì 27 agosto 2020

IL LUNGO VIAGGIO DELLA NOSTRA ANIMA (4)

 






















Precedenti capitoli del lungo...:


Viaggio della nostra Anima (3)


Il Viaggio prosegue...:


Qualche mede dopo (5)








…L’Anima vedendo dall’alto questo giro, trovò il tempo di posarsi su un olmo della pianura della Tessaglia ai piedi del quale un giovane pastore suonava il flauto per incantare i serpenti; nel frattempo, rimesso il treno sulla strada giusta, il capostazione trasse un sospiro di sollievo e telefonò secondo gli ordini aggiungendo un ronzio in più ai fili che passavano al di sopra del Plinios, fiume dolce, fiume verde e indifferente al resto della pianura che vive la stessa vita di schiavitù da quando è stata liberata; solo il Fiume, diceva l’Anima a se stessa, sogno dei sedentari di questa pianura, solo Lui porta al mare i loro sogni per lasciarli liberi, solo il Fiume, Anima di un paese piatto, fiancheggiato sa salici piangenti e platani centenari che nuotano nelle sue acque, conosce prima di gettarsi in mare, i turbamenti e i fremiti dell’adolescenza proprio come lei, l’Anima, prima dissolversi in una nuvola, riesce a vedere oltre il suo corpo morto, a contemplare lo spettacolo di un mondo che perderà ben preso…




Discese, passò oltre la valle di Tempe, la strada nazionale e la raffineria di zucchero con i suoi camion carichi di barbabiotele allineato davanti all’ingresso, e arrivò alla stazione di Larissa che il treno attraversò come una freccia…

 

Il corpo chiuso nel vagone non vede e scorge nulla…

 

Il corpo è senza Memoria…

 

La Memoria lo ha lasciato quel mercoledì sera alla dieci meno due…




Dal punto di vista clinico Z era morto; da quel momento nessun organo, nessun senso aveva più funzionato. Il corpo, il suo magnifico corpo di atleta, viveva inerte come quelle ruote di macchine rovesciate che non sono più collegate a niente e girano da sole nel vuoto.




Così era per il suo corpo il cui profondo rantolare accompagnava l’angoscia dei medici come un basso continuo. Questi erano numerosi, alcuni erano venuti dall’estero: dall’Ungheria, dalla Germania, dal Belgio; non potevano far niente. Si stupivano soltanto vedendo l’organismo ancora in vita mentre tutti i centri erano colpiti, l’organismo rifiutava di ammettere la propria morte; era troppo presto per morire, il suo corpo senza testa conservava una sua propria esistenza.

 

Ora ha accettato la sua morte!

 

Placato è in cammino verso la tomba.




L’Anima era afflitta, non per aver dovuto lasciare il corpo e assistere all’autopsia, per quanto non sia certo piacevole gettar via un vestito fuori uso e vederlo fare a pezzi davanti ai propri occhi. Eppure l’aveva sopportato, ma era afflitta perché un medico legale ‘fin dal primo momento, molto prima dell’autopsia e anche dopo quando ne furono conosciuti i risultati, diffuse la tesi della caduta sul selciato, escludendo in tal modo che la frattura fosse stata provocata da un colpo che aveva raggiunto Z. alla testa mentre era in piedi. L’urto violento che si era prodotto quando la testa aveva battuto sulla superficie dura della strada era stata dunque, la sola causa della frattura del cranio’.




 …Mestiere sinistro quello del medico legale, ma la politica non ha posto nella morte, il sangue freddo è una cosa, pensava l’Anima, ma è ben diverso fare della bassa politica su un cadavere, lasciamo la bassa politica ai vivi, e riserviamo l’alta politica ai morti…

 

Il treno correva come un diavolo, attraversava pianure e montagne come se stesse chiudendo una cerniera lampo su questo grosso caso, ma era una cerniera lampo rotta che si riapriva dietro man mano che davanti si chiudeva, perché nessun caso poteva venir chiuso così da un treno drogato che bruciava tutte le tappe.




Il caso rimaneva spalancato come le porte delle abitazioni in piena estate. Il treno fischiava e correva spaventato dalla sua colpevolezza; i parenti temevano il peggio, la moglie guardava dal finestrino senza vedere niente. Il suo Spirito era nel vagone vicino dove suo marito era solo, chiuso come in una prigione, senza acqua, senza luce, senza nutrimento, mentre i poliziotti, quelli si rimpinzavano…

 

Si alzò, da una parte c’era suo marito morto, dall’atra dormivano quelli che l’avevano ammazzato!

 



Non si poteva muovere, non poteva andare da nessuna parte, il treno diventò una prigione su ruote; non ne poteva più. Soffocava. Il segnale d’allarme? Non poteva rimanere con quest’ultima visione: Lui, sotto la tenda a ossigeno che respirava a fatica col polso sempre più debole e intorno i medici che non credevano più ai miracoli.

 

Le montagne lasciavano il posto alle montagne.

 

I campi ai campi.

 

Lei non vedeva nulla!




 Un po’ più in alto, dove l’aria aveva una densità diversa, il treno si fermò per lasciare via libera all’automotrice locale, certo non avevano avuto il tempo di annullare la corsa.

 

Lassù fra le montagne, i poliziotti scesero dal vagone per montare la guardia intorno al convoglio, là sulle montagne, su quelle alte montagne, l’Anima posata su un palo aspettava che i partigiani della libertà venissero ad impadronirsi del corpo.

 

Ad una stazione, quando il treno fu ridisceso in pianura, da qualche parte, la diesel fu sostituita da una locomotiva a vapore…




E ora l’Anima Falena, l’Anima Saturnia, l’Anima Nottua, l’Anima Esperia, si riempiva di fumo; i suoi bei colori dell’iride cominciarono ad annerirsi, le sue ali si appesantirono. Improvvisamente aveva bisogno di protezione. Aveva voglia di rientrare in una pelle dove niente avrebbe potuto toccare.

 

Stava cadendo la notte e l’Anima aveva avuto paura dell’oscurità, le ultime tre notti passate allo scoperto, l’avevano spossata, ma il corpo non sentiva nessuno dei suoi richiami e questo faceva disperare. Le batterie del corpo, le sue antenne, non funzionava più niente…

 

Una macchina da scrivere sfasciata, buttata sul mercato delle robe vecchie…

 

Una macchina sorda!

 

Muta!

 

Inferma!

 

Mutilata!




Un po’ così si sentiva l’Anima quando l’ardore del sole cominciò ad indebolirsi.

 

Una vecchia abbassò la catena del passaggio a livello.

 

Un trattore attraversò la strada, ora i radi villaggi con le luci brillavano ai piedi delle montagne, la notte era venuta ormai; le stazioni si proiettavano nell’oscurità come diapositive su un muro anonimo. Il treno non si fermava in nessun luogo, correva e fischiava come un demonio. Un treno che fischia nella notte, un treno, il treno, il vagone Z, un treno, il treno e il corpo muto, porta che si è rinchiusa sulla notte, e il corpo come un Albero colpito dalla folgore, e il corpo privato della carezza che lo resuscitavano in una bara di noce, una buona bara, ma che deserto là dentro senza la sua anima!




L’Anima sospira sorvolando Tatoi, i boschi del palazzo reale ben cintati perché i fagiani non possano fuggire.

 

Queste mani non toccheranno mai più una carne umana!

 

Queste mani ritorneranno allo stato di acqua.

 

Diverranno il terriccio che nutre i fiori.

 

Queste mani che reggevano mani di altri e che guarivano la sofferenza umana senza chiedere niente in cambio.

 

Questo viso non si tufferà più nel mare!

 

Queste labbra non baceranno più!




Corpo chiuso, lettera respinta al mittente con l’indicazione ‘partito senza lasciare indirizzo’, partito per la madre terra.

 

Corpo col sangue gelato nelle vene, col sangue che non circola più!

 

Fotografia ‘congelata’ sullo schermo nell’ora in cui le strade e i negozi sono più animati, in questo istante preciso tutto si compie.

 

Maggio è un mese crudele.

 

La terra riassorbe i suoi frutti, la prima e la seconda fioritura sono già finite, ora, pesante come le spighe di grano, ogni cosa ritorna al suo principio.




 Tutto è finito.

 

Ora scomparirà anche la Memoria.

 

Potrà rivivere in altri, nutrita da altro sangue. La sua, quella della sua Anima e del suo corpo diminuirà, si spegnerà. Eppure no! No! Non è possibile che tutto finisca, dove cade un eroe, si alza un popolo. È impossibile che io muoia.

 

Quando?

 

Come?

 

Non lo so!




 Anche tu ti ricorderai di me, corpo tenero e amato.

 

Te ne ricorderai sempre perché ti ho molto amato.

 

Ti ricorderai di me, tu che il mare colmava di gioia, che il sole sfiniva, tu che volevi fare l’amore anche a costo di fare a meno di me, tu, mio corpo, ti ricorderai di me. Ora che sarai disteso nel seno della terra, ricorderai che ti ho amato e che per questo non morirai mai. Amore mio, se potessi prenderti per mano in questo momento, mi parleresti, mi guarderesti. Sono stanza. Come? Perché tutto è finito in questa maniera? Senza che abbia potuto godere di te nel declino. Senza aver imparato a perderti un po’ per volta. Mi hai lasciato così improvvisamente che sono rimasta con un vuoto quadrato fra le tue braccia tutto angoli aguzzi tra cui soffia il vento. Senza di te, sono una cisterna vuota.

 

(V.V. Z L’orgia del potere)

 

 




 



martedì 25 agosto 2020

L'INGANNO (2)

 










Precedente capitolo dell':

Inganno  (anche in formato ftblog; ringrazio il produttore... )

Prosegue nel...:

Lungo Viaggio della nostra Anima (3) 








Natura e Bestia privi di Memoria e Coscienza, tradotti da accreditata e superiore dotta teologica scienza e compito di subordinare quanto Creato e all’uomo destinato.

 

Solo con il dono dell’Anima-Mundi di cui fornito, ogni essere inferiore rispetto alla elevata (e derivata) Natura dell’uomo, si contraddistingue non solo nel proprio istinto di conservazione entro la propria specie, ma cerca al meglio di migliorarla come il preservarla, sia dai nemici entro la stessa Natura, sia da ciò che l’ha subordinato ad un ruolo d’inferiore Destino, conteso nell’Errore interpretativo circa Natura e Dio.    

 

Da tutto ciò che deriva?

 

…Secoli di Storia e Cultura ove i canoni interpretativi all’opposto di come pregare e meditare Saggezza Coscienza Legge e Dio entro l’immacolata Natura da cui detto uomo deriva, posti ed inversamente sproporzionati e spropositati rispetto all’improprio veleno non ancor del tutto ben digerito…

 

Mi debbono scusare loro Signori se ogni tanto nasce una breve non voluta Rima!



 

Il Tomo frammentato alla scomposta suddetta inquisita Rima fu posto all’indice come al rogo (talvolta ancor prima d’esser nato e pensato da Dio come lo specchio dell’Intelletto di cui l’uomo derivato dispensare Logica e Verità circa il vero Disegno), giacché come già detto, il progressivo Tempo numerato immune da qual si voglia Anima e Spirito conservati nei Geni della Memoria ed abdicati alla più vile ed ingannevole materia… Natura e Bestia privi di Memoria e Coscienza, tradotti da accreditata e superiore dotta teologica scienza e compito di subordinare quanto Creato e all’uomo destinato.

 

Tal breve premessa dedicata al ‘trovatore’ del nuovo secolo digitalizzato, giacché non riesco a descrivere o solo dipingere per intero l’orrore evolutivo dell’odierno tempo attentato, accompagnato alla volgarità in cui si contraddistingue l’uomo sociale nato; ogni tanto qualche tuono d’invisibile veleno scompone e frammenta la patria lingua dal più nobile latino derivata (non men del greco), ‘umanamente ed unanimemente’ retrocessa all’involuta volgarità di cui le quotidiane vittime sacrificate al mito del nuovo progresso, contate numerate e ben vigilate per il bene del Tempio non men dell’altare…

 

(La Grecia del Nord pretende rispetto!)




Formare sana duratura pecunia da cui ogni cultura evolve e prospera nella dotta ignoranza ben pascolata!

 

Mezzo uomo e mezzo lupo ululo silente bestemmia!

 

Dell’Antica Selva in cui mi persi preclusa ogni Via, stanno edificando il Tempio della nuova insana volgare dottrina tradotta in morale di Vita!

 

Quindi da Eretico braccato ed irrimediabilmente perso nella perenne Selva di codesto peccato mi vergogno della specie ed istinto del popolo da cui derivato…

 

(La Grecia del Nord chiede immediata secessione!)




 L’eterna pecunia da cui il più famoso e adorato Santo!

 

Il quotidiano veleno ingerito ogni Alba sino al tramonto mi danno coraggio nell’urlo frammentato in codesto agonizzante delirio inquisito…

 

Per il resto della notte penso al Lupo che ero e divenuto: un sonno profondo come la morte mi avvelena all’Alba d’uno triste martirio in nome e per conto d’uno strano Dio…

 

…E mai riuscirò nel quotidiano inganno in cui ognun temprato ed immolato, appena ad accennare, mai sia detto orrore o paura fugace pari all’animale impropriamente braccato (il miglior fidato amico), non in ciò che contraddistingue la pur limitata sua quanto mia ugual Natura, semmai l’irremovibile ottuso istinto privo di qual si voglia Intelligenza di cui la via Maestra irrimediabilmente persa popolare ed ingannare ogni velata Conoscenza…

 

Beatrice mia diletta t’amo per ogni Ramo e Foglia di questa Selva!




E quando il robusto ramo accompagnato dal Fiume del comune destino precipitano ed affogano nell’oscura infernale leggenda non provo compassione, rimembro la poesia del Lupo che ero e sono!   

 

Da ciò il ‘trovator trovato’ e sopravvissuto quivi dipinto ed annusato, seppur dotato di facoltà e superiore Intelletto accompagnato da sua sorella Intelligenza, in luogo di medesima contesa nonché più antica giostra in ciò cui privo (così ciarlano e dicono) e da cui il raro dono nel voler arrecare odierna caccia in nome e per conto della civiltà detta e così protetta da se medesima.

 

Dacché ne deriva ciò che al meglio (fors’anche al peggio) compone facoltà immaginativa ed inferiore intelletto: comune destino del superiore ordine dell’intero formicaio unito da pandemico trinitario destino unanimemente condiviso (la pornosfera compie l’eterna orgia), nato e distribuito nel futuro alveare coltivato, ogni prelibato nettare da cui il cibo degli dèi negli odierni miti or di nuovo cantati, nella cecità che contraddistingue il Poeta dall’uomo dotato di medesimo senso e vista, nel panorama da cui l’eterna contesa della Storia…

 



Applicati alla costante dell’equazione sopradetta, cioè inversamente sproporzionati nel dono di ugual medesimo senso e attributo di Natura: il cieco possiede ancora il raro dono da cui lo sguardo della Storia, chi riesce scorgere ogni più piccola formica o ape che attenta alla propria vita, al contrario, più cieco di pria…

 

Non era questione di essere d’accordo o no. Era solo questione di vedere. Vedere che il mondo si piega sotto il peso della minaccia disquisita come un buon comizio, viaggia a corte media di globale indebita frequenza. Che i militaristi come i loro compari trafficanti di armi e morte sono sempre gli imbecilli e deboli di mente idolatrati dal popolo intero, che i monopoli sono obbligati a difendere i monopoli nell’interesse dei monopoli.

 

…I morti non hanno parlato mai, per questo sono oppressi da una pesante accusa. Gli esuli d’ogni regime se ci provano presto gli fanno compagnia, sono batteri della stessa Terra. Entrambi perderanno l’uso della Parola come del Libero arbitrio nella umile capacità di saperla ancora correttamente articolare. Siamo noi che dobbiamo parlare a loro nome se ancora lo possiamo ancora; dobbiamo perorare la loro causa di assenti!

 

Conosce la paura solo chi non ha limiti al proprio errare, e se anche in questo perenne errare viene inquisito dall’inganno la sua Parola avrà più valore ancora. Conterrà Verità certa!



 

Conosce la paura chi non approda né su una riva né su una cima né spiaggia su cui distendersi, donne e creature da carezzare, Natura da amare!

 

Conosce la paura solo il meschino colui che si arma d’intimidazione ed offre la propria paura all’altro come antidoto alla velata demenza spacciata per verità di stato.

 

Questo meschino che con la propria testa non arriva alle foglie degli alberi, e se altri ci arrivano l’odio lo pone perenne artefice del rogo della Memoria vilipesa. Questo meschino che non comprende la moltitudine degli astri da cui ogni esule e profeta proviene, che si è abituato alla legge dell’oscura gravità, legge intimamente legata al nostro pianeta, alla nostra Terra come l’uovo alla gallina. Su altre rive, retti da altre leggi, bisognerebbe imparare nuovamente a vivere, l’annunciatrice però mi informa che hanno appena smesso di braccare Dio, ora guardano al cielo degli UFO, una scusa in più per approdare a quei remoti pianeti sperati o solo sognati…

 

(V.V. Z L’orgia del potere)




 Ora signori miei, quando un povero umile ‘animale’ braccato dalla stessa lunga tormentata Storia, o dai suoi simili, o dal più evoluto coscienzioso uomo, che lo vuole addomesticare allevare, oppure farne cibo ed agnello del proprio Impero divenuto Tempio; riconosciamo dei Tempi in cui la ‘scena’ protratta nei Secoli, compie il proprio ‘istinto’, o al contrario, ‘delirante-delirio’.

 

L’animale o la specie che sopravvive a tale contesa (seppur mi dicono mutilato talvolta del vero ingegno), avrà la capacità, oltre di sopravvivere, anche migliorare la specie cui appartiene. In codesto ‘meccanismo’ lungi dall’esser perfetto, la Natura ha pur creato e crea ancora mirabili Opere di vero superiore Ingegno, quantunque prive di qual si voglia Intelligenza di cui l’Uomo colmo…



 

 L’uomo di cui non trovo sufficienti colori note e parole per codesta breve introduzione o antidoto del quotidiano veleno ingerito, al contrario, dicevo, possiede il raro dono del vile inganno.

 

Possiede il raro dono del raggiro protratto nei Secoli di Storia, da quando e cioè nato!

 

L’umile pianta cresce dalle proprie radici sino al più alto ramo della verde chioma per donare ad ogni specie alla sua ombra il frutto della facoltà terrena donde la Vita.

 

Fu la più antica forma vegetativa priva di intelligenza con cui riconoscere ciò che pensiamo e preghiamo ed in cui circoscrivere l’esistenza, sia di chi privo di Coscienza ed Intelligenza, sia da chi ogni superiore facoltà alla sua ombra nata condividerne ugual respiro per ogni elemento condiviso assaporarne il frutto proibito.

 

L’uomo nel proprio giardino ne ha fatto un mito, sovvertendo il raro dono con cui poter leggere il Verbo di Dio.

 

Il frutto proibito della conoscenza fu privato alla natura dell’uomo e con lui per Secoli la Verità di cui la Storia nutre ogni falsa pecunia pascolata nonché ben seminata in ugual giardino: la capacità di comprendere e leggere il raro dono di cui Dio.

 





 

 



lunedì 3 agosto 2020

LA BATTAGLIA DEGLI ALBERI (12)




















Precedenti capitoli:

Lettera all'amico antiquario (11/1)

Prosegue con...:

Il Capitolo completo (13)

&d allora guerra sia! (14)














Io sono un cervo: dalle corna a sette palchi,
io sono una piena: attraverso una pianura,
io sono un vento: su un lago profondo,

io sono una lacrima: che il Sole lascia cadere,
io sono un falco: alto sulla scogliera,
io sono una spina: sotto l’unghia,

io sono una meraviglia: tra i fiori,
io sono uno stregone: chi oltre a me
infiamma la fredda testa con il fumo?

Io sono una lancia: che ruggisce in cerca di sangue,
io sono un salmone: in una pozza,
io sono un’esca: del paradiso,

io sono una collina: dove camminano i poeti,
io sono un cinghiale: crudele e rosso,
io sono un frangente: che minaccia rovina,

io sono una marea: che trascina alla morte,
io sono un infante: chi oltre a me
guarda furtivamente dall’arco del dolmen non sbozzato?

Io sono il grembo: di ogni bosco,
io sono la vampa: su ogni collina,
io sono la regina: di ogni alveare,

io sono lo scudo: per ogni testa,
io sono la tomba: di ogni speranza.





Qual è oggi l’utilità o la funzione della poesia?

La domanda si rivela non meno urgente per il fatto di essere posta in tono provocatorio da tanti babbei o soddisfatta con risposte apologetiche da tanti sciocchi.

La funzione della poesia è l’invocazione religiosa della Musa; la sua utilità è la sperimentazione di quel misto di esaltazione e di orrore che la sua presenza eccita.

Ma oggi?

La funzione e l’utilità rimangono le stesse: solo l’applicazione è mutata.

Un tempo la poesia serviva per ricordare all’uomo che doveva mantenersi in armonia con la famiglia delle creature viventi tra le quali era nato, mediante l’obbedienza ai desideri della padrona di casa; oggi ci ricorda che l’uomo ha ignorato l’avvertimento e ha messo sottosopra la casa con i suoi capricciosi esperimenti filosofici, scientifici e industriali, attirando la rovina su se stesso e sulla sua famiglia.

L’oggi è una civiltà in cui gli emblemi primi della poesia sono disonorati; in cui il serpente, il leone e l’aquila appartengono al tendone del circo; il bue, il salmone e il cinghiale all’industria dei cibi in scatola; il cavallo da corsa e il levriero al botteghino delle scommesse; e il bosco sacro alla segheria.




Una civiltà in cui la Luna è disprezzata come un satellite senza vita e la donna è ‘personale statale ausiliario’.

In cui il denaro può comprare ogni cosa eccetto la verità, e chiunque eccetto il poeta posseduto dalla verità.

Datemi pure della volpe che ha perso la coda; io non sono servo di nessuno e ho scelto di vivere nella frazione di un paesino sui monti di Maiorca, cattolico ma antiecclesiastico, dove la vita è ancora regolata dall’antico ciclo agricolo. Privo come sono della coda, ossia del contatto con la civiltà urbana, tutto ciò che scrivo deve suonare assurdo e irrilevante a quelli tra voi che sono ancora legati agli ingranaggi della macchina industriale, sia direttamente come operai, dirigenti, commercianti o pubblicitari, sia indirettamente come funzionari, editori, giornalisti, insegnanti o dipendenti di una rete radiofonica.




Se siete poeti, comprenderete che l’accettazione della mia tesi storica vi obbliga a una confessione di tradimento che sarete restii a fare. Avete scelto il vostro lavoro perché vi prometteva un’entrata costante e il tempo libero necessario per rendere un prezioso culto a metà tempo alla Dea che adorate.

Vi domanderete a che titolo io vi avverta che essa vuole essere servita a tempo pieno o non essere servita affatto.

Vi suggerisco forse di lasciare il vostro impiego e, in mancanza dei capitali necessari per avviare una piccola azienda agricola, di diventare pastori romantici (come fece Don Chisciotte una volta constatata la propria incapacità di affrontare il mondo moderno) in remote fattorie non meccanizzate?


No, la mia condizione di scodato mi toglie ogni diritto di offrire suggerimenti pratici. Ardisco solo tentare un’esposizione storica del problema; come poi voi ve la vedrete con la Dea è cosa che non mi riguarda. Non so neppure se la vostra professione poetica sia cosa seria.

(Prosegue con il Capitolo completo)













sabato 1 agosto 2020

PIETRO PAOLO (10)




















Precedenti capitoli circa il...:

Male del nostro secolo (9/1)

Prosegue con una Lettera...:

All'amico Antiquario (11)












Quando Maria Rubens fece ritorno ad Anversa nel 1587, trovò la popolazione dimezzata: la città che un tempo contava centomila abitanti era ridotta a cinquantamila anime, come se la peste si fosse insinuata tra le sue facciate di mattoni e i suoi frontoni.

Gli alberi delle navi ancorate alle banchine non disegnavano più fitte ragnatele di ombre, la polvere copriva telai stamperie in disuso, nelle taverne si trovava posto a sedere.

Ma i Santi – per non parlare di apostoli e discepoli, dottori e padri della vera Chiesa, martiri, patriarchi, eremiti e mistici – erano ritornati in schiere compatte a prendere possesso delle navate delle cappelle, altari e cori; mortificati dalla stampa, glorificati nella pittura…




…Appena cominciò a spuntare il giorno, il venerabile vegliardo Antonio, sorreggendo con il bastone le membra malferme, iniziò ad incamminarsi, senza sapere nemmeno dove. E già il sole cocente ardeva dall’alto, a mezzogiorno; ciò nonostante, egli non si lasciava distogliere dal Viaggio intrapreso, dicendo fra sé:

‘Credo nel mio Dio, il quale, come mi ha promesso, indicherà il suo servo’.

Non aveva ancora finito di pensarlo, che vide l’uomo misto ad un cavallo, cui i poeti diedero l’appellativo di ippocentauro (un tempo denominati fauni satiri o ippocentauri, ora evoluti in moderni ibridi ‘ippo-padani-articolati’); appena lo vide, si armò la fronte con l’araldo segno della salvezza facendosi il segno della croce. …

E,  

‘Senti’,

…disse…

Da che parte abita qui, il servo di Dio il cui nome Paolo l’Eremita?’.




Quello, bifolcando un dialetto strano fra i denti con un non so che di barbaro e smozzicando le parole più che articolarle, con orribile pronuncia, cercava di rivolgergli un discorso fra il grazioso ed il decoroso. E con la destra protesa quasi tesa gli indicò l’itinerario desiderato, cercando suggerimenti con la capra con cui accompagnato con un muso tondo e gonfio quasi come un melone, più che il prelibato e più raro melograno.

E così, fuggendo velocemente per i campi pianeggiati, svanì agli occhi dello stupefatto! Se questo sia stato simulato dal diavolo per spaventarlo, o, come accade, il deserto, fertile di animali mostruosi, generi anche una tale bestia, per me rimane incerto.

Dunque, proseguiamo…




Antonio stupefatto, rimuginando fra sé quel che aveva visto, procedeva sempre di più con la ferma intenzione di avversare il diavolo o il male… E senza far nessuna sosta, scorse in una valle sassosa un omuncolo, non molto grande, con narici adunche e con corna aguzze sulla fronte.

La parte inferiore del corpo terminava con piedi caprini a spillo, unghie ben curate e dipinte, e un tatuaggio da gladiatore da Colosseo.

A questo spettacolo, attonito, il buon ippo-gladio-guerriero tatuato e ornato con piedi caprini a punta di spillo, alla vista dell’umile Antonio servo di Dio afferrò l’elmo di Scipio e lo umiliò come solo i diavoli sanno armeggiare ed armare, oppure che dico, ornare ed infangare il lieto Sentiero dell’umile Santo Eremita…




Poi, quasi pentito, il suddetto animale meccanizzato gli offrì in pegno di pace, quale sostentamento per il suo Viaggio, dei frutti di palma, poi dei calvi freschi meloni, infine dei fichi non ancor del tutto maturi…

Quando Antonio ebbe coscienza di tale accortezza, si fermò e, chiedendogli chi mai fosse, ottenne finalmente da questo ippo-gaudio-guerriero risposta in dialetto padano* (*Padania: remota Regione longobarda un tempo governata dai Romani, ora passata di nuovo alla antica autonoma indipendenza dall’Impero, in perenne guerra tra loro come con tutto il resto del mondo, rivendicano remote discendenze con i propri avi scesi dalle lontane steppe della Mongolia Russa, e donde, anche i vicini Germani rivendicano oltre vasti possedimenti, competenza di sangue rubato e non più misto da pandemiche ingerenze, da questi connubi si è formato l’ippo-guerriero-padano… dal Santo a voi qui narrato…):

‘Io sono mortale, uno tra gli abitanti del deserto che i gentili, ingannati da vari errori, venerano come fauni, satiri ed incubi; fungo da ambasciatore del mio gregge; ti preghiamo di supplicare per noi il comune Signore, abbiamo saputo che è già venuta la salvezza del mondo e la sua voce si sparsa su tutta la terra’.




Mentre così parlava, il longevo viandante rigava abbondantemente il volto di lacrime, un poco il freddo un poco la paura di codesta improvvisa santa visione che la grande gioia della conversione effondeva in contrasto alla spessa nebbiosa brezza dionisiaca dismessa ricoprire ogni parola dal fauno che un tempo èra ed ora tradotta non divenire come il Tempo della Ragione persa insegna, rovescio, o ancor peggio, temporale tuono e folgore (il dio Thor non distante).

E con il cuore colmo di amore raccomandava futura e più mesta comunione (da ciò la famosa dottrina del due per uno simbolo d’offerta ad ogni Fontana* dall’ippo-centauro pregata nonché vigilata, entro e non oltre i saldi della dovuta ragione. *Fontana: ex filosofo pagano della nobile più famosa scuola di Matteo, oracolo della chiesa evangelica della libera Fede & Dio associati oltr’alpe).




Gioiva, infatti, della gloria di Cristo e della distruzione di Satana sperando solo nella purezza donde il proprio nobile nome, ed ove ognuno, nessun escluso può, purificare corpo e ragione. Ed al tempo stesso, si meravigliava che potesse comprendere il suo discorso, e, battendo il suolo con il bastone, diceva:

‘Guai a te, Alessandria, che al posto di Dio veneri mostri! Guai a te, città meretrice, dove convennero i demoni di tutto l’orbe! Che cosa dirai adesso? Le bestie parlano di Cristo!’.

Non avendo ancora finito di dire ciò, ed ecco quell’animale fuggire quasi fosse dotato di ali.

Ed affinché cotal avvenimento narrato circa il pio Antonio non abbia a far rinascere dubbi sulla sua autenticità (la quale, il traduttore o copista a voi riproposto, esentata da qual si voglia errore dottrinale) nonché credibilità, esso viene difeso da un fatto avvenuto al tempo dell’imperatore Costanzo, e di cui fu testimone il mondo intero.




Infatti, un simile uomo, portato vivo ad Alessandria, aveva offerto un grande spettacolo al popolo, annunziando anche la futura nascita d’un strano Apostata, con il quale si incontrarono presso Antiochia.

…Si narra inoltre che da questo Giano, bestia ancor più feroce, nacque il Fuoco della vera Ragione, alla cui fumosa vista, non solo il cieco Omero ne cantò l’epica avventura, ma anche la Memoria irrimediabilmente persa avversare l’eterno Golia della limitata materia…

Una descrizione dell’Iliade e dell’Odissea, e potremmo aggiungere anche dei primi o ultimi Eremiti di questa Terra, è la rapida e naturale osservazione e successione dell’uomo quantunque Eroe anche da Santo rivelato ma non certo mascherato; dacché, penserete voi, i veri ippocentauri di nuovo evoluti e ad un remoto èvo ancorato, così come la genetica dell’intera Natura o spirale della Storia, possano ancora dar luogo alla Vita narrata conservata e studiata, e poi, purtroppo o troppo spesso, anche bruciata.




È un raffinamento delle fami primordiali e ha il meno possibile di ciò che è meramente erudito e posto ai severi vincoli giuridici d’ogni materia osservata cantata e pregata, soprattutto essa non è mai troppo fedele, troppo professionale, e quando il libro è chiuso, troviamo arricchite le nostre energie, perché siamo stati nel bel mezzo della corrente spirituale che neppure lo storico o il libro possono svelare.…

Non abbiamo mai visto cosa che, Odisseo e il Santo dopo, potessero aver visto mentre il comune Pensiero era rivolto ad ugual medesimo Ciclope, giacché dobbiamo sempre rilevare e rivelare che sussiste un Ciclope come un Golia…

Nell’Arte così come la Fede che li accomuna al senso della Natura (e Dio) sussiste qualcosa di negletto e di improvviso in tutti i consueti moti dell’Anima ‘cieca’ di fronte alle mostruosità della Storia, partorire nella propria ed altrui Coscienza quella Verità aliena al linguaggio della materia, giacché dotata d’un prometeico fuoco interiore con cui proseguire il cammino, il Fuoco dello Spirito abdicato al rogo dell’istinto da cui la vera bestia e non più uomo.




Queste le veneriamo ancora e con loro tutta la Natura, come ogni Sacro Bosco ed antica quercia, così come ogni Selva, se siamo Santi o Eroi solo la Storia e Dio che insieme ci ha creati lo potrà giudicare, non affidando neppure l’Infinita nostra ed altrui Memoria all’ultimo poeta digitalizzato nel plastico silicio del progresso divenuto falso oro.

Preferiamo il mito d’un Universo posto all’età persa dell’oro…

Lo fissiamo come una lontana stella…

Lo preghiamo come una Natura irrimediabilmente persa…

Da lì lo Spirito della Vita…

L’Anima-Mundi rimpianta…