giuliano

martedì 28 marzo 2023

DAL FRONTE CALDO, ovvero, BREVE STORIA D'UN MERCENARIO

 












   Prosegue con.... 


     talune analisi


 





  e approfondimenti, ovvero, 


  .....vero che la Storia si ripete?








   Prosegue ancora con...: 


  il Destino d'un nome (2)







Prefazione: di Ksenia Bolchakova e Alexandra Jousset 

 

Marat Gabidullin non è un pentito.

 

Non è un delatore, dilaniato dalla propria coscienza, che un giorno ha deciso di rivoltarsi contro l’organizzazione di cui faceva parte e di denunciarla.

 

No.

 

Marat è un soldato.

 

Un semplice soldato in mezzo ad altri beni di consumo. Un homo sovieticus che si porta nelle viscere tutte le forme di schizofrenia che albergano nell’uomo russo contemporaneo. Orgoglioso di aver fatto parte delle forze aeree dell’esercito regolare del suo Paese. Orgoglioso di aver combattuto l’Isis in Siria come mercenario del gruppo Wagner. D’altra parte Marat gongola quando racconta di avere partecipato all’operazione che ha permesso di riconquistare Palmira sottraendola agli islamisti. Palmira, fantasia di tutti coloro che sognano di lontane civiltà millenarie. Eppure, Marat è a disagio nell’ammettere di aver servito un esercito ombra illegale, oggi sotto i riflettori, ossia il gruppo Wagner, accusato di aver commesso i peggiori abusi, stupri, torture e omicidi contro le popolazioni civili nei Paesi in cui è sceso in campo.

 

Dall’Ucraina alla Siria. Dalla Libia alla Repubblica Centrafricana. E ora in Mali.




Leggendo questo libro, non ci si devono aspettare ammissioni di colpa. Questo racconto nasce dalle contraddizioni che ossessionano il suo autore. È una storia profondamente russa, la storia di una rottura e di una redenzione. L’avventura di un soldato di ventura al servizio di un esercito che ufficialmente non esiste.

 

È per esistere che Marat ha deciso di scrivere. Cristallizzando i fatti. Inscrivendo nel marmo la sua storia e quella dei suoi fratelli in armi. Una storia finora soppressa dalle autorità del suo Paese. Perché secondo il Cremlino, il gruppo Wagner non esiste. Questa forza armata che si schiera ai quattro angoli del mondo, seguendo la mappa degli interessi del regime russo, sarebbe, nella versione ufficiale, una fantasia dei detrattori di quello stesso regime. Occidentali in testa. Interrogato in numerose occasioni sulla questione, Vladimir Putin ha sempre rifiutato di ammettere il ricorso a mercenari nelle zone di conflitto e ha sistematicamente negato qualsiasi legame tra il Cremlino e la compagnia militare privata.




In primo luogo, perché il mercenarismo è un’attività ufficialmente illegale in questo Paese, punibile ai sensi dell’articolo 348 del Codice Penale con la reclusione fino a otto anni. In secondo luogo, perché il presidente russo ha il suo tornaconto in questo silenzio complice. L’invio di mercenari consente allo Stato di risparmiare sulle pensioni e sugli stipendi pagati ai soldati dell’esercito regolare. Permette anche di occultare i propri morti.

 

Marat spiega: ‘I nostri generali stavano incominciando a preoccuparsi delle possibili perdite. I nostri compatrioti, dal canto loro, non volevano concepire la guerra come un fenomeno che può provocare dei morti. Bisognava trovare un compromesso. Un compromesso possibile è quello di chiamare in causa una struttura parallela, la cui partecipazione al combattimento potrebbe essere negata se necessario, continuando a mostrare ai nostri concittadini una bella immagine rassicurante, così che continuino a essere orgogliosi e felici, ad applaudire le parate militari sulla Piazza Rossa, sbalorditi dalla potenza delle nostre forze armate’.

 

E in terzo luogo, perché Wagner offre un “jolly” a Vladimir Putin. Il potere di praticare la cosiddetta “negazione plausibile” che consiste nel rifiutare qualsiasi responsabilità per gli abusi commessi dai mercenari o per le operazioni fallite sul campo. Un modo per poter affermare: non abbiamo nulla a che fare con tutto questo e, se ci sono problemi con Wagner, rivolgetevi ai suoi responsabili! Ed è qui che sta l’efficacia dello stratagemma. Wagner non ha esistenza giuridica. È una società ombra, rispetto alla quale nessuno assume pubblicamente la responsabilità né della gestione, né dell’operato.




Eppure, a capo di questa organizzazione ci sono due uomini. Il primo è il suo fondatore. Colui che ha dato alla struttura il suo nome sorprendente: il tenente colonnello Dmitrij Utkin, nome di battaglia: Wagner. Questo ex membro del gru, il servizio di intelligence militare russo, ha lasciato i ranghi dell’esercito nel 2013. A partire dal 2014, riunisce intorno a sé altri veterani delle forze speciali e crea un gruppo di intervento rapido per condurre operazioni mirate nella regione separatista del Donbass, in Ucraina, in guerra con le autorità filo-europee di Kiev. Questo gruppo di mercenari prenderà poi il nome del suo capo, che ha deciso di farsi chiamare Wagner in omaggio al compositore tedesco e al significato simbolico associato al suo nome.

 

Perché Dmitrij Utkin è un grande ammiratore del Terzo Reich e di Adolf Hitler.

 

Da europei, ci si può naturalmente domandare come un popolo, i cui genitori e nonni hanno sconfitto i nazisti durante la Seconda guerra mondiale, possa subire una simile fascinazione. Il fatto che degli ufficiali russi ammirino i nazisti può sembrare paradossale. Parte della risposta risiede nell’ascesa del paganesimo panslavo in Russia. Nelle file di Wagner, secondo Marat, il trenta-quaranta per cento dei membri sono seguaci della Rodnoveria (“la fede nativa”), un movimento di neopagani slavi emerso negli anni Ottanta e che, in tema di questioni etniche, trae ispirazione dalla narrazione razzista tedesca.




I Rodnoveri, come vengono denominati, auspicano il ritorno all’antica fede precristiana basata sull’adorazione delle forze della natura e sbandierano una volontà nazionalista di attaccamento a un suolo, la terra russa, dove il popolo russo potrebbe ritrovare i propri valori. Antisemiti e xenofobi, propugnano la purezza etnica e la segregazione razziale. Questo non significa che facciano proselitismo.

 

‘Gli altri, i cristiani, i musulmani o le persone come me, non praticanti, siamo rimasti quelli che eravamo’, dice Marat. ‘Dal punto di vista religioso, nessuno imponeva nulla, nessuno costringeva ad adottare questa credenza’.

 

Resta il fatto che alcuni Rodnoveri, come Dmitrij Utkin, hanno posizioni di estrema destra, apertamente neonaziste. Mentre era al suo servizio, Marat dice di avergli visto tatuati sul suo corpo un Kolovrat, una svastica slava, e delle rune slave. In una fotografia recente, il comandante di Wagner esibisce altri tatuaggi, tra cui una doppia Sieg Rune (simbolo della vittoria), l’emblema delle ss naziste, tatuata in bell’evidenza sul collo. Tra i ranghi di questi soldati di ventura, l’ideologia è ampiamente condivisa. La biblioteca virtuale sull’iPad di un mercenario morto rinvenuto in Libia, conteneva una copia di Mein Kampf. Sempre in Libia, tra le rovine delle case occupate dagli uomini di Wagner sono stati trovati dei graffiti islamofobi. Il soprannome di Dmitrij Utkin ha a sua volta ispirato un’intera area semantica. Tra loro i mercenari si chiamano “musicisti”. Affermano, sui loro social network, di far parte di un’“orchestra” diretta da un “compositore” che tiene “concerti” in tutto il mondo. Un modo per dire che partecipano ai combattimenti. Nei loro video di propaganda, in alto a destra, campeggia il ritratto del compositore tedesco.




Nel suo libro, anche Marat Gabidullin fa ricorso alla metafora musicale: Utkin diventa Beethoven, solo per confondere un po’ le tracce, pur lasciando chiaramente intendere al lettore di chi si parla. L’autore descrive un comandante temuto dai suoi “legionari”, alternativamente come visionario e “terrificante”. Dal 2014, diecimila combattenti in totale, tra cui Marat, avrebbero prestato servizio ai suoi ordini, e oggi si stima che siano attivi cinquemila mercenari del gruppo Wagner, pronti a essere proiettati, in modalità just in time, nei teatri di operazioni militari al di fuori dei confini della Russia.

 

L’altra figura chiave del gruppo Wagner è Evgenij Prigožin; neanche di lui Marat parla apertamente. Si conoscono bene, ma un contratto morale li vincola da quando l’oligarca gli ha reso un servizio prezioso, prima che Marat lasciasse la compagnia nel 2019.

 

Evgenij Prigožin è nato il 1° giugno 1960. Come Vladimir Putin, viene da San Pietroburgo e come lui, ha saputo approfittare del caos post-sovietico per farsi una posizione. Ex delinquente diventato uno degli uomini più potenti della Russia, è il tipico prodotto di questo mondo sotterraneo in cui si incrociano membri dei servizi di sicurezza, spie, agenti segreti, mafiosi ed ex galeotti. La galera, Prigožin la conosce bene. Nel 1981, aveva solo vent’anni quando la giustizia dell’urss lo condannò a tredici anni di carcere per furto, frode e sfruttamento di prostituzione minorile. Questa esperienza lo segnerà per sempre. Quando lascia il penitenziario nove anni dopo, l’urss è agonizzante. La “terapia d’urto” introdotta negli anni Novanta per rilanciare l’economia russa crea opportunità per una nuova generazione di imprenditori senza scrupoli, che non esitano a ricorrere ai sicari per eliminare la concorrenza. Prigožin entra rapidamente in affari.




Mette le mani ovunque. Casinò, supermercati in stile occidentale... prima di lanciare una catena di hot dog, il primo fast food post-sovietico. Allo stesso tempo, apre diversi locali di lusso frequentati dall’élite politica di San Pietroburgo. Il primo, Staraja Tamožnja, o The Old Custom House, accoglie a partire dal 1996 la cerchia vicina ad Anatolij Sobčak, il sindaco della città. Ci viene regolarmente con uno dei suoi consiglieri fidati, un certo Vladimir Putin.

 

All’epoca, è intorno a un’insalata di granchio della Kamchatka o a dei blinis al caviale che vengono negoziati i grandi contratti e sigillate solide alleanze. Quando arrivano clienti importanti, Prigožin è presente e insiste nel servirli di persona. Un’attenzione molto apprezzata. Il successo non si fa attendere, e sulla stessa scia Prigožin apre altri quattro locali di alto livello. Ispirandosi ai ristoranti sulle chiatte della Senna, inaugura il New Islandnel 1998. Un anno dopo, l’imbarcazione diventa il ristorante abituale di Putin, appena nominato presidente ad interim della Federazione Russa, nel dicembre 1999. Successivamente, nell’estate del 2001, vi festeggia il suo compleanno, invitando ospiti illustri come Jacques Chirac. Nel maggio 2002 cena nello stesso locale con il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.




I piatti di Evgenij Prigožin lo porteranno lontano. Si guadagna il soprannome di “chef di Putin” e si afferma come figura chiave nei circoli del potere. La sua società di ristorazione Concord Cateringsi aggiudica molti appalti pubblici. Si occupa della gestione delle cerimonie ufficiali, fornisce i pasti alle caserme militari e si accaparra il lucrativo mercato delle mense scolastiche. Nonostante l’intossicazione alimentare che colpisce centinaia di bambini nella regione di Mosca nel 2017, Evgenij Prigožin non verrà disturbato dal sistema giudiziario. Perché Vladimir Putin lo ha reso un uomo ricco e influente. In cambio, l’oligarca svolge il lavoro sporco di cui il Cremlino ha bisogno. Colpito da sanzioni internazionali, è accusato dall’fbi di aver orchestrato la campagna di ingerenza russa nelle elezioni statunitensi del 2016. Sarebbe a capo dell’Internet Research Agency, vera e propria fabbrica di troll, fonte di manipolazione dell’opinione pubblica sui social media. La sua testa viene quotata a Washington: per la sua cattura si offrono duecentocinquantamila dollari. Nella sua condizione di “wanted”, eccelle nella disciplina del “catch me if you can”. E vince.

 

Nessuno è mai riuscito ad avvistarlo, né a catturarlo.

 

Oggi si dice che finanzi Wagner e che ne svolga le funzioni esecutive, con il sostegno di alti ufficiali militari. Dal 2020, Prigožin è sottoposto anche a sanzioni europee per il ruolo da lui svolto ‘nelle attività del gruppo Wagner in Libia’. È accusato di mettere ‘in pericolo la pace, la stabilità e la sicurezza nel Paese’. Nonostante si moltiplichino le prove del suo coinvolgimento in operazioni di destabilizzazione avvenute tanto nel cyberspazio quanto sul campo, dal Medio Oriente all’Africa, il miliardario minimizza il suo ruolo nel dispiegamento di paramilitari in giro per il mondo e cita in giudizio chiunque lo accusi di avere collegamenti con Wagner.




Ha organizzato le sue attività in modo tale che nessuna di esse possa essere giuridicamente collegata al suo nome. L’opacità è totale e ben organizzata. È un padrino in stile mafioso di vecchia scuola. Onnipresente ma invisibile. Onnipotente e intoccabile.

 

Se l’ombra dello “chef” aleggia tra le righe del racconto di Marat, l’autore non si dilunga mai troppo in dettagli a riguardo di questo colorito personaggio. ‘Non parlo più di cose che non posso provare, di relazioni che posso aver avuto ma che non sono documentate’. Questo per evitare i procedimenti legali. Per evitare le ritorsioni che un’eccessiva franchezza gli potrebbe procurare. Messi in sordina i protagonisti, Marat si sente più libero di far conoscere i dettagli del suo percorso personale all’interno di Wagner, che ama definire semplicemente la Compagnia.

 

La Compagnia per la quale è andato a combattere in Ucraina e in Siria. Marat Gabidullin ha reso buoni servigi a Wagner. Ha ricevuto numerose medaglie conferite internamente dal gruppo, ma anche onorificenze ufficiali dello Stato russo per le sue imprese militari. Gli vengono sempre consegnate in segreto. Riconoscimenti in nome dei quali ha dovuto costantemente mentire. Mentire per anni sulla natura delle sue missioni, sui luoghi dove ha militato, sugli uomini che ha incontrato. Mentire per continuare a restare e a esistere all’interno di un’organizzazione che ha fatto brillare gli occhi a uomini scartati, senza prospettive, per poi trasformarli in carne da cannone. Cartucce sprecate al servizio delle ambizioni geopolitiche del Cremlino. Uomini a cui Marat vuole adesso rendere omaggio, sottraendoli alla clandestinità. Alcuni sono “eroi”, sostiene. Bravi ragazzi a tutti gli effetti che meritano la verità e la fine dell’omertà che circonda questa forza armata segreta. La verità. Una parola molto impegnativa. La ragion d’essere di questa narrazione in prima persona.




Militare di carriera, Marat ha trascorso dieci anni nelle truppe aeree russe. Nel 1993, due anni dopo la caduta dell’Unione Sovietica, sbatte la porta della caserma con il grado di luogotenente principale per cimentarsi negli affari. Il capitalismo selvaggio aveva appena fatto il suo ingresso trionfale nel Paese e tutti volevano la loro fetta di torta. Militari inclusi. Ma in mancanza di grandi fortune, Marat decide di dedicarsi ai pezzi grossi. Diventa l’uomo armato di un boss della malavita locale siberiana e finisce per uccidere una persona a sangue freddo. La sua vittima è un mafioso del clan rivale, che ‘se l’è meritato’. Dopo tre anni di prigione e qualche anno di disoccupazione e di depressione, sprofonda nell’alcol, inanella una serie di lavori saltuari come addetto alla sicurezza o guardia del corpo. Soprattutto, si rende conto che gli sarà impossibile tornare indietro e ricongiungersi alle forze armate regolari.

 

Mentre il suo mondo crolla, incappa in un amico di lunga data, il quale gli parla di una nuova compagnia militare privata che non va troppo per il sottile riguardo ai trascorsi delle sue reclute. Nei suoi ranghi, ex carcerati e criminali comuni sono i benvenuti, a condizione che abbiano una qualche esperienza e sappiano come si maneggiano le armi. Marat non sogna altro che combattere e senza pensarci due volte si presenta al centro di reclutamento di Mol’kino, vicino a Krasnodar, nel sud della Russia. ‘Eravamo in tanti’, ricorda. ‘Ma non posso fornire informazioni circostanziate sulle esatte coordinate geografiche o sul numero di uomini presenti. Tutto questo potrebbe ritorcersi contro di me.

 

‘Potrei essere accusato di aver divulgato dei segreti militari’.




Marat si mantiene cauto. Perché Mol’kino è la prova dell’interoperabilità tra Wagner e le autorità russe. Questa base militare creata per ospitare i soldati di ventura si trova poco lontano da un centro di addestramento e da una caserma del gru, il servizio di intelligence militare dell’esercito regolare. Un’area in cui le armi utilizzate per l’addestramento sono le stesse di quelle dell’esercito, dove nulla accade senza l’approvazione del ministero della Difesa.

 

Marat preferisce quindi rimanere vago su tutto ciò che potrebbe essere considerato la rivelazione di un segreto di Stato. Si tratta di una necessaria misura precauzionale, non di un atteggiamento approssimativo da parte dell’autore. Scorrendo queste pagine, non si dovrebbe mai trascurare il fatto che Gabidullin è il primo mercenario di Wagner a portare una testimonianza aperta, senza la protezione dell’anonimato. Misura attentamente i rischi implicati dalle sue rivelazioni. Al di là di possibili procedimenti giudiziari, quello che rischia è semplicemente la pelle. Questo è anche il motivo per cui, nel suo libro, ‘è tutto vero, tranne i nomi’ dei combattenti. Per proteggerli meglio, l’autore fa riferimento a loro solo attraverso pozyvnye, soprannomi di guerra di sua invenzione. Nella sua storia, incontriamo Volk (il Lupo), Čub(ilCiuffo) o Ratnik (il Guerriero). Gladiatori dei tempi moderni, personaggi pittoreschi, allo stesso tempo eroici, tremendamente violenti e depressi, che compongono i ranghi eterogenei di un nuovo tipo di esercito ombra.




Il suo nome di battaglia è Ded (il Nonno, il Paparino). Un soprannome scelto dai suoi colleghi. Trova che gli si addica. Al momento del suo ingaggio nelle file di Wagner, Marat ha quarantotto anni. Con il suo pizzetto ingrigito, è il più anziano della squadra. Nel 2015, è uno dei primi quattrocento elementi assoldati. Il suo numero di matricola è M-0346. In quel periodo la selezione è rigorosa, ma lui supera a pieni voti i colloqui e le prove fisiche. Gli vengono esposti gli obiettivi di Wagner: la sua missione sarà quella di difendere e promuovere gli interessi della Russia partecipando a conflitti armati. Viene immediatamente sedotto da questa dimensione patriottica, ma l’argomento più forte è un altro. In un Paese in cui lo stipendio medio non supera i quattrocento euro, il gruppo Wagner promette guadagni interessanti. Per Marat «una delle motivazioni principali era ovviamente il denaro.


[PROSEGUE CON LA RECENSIONE DEL.... LIBRO CONSIGLIATO]








 

domenica 26 marzo 2023

L'ORA LEGALE DELLA CLASSE ENERGETICA

 










Derivato o generato 


dal Verbo della Domenica


Prosegue con il miele... 


al completo







Quando, in Verità e per il vero, inizia l’hora legale della classe energetica?

 

Sicuramente quando eretti, ci si incammina per poi scoprire, ancor più increduli il Sogno d’un Velocipede, o suo inseparabile e futuro amico, Bicicletto?!

 

Fu allora che l’uomo prese Coscienza dei distinti gradi della propria ed altrui classe energetica; non potendo volare si inventò un Sogno aggrappato e veicolato dal Pensiero al manubrio, e più giù fino al veloce piede meccanizzato; lo stesso che da una ripida salita al grado d’una roccia, lo volle più solo e solitario ancora verso una diversa mulattiera, essendo l’antico Sentiero per la l’impervia Cima intasato peggio d’un formicaio da Fiera…




  …Garson Poole stava seduto al tavolo della cucina a sorseggiare il suo caffè di fronte a Sarah. I tecnici se ne erano andati da parecchio.

 

‘Non farai ancora altri esperimenti su di te’,

 

disse Sarah ancora in preda all’ansia. 

 

Poole disse con voce stridula

 

‘Vorrei controllare il tempo. Farlo scorrere al contrario. Potrei tagliare un segmento del nastro’,

 

…pensò....




‘e riattaccarlo al contrario la sequenza causale scorrerebbe in senso inverso, per cui io percorrerei a ritroso la scala che scende dal tetto, fino alla porta con una spinta aprirei una porta chiusa a chiave, camminerei all’indietro verso il lavandino, dove prenderei una pila di piatti sporchi. Mi siederei a questo tavolo di fronte alla pila di piatti, e riempirei ogni piatto con il cibo rigurgitato dal mio stomaco ...Poi trasferirei il cibo nel frigorifero. Il giorno dopo toglierei il cibo dal frigorifero, lo impacchetterei, porterei i pacchetti al supermarket, distribuirei il cibo qua e là sugli scaffali. E infine, al bancone principale, mi darebbero dei soldi prendendoli dal registratore di cassa. Il cibo verrebbe impacchettato con altro cibo in grandi scatoloni di plastica, e trasportato fuori città nelle piantagioni idroponiche sull’Atlantico, e lì sarebbe riattaccato agli alberi e gli arbusti o ai corpi di animali morti o spinto in profondità dentro il terreno. Ma cosa dimostrerebbe tutto questo? Sarebbe solo un nastro video che scorre al contrario… Non ne saprei di più di quanto ne so ora, e non è abbastanza. Ciò che voglio’,

 

…pensò

 

‘è cogliere la realtà definitiva e assoluta, per microsecondo.

 

Dopo niente avrà più importanza conoscerò tutto; non ci sarà più niente da capire o da vedere. Potrei provare a fare un’altra modifica’,

 

si disse.




Prima di provare a tagliare il nastro.

 

‘Produrrò dei nuovi fori e vedrò cosa succede. Sarà interessante perché non saprò in anticipo cosa significano i fori che io stesso avrò applicato’.

 

Usando l’estremità di un microstrumento, praticò diversi fori, a caso, sul nastro. Il più vicino possibile all’analizzatore ...non voleva aspettare.

 

‘Mi chiedo se lo vedrai anche tu’,

 

…disse a Sarah. Evidentemente no, per quanto poteva congetturare.

 

‘Potrebbe apparire qualcosa’

 

aggiunse.

 

‘Volevo solo avvisarti; non voglio che ti spaventi’.

 

‘Oh, Garson’,

 

disse Sarah con voce metallica. Esaminò il suo orologio da polso. Passò un minuto, un altro minuto ancora. E poi… al centro della stanza apparve uno stormo di anatre verdi e nere. Schiamazzarono eccitate, si sollevarono da suolo, svolazzarono contro il soffitto in una fremente massa di piume e ali, frenetica nel suo impulso, nel suo istinto di scappare via.

 

‘Anatre’,

 

disse Poole, meravigliato.

 

‘Ho praticato un foro corrispondente a un volo di anatre selvatiche’.




Adesso vedeva qualcos’altro... Una panchina in un parco su cui era seduto un vecchio, trasandato, che leggeva un giornale spiegazzato. Il vecchio guardò in alto, e riuscì vagamente a distinguere Poole; gli sorrise per un istante con i denti rovinati, poi tornò a leggere il giornale accartocciato.

 

‘Lo vedi?’,

 

chiese Poole a Sarah.

 

‘Vedi anche le anatre?’

 

In quel momento le anatre e il vagabondo nel parco scomparvero.

 

Non rimaneva nulla.

 

L’intervallo dei fori era già passato.

 

‘Non erano reali, vero?’,

 

disse Sarah.

 

‘E allora come…’.




‘Neanche tu sei reale’,

 

rispose a Sarah.

 

‘Tu sei un fattore di stimolo nel mio nastro della realtà. Un foro che può essere coperto di vernice. Esisti anche in un altro nastro di realtà, oppure esisti in una realtà oggettiva?’.

 

Non lo sapeva; non poteva dirlo.

 

Forse non lo sapeva neanche Sarah. Forse lei esisteva in un migliaio di nastri di realtà, forse in tutti i nastri di realtà che fossero mai stati realizzati.

 

‘Se io taglio il nastro’,

 

disse lui

 

‘tu sarai dappertutto e in nessun luogo. Come il resto dell’universo. Almeno fin quando io ne sono consapevole’. 

(P. K. Dick, La formica elettrica)




 Fu allora, dicevo, che l’uomo perso nel Sogno di volare e non potendo più navigare su un mare troppo intasato anche in assenza di vento, si precipitò ad inseguire la Primavera con un Destino più veloce d’una Fiera, armato da una simmetrica presa d’incoscienza proletaria, giacché una vasta schiera di eletti usurpava l’umile povertà dell’Elemento per ogni Cima violentata con sempre maggior sadica dottrina!

 

Così dovette dar Ragione e sfogo alla propria classe energetica e divenne novello intrepido cicloturista per poi accorgersi, che medesimo ugual Sogno e ideale incarnato dalla usurpata Dèa, lo poteva far volare ancor più in alto dell’acrobata della chiodata Cima…


Cadde lungo la corsa, sembrava una leggera discesa, poi divenne l’Abisso con solo ma morte incisa sull’elmetto, sulla camicia nera e poi rossa, rossa e nera, mai sia detta Rosa speranza e amore d’una corsa terrena. Per questo andiamo o fuggiamo in biciletta addio antica Dèa…



Addio, vecchia Dèa con la dinamo, il carter e il freno contropedale.

 

Quando ti vidi per la prima volta avevo quindici anni e davanti a me si stendeva tutta ancora la strada della vita, una strada bianca di sole, macchiata qua e là da fresche ombre piene di promesse. E per vent’anni la percorremmo insieme e tu me la rendesti meno dura.

 

Tu mi insegnasti la gioia delle albe fresche e rugiadose che nascono dietro i verdi colli conquistati pedalata per pedalata.

 

Tu mi insegnasti la pace dei meriggi, lontano dal catrame rovente della città.




Tu mi insegnasti la dolce malinconia dei tramonti fra i prati verde-cupo, intersecati da canali pieni di cristallo fuso.

 

Con te io galoppai lungo i viali diritti della periferia inseguendo, nelle sere estive, le ombre dei miei sogni e dei desideri della mia giovinezza.

 

Il primo amore: due cuori e una bicicletta sola, e tu sul ghiaietto delle viottole fuori barriera rollavi dolcemente e - per ogni sassetto che pizzicavi fra il cerchione e la gomma e facevi schizzar via - i raggi ben tesi risuonavano come corde d’arpa.

 

Dleeen!... La ‘prima nomina’: due potenti speroni e soltanto un sellino di bicicletta.




Galoppate furibonde per mettere d’accordo il servizio di batteria e l’appuntamento con la bionda n° 1; l’ispezione esterna e la bionda n° 2.

 

Vent’anni camminammo assieme, vecchia Dèa.

 

E ora sei lì, appoggiata al muro, e fra te e me c’è ormai l’abisso di un armistizio. Ti guardo, vecchia Dèa, e vedo sulla canna più alta del telaio, vicino al cannotto dello sterzo, una specie di bernoccolo nichelato, con una vite a pressione e una finestrina: l’innesto di una piccola sella supplementare.

 

Ricordi quando te l’avvitai la prima volta?




Pareva che l’orgoglio ti avesse gonfiato a dismisura i pneumatici e tutte le canne del telaio. E il campanello suonava come un carillon di campane, e l’ingranaggio della ruota libera cantava alto e potente, e i freni, solo a toccare le leve, stridevano di gioia e tu, vecchia bicicletta, procedevi tronfia, pettoruta e maestosa come una Isotta Fraschini a sedici cilindri perché sul sellino supplementare era seduto il nostro primo bambino.

 

Addio, vecchia Dèa: io parto e tu rimani.

 

Opterai come il mio vecchio colonnello?




No, tu sei più di carattere di lui.

 

O ti darai alla macchia unendoti a quelle animose e inafferrabili biciclette che saetteranno e folgoreranno poi lungo le strade di tutt’Italia?

 

O piuttosto (sei così luccicante ancora e fai tanto gola) ti deporteranno nel triste Nord?

 

Ti rivedrò? Dio solo lo sa vecchia Dèa, Dio che stringe nel suo pugno il destino di tutti gli uomini e di tutte le biciclette del creato.

 

E così sia.

(Guareschi)   


  


           

Pian piano la classe energetica più proletaria che unita scoprì il suo truce Destino da un formicaio nato e evoluto ed hora approdato ad un nuovo vespaio, per esser abbracciato nel canone del Vento prepagato; si correva per annusar il veleno che evaporava; per farsi lentamente affogare da un Fiume in secca piena; e gestito a giorni alterni dalla stiva della Compagnia; si controllava e consumava la classe energetica mentre il contadino riparava in Serra domandando motivo del gas della nuova guerra.

 

Si prese Coscienza della propria classe energetica mentre si fuggiva verso un Destino motorizzato…  

 



  Intendiamoci non è questo il racconto di gesta impressionanti, ma neppure quel che si direbbe semplicemente - un racconto un po’ cinico- ; per lo meno, non vuole esserlo.

 

È un segmento di due vite raccontate nel momento in cui hanno percorso insieme un determinato tratto, con la stessa identità di aspirazioni e sogni. Un uomo nell’arco di nove mesi della sua vita può pensare a molte cose, dalla più alta speculazione filosofica sino al più basso anelito per un piatto di minestra, in totale correlazione con lo stato di vacuità del suo stomaco; e se al tempo stesso ha in sé qualcosa dell’avventuriero, in questo lasso di tempo può vivere momenti che forse risulteranno interessanti ad altre persone, e il cui racconto spassionato risulterebbe qualcosa di simile a questi appunti.

 

Così, la moneta fu lanciata in aria, volteggiò a lungo su se stessa, cadde una volta su testa e qualche altra su croce.




 L’uomo, unità di misura di tutte le cose, parla qui per bocca mia e racconta nel mio linguaggio ciò che gli occhi hanno visto; magari su dieci teste possibili ho visto solo una croce, o viceversa, questo è probabile e non ci sono attenuanti; la mia bocca narra quel che i miei occhi le hanno raccontato. Forse la nostra vista non è mai stata panoramica, ma sempre fugace e non sempre equamente informata, e i giudizi sono troppo netti?

 

D’accordo, ma questa è l’interpretazione che una tastiera ha dato all’insieme degli impulsi che avevano portato a battere sui tasti, e quei fugaci impulsi sono ormai morti.

 

Non c’è più il soggetto a cui imporre certe regole.

 

Il personaggio che ha scritto questi appunti è morto quando è tornato a posare i piedi sulla terra d’Argentina, e colui che li riordina e li ripulisce, “io”, non sono io; per lo meno, non si tratta dello stesso io interiore. Quel vagare senza meta per la nostra “'Maiuscola America” mi ha cambiato più di quanto credessi.

 

In qualsiasi libro di tecnica fotografica si può vedere l’immagine di un paesaggio notturno in cui brilla la luna piena e il testo esplicativo ci rivela il segreto di quell’oscurità in pieno sole, però la natura del bagno sensitivo che ricopre la mia retina non è conosciuta bene dal lettore, a malapena la intuisco io, di modo che non si possono apportare correzioni sulla lastra per appurare il momento reale in cui fu impressa.

 

Se descrivo una scena notturna, potete crederci o rifiutarla, poco importa, perché se non conoscete il paesaggio fotografato dai miei appunti, difficilmente conoscerete una verità diversa da quella che vi racconto qui.

 

Adesso vi lascio con me stesso; con quello che ero. 

(Ernesto Che Guevara)




 Si correva con l’Ape e la Vespa ad annusar il Verbo proibito d’un Fiore rapito. Nacque in quell’època remota un conflitto amletico, un desiderio d’un Sogno innestato e da un Formicaio rateizzato per poi firmare la prosa della folle corsa in lenta discesa verso l’innominato Abisso….  

 

Si prese Coscienza della propria classe energetica!




Aprendo la bocca cercò di tirar fuori le parole - una specifica sequenza dall’enorme massa di parole che illuminavano di luce brillante la sua mente, ustionandolo con il loro profondo significato.

 

Gli bruciava la bocca.

 

Si chiese perché.

 

Irrigidita contro il muro, Sarah Benton aprì gli occhi e vide la voluta che saliva dalla bocca semiaperta di Poole. Poi il robot crollò, dapprima carponi sui gomiti e le ginocchia, infine si accosciò lentamente in un ammasso di rottami contorti. Senza bisogni di esaminarlo, capì che era morto. Poole si è distrutto da solo pensò. E non poteva sentire dolore; lo ha detto lui stesso. O almeno non molto dolore; forse un po’.

 

Comunque adesso è tutto finito.

 

Sarà meglio che chiami il signor Danceman e gli racconti cosa è successo, decise. Ancora tremante, si fece strada attraverso la stanza fino al videofono. Alzando il ricevitore, compose il numero che sapeva a memoria. Pensava che fossi un fattore di stimolo sul nastro della realtà, disse fra sé.

 

Così ha creduto che sarei morta quando lui fosse morto.

 

Che strano, rifletté. Perché mai lo avrà pensato?

 

Non aveva mai avuto contatti con il mondo reale…

 

‘Signor Danceman’,

 

disse quando il collegamento con l’ufficio venne stabilito.

 

‘Poole è andato. Si è autodistrutto proprio di fronte a me. Sarà meglio che venga qui. Finalmente ce ne siamo liberati, è contento?’.

 

‘Manderò un paio di uomini dal negozio’,

 

rispose Danceman.

 

Dietro la donna vide Poole che giaceva accanto al tavolo della cucina.

 

‘Vada a casa a riposarsi’,

 

disse, dandole istruzioni.

 

‘Deve essere stanca dopo tutto questo’. ‘

 

Sì grazie, signor Danceman’.




 Sarah riagganciò e restò lì, immobile senza uno scopo.

 

Fu allora che notò qualcosa.

 

Le mie mani, pensò. Le tenne alzate. Come mai riesco a vedere attraverso le mie mani? Anche i muri della stanza stavano diventando confusi. Tremando tornò dove giaceva l’inerte robot e rimase accanto a lui, non sapendo cosa fare. Attraverso le gambe vedeva la moquette, poi la moquette si fece confusa, e lei vide attraverso essa, ulteriori strati di materia che si disintegravano. Forse se riesco a fondere insieme le due estremità …pensò.

 

Ma non sapeva come.

 

E anche Poole stava cominciando a svanire.

 

Il vento del primo mattino le soffiò addosso, ma Sarah non lo sentì; ormai aveva quasi smesso di sentire.

 

…Il vento continuò a soffiare… 

(P.K.Dick, La formica elettrica)




  …Prese Coscienza della propria classe energetica mentre si dissolveva agli scomposti fotogrammi d’una diversa foto-genetica sequenza, non capì mai se fu un foto-montaggio della Compagnia, o un incubo allucinato d’una strana stiva, oppure un corto circuito d’una diversa esistenza; la classe energetica corre sull’Ape d’una perenne rateizzata regina industrializzata, mentre la classe operaia diventa una lenta formica in lenta inesorabile discesa!   

 

Infatti i più fortunati aristocratici acrobati conquistano elevati altari per ogni chiodata parete in perenne salita, in nome e per contratto d’una futura cabina motorizzata; per poi più veloci d’un pipistrello discenderne l’artificiosa Cima sempre imbiancata.

 

 Qualcuno o Nessuno ne narra ciecamente le gesta, quando non volle annusare l’alito del Drago alla prometeica fucina, se fu un aristocratico o la classe energetica in attesa di rinascere vespa, questo un Dilemma ancor non rivelato al karma del canone della parabola prepagata.

 

Sognava Fiori e miele in abbondanza, e alla Fine fu immagazzinato entro una cella elettrica. Ovvero nacque la nuova Terra promessa, mentre la Foto gli faceva la guardia…




  Nessun regime nella storia ha avuto più successo della Repubblica Popolare Cinese nella realizzazione del romanzo distopico 1984 di George Orwell. Infatti, l’apparato di repressione costruito dal Partito comunista cinese (PCC) negli ultimi anni è così perfezionato, invasivo e tecnologicamente sofisticato da far sembrare il “Grande Fratello” un dilettante.

 

Sebbene sia stata introdotta per la prima volta nella provincia cinese di Xinjiang come mezzo di controllo della popolazione uigura a maggioranza islamica, la struttura di sorveglianza statale del Partito comunista cinese è stata rapidamente estesa a tutta la nazione in cui vivono 1,4 miliardi di persone. Il progetto “Occhi Taglienti” consiste nella proliferazione di telecamere di sicurezza e scanner di dati altamente sofisticati. A differenza delle tradizionali telecamere a circuito chiuso, i nuovi dispositivi sono in grado di trasmettere alla polizia immagini ad alta risoluzione dei singoli volti.




 A Urumqi, capoluogo della regione autonoma dello Xinjiang, le forze dell’ordine hanno installato più di 18.000 telecamere di riconoscimento facciale che controllano circa 3.500 complessi residenziali della città, e si stima che, alla fine del 2020, nell’intero Paese fossero attivi circa 626 milioni di telecamere  di sicurezza posizionate in aree pubbliche e private. Nel frattempo, nei principali punti di passaggio pedonale di tutto il territorio nazionale, sono stati posti degli scanner che captano e raccolgono dati dagli smartphone, all’insaputa di chi vi passa accanto. Usando applicazioni speciali, la polizia può ottenere dati dagli smartphone dei passanti che vengono poi raccolti su piattaforme analitiche condivise, come la Piattaforma Operativa Congiunta Integrata (IJOP), attualmente operativa nello Xinjiang.




Tali piattaforme raggruppano e incrociano le informazioni, per poi segnalare gli individui che sono in contatto con noti “malcontenti” (dissidenti), che usano app come WhatsApp o utilizzano la crittografia, oppure che si impegnano in un grado insolitamente elevato di attività religiose.

 

L’impatto di tali misure sulla libertà religiosa si sta già facendo sentire.

 

I gruppi religiosi, percepiti come una sfida diretta ad un invidioso sistema ateo, sono, e saranno sempre più, sorvegliati…