giuliano

mercoledì 22 febbraio 2017

......INCONTRAI MADONNA SAPIENZA (22)




















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Progetti: Nel mezzo del cammin di nostra vita...(21)

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Ma te! Che pur vedi... (23)














Ecco dunque un poeta appartenente a questo gruppo, che parla della sua donna proprio con la fraseologia stilizzata della moda del tempo, benché in metro insolito, che è condotto a lei da Amore personificato, che impallidisce dinanzi a lei, che la trova in una corte, che la chiama ‘donna di valore’, che la può amare soltanto perché ha ‘il cuor gentile’, che sente i suoi spiriti immobilizzati davanti a lei mentre Amore lo conforta e gli dà speranza; un poeta che dice che questa donna ha delle compagne (si ricordi che esse sono assise in sette gradi), che essa ‘ha tali sembianti... che la fanno laudar sovente intorno’ (Ella sen va sentendosi laudare), che essa ‘tragge l’anima di guerra’ e simili cose che sono le stesse dette sempre per le altre donne, e questo poeta ci confessa chiaramente che questa donna non è niente affatto una donna ma è ‘l’amorosa Madonna Intelligenza’, nella quale è impossibile non riconoscere proprio quella Sapienza di platonica e salomonica memoria che si immedesima, come vedremo, con l’Intelletto attivo e che perciò rappresenta il raggio dell’intelletto divino disceso all’uomo, il vero legame tra Dio e l’uomo, che conduce l’uomo a Dio.
Ho osservato innanzi che, per disgrazia degli interpreti realistici, proprio quella donna della quale pretendono di conoscere il cognome è raffigurata indiscutibilmente come la Sapienza santa portata da Cristo: osservo ora che proprio questa Intelligenza, che è così indiscutibilmente ed esclusivamente ‘lʹamorosa Madonna Intelligenza’, è fra tutte queste donne quella che è dipinta con maggiori particolari realistici nella sua figura fisica!




Curve percorse da luce intorno ad un centro scuro…
Poi passeggiata in una caverna, dove si svolge l’eterno conflitto tra Bene e Male (l’Eretico conflitto cui assoggettato il mio Tempo cui il ‘passo’ tradotto non è solo visione, o ancor peggio, confusa condizione o depressione di un terreno poco studiato in italico suolo solcato, bensì ricomporre Luce e Tempo di un Creato per sempre attraversato, sia esso, con Anima Ragione ed Intelletto, sia esso, esiliato con Straniero passo smarrito chi dalla materia fuggito per più nobile e elevata certezza e consistenza, cercando e scoprendo l’orrenda umana condizione nel baratro profondo di un Abisso senza alcun Dio… Non dimorare fondamento pur nell’inganno della solida crosta, strato studiato ammirato e pregato… Evoluto fino alla forma raccolta sognata ed intuita, matematica o mandala sigilli di un più vasto ed invisibile Universo ammirato…).




Vi è però anche un Re Apostata che sa tutto…
Questi regala al sognatore un anello con diamante al quarto dito della mano sinistra. La circolazione della Luce denota sempre la coscienza, che corre dunque per il momento lungo la circonferenza. Il centro è ancora scuro. E’ la caverna scura, l’accesso alla quale riscatena evidentemente il conflitto. Al tempo stesso è come il principe, che sta sopra tutto e sa tutto, e che è il proprietario (ed artefice, aggiungo…) della Pietra preziosa. Il dono significa dunque che il ‘sognatore’ (oppure nel nostro caso… il Viaggiatore) si vota al Sé: è all’anulare della mano sinistra che si porta di regola l’anello nuziale.
E’ vero però che la sinistra denota l’inconscio, e da ciò si potrebbe dedurre che la situazione è ancora dominata in misura preponderante dall’incoscienza (o nel nostro caso: all’opposto dalla retta e solida coscienza…). Il principe sembra essere il rappresentante dell’‘enigma regis’.  La caverna scura corrisponde al vaso che contiene gli opposti in conflitto. Il Sé si manifesta negli opposti e nel loro conflitto; è una ‘coincidentia oppositorum’.  E quindi la via che porta al Sé è, a tutta prima, un conflitto…





La mia donna fu immediata cagione di certe parole che nel sonetto, siccome appare a chi le intende

…Il poeta stabilì su di ciò una distinta teoria, per bocca di quel suo Stazio Tolosano ch’egli introdusse nel mondo delle anime ad esporre il mistero della generazione umana (Mistero veramente, poiché quella ch’ivi a lungo espone non è teoria Fisica ma bensì Allegorica, la quale sulla Fisica è da lui appoggiata); ed ecco breve ciò che insegna…
Un così detto ‘sangue perfetto’ prende nel cuor del generante (fonte del sangue, o lago del cuore) virtù informativa a tutte membra umane; in guisa che la virtù attiva di tal ‘sangue perfetto’ comincia tosto ad operar dov’è scesa, ed opera tanto ch’è ‘Anima fatta la virtute attiva’.
Dapprima è solo ‘Anima vegetale’, ma poi a questa si aggiunge la Sensitiva, ed in fine la Razionale. Per la prima l’uomo somiglia alle piante, e per la seconda agli animali, ma per la terza ha la sua caratteristica distintiva e propria, la quale è infusa così.




Quando il ‘motor primo’ spira in lui ‘Spirito nuovo di virtù repleto’, un tale Spirito nuovo tira in sua sostanza ciò che ivi trova, talché delle tre Anime fassi un’Alma sola, la qual vive per la vegetale, sente per l’animale, e sé in sé rigira la Razionale. Nel punto poi che l’uomo muore, un tale ‘Spirito nuovo solvesi dalla carne’, e porta seco l’umano e’l divino, con tutte tre le potenze, ‘Memoria, Intelligenza e Volontate,/ In atto molto più che prima acute/’.
Ed è da notare che queste tre potenze, le quali nello Spirito sciolto dalla carne divengono molto più che prima acute, corrispondono alle tre Anime di sopra espresse; quella che vive risponde alla Memoria, quella che sente risponde alla Volontà, quella che sé in sé rigira, cioè riflette, risponde alla Intelligenza. Or dunque se da lui udiamo che quando ei fissò gli occhi nella sua donna sentì un tremor così forte dalla sinistra parte ov’è il cuore, che quel tremore ‘gli fè dai polsi l’Anima partire’, noi cominciamo a capire che cosa ei vuole significare. E meglio lo intenderemo per altre sue parole, con le quali commenta il primo verso della seconda canzone del Convito, in cui ad Anima sostituisce il sinonimo Mente.




‘Amor che nella Mente mi ragiona’.
Questa donna spiritualmente ‘fatta era colla mia Anima una cosa sola’. Lo loco nel qual dico esso Amore ragionare si è la Mente; e però è da vedere che questa Mente propriamente significa. Dico adunque che il Filosofo Aristotele nel secondo dell’Anima, partendo le potenze di quella, dice che l’Anima principalmente ha tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare. L’altre potenze tutte quante mute, Memoria, Intelligenza e Volontate.
E secondo che esso dice, è manifestassimo che queste potenzie sono intra sé per modo che l’una è fondamento dell’altra; e quella ch’è fondamento puote per sé essere partita; ma l’altra che si fonda sopr’essa non può da quella essere partita.
Onde la potenzia vegetale, per la qual si vive, è fondamento sopra la quale si sente; e questa vegetativa potenzia per sé può essere Anima, siccome vedemmo nelle piante tutte. La sensitiva senza quella esser non può: non si trova alcuna cosa che senta che non viva. E questa sensitiva è fondamento della intellettiva, cioè della Ragione; e però nelle cose animate mortali la Ragione potenzia senza la Sensitiva non si trova; ma la Sensitiva si trova senza queste, siccome nelle bestie.




E quell’Anima che tutte queste potenzie comprende è perfettissima di tutte le altre. E l’Anima umana la qual è colla nobiltà della potenzia ultima, cioè Ragione, partecipa della Divina Natura, a guisa di sempiterna intelligenza; perciocché l’Anima è tanto in quella sovrana potenzia nobilitata e denudata da materia che la Divina luce, come in Angiolo, raggia in quella.
Perché è manifesto che per la Mente s’intende quest’ultima e mobilissima parte dell’anima. Onde si puote ormai vedere che è Mente, che è quel fine e preziosissima parte dell’Anima che è Deitade. E questo è il luogo dove dico che Amore mi ragiona della mia donna. Non senza cagione dico che Amore nella Mente mia fa la sua operazione, ma ragionevolmente ciò si dice a dare ad intendere qual Amor è questo, per lo loco nel quale adopera.
Da quanto qui udimmo risulta chiarissimo ch’ei considera l’Anima così tripartita, Vivente, Senziente, Razionale.




Pone la prima tutta sola, perché per se può esser Anima; e questa corrisponde alla Memoria.
Pone la seconda unita alla prima, perché senza quella essere non può; e questa corrisponde alla Volontà.
Pone la terza unita alle altre, perché tutte le comprende; e questa corrisponde all’Intelletto; e aggiunge nel capitolo seguente che quest’Anima pensando, vera umana e meglio angelica, ei quasi parea di fuori alienato.
Or avendoci egli detto di aver fatto due parti di sé, chiamate Cuore ed Anima, o Appetito e Ragione, o Volere e Intelligenza, sicurissimo diviene ch’egli ha diviso l’Anima senziente e l’Anima razionale…
Quest’ultima è appunto quella di cui si finse amante, detta da lui donna gentile, e da lui stesso così definita. ‘Per donna gentile s’intende la nobil Anima d’ingegno, libera nella sua potestà ch’è la Ragione’.




…Ei considerò la sua donna gentile o la sua nobil Anima (che sono la medesima cosa) astrattamente, da che nacque tutta la sua ‘metafisica’ fantasmagoria che si riduce a ciò: ‘Con la Mente o Anima fuori di Sé tratta, ei considerò la sua Anima o Mente fuori di Sé posta, talché vedeva la Razionale guardar la Senziente, e questa quella, ed ei v’era per terzo a compiere il numero, poiché figurava la Vivente, che per Sé può esser Anima; onde pose le due prime in due camere, e la terza in una parte, perché era partita o divisa dalle altre. E siccome quelle due prime eran le sue, così si guardavano fra loro con gli occhi suoi, posti fuori degli strumenti loro. Per tal modo la Mente nel guardar la sua Mente, Sé in Sé rigira…’.
Questo sì ch’è arzigogolo, e proprio coi fiocchi!
…E quando apparisce la bellezza degli occhi suoi a lei, che altro è a dire se non che l’Anima filosofante non solamente contempla la Verità, ma anche contempla il suo contemplare medesimo (Ond’ ei mirava un’Anima sua guardare nell’altra Anima sua, ossia contemplava il suo contemplare medesimo) e la bellezza di quella Verità, rivolgendosi sopra se stessa (e Sé in Sé rigira), e di Sé stessa innamorata per la bellezza del primo suo guardare.
L’Anima umana vuole a Dio essere unita, per lo suo essere fortificare… E quest’unire è quello che noi nominiamo Amore, per lo quale si può conoscere qual è dentro l’Anima, veggendo di fuori quello che ama quest’Amore, cioè l’unimento della mia Anima con questa gentil donna, nella quale della Divina luce assai mi si mostrava…


















domenica 19 febbraio 2017

PROGETTI: gli impiegati della Compagnia avversi al Sogno nominato vita (17)



















































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Progetti.... (16/1)  &

L'industria anarchica (3/1)

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L'Inferno di questa Compagnia (18)














Ci trascinavamo lentamente, ci fermavamo, sbarcavamo soldati; proseguivamo, sbarcavamo funzionari di dogana venuti a riscuotere le gabelle su quella che sembrava una landa selvaggia, dimenticata da Dio, con una baracca di latta e un’asta per la bandiera sperdute là dentro. Sbarcavamo altri soldati che, apparentemente, dovevano vegliare sui doganieri. Alcuni di loro, a quanto ho sentito dire, annegarono nella risacca; che fosse vero o no, nessuno sembrava preoccuparsene. Venivano scaraventati a terra e si ripartiva.
La costa era ogni giorno la stessa, come se non ci fossimo mossi; ma toccammo diversi luoghi – luoghi commerciali - i cui nomi, come Gran Bassam o Piccolo Popo, sembravano appartenere a qualche sordida farsa recitata davanti a un sinistro scenario. La mia inoperosità di passeggero, l’isolamento in mezzo a tutti quegli uomini con cui non avevo niente in comune, il mare languido e oleoso, la tetra uniformità della costa, sembravano tenermi lontano dalla realtà delle cose, irretito da una fantasmagoria lugubre e assurda. La voce della risacca che si percepiva di tanto in tanto dava un piacere reale, come una parola fraterna. Era qualcosa di naturale, che aveva una ragione e un significato.




Di tanto in tanto una barca che si staccava dalla costa creava un momentaneo contatto con la realtà. Era portata da rematori neri. Di lontano si vedeva splendere il bianco dei loro occhi. Urlavano, cantavano; i loro corpi grondavano sudore, avevano volti simili a maschere grottesche, quegli esseri; ma avevano nerbo, muscoli, una vitalità selvaggia, un’intensa energia di movimenti, naturale e autentica come la risacca lungo la loro costa. Loro non avevano bisogno di un pretesto per essere là. Provavo un gran sollievo a guardarli: era come se mi sentissi di appartenere ancora a un mondo lineare e concreto, ma era una sensazione che durava poco. Sopraggiungeva qualcosa che faceva presto a scacciarla.
Un giorno, mi ricordo, ci imbattemmo in una nave da guerra ancorata al largo della costa. Non si vedeva neanche una capanna, eppure bombardava la boscaglia. Sembra che i Francesi avessero una delle loro guerre in corso da quelle parti. La bandiera nazionale penzolava flaccida come un cencio; le bocche dei lunghi cannoni da centocinquanta, spuntavano da ogni parte dello scafo basso. Il mare lungo, grasso e fangoso sollevava pigramente la nave per lasciarla poi ricadere, facendo oscillare gli alberi affilati. Nella vuota immensità del cielo, del mare e della terra, stava là, incomprensibile, a far fuoco su un continente.




Bum! partiva il colpo di uno dei cannoni da centocinquanta; una piccola fiamma saettava e svaniva; una sottile fumata bianca scompariva subito, un minuscolo proiettile passava fischiando, e non accadeva nulla.
Poteva accadere qualcosa?
C’era un tocco di follia in quell’azione, un’impressione di macabra buffonata nello spettacolo, che non si dissolse neppure quando qualcuno a bordo mi assicurò con grande convinzione che c’era un campo di indigeni - lui li chiamava nemici! nascosto da qualche parte.

Era come un pellegrinaggio estenuante attraverso immagini da incubo.

‘Ecco la stazione della sua Compagnia’, disse lo svedese indicando col dito tre edifici di legno, simili a caserme, sulla salita scoscesa.
‘Le faccio portare su la sua roba’.
Il mio primo colloquio con il direttore fu bizzarro. Malgrado quella mattina avessi trenta chilometri nelle gambe, non mi offrì neanche una sedia.
Era un uomo ordinario nell’aspetto, nei lineamenti, nei modi, anche nella voce. Di statura media e costituzione normale. Gli occhi, di un azzurro comune, erano freddi, forse in maniera singolare, e certamente sapeva far cadere su di voi uno sguardo tagliente e pesante come un’accetta. Ma anche in quei momenti il resto della sua persona sembrava smentirne l’intenzione. Altrimenti c’era solo un'indefinibile, sfuggente espressione nelle sue labbra, qualcosa di furtivo - un sorriso?





No, non un sorriso - me lo ricordo, ma non so spiegarlo.
Era inconscio, quel sorriso, anche se, subito dopo aver detto qualcosa, si accentuava per un momento.
Giungeva alla fine dei suoi discorsi come un sigillo posto sulle parole, per rendere enigmatico il significato della frase più banale. Era un comune commerciante, impiegato in quei paraggi fin dalla giovinezza: niente di più. Si faceva ubbidire, anche se non ispirava né amore né paura, nemmeno rispetto.
Suscitava disagio.
Ecco! Disagio.
Non una diffidenza vera e propria - solo disagio - niente di più. Non avete idea di quanto efficace tale facoltà possa essere.
Non aveva nessuno spirito di iniziativa, nessuna attitudine per l’organizzazione, neanche per la disciplina. Il che risultava evidente, per esempio, dallo stato deplorevole in cui giaceva la stazione.
Non aveva cultura, né intelligenza.
Occupava quella posizione... perché?
Forse perché non si era mai ammalato...




Erano già tre periodi di tre anni che era in servizio laggiù... Perché nella generale disfatta delle costituzioni, una salute trionfante è di per sé una forza. Quando tornava a casa, in licenza, gozzovigliava su grande scala, fastosamente. Il marinaio a terra..., con qualche differenza solo apparente. Lo si indovinava da quello che lasciava cadere nella conversazione.
Da lui non nasceva nulla, sapeva far andare avanti l’ordinaria amministrazione, tutto qui.
Però era grande nella meschina piccolezza.
Era grande per la semplice ragione che era impossibile capire che cosa facesse presa su quell’uomo. Non svelò mai il suo segreto. Forse non c’era niente dentro di lui. Ma un tal sospetto dava da pensare, perché laggiù non esistevano controlli esterni. Una volta, quando quasi tutti gli ‘agenti’ della stazione erano stati colpiti dalle varie malattie tropicali, lo si intese dire: ‘Gli uomini che vengono qui non dovrebbero avere visceri’.
Sigillò la dichiarazione con quel suo sorriso, come se avesse socchiuso la porta della tenebra di cui lui aveva la custodia. Vi sembrava di aver visto qualcosa, ma il sigillo era già stato messo.




Infastidito dalle continue discussioni sorte fra i bianchi per questioni di precedenza durante l’ora dei pasti, un giorno fece costruire un’immensa tavola rotonda, per la quale fu fabbricato un apposito edificio, che poi divenne la mensa della stazione. Dove si sedeva lui, era il posto d’onore, il resto non esisteva. Si capiva che di questo era assolutamente convinto.
Non era né cortese né scortese.
Stava zitto…. Quando non urlava imprecava e intimoriva…
Permetteva che il suo ‘servitore’, un giovane nero della costa, supernutrito, trattasse i bianchi, anche sotto i suoi occhi, con provocante arroganza.
Incominciò a parlare non appena mi vide. Avevo impiegato molto ad arrivare. Non aveva più potuto aspettarmi. Aveva dovuto andarsene senza di me. Doveva soccorrere le stazioni a monte del fiume. C’erano stati già così tanti rinvii che non sapeva chi era vivo e chi era morto, né come se la cavavano, ecc., ecc.
Non prestò alcuna attenzione alle mie spiegazioni e, giocando con un bastoncino di ceralacca, ripeté parecchie volte che la situazione era ‘molto grave, gravissima’.




Mentre mi avvicinavo al bagliore provenendo dall’oscurità, mi trovai alle spalle di due uomini che stavano discorrendo.
Sentii pronunciare il nome di Kurtz, poi le parole, ‘approfittare di questo incidente disgraziato’.
Uno dei due era il direttore.
Gli augurai la buona sera.
‘Ha mai visto una cosa simile, eh? È incredibile’, disse e si allontanò.
L’altro rimase.
Era un agente di prima classe, giovane, distinto, un po’ riservato, con una barbetta a due punte e il naso adunco. Teneva a distanza gli altri agenti che, da parte loro, dicevano che lui era la spia del direttore. Prima di allora non gli avevo quasi mai rivolto la parola. Ci mettemmo a conversare e, poco a poco, ci allontanammo dalle rovine sfrigolanti. Mi invitò allora nella sua stanza, che era nell’edificio principale della stazione. Accese un fiammifero, e notai che quel giovane aristocratico non solo possedeva un necessaire da toeletta con la montatura d’argento, ma anche una candela tutta per sé. A quel tempo era previsto che solo il direttore avesse diritto alle candele. Le pareti di argilla erano coperte da stuoie indigene: vi era appesa, come un trofeo, una collezione di lance, zagaglie, scudi, coltelli.
L’incarico affidato a questo tale, mi era stato detto, era di fabbricare mattoni; ma nella stazione non c’era traccia di mattoni, neanche un frammento, ed era già più di un anno che era lì: ad aspettare. A quanto pare, per fare i mattoni, gli mancava qualcosa, non so cosa esattamente, della paglia, forse. In ogni modo lì non la si poteva trovare, e siccome era improbabile che la spedissero dall’Europa, non mi era chiaro che cosa stesse aspettando….




….C’erano macchie luccicanti sull’acqua nera dell’insenatura. La luna aveva steso su ogni cosa un sottile strato d’argento: sull'erba folta, sul fango, sulla muraglia di vegetazione intricata che si ergeva più alta delle mura di un tempio, sul grande fiume che, attraverso una breccia scura, vedevo scintillare, mentre scorreva nel suo ampio letto senza un mormorio.
Tutto era imponente, vigile, silenzioso, mentre quell’uomo si diffondeva in chiacchiere su di sé. E io mi domandavo se quella quiete sul volto dell’immensità che ci guardava fosse una supplica o una minaccia.
Che cos’eravamo noi che eravamo andati a sperderci laggiù?
Potevamo dominare quella cosa muta o ci avrebbe dominato lei?
Sentivo la grandezza, la smisurata  grandezza di quella cosa che non poteva parlare, e forse nemmeno udire.
Che cosa conteneva?
Vedevo uscirne un po’ di avorio, e avevo sentito dire che lì dentro c’era il signor Kurtz.




Dio sa se me l’ero sentito dire! Eppure non riuscivo a immaginarmelo, non più che se mi avessero detto che lì dentro c’era un angelo o un demonio. Ci credevo come qualcuno di voi potrebbe credere che Marte è abitato. Una volta ho conosciuto un velaio scozzese che era sicuro, anzi sicurissimo, che su Marte ci fossero degli uomini. Se gli si chiedeva che aspetto avessero o come si comportassero, diventava elusivo e mormorava qualcosa tipo ‘camminano a quattro zampe’. Ma se si osava anche solo sorridere, vi proponeva subito, benché fosse un uomo di sessant’anni, di fare a pugni. Non sarei arrivato al punto di fare a pugni per Kurtz, ma per lui sono andato molto vicino alla menzogna.
Voi sapete che io odio, detesto, non tollero la menzogna; non perché io sia più retto degli altri, ma solo perché mi sgomenta. Nella menzogna c’è un odore di morte, di corruzione della carne, che mi ricorda ciò che mi fa più orrore al mondo e che cerco di dimenticare. Mi fa star male, mi dà la nausea come se avessi in bocca qualcosa di marcio. Questione di temperamento, credo.




Beh!, ci andai molto vicino, lasciando credere a quel giovane imbecille quel che più gli piaceva riguardo alle mie amicizie influenti in Europa.
In un attimo divenni anch’io parte della finzione, come il resto dei pellegrini stregati. Lo feci semplicemente perché avevo la vaga sensazione che in questo modo sarei stato d’aiuto a quel Kurtz, che pure non riuscivo a figurarmi, capite.
Era solo una parola per me.
Non vedevo l’uomo dietro a quel nome, non più di quanto lo vediate voi.
Voi lo vedete?
E la storia la vedete?
Vedete qualcosa?
È come se stessi cercando di raccontarvi un sogno, e non ci riuscissi, perché non c’è resoconto di un sogno che possa rendere la sensazione del sogno, quel miscuglio di assurdità, di sorpresa e di sconcerto nello spasimo di un’affannata ribellione, quella sensazione di essere prigionieri dell’incredibile che è l’essenza stessa dei sogni...




Restò un attimo in silenzio.
‘...No, è impossibile. È impossibile comunicare la sensazione della vita di un qualsiasi momento della propria esistenza, ciò che rende la sua verità, il suo significato, la sua essenza sottile e penetrante. È impossibile. Viviamo come sognamo: soli’.
Tacque di nuovo come per riflettere, poi aggiunse: ‘Naturalmente voi, in questa storia, vedete più di quanto io potessi allora. Vedete me, me, che voi conoscete...’.
Si era fatto così buio che noi che ascoltavamo non riuscivamo quasi a vederci l’un l’altro, e già da tempo, lui, che era seduto un po’ in disparte, non era che una voce per noi.
Nessuno parlò.
Può darsi che gli altri si fossero addormentati, ma io ero sveglio e stavo ad ascoltare, ad ascoltare, aspettando vigile e impaziente la frase, la parola che mi desse la chiave del lieve disagio suscitato da quel racconto che sembrava formarsi da solo, senza labbra umane, nell’aria greve della notte sul fiume….
(J. Conrad, Cuore di Tenebra)

















martedì 14 febbraio 2017

UN NUOVO PROGETTO: il matrimonio (14)




















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Progetti fattibili (13)

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Un nuovo progetto: il matrimonio: purezza & castità (15)














No!
E’ vero, non toccava a lei per prima, aprire il libro dei conti della vita, ed io non chiesi la contropartita…
Passai la sera in un caffè, per le strade proprio il giorno di San Valentino ultimo dei santi ultimo dei patroni ultimo dei luoghi ove avrei voluto stampare o scrivere un libro, meditavo per il vero il problema della decadenza…
Perché tanta pena lancinante alla vista di un uomo che cade!
Perché in ciò c’è qualcosa ‘contro natura’ almeno così ciarlano e scrivono giacché propria quella reclama vendetta per una verità negata: il falso ordine delle cose scritto nell’errata interpretazione della natura esige il progresso (ed io odio il loro progresso…), lo sviluppo, ed ogni passo indietro tradisce la ‘decomposizione’ delle forze nell’inganno della fine scritta nel ‘futuro’ al teatro ove scrivo il copione nel falso loro progredire: recita ad un palcoscenico odiato quanta la vista incompiuta che tal matrimonio suscita…




Così nella vita sociale, in cui ciascuno aspira all’alto materialmente e moralmente ne deriva il sentimento tragico dinanzi ad una caduta, tragica come l’autunno, la malattia, la morte. Questa donna, che non ha ancora trent’anni, che ho veduto giovane, franca, leale, forte, educata, eccola già degradata, caduta in basso nel giro di pochi anni… Ma in realtà appare in alto all’atto ove instancabile interprete dell’Opera incompiuta: orgasmo consumato e poi fugacemente rinnegato giacché la donna vittima del proprio ed altrui teatro…
Scusatemi non vado di fretta forse è lei cotal vergine appena venuta io solo vittima della sua furia… Io son lento e non posso rischiare proprio in questo giorno benedetto dal santo di turno un nuovo tribunale ove la parola come ben avete letto stampata e rivenduta nonché inquisita…
Comunque ebbe la tentazione di attribuire a me la colpa, per attenuare la sua ‘venuta’, il che mi avrebbe confortato, forse è la qualità non certo la quantità che si sposa con il tradizionale talento…




E questo è sicuramente vero!
Procediamo…
Perché non ero in grado, proprio per ciò appena detto, di eleggermi a capro espiatorio! Giacché ero io che le ispiravo il culto del bello, di ciò che è superiore, e generoso, reale, autentico, mentre lei adottava i modi incolti della serva, dei guitti, dei ciarlatani; io andavo nobilitandomi, apprendendo buone maniere dell’alta sapienza, lei si dilettava alla più infima deficienza spacciata per intelligenza…
Negli amori pensieri riflessioni gesti ed intenti ispiro linguaggio cortese, imponendomi la misura che ostacolano gesti e linguaggi, che frenano le emozioni: la scienza delle persone elevate.
Ma lei è solo carnale istinto, sì carnale in quanto ne fa ampio consumo e mai digiuno: banchetti ove gli istinti sempre appagati e il pensiero governato e conteso nel verbo fra un primo e un secondo elemento e meditate quel che dico perché non certo si ragiona di elevata filosofica coscienza, giacché tutto ciò che ne deriva una tavolata ‘follemente’ imbandita: a loro la magnificenza d’una panza priva di qual si voglia spirituale sostanza; a me l’Anima e il privilegio di ragionar per altro ed opposto istinto abdicato al misero osso nominato follia in codesto paradiso, ed ove, se pur nobile da una cameriera licenziato… Ed appeso su per un uncino alla macelleria della parola rivenduta ed incoraggiata dalla nuova scienza…




Sì è pur vero: nei miei amori conservo dei modi casti, riservati, sogni di altri tempi, con rispetto del pudore, attento sempre ad non offendere la bellezza e l’intelligenza non meno della convenienza, che fanno dimenticare il sottofondo animale di un’azione che per me è più un rapporto con l’Anima che col corpo, come appena detto e non recitato… alla stessa tavola ove disdico l’invito…
Così fedele al mio nome nei giorni successivi di questo innominato amore mi chiudo in biblioteca sperando che il vasto repertorio di questo ‘vocabolario’ da osteria non invada l’Eternità dello Spirito e Dio!
Porto tutto il lutto del mio amore di ugual colore non di una donna ma di una portiera… Amore superbo, folle e celeste!
Tutto defunto è sottoterra: per lei ossa e costole divorate e sacrificate nel fugace pasto in nome del suo Dio; per me Spiriti di altri tempi…




Sì proprio questo il nostro confine principio di codesto confuso delirio… Il campo di battaglia, dove si sono svolte lotte amorose, non campi di fragile primavera o bianco immacolato annuncio di un Dio, ma il sapore un po’ ubriaco del suo vino non certo gradito quando aleggia come un fumo denso nell’intervallo del Secondo… arrosto saporito…
Due morti, tanti, troppi feriti per soddisfare i bisogni sessuali d’una donna che non vale due scarpe rotte. Almeno avessero, i suoi appetiti, un fine che li giustificasse a parte l’istinto…, la procreazione…, almeno così dicono…
Sì è pur vero la odio!
Voglio dimenticarla!
Ora dicono che l’acclamata carriera teatrale è finita ed io pago le conseguenze: reclamano più emancipazione nonché fruttuosa procreazione e sesso inciso a codice a barre e rivenduto in ogni mercato senza per questo nominarlo con il vero nome che più gli si addice qual moneta coniata in questo pornografico sacrificio diluito per ogni parabola consumata in onor del progresso scusate ma che dico: dell’amore…
Ma la colpa è mia, perché lei si è sposata con me!




La parte che per lei avevo scritto è caduta nel dimenticatoio e per forza: l’aveva rovinata con un’interpretazione ad alto rischio acrobatico, per certe esibizioni bisogna aver cognizione dell’amplesso nominato progresso…. Ove l’amore finisce e si contorce ed avvinghia in un qualcosa di molto più meccanico, nulla del povero Cartesio che neppur chiamo in causa nel suo piccolo inferno, ma vera meccanica intrisa e distribuita ad orari industriali propizi ove la distribuzione sfiora l’orgasmo reclamato sul viso allietato e ben illuminato dell’iniziato…
Infatti proprio in quest’epoca comincia ad affacciarsi la grande baggianata denominata ‘questione femminile’, frutto di una commedia scritta dal trombone norvegese. La monomania delle ‘donne’ soggiogate dal maschio cattura i rammolliti. Non mi lascio raggirare, perciò vengo tacciato di misoginia…
Durante una lite, in cui mi sono permesso di dire alla diletta amata in questo giorno a Valentino dedicato, si esibisce in una scena di grande isteria. Ed ecco che si rivela la più importante nonché indiscussa scoperta del diciannovesimo secolo nel campo della terapia neurologica. Ed è semplice, come tutte le scoperte importanti. 




Tra le urla della malata, io impugno una caraffa d’acqua e con voce tonante pronuncio la parola magica:
‘Piantala o ti annaffio!’.
Le urla cessano di colpo ed uno sguardo pieno di ammirazione, di riconoscenza affettuosa e di odio mortale scaturisce dall’occhio della mia adorata. Ho paura ma il maschio, che si è ridestato, non molla la presa e anche questa volta impugno la caraffa e grido:
‘Basta con queste smorfie o ti annego!’.
Si alza ma soltanto per darmi del mascalzone, del furbastro, del miserabile: buon segno, la cura ha funzionato!
Uomini ingannati o non ingannati, fidatevi di me, che son vostro amico sincero e devoto poiché vi ho rivelato il prezioso mezzo che guarisce la grande ipocrisia.
Tenetelo caro!
Da questo momento la mia morte è iscritta nel carnet di una donna nella veste dell’intera società così rivenduta ed anche prostituita e l’adorata comincia a detestarmi! Il sesso femminile tutto intero, ha votato il mio annientamento, così ora trascorre il suo improprio tempo a torturami a morte…
Forse questa ‘autodifesa’ prosegue giacché l’isterica ora scalcia e reclama il proprio ed altrui appetito ed a chi nel teatro di questo delirio assiso una tavola indico e abdico l’innominato e taciuto istinto giacché il pensiero non ancora nato e l’amore in attesa di esser cotto allo spiedo di un sesso con tanti troppi numeri e nessun naturale sentimento per esser celebrato…

(A. Strindber, l’autodifesa di un folle)
















mercoledì 8 febbraio 2017

COMMENTI SENZA... COMMENTI (12)






































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Perché tanta insoddisfazione? (11)

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Un progetto fattibile (13)












9 aprile 1968

...Mentre le ceneri fumavano ancora, i saccheggi dei negozi continuavano e in alcune città americane si lanciavano molotov, su Atlanta convergeva un tale numero di aerei privati con a bordo persone dirette al funerale di Martin Luther King che alcuni dovettero girare sopra la pista tre quarti d’ora prima di ottenere il permesso di atterrare. Trasportavano Nelson Rockefeller, George Romney, Eugene McCarthy, Hubert Humphrey e ...Robert Kennedy: secondo l’Atlanta Constitution, era ‘il più grande raduno di candidati presidenziali mai verificatosi’.
 Il funerale di King creava non poche difficoltà anche a Kennedy. I tumulti avevano complicato parecchio la sua strategia, ovvero fare iscrivere agli elenchi un numero record di neri e contemporaneamente riconquistare molti dei lavoratori bianchi che nel 1964 erano passati all’ex governatore dell’Alabama, George Wallace.




Questi ‘backlash voters’ vedevano già Kennedy come il campione dell’elettorato nero. I filmati che lo ritraevano mentre parlava agli afroamericani di Indianapolis e mentre camminava per le vie di Washington in testa a una folla nera avevano rafforzato questa impressione; la sua presenza al funerale di King avrebbe rappresentato un’ulteriore conferma…
Nei giorni successivi ai disordini, i membri di ambedue i partiti avevano tenuto discorsi forti sul mantenimento della legalità e dell’ordine. Anche Kennedy aveva dichiarato che la violenza era ‘inaccettabile’, ma aveva sempre collegato questa affermazione a una denuncia ugualmente decisa dell’ingiustizia razziale. Anche lui partecipava con riluttanza ai riti funebri e, dopo avere assistito al suo arrivo, Remer Tyson dell’Atlantic Constituition, scrisse che le sue mani inquiete e i suoi occhi tristi mostravano ‘quanto presente dovesse essere il pensiero dell’assassinio del fratello, quando scese da quell’aereo’.




Nelle successive ventiquattro ore non vi sarebbe stato quasi un istante in cui a Kennedy non fosse ricordato il fratello defunto. Lo condussero dall’aeroporto a casa Coretta Scott King, dove una delle amiche della vedova gli riferì che, dei 12.000 telegrammi che la signora King aveva ricevuto, quello che più l’aveva commossa era stato quello inviato dalla madre di Lee Harvey Oswald:
…Ethel indicò degli appartamenti sopra una fila di negozi danneggiati dalle fiamme e chiese: ‘Chi abitava lì, dei bianchi?’.
‘No! Gente nera’ gridò la folla.
Delle donne si sporgevano dalle finestre gridando: ‘Quello è Kennedy?’. Poi quando videro che si trattava proprio di lui lo salutarono gesticolando e lo acclamarono. Si fermò in uno dei pochi negozi di alimentari ancora aperti.
Uno degli uomini in fila gli prese la mano e disse: ‘Anch’io ho dieci figli e voglio una vita migliore per loro’.
Una donna lo fissò incredula, ‘Sei proprio tu?‘ chiese. ‘Sapevo che saresti stato il primo a venire caro’.




 Raggiunto un punto in cui la strada saliva, Kennedy e Fauntroy si bloccarono, all’improvviso interdetti alla vista di un panorama di distruzione che quasi lambiva la Casa Bianca. Fauntroy domandò a Kennedy come stesse andando la campagna e lui rispose che procedeva bene e che se avesse vinto nell’Indiana e nel Nebraska pensava di poterci riuscire nell’Oregon e in California, e a quel punto avrebbe potuto ottenere la nomina a candidato.
Fece poi una pausa, come a ponderare attentamente le prossime parole, poi disse: ‘Ma c’è un problema’.
‘Di che cosa si tratta, Bobby?’.
‘Temo che ci siano dei fucili tra me e la Casa Bianca’.
Fauntroy rimase di sasso, stupito che Kennedy avesse espresso quella paura silenziosa che covava in chiunque lo conoscesse, camminasse con lui in mezzo alla folla, gli stesse accanto sull’angolo di una strada circondato da alti edifici o viaggiasse con lui su una decappottabile.




Se questa fosse stata l’unica volta in cui Kennedy si espresse in questo modo, si sarebbe potuta liquidare la frase come un’esagerazione, alimentata dalla morte di King e dalla vista delle truppe armate che in quello stesso momento circondavano la Casa Bianca.
Ma la notte dell’assassinio aveva confidato a Joan Braden: ‘Potevo essere io’, e solo un mese dopo avrebbe detto allo scrittore Romain Gary: ‘Non c’è modo di proteggere un candidato nel corso della campagna. Devi concederti alla folla e da quel momento deve correre i tuoi rischi… Lo so che prima o poi subirò un attentato. Non tanto per ragioni politiche ma per contagio, per emulazione’.
...Pochi politici sono stati amati e odiati con la passione che è stata rivolta a Bobby Kennedy, o si sono fatti nemici pericolosi quanto Jimmy Hoffa e J. Edgar Hoover. Un informatore dell’Fbi riferì che il capo degli autotrasportatori, Jimmy Hoffa, aveva esclamato: ‘Devo occuparmi di quel figlio di puttana di Bobby Kennedy… Non ha nemmeno delle guardie intorno a casa. Siete pratici delle bombe al plastico?’.
Le minacce raggiunsero l’apice dopo che Kennedy cominciò la corsa alla presidenza…
(T. Clarke, L’ultima campagna)

















venerdì 3 febbraio 2017

CORRI UOMO CORRI! (8)









































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Corri uomo corri! (1/7)

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Polizza 'Walker' (9)













Il Big Bass Club si trovava sulla Centoventicinquesima strada nei pressi dell’Ottava Avenue, proprio nel cuore di Harlem. Aveva la sagoma di un contrabbasso incastonato all’interno di una parete di piastrellata. Nella vetrinetta che fiancheggiava l’ingresso erano appese numerose fotografie delle attrazioni che era solito ospitare. E, nella sua foto, Linda Lou Collins aveva una tale somiglianza con Pearl Bailey da far sorgere qualche legittimo dubbio sulla buona fede dei gestori del locale. L’entrata dava su una sala anch’essa a forma di contrabbasso da un lato, il ricurvo bancone del bar; dall’altro, una sfilata di separé. Sulle pareti erano dipinte, a mo’ di ‘murale’, le prime otto battute di svariati successi di blues.




In fondo alla sala, un tendaggio nascondeva l’accesso a un privè il cui unico requisito d’ammissione era il danaro. Si trattava di tutto un altro mondo, un vero proprio night-club per i ricchi di Harlem, unico sulla faccia della terra. L’atmosfera era allo stesso tempo sensuale e animalesca, l’aria pesante, densa, ricca di aromi, pungente e profumata. Il luogo pullulava di tori che tenevano d’occhio le proprie giumente. Tori addomesticati, certo, ma pur sempre pericolosi. Ogni uomo aveva in tasca un coltello, e recava su di sé le cicatrici di tante battaglie. E le mammelle di ogni giumenta erano rigonfie di sesso, odoravano di stalla; giumente che erano state montate un'infinità di volte e non aspettavano altro che essere montate ancora e ancora. Tori che il più delle volte sembravano belli tranquilli, come rinchiusi in qualche recinto. Ma la violenza era sempre nell’aria, un’aria fragrante di fumo e di whisky. Era un ritrovo per gente che trafficava nel vizio: papponi, giocatori d’azzardo, delinquenti di media e piccola tacca, madame e prostitute. Esclusa la borghesia nera, costoro erano gli unici a potersi permettere un posto del genere. I prezzi erano troppo alti per la classe operaia. Ma i negri della classe media - uomini d’affari e professionisti, medici, avvocati, dentisti e necrofori - loro sì, che si facevano vedere ogni volta che gli saltava il ghiribizzo di far baldoria nei bassifondi. L’intrattenimento era un buon livello, anche se calibrato per un pubblico nero. Quindi, doveva essere buono per forza. Gli avventori non facevano altro che starsene lì a sbevazzare, ascoltare la musica e sgranocchiare pollo fritto. A divertirli, ci pensavano le varie attrazioni del locale. Il ballo non era previsto. Chi voleva ballare, veniva invitato dal direttore a muovere il culo e andarsene al Savoy Ballroom. Laggiù sì che c’era un sacco di posto. Nessuno si azzardava a flirtare con le donne altrui.




…Quando Walker spinse di lato il tendaggio del privè, Linda Lou ....stava cantando. ‘Come to me, my melancholy baby........’.
…Nessuno dei due aveva tempo da perdere là dentro!
Al terzo piano passò nel corridoio e si diresse alla porta dell’appartamento di Linda Lou. Quando la ragazza che aveva da poco finito il suo numero aprì la porta si aspettava di trovarsi di fronte a Jimmy. Sotto un kimono semislacciato, era completamente nuda. Voleva che Jimmy facesse l’amore con lei, e temeva di essere respinta ancora una volta. Temeva il ripetersi di una nuova scenata. Alla vista di Walker, la tensione che la logorava in un istante il punto di rottura, provocandole un nuovo attacco isterico.
‘Oh, è lei il cattivone’, disse senza fiato.
Lui s’irrigidì per un attimo, ma si rilassò non appena la vide esplodere in una risata altrettanto isterica.
‘Certo sono il mostro in persona’, disse con un sorriso triste.




Entrò in casa senza aspettare un invito, e si chiuse la porta alle spalle. Il suo sguardo opaco si lanciò in un veloce e professionale esame di quella stanza così piena di cianfrusaglie.
‘Non faccia caso al mio comportamento’, disse lei con voce strozzata.
‘E’ del tutto naturale. Prenda pure una sedia e si metta a suo agio’.
E’ un po’ stordita pensò lui.
Linda annaspò alla cieca verso l’ottomana e si sedette sull’orlo, nascondendo il volto tra le mani. Aveva le cosce in piena mostra, lisce e marroni com’erano, ma sembrava disinteressarsi della cosa. Le spalle curve tremavano come in preda alle convulsioni. Walker le andò accanto e gliele accarezzò con calma. Sotto il sottile nailon del Kimono riusciva a sentire il suo corpo vibrante.
‘Non avrebbe dovuto mettersi a litigare con lui’, disse.
‘Litigare con lui? Io?’ singhiozzò lei. ‘Cristo santo! Sono a malapena riuscita ad aprire bocca’.
‘Avrebbe dovuto aspettarselo fin da subito’, disse lui, continuando ad accarezzarle le spalle. ‘E non andare su di giri’.
‘Non andare su di giri? Mica capita tutti i giorni di essere piantata in asso dal tuo uomo’.
Il massiccio revolver che Walker aveva in tasca sbatteva piano contro il bracciolo dell’ottomana. Il palmo della mano gli stava diventando elettrico.
‘Tornerà’, le disse. ‘Non sa dove andare’.




Il solo pensiero la fece piangere ancora di più. Le gambe di Walker stavano cominciando a cedere. Il caldo di quella stanza lo intorpidiva. Si guardò attorno in cerca di una sedia, ma l’unica in vista occupata dal cappotto di pelliccia della ragazza. Scorse il divanetto consunto accanto al mobiletto della tv. E lo tirò a sé. Si tolse il cappello e si sedette di fronte a Linda. Le prese la mano sinistra e iniziò ad accarezzargli lentamente e con metodo, dalla punta delle dita fino al polso. Lei abbassò lo sguardo e vide le sue cosce nude. Accostò le falde del kimono.
‘E’ riuscita a farlo parlare?’ le chiese lui.
‘Parlare! Altro che, se ha parlato!’ esclamò la ragazza, scoppiando in una nuova risata isterica.
‘Non ci pensi, adesso’, disse Walker, prolungando la sua carezza fino all’avambracio nudo, per arrivare poi al gomito. ‘Non ci pensi. Troveremo il modo per salvarlo’…
…L’idea di uno psicopatico bianco che si era messo sulle sue tracce con l’intenzione di ucciderlo gli sembrava lontana come i sogni del giorno prima… Se in quel momento avesse intravisto Walker sarebbe stato capace di andargli incontro e prenderlo a cazzotti sui denti. Che strana cosa, pensò. L’aveva raccontato a un sacco di gente, com’erano andate davvero le cose su quei delitti. Alla sua ragazza; al procuratore distrettuale; a questo o quell’agente o ufficiale di polizia che a turno l’avevano interrogato; all’avvocato che rappresentava la S & S. E nessuno gli aveva creduto. Eppure, era certo che gli sarebbe bastato abbordare il primo nero che passava di lì e raccontargli l’intera faccenda, per suscitare in lui quel senso di fiducia che nessun altro gli aveva dimostrato. Alzò lo sguardo e vide la sua sagoma riflessa nella vetrina. Da sotto la tesa del cappello le ciocche scappavano in ogni direzione, come lana dietro le orecchie di una pecora. Se non vado a tagliarmi questi capelli, finirò per sembrare l’unico e solo Zio Tom, disse a se stesso, e svoltò in direzione della bottega di barbiere a sud della 124sima.…




‘…Ascoltami, adesso’, attaccò….
S’interruppe subito, e lo guardò con attenzione…
‘Hai cambiato aspetto’, notò. ‘Ti sei tagliato i capelli. E io stavo qui a preoccuparmi a morte, mentre tu…’. S’interruppe. Sgranò gli occhi e gli tolse il cappello. ‘Oh, amore, hai cambiato pettinatura!’ esclamò estasiata. Gli fece scorrere le dita nel ciuffo imbrillantinato, arruffandogli la messa in piega. ‘Soffice come seta’. Gli allungò un sorriso di venerazione. ‘Amore, sei splendido’, tubò.
Lui la strinse a se. Le loro bocche si fusero in una cosa sola. In quel momento Jimmy avrebbe dato tutto quel che possedeva per ritrovarsi libero dall’orrore che lo imprigionava e dalla tremenda consapevolezza di essere braccato da un assassino…
Dopo che l’amore fu consumato le disse…
‘Sai Linda, ormai non sembri neanche più una donna di colore stai facendo il gioco di quel bastardo bianco dalla prima volta che ci hai scambiato due parole’.
‘Tu non pensi neanche che sono nera, eh?’ esclamò lei, e iniziò a strapparsi di dosso i vestiti con atteggiamento di sfida. Si fermò solo quando fu rimasta in calze e giarrettiera…. ‘L’ha ammesso, che ti sta seguendo’ disse lei senza preoccuparsi di rivestirsi. ‘Sta solo cercando di incastrare il killer, dice. Se questo discorso non ha senso, allora perché non ti ha già ammazzato?’.




‘Perché non gli è capitata una buona occasione’.
‘Allora perché non ti ha ucciso ieri sera? O stamattina? Solo perché è scivolato e tu l’hai visto? Ma che differenza vuoi che facesse, per come la racconti tu. Anzi, sarebbe stato pure contento di farsi vedere in faccia da te, mentre ti uccideva’.
‘Perché sono scappato, ecco perché. Perché sono fuggito come un fulmine per salvarmi la vita, proprio come la prima volta. E lui aveva una pistola in pugno. La stessa dell’altra volta, col silenziatore. Quella che ha usato per uccidere Luke e Fat Sam. E sparare a me….’.

…IL NOME SULLA TARGHETTA D’ACCIAIO INOX RECITAVA: 

                                     MATTEW WALKER.

Jimmy dopo la sua lunga confessione schiacciò il campanello e ne udì il suono lontano e attutito. Sentì la pistola che aveva comperato da poco premergli contro il ventre teso come una pelle di tamburo… poi con più ansia di prima e senza aver sortito effetto alcuno si avviò senza fretta su per Broadway, superando le vetrine illuminate di Woolworth e l’entrata della multisala della RKO. Giocava in casa, adesso. Era teso, ma non spaventato. Sapeva che Walker intendeva ucciderlo prima che potesse entrare in casa. Ma non era preoccupato. L’avrebbe ucciso prima lui. Il Bell’s Bar & Grill si affacciava sull’angolo di Broadway. Dietro le tende alle finestre una clientela di colore si accalcava attorno al bancone circolare. Si chinò d’istinto, e come verso l’entrata del bar. La pallottola destinata a colpirlo al cuore lo beccò invece alla spalla sinistra, in alto, e lo fece ruotare su se stesso. Jimmy perse l’equilibrio e cadde in maniera grottesca. La seconda pallottola lo colpì alla schiena, sotto la scapola destra, passò due costole e gli perforò il polmone.




….Quando il suo corpo andò a schiantarsi contro la porta a vetri del Bell’s Bar, Jimmy aveva già perso i sensi, Walker intanto s’infilò la pistola nella tasca del soprabito e attraversò con calma la corsia nord di marcia, voltò verso sud, su Broadway e continuò a camminare con noncuranza diretto all’ingresso della metropolitana…
...Un corridoio  sotterraneo collegava i seminterrati di tutti gli edifici del Peter Cooper Village. Walker entrò nella sala caldaie a tre isolati di distanza dal palazzo in cui abitavano lui ed Eva, per poi risalire dalla scala di servizio e raggiungere l’appartamento di Eva. Pose l’orecchio alla porta sul retro. Non udì alcun rumore. Usò la chiave della donna per far scattare la serratura senza rumore. Poi girò il pomello con la mano sinistra e aprì la porta in totale silenzio. Ancora con la sinistra sul pomello, estrasse la pistola con la destra e la tenne sollevata. Poi spinse in tutta fretta, la pistola spianata, ed entrò in casa. Richiuse la porta con la stessa velocità e lo stesso silenzio con cui l’aveva aperta. Si fermò nell'oscurità e trattenne il respiro per ascoltare meglio. Nessun rumore. Si trovava nella stanzetta sul retro che serviva da lavanderia. Avanzò quatto quatto, con la mano sinistra tesa davanti a sé. Appoggiò l’orecchio alla porta della cucina e si mise di nuovo in ascolto. Non poteva credere che fosse uscita. Magari si era addormentata, pensò. Era più da lei, restare seduta al buio e rimuginare chissà cosa. Aprì in silenzio la porta della cucina e, alla cieca, avanzò nella stanza. Una seconda porta dava sul lato del soggiorno che fungeva da sala da pranzo. Cercò di scorgere anche la minima luce filtrare da sotto la porta, ma l’entrata era immersa nel buio. Quindi anche le tende erano tutte tirate, altrimenti si sarebbe visto l’alone dei lampioni stradali, pensò.  Pose ancora l’orecchio alla porta. Gli parve di udire un respiro. Trattenne il fiato, e non udì più niente.




E’ una cosa che non sopporto fare, si disse…
Sarebbe stato meglio poterle sparare al buio. Rimase immobile per parecchi minuti, aspettando che il suo sesto senso gli fornisse eventuali indicazioni di pericolo. Ma non accadde nulla. Aprì silenziosamente la porta e brancolò nel buio con la mano sinistra alla ricerca dell’interruttore. La grossa piantana in fondo al canapè si accese prima ancora che la sua mano riuscisse a sfiorare l’interruttore. Proprio al centro del canapè sedeva Brock, la calibro 38 d’ordinanza dritta al cuore di Walker. 
‘Getta la pistola, Matt’, disse atono.
Walker si bloccò come se fosse diventato di pietra.
Piano piano le sue dita mollarono la presa sull’impugnatura dell’arma, che piombò sul tappeto con un tonfo. Sorrise a Brock con aria da ragazzino.
‘MA CHE ASTUTO FIGLIO DI PUTTANA’, disse a bassa voce.
‘Sicuro’, rispose Brock. ‘Occhio a quel che fai, o ci lasci le penne’.
‘Ho anche la pistola d’ordinanza’, disse Walker sorridendo. ‘Vuoi pure quella?’.
‘No’, rispose Brock, scuotendo il capo. Non mi spareresti mai con il revolver d’ordinanza.
‘Non essere troppo sicuro’, disse Walker.
‘Correrò il rischio’, disse Brock, e ripose il suo revolver nella fondina. Siediti.
Walker acchiappò una sedia da pranzo, con lo schienale rigido, e vi si mise di traverso, proprio di fronte a Brock. Poi guardò il cognato con un sorrisetto malinconico.
‘Eva ha cantato’, disse.




‘Sicuro’, rispose Brock. E cosa pensavi che facesse, che se ne restasse zitta in eterno?
‘Sapevo che avrebbe cantato’, disse Walker, ma non che l’avrebbe fatto così presto. Pensavo che avrei avuto l’opportunità di sgombrare il campo.
 ‘Sicuro’, disse Brock. Di metterla a tacere per sempre’.
‘Era l’unica cosa da fare’, rispose Walker. Così nessuno ne avrebbe mai saputo niente’.  
‘No’, fece Brock. ‘Io lo sapevo già da prima’.
Walker lo guardò interessato. ‘E’ per colpa della mia storia’, ipotizzò. ‘Sapevo che non l’avevi bevuta. Ma sapevo anche che senza Eva non potevate farmi niente.
‘No, non è per la tua storia’, disse Brock. ‘In realtà, io non avevo bevuto neanche la prima, quella che hai rifilato al procuratore. Ma quando mi hai raccontato la seconda versione, al Lindy’s, avevo già capito tutto’.
Walker parve incuriosito. ‘Razza di furbacchione. Un vero figlio di puttana, insomma. Come hai fatto, allora?’
‘Ho trovato la prostituta, quella che ti sei scopato quella sera’.
‘Ah sì? E hai saputo dov’era?’. Walker gli rifilò uno sguardo offeso. ‘E non mi hai detto niente?’.
‘Sicuro. Mica volevo farla ammazzare’.
‘E cosa sapeva?’.
‘Sapeva che avevi la pistola. Hai minacciato di uccidere anche lei, con quella. Dove l’hai pescata?’.
‘L’ho presa nel museo della Omicidi’, disse Walker.
‘E’ l’arma usata da Baby Face per far secco Jew Mike’.
‘Ah, ecco da dove veniva’.
‘Pensavo che tu avessi indovinato anche questo’, disse Walker.
‘Certo che quella notte devo aver proprio dato fuori di testa, aggiunse poi. ‘Chissà quant’altra gente ho ammazzato’....

(Chester Himes, Corri uomo corri)