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Per favorire
tale risultato gli antichi offrivano covoni di frumento, resina fragrante, il
profumo dei frutti e dei fiori e il sangue delle vittime. Il veicolo
semimaterializzato essuda lentamente dalla pelle in gocce luminose opache o si
condensa da una nube luminosa, dalla luce che si attenua con il peso e la
densità crescenti.
La strega
si spingeva oltre il medium, offrendo al fantasma che lentamente si anima
qualche goccia del suo sangue. Una volta separato dall’uomo o dalla donna
viventi, il veicolo può essere plasmato dall’anima di altri come dalla propria
con la stessa facilità e perfino, pare, dall’anima dei vivi.
Per un po’
diventa parte di quel flusso d’immagini da me paragonato a riflessi sull’acqua.
Ma come
possono ottenere immagini perfette anime che non hanno mai maneggiato strumenti
per modellare né pennelli?
Quelle materializzazioni che imprimono i volti gagliardi sulla paraffina vi lasciano sculture che, tra ideazione e fattura, avrebbero richiesto molte ore a un bravo artista. Come aveva potuto una donna ignorante, così credeva Henry More, proiettare il suo veicolo sotto parvenza di lepre così riuscita che cavallo, cane e cacciatore l’inseguirono al suono del corno?
Non si
tratta forse dello stesso problema posto da quelle scene e quei motivi
sottilmente esposti che emergono dal buio, all’apparenza portati a termine in
un batter d’occhio, mentre siamo nel dormiveglia, e da tutte quelle immagini
complesse che nei momenti ispirati o evocativi trascorrono davanti all’occhio
della mente?
I nostri
spiriti animali o veicoli altro non sono, se vogliamo, che la condensazione del
veicolo dell’Anima Mundi e danno sostanza alle
sue immagini nella tenue materializzazione del nostro pensiero comune o, più
grossolanamente, quando un fantasma ci fa visita. Una volta che queste immagini
sono calate nel nostro veicolo, non dovrebbe essere una grande impresa ritrarle
con la macchina fotografica.
Secondo Henry More una gallina spaventata da un falco mentre il gallo la monta partorirà un pulcino con la testa di falco (io non ci giurerei), perché prima che l’anima del pennuto non ancora nato possa imprimere la forma ‘la fantasia profondamente stimolata della madre’ richiama dal serbatoio universale delle forme un’immagine antagonista.
‘L’anima
del mondo’
…prosegue
‘si
frappone e s’insinua nella generazione di tutte le cose mentre la materia è
fluida e arrendevole, il che indurrebbe a credere che non stia in ozio nella
trasformazione del veicolo dei demoni ma ne assecondi fantasie e desideri,
aiutando così a rivestirli e a esprimerli a piacere; o a volte potrà andare
contro la loro volontà quando l’inanità della fantasia costringe la madre a un
parto mostruoso’.
Pur se le immagini paiono scorrere e scivolare via, forse siamo noi a cambiare in rapporto a esse, ora perdendole, ora ritrovandole con gli spostamenti della mente; e di certo Henry More è inoppugnabile laddove afferma che quelle immagini possono essere dure per chi ha il tocco giusto come ‘colonne di cristallo’ e di un colorito convincente come il nostro per chi ha l’occhio giusto.
Shelley, da
buon platonico, nelle opere giovanili sembra rimpiazzare Dio con quest’anima
generale, opinione ora sostenuta ora contestata dalle fonti classiche, stando
almeno a Cudworth, l’amico di More; ma More ci tranquillizzerebbe con una
definizione. L’anima generale in quanto separata dal veicolo è
‘una
sostanza incorporea ma esente da ragione e biasimo che pervade tutta la materia
dell’universo e vi esercita, nelle parti dove opera, un’influenza plastica, a
seconda del ventaglio di occasioni e predisposizioni, provocando fenomeni nel
mondo, grazie all’indirizzo impresso alle parti della materia e al loro moto,
che non è dato ridurre a semplici forze meccaniche’.
(W.B. Yeats)
...Nessun
mutamento!
Sono in
condizioni veramente strane.
A mano a
mano che s’avvicina la sera e odo quelle voci quei rumori quelle frasi senza
parole, quel dire assente al cogitare, quei suoni senza musica, quella vastità
naturale sottratta alla vera Natura dell’uomo senza panorama alcuno, l’uomo non certo la
Natura si ricompone inferma anche lei per cotal identico male.
Allora mi
piglia un’incomprensibile inquietudine, vorrei la mia amata Solitudine, ma quando
la notte (non meno del giorno) s’appresta i dèmoni che l’accompagnano portano
con loro, oltre la terribile minaccia, anche la natura maligna avversa al Bene che
aggredisce lo Spirito dell’uomo non meno del Dio che lo presiede (con tutta la
Creazione) assente al Tempo...
È divenuta materia in questa lotta antica!
Ceno presto
e poi cerco di leggere; ma non capisco le parole; a stento distinguo le
lettere. Comincio a passeggiare su e giù per il salotto, oppresso da un timore
vago e irresistibile, il timore del sonno e il timore del letto.
Verso le
dieci salgo in camera. Appena entrato do due mandate di chiave e serro il
chiavistello: ho paura... di che?
Fino a oggi
non ho temuto di nulla...
Apro gli
armadi, guardo sotto il letto; tendo l’orecchio... per ascoltare: che cosa?
Vado a
letto e aspetto il sonno, come se aspettassi il boia. Lo aspetto e tremo per la
sua venuta; mi palpita il cuore, mi sento le gambe percorse da fremiti; e il
mio corpo trasale, fra il caldo delle lenzuola, finché cado a un tratto nel
sonno, così come chi si getta per annegarsi in un pozzo d’acqua stagnante. Non
lo sento più venire, come prima, questo perfido sonno, che sta nascosto vicino
a me e mi spia, sta per afferrarmi la testa, chiudermi gli occhi, annullarmi.
Dormo a lungo, due o tre ore, poi ecco un sogno, no... un incubo. So bene che sono coricato e sto dormendo, lo sento e lo so; e sento pure qualcuno che mi s’avvicina, mi guarda, mi palpa, sale sul letto, mi s’inginocchia sul petto, mi afferra il collo tra le mani, e stringe, stringe con tutte le sue forze, per strozzarmi. Io mi dibatto, legato da quell’atroce impotenza che ci paralizza nei sogni; voglio gridare ma non posso, voglio muovermi ma non posso; tento, con sforzi tremendi, ansimando, di voltarmi, di scacciare l’essere che mi schiaccia e mi soffoca: non posso!
All’improvviso
mi sveglio, terrorizzato, tutto bagnato di sudore. Accendo la candela. Non sono
solo. Dopo la crisi, che si ripete tutte le notti, riesco ad addormentarmi e
sto tranquillo fino all’alba.
Le mie
condizioni si sono aggravate.
Che cosa avrò mai?
Il bromuro
non mi fa nulla; le docce non mi fanno nulla. Poco fa, per stancarmi un poco
(eppure, mi sento così stanco!) andai a fare una girata nella Foresta.
Sul
principio credetti che l’aria fresca, dolce e leggera, odorosa di erbe e di
foglie, mi versasse nelle vene nuovo sangue e nel cuore nuova energia. Imboccai
una gran pista di caccia e svoltai in direzione della Bouille, per un viale
stretto tra due schiere di alberi smisuratamente alti che interponevano un
tetto verde, fitto, quasi nero, tra il cielo e me. Mi sentii rabbrividire, non
per il freddo, ma per una strana angoscia.
Allungai il
passo, turbato di (non) essere solo nel bosco, intimorito senza motivo,
scioccamente, dalla mancanza di Solitudine. Ad un tratto mi parve d’essere
seguito, che qualcuno mi camminasse dietro, vicino vicino, sì da toccarmi.
Mi voltai di scatto.
Non c’era
nessuno.
Dietro a me
vidi il viale ampio e dritto, vuoto, alto, tremendamente colmo d’un ‘male’
immenso fattosi materia, e dall’altra parte s’allungava a perdita d’occhio
nello stesso modo, uguale, spaventoso.
Chiusi gli
occhi.
Perché?
E cominciai a fare giravolte su un tallone, a gran velocità, come una trottola. Stavo per cadere, riaprii gli occhi, e gli alberi, intorno a me, ballavano, la terra ondeggiava. Fui obbligato a sedermi. Dopo di che non sapevo più da che parte fossi venuto eppure ho trovato tutti i Sentieri.
Strano!
Strano,
strano davvero!
…Non sapevo
più nulla il male aggredisce me quanto la Natura che m’accompagna…
La
ricordavo nei minimi tratti, nei più brevi e infiniti fraseggi d’ogni Sentiero
già percorso letto come un libro…
Mi avviai
verso destra e mi ritrovai nella pista che mi aveva portato nel cuore della Selva…
Volevo
esser solo ma c’era il male…
Ho fatto
fermare davanti alla Biblioteca e sono andato a prendere in prestito il grande Libro
del Sentiero quello che già avevo percorso in un grande Esperimento cura della
loro follia….
Ah! che
nottata! che nottata! Eppure mi pare quasi che dovrei rallegrarmi. Fino all’una
di mattina ho letto e riletto Libro Grande del Sentiero.
…Dottore in
filosofia e teogonia, ha scritto la storia e le manifestazioni di tutti gli
esseri invisibili che errano intorno all’uomo, o che egli sogna. Ne descrive
origine, dominio e poteri. Ma nessuno di costoro somiglia a colui che mi ha
preso. Parrebbe che l’uomo, da quando pensa, abbia presentito e temuto
l’avvento d’un essere nuovo, più forte di lui, che debba essere il suo
successore nel mondo; e, non potendo prevedere la natura (dedita al male) di
costui, abbia creato, nel suo terrore, la fantastica popolazione degli esseri materiali,
vaghi fantasmi germinati dalla sete di potere...
Lessi dunque fino all’una di mattina, poi andai a sedermi vicino alla finestra aperta, perché il vento tranquillo della notte mi rinfrescasse la mente e i pensieri. L’aria era buona e tiepida. In altri momenti, come mi sarebbe piaciuta una simile notte! Non c’era luna. In fondo al cielo nero le stelle mandavano scintillii frementi. Chi abita in quei mondi: quali forme, quali esseri, quali animali e quali piante esistono laggiù? Quelli che pensano, in quei lontani universi, che cosa sanno più di noi? Quali poteri costoro hanno più dei nostri? Che cosa vedono, che noi non vediamo? Forse, un giorno o l’altro uno di costoro attraverserà lo spazio ed apparirà sulla terra per conquistarla, come i normanni, nei tempi lontani, varcavano i mari per asservire i popoli più deboli.
Siamo tanto
deboli, tanto disarmati, ignoranti e piccoli, noi, su questo granello di fango
sciolto in una goccia d’acqua!...
Fantasticando
a questo modo, carezzato dal fresco venticello della sera, m’addormentai.
Avrò dormito per circa quaranta minuti, quando riapersi gli occhi, senza muovermi, ridestato da uno strano e confuso turbamento. Sulle prime non vidi nulla, poi mi parve che una pagina del libro, ch’era rimasto aperto sulla tavola, si fosse voltata da sé. Dalla finestra non era entrato nemmeno un soffio d’aria. Restai sorpreso; e aspettai. Dopo circa quattro minuti, vidi, vidi, sì, vidi con questi occhi un’altra pagina sollevarsi e posarsi sulla precedente, come se un dito l’avesse sfogliata. La poltrona era, pareva vuota; ma capii che c’era lui, seduto al mio posto, e stava leggendo. Con un salto furioso, un salto da bestia ribelle che stia per sbranare il domatore, traversai la stanza per acchiapparlo, per stringerlo, per ammazzarlo!... Ma, prima che potessi arrivarci, la poltrona si rovesciò, come se qualcuno stesse scappando... la tavola traballò, il lume si rovesciò, si spense e la finestra si chiuse, come se un malvivente, sorpreso, fosse fuggito nella notte, afferrandosi alle imposte e tirandole a sé.
Dunque, era
scappato... aveva avuto paura; paura di me, lui!
Allora...
domani, o dopo... un giorno qualunque... potrei stringerlo fra le braccia, e
schiacciarlo contro il suolo!
Non capita
che anche i cani, certe volte, mordano e strozzino i loro padroni?
(G. de Maupassant)