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in Amazzonia
& una intervista
Prosegue con cosa
possiamo e dobbiamo fare
Ragion per
cui le sue considerazioni in merito possono essere lette e giudicate sotto
quest’ottica, diversa e aliena di chi lo ha preceduto, ma visto lo stato e non
solo del variegato universo vegetale di cui partecipe, il suo occhio fu
coinvolto anche nel ruolo che forse meno gli compete, in quanto uomo della
Natura ma alieno e ‘straniero’ anche lui al mondo civilizzato da cui fuggito.
Fu miope, certo, ma di una miopia non sicuramente e paradossalmente prossima
all’altrui accecata vista con cui taluni fondarono (e fondano ancora e non solo dalla riparata Florida) lingua e
presunta civiltà terrena per ogni predata e morta natura.
Edificando
morte violenza!
Per questo
non è più il Muir che conoscevamo,
quasi, se mi è concesso il paragone, un ‘indigeno’ locale naturalizzato
americano futuro pioniere e colono in nome e per conto della Natura, ed a cui
la promessa di ‘tutela’ ammirevole per ciò che seppur divide unisce il resto
della ‘civiltà’ (rivolta in medesima
conquista) da lui distante e sempre fuggita (le ‘eretiche’ inusuali note in tal senso non
mancano e senza precedenti…), solitamente e per come sempre
conosciuta (per taluni solo disconosciuta)
ogni ‘affermazione’ e non solo colonica in nome della ricchezza.
Muir ha sempre fuggito questo aspetto.
Il futuro
grande pioniere dell’Ecologia (con la ‘E’ maiuscola) quale estasiato ammirato ambasciatore
della Divina bellezza e rapito dalla voce di Madre Natura profondamente pagano
quasi animista nell’animo, scopre con sempre maggiore meraviglia la sua voce,
in considerazione di taluni non trascurabili particolari come la riacquistata
vista, i quali hanno maturato il voto dell’uomo futuro Profeta e Santo apostolo
dell’intera Natura; abdicare questo non certo remoto rinnegato profilo ad un Muir che conosce fama e notevole
considerazione in patria che lo rendono diverso ed accorto, e in qual tempo
maggiormente civilizzato; non dimentichiamo che molti profitti derivano dai
proventi di interviste conferenze e articoli di giornali, i quali sempre
sottoposti al severo giudizio del loro (seppur
limitato) tempo, compresa ogni infruttuosa critica, più o meno indiscreta,
di chi accolse la sua visione e fondata prospettiva…
Diversa dal dominio posto nella fondamentale
differenza che questa volta unisce e non divide, giacché le visioni di una
ugual medesima prospettiva talvolta si dividono e non più coincidono, come ogni
‘dottrina’ da cui cogitiamo e da cui ognun deriva, seppur dopo e solo successivamente
solo pochi assumeranno lucida profetica consapevolezza d’una diversa verità non
rivelata, inesprimibile immateriale e
difficilmente comprensibile, non facilmente rapportabile all’uomo, almeno ché
questo non sia un eremita asceta o profeta apostolo del Dio per sempre
mortificato per ogni Elemento profanato. Chi invece estraneo e dalla Natura
rivelato diverrà profeta d’un diverso Creato, in nome e per conto del vero Dio
pregato che in Lei dimora; e non più di quanto l’humano impropriamente ha fondato
e fonda ancora. Lo abbiamo letto abbondantemente evidenziando aspetti
simmetrici e non comuni in questo e altro filosofico Dialogo, per cui non è
bene dilungarci in un aspetto incomprensibile per come abituata la corrotta
vista dell’odierna passata presente e futura civiltà…
Che
dall’apparente tutela si abdichi una intera vita alla colonica prospettiva qual
ambasciatore dell’amazzonica civiltà, o un suo portavoce, Muir ne è alieno e distante, solamente come fu per Emerson e l’attesa sua visita, anche Muir è divenuto un Albero ma non certo di scimmie ammaestrate, per cui anela ad un
anello mancante, là ove per l’appunto l’Albero
sopravvissuto e le scimmie ne tentano la secolare conquista, non riuscendovi
nella saggezza sino alla chioma della Cima, preferiscono il rogo che al meglio
o al peggio li contraddistingue nell’insano gesto Amazzonico!
Per tutto
ciò detto, mi soffermerei su talune memorabili pagine di Muir, il quale oltre ad esaltare il ruolo della Natura, nel suo
aspetto meno economico, ne descrive i suoi formidabili infaticabili Gèni per
ogni tana e riparo, quali non più cibo del corpo ma sano e più forte nutrimento
nella forza dell’illuminato - e da loro ispirato Intelletto -; gli esiliati
covi di mafiosi e tiranni abdichiamoli all’insana civiltà che si palesa nella
sua ostentata volgarità ogni giorno offerta!
Ne facciamo
volentieri a meno!
I cervi della Sierra - la coda nera - trascorrono
gli inverni nella regione cespugliosa ed estremamente aspra appena sotto la
cintura principale del bosco, e lì sono meno accessibili ai cacciatori rispetto
a quando attraversano le foreste relativamente aperte da e verso i loro pascoli
estivi vicino al vertici della catena.
Salgono le montagne all’inizio della primavera
quando la neve si scioglie, senza aspettare che tutto scompaia; raggiungendo l’alta
Sierra verso i primi di giugno, e le rientranze più fresche alla base delle
vette circa un mese dopo. Li ho seguiti per miglia su neve compatta da tre a
dieci piedi di profondità.
I cervi sono grandi alpinisti, che si fanno
strada nel cuore delle montagne più aspre; cercando non solo pascoli, ma un
clima fresco e luoghi sicuri e nascosti in cui partorire i loro piccoli. Non
sono supremi come animali che si arrampicano su roccia, occupano il secondo
rango, cedendo il primo alle pecore di montagna, che dimorano sopra di loro
sulle rupi e sui picchi più alti. Tuttavia, i due si incontrano spesso, poiché
il cervo si arrampica su tutte le vette tranne le alte vette sopra i ghiacciai,
attraversando mucchi di macigni spigolosi, ruscelli ruggenti e rigonfi e canyon
dalle pareti ripide per guadi e passi che metterebbero a dura prova i nervi
degli alpinisti più arditi, - arrampicandosi con aggraziata facilità e riserva
di forze che non possono non suscitare ammirazione.
Ovunque, alcune specie di cervi sembrano essere
di casa, su terreni accidentati o lisci, pianure o altopiani, nelle paludi e
nelle lande e nei boschi più fitti, in climi variabili, caldi o freddi, in
tutto il continente, mantenendo una salute grandiosa, senza mai fare un passo falso.
Stare in piedi, sdraiarsi, camminare, nutrirsi, correre anche per tutta la
vita, è sempre invincibilmente aggraziato e aggiunge bellezza e animazione a
ogni paesaggio, un animale affascinante e un grande merito per la natura.
Non vedo mai uno dei comuni cervi dalla coda
nera, l’unica specie del Parco, senza provare un rinnovato senso di
ammirazione; e siccome non porto mai un fucile li vedo bene: sdraiati sotto un
ginepro o un pino mugo, tra gli aghi bruni sull’orlo di qualche rupe o all’estremità
di un crinale che domina un’ampio panorama; nutrendosi in aperture soleggiate
tra chaparral, selezionando delicatamente foglie e ramoscelli aromatici; mentre
conducono i loro cerbiatti vicino* dalla mia
strada (*in versione originale: lontano; ma visto il
nostro Dialogare con il vento wind permettendo, hora mi vagano d’attorno, mi
scrutano le viscere e aspettano, oracoli d’un tempo trapassato: l’ode del loro
poeta e cantore in dubbia associazione digiuno e un po’ avvilito; il ‘delinquere’
se la gode con le più note sanguigne allodole; il mistero quantunque annunziato,
seppure mi dicono i vigili colonnelli del ramo più alto, non ancor denunziato, appare vigilato ad ogni richiamo sempre più acuto,
per me solo poema divino; prometto riso scondito e briciole di pane, mentre il
vero letame s’affoga nelle ossa profumate e tritate cotte al marinato sangue; il
Fiume scorre non lontano dall’invisibile nostro cammino, così solo per dirmi
fors’anche dimostrarmi, che Dio ha una voce e un segreto digiunato Verbo, e non
tutto ciò può consolarne un diverso appetito comandato da un Primo ad un
Secondo più ingordo e mal nutrito; che, seppur tutto scorre ognuno ha un
compito, e gli Dèi non meno dei Santi Dèmoni, vigilano e sorvegliano il lento
calvario cotto allo scoglio siciliano fino al nobile padano; io mi inchino e li
ringrazio, compongono un Verso e Tomo in
loro onore… il disonore del patrio italico suolo ci addita e calunnia a tele-comando
della più nobile parabola al canone pre-pagato; l’italico innocente popolo si
rifugia, intanto, nella tana di Stato: borghesucci accentati non men che
accentuati ben vestiti & mascherati urlano ad un pazzo non ancora ben cotto
al rogo della fiamma tricolore, forse indigesto e scondito; il Lupo con cui mi accompagno,
tormento della pascolata preziosa pecunia ogni dì contata, fiera al soldo dell’autoritario
padano, buono e non solo per la polenta, bensì al soldo della preziosa rincorsa
salsiccia al centro del piatto preferito saziare l’indipendenza dalla fame d’un
Stato nemico e con più nobile pretesa d’appetito; il Lupo, come dicevo,
braccato dal più genuino Denaro, mi fa cenno se deve azzannare il prode
cacciatore offeso tormentato ma ben riparato, compresa la vigilata pecunia per
ogni elegante e ricca distinta vallata; mi è stato donato per questo, io di
rimando chiedo perdono per tutto ciò che dicono e vado al mio segreto riparo
vergognandomi dell’insana morbo che appesta ogni Verso nutrito con l’accento
siculo-bergamasco…) o farli sdraiare e nascondersi; balzando oltre
attraverso la foresta, o curiosamente avanzando e ritirandosi ancora e ancora.
Una mattina, mentre stavo facendo colazione in un
piccolo giardino sul Kaweah, circondato da una siepe di chaparral, ho notato la
testa di un cervo che si infilava tra i cespugli, i grandi occhi belli che mi
fissavano. Rimasi fermo e il cervo si avventurò in avanti di un passo, poi
sbuffò e si ritirò. Tornò dopo pochi minuti, ed entrò nel giardino aperto,
camminando con grazia infinita, seguita da altri due. Dopo essersi mostrati per
un momento, scavalcarono la siepe con sbuffi acuti e timidi e scomparvero. Ma
la curiosità li riportò con un altri due ancora, tutti e quattro entrarono nel
mio giardino, e, convinto che non intendessi far loro del male, cominciarono a
nutrirsi, facendo addirittura colazione con me, come pecore docili e mansuete
attorno a un pastore, mi facevano tesoro d’una associata compagnia rara e
certamente la più aggraziata nei movimenti e negli atteggiamenti che si possono
scorgere per altre innominate Compagnie.
Li osservavo avidamente mentre si nutrivano di
ceanothus e ciliegio selvatico, scartando con delicatezza singole foglie qua e
là dal lato della siepe, girandosi di tanto in tanto per spedire qualche foglia
di menta dal mezzo dei fiori del giardino. Erba che non mangiavano affatto. Non
c’è da stupirsi che il contenuto dello stomaco del cervo venga mangiato dagli
indiani.
Mentre esploravo il canone superiore della
forcella nord del San Joaquin, una sera, il cielo minacciava pioggia, cercai un
letto asciutto, e scelsi un grosso ginepro che era stato spinto giù da una
valanga di neve, ma riposava ostinatamente in ginocchio abbastanza in alto da
lasciarmi sdraiare sotto il suo largo tronco. Proprio sotto il mio riparo c’era
un altro ginepro proprio sull’orlo di un precipizio, e, esaminandolo, vi trovai
sotto il letto di un cervo, completamente protetto e nascosto da rami pendenti,
un bel rifugio e vedetta oltre che luogo in cui riposare.
Circa un’ora prima che facesse buio udii lo
sbuffare chiaro e acuto di un cervo e, guardando in basso sul fondo cespuglioso
e roccioso del canyon, scoprii una cerva ansiosa che senza dubbio aveva i suoi
cerbiatti nascosti nelle vicinanze. Balzò oltre il chaparral e su per il pendio
più lontano del muro, fermandosi spesso a guardare tornate indietro e
ascoltate, un bel quadro di vivida, avida prontezza. Sedevo perfettamente
immobile, e siccome la mia camicia era colorata come la corteccia di ginepro,
non mi si vedeva facilmente.
Dopo un po’ venne cautamente verso di me,
annusando l’aria e pascolando, e i suoi movimenti, mentre scendeva lungo il
pendio del canyon sopra mucchi di massi con cespugli e legname caduto, erano
mirabilmente forti e belli; non si è mai sforzata o ha fatto sforzi apparenti,
anche se saltava in alto qua e là. Mentre si avvicinava annusava ansiosamente, seguendo
l’aria in diverse direzioni finché non captò il mio profumo; poi balzò via e
svanì dietro un boschetto di abeti. Presto tornò con la stessa cautela e la
stessa insaziabile curiosità, andando e venendo cinque o sei volte. Mentre
sedevo ad ammirarla, uno scoiattolo Douglas, evidentemente eccitato dai suoi
rumorosi allarmi, si arrampicò su un masso sotto di me.
Verso la fine dell’estate indiana, quando i
giovani sono forti, i cervi cominciano a radunarsi in piccoli gruppi di sei,
quindici o venti, e all’avvicinarsi della prima tempesta di neve si mettono in
marcia giù per le montagne verso le residenze invernali, indugiando di solito su caldi pendii e
speroni otto o dieci miglia sotto le cime, come se fossero riluttanti ad
andarsene. Verso la fine di novembre, una tempesta pesante e di vasta portata
li spinge giù in fretta lungo le creste divisorie tra i fiumi, guidati da
vecchi cervi esperti la cui conoscenza della topografia è meravigliosa.
Ci sono pantere, volpi, tassi, istrici e coyote
nel Parco, ma non in gran numero. Ho visto alcuni coyote all’interno della
catena in cime al Tuolumne Meadows già il 1 giugno, prima che la neve fosse
sparita, mentre si nutrivano di marmotte; ma sono molto più numerosi nelle
pianure abitate intorno alle fattorie, dove si dilettano di galline, tacchini,
uova di quaglia, scoiattoli di terra, lepri, ecc., e tutti i tipi di frutta.
Poche pecore selvatiche, temo, sono rimaste qui intorno; poiché, sebbene al sicuro
sulle alte vette, sono spinti giù per il versante orientale delle montagne
quando i cervi sono spinti giù per quello occidentale, verso creste e speroni
periferici dove la neve non cade a grande profondità, e lì sono a portata di
mano dei fucili degli allevatori.
Due scoiattoli del Parco, il Douglas e il grigio
California, mantengono vivo tutto il bosco. Il primo è di gran lunga più
abbondante e più diffuso, trovandosi dalle pendici fino ai pini nani sulle cime
sommitali. È il più influente degli animali della Sierra, sebbene piccolo, e il
più brillante di tutti gli scoiattoli che conosco, uno scoiattolo di
scoiattoli, un condensato di vigore di montagna e valore, puramente selvaggio e
libero da malattie come un raggio di sole. Non si può pensare che un tale
animale sia mai stanco o malato. Reclama tutti i boschi ed è incline a
scacciare anche gli uomini come intrusi.
Come sono severi i suoi rimproveri e che facce
che fa!
Se non così comicamente piccolo sarebbe un tipo
terribile.
Il grigio, Sciurus fossor, è il più bello, credo,
di tutti i grandi scoiattoli americani. È qualcosa di simile al grigio
orientale, ma è di colore più luminoso e più chiaro, più agile e snello. Abita
nei boschi di querce e pini fino a un’altezza di circa cinquemila piedi sopra
il mare, è piuttosto comune nella Yosemite Valley, nell’Hetch-Hetchy, nel Kings
River Cañon, e in effetti in tutti i principali maggiori cañon dello Yosemites,
ma non ama le alte creste coperte di abeti.
Rispetto al Douglas, il grigio è più del doppio;
tuttavia, riesce a farsi strada tra gli alberi con meno movimento del suo
vicino piccolo e pepato, ed è molto meno influente sotto ogni aspetto. In
primavera, prima che i pinoli e le nocciole siano maturi, esamina le pigne dell’anno
precedente per trovare pochi semi che possono essere rimasti tra le scaglie
semiaperte, e raccoglie noci e semi caduti a terra tra le foglie, dopo essersi
accertato che nessun nemico sia vicino.
La sua fine coda fluttua, ora dietro, ora sopra
di lui, livellata o graziosamente arricciata, leggera e radiosa come lanugine
di cardo secco. Il suo corpo sembra appena più consistente della sua coda. Il
Douglas è un fermo, enfatico fulmine di vita, focoso, pungente, pieno di
vanteria, spettacolo e lotta, e i suoi movimenti non hanno nulla dell’elegante capacità
di riflessione dello scoiattolo grigio. Sono così veloci e acuti che quasi
pungono lo spettatore. Il suo corpo sembra appena più consistente della sua
coda.
È cacciato dagli indiani, e questo di per sé è
motivo sufficiente per cautela. Il Douglas è meno attraente per il gioco e
probabilmente aumenta di numero nonostante ogni nemico. Va per la sua strada
audace come un leone, su e giù e di traverso, in tondo e in tondo, il più
felice, il più allegro di tutta la tribù pelosa, e allo stesso tempo
tremendamente serio e solenne, il sole incarnato, facendo formicolare ogni
albero con le sue dita elettriche. Se lo pungi, non puoi pensare che
sanguinerà. Sembra al di sopra del caso e del cambiamento che affliggono i
comuni mortali, anche se, affaccendato a raccogliere frese e noci, dimostra di
dover lavorare per vivere, come tutti noi. Non ho mai trovato un Douglas morto.
Entra nel mondo e ne esce senza essere notato; si vede solo nel fiore degli
anni, come certe pianticelle che si vedono solo quando sono in fiore.
Il piccolo Tamias quadrivittatus striato è uno
dei più amabili e simpatici scalatori di montagna. Uno scoiattolo più luminoso
e allegro non esiste. È più intelligente, più arboreo e simile a uno scoiattolo
rispetto alle specie orientali familiari, ed è distribuito altrettanto
ampiamente sul Sierra tanto quanto il Douglas. Ogni foresta, per quanto fitta o
aperta, ogni collina e cañon, per quanto cespugliosa o nuda, è allietata e
ravvivata da questo allegro animaletto. Probabilmente lo noterai prima sul
bordo inferiore della fascia di conifere, dove si incontrano il pino sabino e
il pino giallo; e di là in su, dovunque andiate, lo troverete tutti i giorni,
anche d’inverno, a meno che il tempo non sia burrascoso. È un ometto estremamente
interessante, pieno di modi strani e bizzarri, fiducioso, che non pensa male; e
senza essere uno scoiattolo vive la vita di uno scoiattolo, e ha quasi tutte le
aspirazioni da scoiattolo senza litigiosità aggressiva.
Non mi stanco mai di guardarlo mentre si aggira
tra i cespugli, raccogliendo semi e bacche; in bilico su sottili ramoscelli di
ciliegio selvatico, alosa, chinquapin, olivello spinoso, rovo; sfiorando
tronchi prostrati o sopra il suolo erboso e cosparso di aghi; sfrecciando di
masso in masso sui marciapiedi glaciali e sulle cime delle grandi cupole.
Quando i semi delle conifere sono maturi, si
arrampica sugli alberi e taglia i coni per un deposito invernale, lavorando
diligentemente, anche se non con la tremenda energia del Douglas, che spesso lo
scaccia dagli alberi migliori. Quindi rimane in agguato e raccoglie una parte
delle frese tagliate dal cugino prepotente e le immagazzina sotto i tronchi e
nelle cavità. Pochi degli animali della Sierra sono così amati come questo
piccolo arioso, soffice mezzo scoiattolo, mezzo spermofilo. Così gentile,
fiducioso e indaffarato, allegro e felice, si fa amare e mantiene il suo posto
tra i più amati dei beniamini della montagna.
Un diligente raccoglitore di semi, noci e bacche,
ovviamente è ben nutrito, anche se mai tarchiato e grasso. Al contrario, sembra
essere leggero come un semplice ciuffo di pelo, pesa poco più di un topo di
campagna, e la sua vivacità lo fa sembrare quasi un uccello. Il Douglas può
abbaiare a bocca chiusa, ma il quadrupede apre sempre la sua quando parla o
canta. Ha una notevole varietà di note che corrispondono ai suoi movimenti,
alcune delle quali dolci e liquide, come l’acqua che gocciola in una pozza con
un suono tintinnante. I suoi occhi sono neri e animati, brillanti come la
rugiada. Sembra che gli piaccia prendere in giro un cane, avventurandosi a
pochi passi da esso, poi si allontana con un vivace cigolio e un basso
gorgogliare da scoiattolo; battendo il tempo della sua musica, così com'è, con
la sua coda, che ad ogni scheggia e squittendo descrive un semicerchio.
Nemmeno il Douglas è tanto sicuro di se pronto a correre
rischi maggiori. L’ho visto correre sulle ripide scogliere di Yosemite,
aggrappandosi con lo sforzo minore d’una mosca e con la minima preoccupazione per
il pericolo, in luoghi dove, se avesse fatto la ben che minima scivolata
sarebbe caduto per migliaia di piedi.
Come sarebbe bello che gli uomini e non solo gli alpinisti
si muovessero sui precipizi con la stessa presa sicura (e provvisti di ugual
grazia).
Ma come avete letto recentemente preferiscono
botteghe e bottegai alla moda per i loro festini e dubbi arredi!