giuliano

giovedì 31 ottobre 2019

IL LUPO RIFONDA IL MITO (18)











































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Il Lupo... (17)

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Il secondo accademico, ovvero: chi nel viso degli uomini legge 'omo' (19)














Come vedremo in seguito, nella sua ultima essenza è un sacrificio sonoro, un canto con cui l’uomo fa olocausto della sua parola, vale a dire della sua sostanza più intima. Il fenomeno religioso perfetto è sempre caratterizzato dalla presenza contemporanea e interdipendente di tre atteggiamenti spirituali: quello dell’uomo che per natura è sempre aperto all’ammirazione e all’adorazione di ciò che lo supera; quello di un essere intimamente grato; quello di chi va sempre in cerca di qualcosa. Nessuno di questi tre atteggiamenti è essenzialmente primitivo o legato ad una cultura, ma si riscontra ovunque in ogni epoca.

L’irreligiosità, da parte sua, non è un prodotto di uno sviluppo spirituale superiore, ma è anch’essa una disposizione constatabile in ogni tempo. Occorre tuttavia riconoscere che alcune religioni presentano una tale incrostazione di paura che il ricercatore irreligioso non riesce a vedere se non questa facciata. Ciò non toglie che dietro la facciata, all’interno dell’edificio, la lode rappresenti sempre la vera forza, anzi la vera forza sacrificale, la più feconda.




E non è certamente un caso che nella tradizione vedica la lode stia al vertice dei miti della creazione; nella Brihadaranyaka Upanishad si legge questo racconto, più volte citato:

Al principio c’era il Nulla, perché questo mondo era ammantato di morte e di fame, essendo la morte fame. Allora essa creò il mana (la volontà di esistere) perché desiderava essere se stessa (in forma corporea). Essa andava in giro cantando inni e dai suoi inni nacque l’acqua, avendo detto: Perché cantavo inni mi sentii felice. Questa è la natura del raggio, perché il raggio è acqua. La crema dell’acqua si coagulò e ne nacque la terra. Essendosi staccata e accaldata, la sua forza, il suo umore, divennero fuoco.

Prima di intraprendere l’analisi particolareggiata di questo racconto vogliamo far notare che al principio di tutte le cose risuonò per primo un inno, che equivale al primo sacrificio. Il Rigveda dice:

Gli dèi crearono per primo il canto, poi l’agni, quindi il sacrificatore.




Nello Shatapatha Brahmana si legge:

Tutto ciò che gli dèi fanno lo fanno mediante il canto. Il canto è il sacrificio.

Mediante questo inno le cose sono chiamate e incoraggiate a venire gioiosamente all’esistenza. Nella terminologia vedica ark, parola sanscrita equivalente a inno, significa ‘raggiungere, far inturgidire o creare qualcosa’. È evidente che l’intera creazione comincia in certo senso su un piano quasi esclusivamente psicologico. L’inno, che è la disposizione interiore a riconoscere le cose e a sollecitarle con la lode, è la forza da cui in seguito nasce tutto: gioia, acqua, terra e fuoco. La sostanza del mondo primitivo è il suono, il cui dinamismo è la lode.




Il sacrificio sonoro è vero, cioè reale, soltanto se è riconosciuto e accettato come valore vitale, come atto analogico della creazione e quindi compiuto come Inno. È invece inautentico se compiuto soltanto contro volontà e materialmente, se è attuato unicamente nel modo forzosamente voluto dalla natura concreta. Il sacrificio è il filo conduttore che si prolunga per l’intera durata della vita umana. Se, al contrario, quel sacrificio è un sacrificio sonoro, cioè un Inno, l’uomo attinge all’energia acustica primordiale della creazione, quindi in definitiva alla sillaba sacra AUMm che tutto ‘lega con amore in volume’, il passato, il presente e il futuro. E ciò ha grandissima importanza solo quando ogni presente risulta effettivamente dalla somma del passato.

Il modo con cui l’uomo offre il sacrificio della propria vita, cioè la sua parola, rappresenta il ritmo totale della sua esistenza; ciò che oggi egli è lo deve al suo ieri.

Soltanto gli dèi del mondo acustico primordiale è concesso di mantenere la forza, la natura sonora originaria ed esaltatrice della parola senza che esse siano offuscate o costrette dalla corporalità materiale.

Gli dèi veri sono Inni puri!




E poiché la creazione trasforma parzialmente la propria esistenza primordiale e puramente acustica in un’altra concreta e corporea, la sostanza acustica primordiale del mondo subisce a tratti un forte mascheramento. Ha così principio la seconda epoca della creazione. Mentre gli dèi, esseri sonori puri, rimangono nell’oscura notte primordiale della creazione, le altre creature entrano nel secondo periodo che si estende dall’alba all’aurora ed è caratterizzato dall’irruzione della luce. Il terzo periodo è rappresentato dal mondo chiaro in cui le cose, prima visibili unicamente in forma indistinta, semi-materiale o nebulosa, si configurano in modo definitivamente distinto e concreto.




Durante tale evoluzione, i ritmi originariamente affatto acustici diventano perciò visibili. Contemporaneamente all’apparire della luce, mentre le pure proporzioni temporali si trasformano in proporzioni visibili e percepibili, ecco che si sviluppa lo Spazio e con esso le figure definite, l’individuazione e infine il pensiero fissato in idee precise. L’incomprensibile e inafferrabile notte primordiale diventa comprensibile e afferrabile. Pur se in tale processo la sostanza sonora primordiale resta in gran parte nascosta, particolarmente negli oggetti muti, tuttavia sopravvive, percettibilmente o meno, come nucleo metafisico di ogni creatura.




Il che non impedisce che il velo di Maya, vale a dire l’illusione dei sensi, s’infittisca di più, perché l’aumento di luce e l’addensamento della corporalità si trasferiscano progressivamente sul fondo acustico con tale compattezza, che l’uomo soggiace facilmente all’errore di ritenere verità ciò che è l’apparenza della corporeità. Di fatto, Maya non comincia con l’apparizione della luce, bensì già con il suono primordiale; infatti per la filosofia indiana la verità suprema non è il suono ma il nulla silenzioso e la mancanza assoluta di pensiero e di forma. Motivo per cui la verità ultima subisce una forte diminuzione del suono stesso con cui esce dal vuoto del corpo armonico.




Ma questa stessa diminuzione origina i ritmi creati di questo mondo, vale adire l’illusione provocata dall’Inno della morte affamata di vita, morte che, da parte sua, è il principio del dualismo. La verità suprema rappresenta la vittoria sulla fame di vita. Essa è informe per sua natura e, perché informe e aritmica, non può essere manifestata. Pur essendo ogni manifestazione di per sé una riduzione, tuttavia la formulazione esclusivamente acustica e musicale della verità assoluta è l’unico modo di cui disponiamo per annunciare almeno la verità del nulla, risonando quella aconcettualmente e non dovendo essere costretta in simboli materiali e concreti.




La formulazione puramente acustica si avvicina al massimo alla verità informe perché tra tutte le figure esistenti, la forma musicale è la più instabile e dissolvibile e la sua materia, l’aria ondeggiante può essere considerata la materia più sottile. Nulla come la musica favorisce lo sviluppo e il consolidamento di concetti limpidi. Come creatrice dei ritmi e delle forme primordiali essa sta al vertice di tutte le energie cosmiche, perché le sue possibilità ritmiche sono maggiori e più varie di qualsiasi altra forza legata a una materia concreta.




La musica è la pianta primordiale della creazione, che cresce rigogliosa senza una determinazione precisa; non conosce spazio e scorre unicamente nel tempo in un modo primordiale. Non essendo legata ad un sistema preciso di idee e a una forma stabile, può continuamente mutare, trasformare o smembrare la sua figura per ricomporla a volontà, come il Faggio antico, un suo simbolo primordiale, che continuamente si trasforma.

Non si può tuttavia dubitare che la musica…




(ed in questo caso come nei precedenti attribuiamo una universalità concernente il termine riportato coniugandolo e altresì estendendo il pittogramma in cui circoscritto e di nuovo inciso alla caverna donde nato, quindi, al di fuori del limite limitante pur entro l’antica caverna antro del dio, ed in cui, oggettivato tradotto ed evoluto (e non più riconosciuto) nei brevi o estesi frammenti storici cui sembra appartenere, oppure, e ancor peggio, intrattenere; va da se che quando solitamente si disquisisce di musica si prevede una dotta storicità dell’argomento trattato compresa l’indiscussa ‘capacità armonica’ creata o medesimamente da buon orecchio compresa ed ascoltata, esulando dal principio e motivo per cui il tratto accompagnato, e altresì, dal limite limitante della parola che ne fa oggetto; quindi, e mi ripeto di nuovo, impossibilitata, dato che sovente in questa ripetitiva premessa accompagnato da Madre Natura e confermare la verità dedotta - non più parola - ragione o nota udita all’Alba del mattino in cui mi cingo in solitaria dismessa persa braccata inquisita incompresa armonia… 





Estesa alla musicalità dell’Universo per ogni Elemento raccolto dal principio della creazione compreso quel famoso ‘rumore di fondo’ ‘nota’ ben udita, ma certamente, data la distanza storica proiettata negli anni-luce da cui decifrata e quantunque studiata pur non visibile, ma concernente e facente parte di un ‘suono’ ove dedurne il principio in cui scritta la materia, compresa quindi la ‘parola’ che tende ad oggettivare in un solo campo della propria universalità - principio della vita. Ma altresì ricordare da questa ‘fisica’ conclusione per taluni principio, che i termini della sacralità trattata a Ragione rovesciano gli schemi imposti, e la fisica quindi poggiare il proprio ed altrui intento nella ‘metafisica’ come e similmente a quel poverello umiliato che del cantico fece il più bell’inno della Terra e con lui dell’intera creazione al di fuori d’ogni materiale artificiosa ricchezza… Così come ho già apostrofato ogni pretesa di conquista e non solo concernente il dotto sapere per la Cima contesa…)




…rappresenti il linguaggio primordiale di tutte le forme simboliche visibili di stile più antico…

Sul passaggio dall’acustico all’ottico grava un mondo affatto specifico, la cui comprensione intellettuale è resa difficile in particolare dal momento cosmico in quella trasformazione si verifica, perché l’evento intero si svolge nel tempo intermedio, vale a dire fra l’Alba e l’Aurora. Questo mondo, situato fra il tempo esclusivamente acustico (o notte primordiale della creazione) e il presente concreto (o giorno, tempo della luce), rappresenta il mondo del suono luminoso e del sogno (e specifichiamo nulla da intendere o condividere per come oggettivata esplicitata siffatta disquisizione nelle tenebre di ben altre notti bianche, anzi scoraggiamo coloro che procedano con cotal intendimento le proprie ed altrui notti a qualsivoglia comprensione di quanto fin qui detto, la volgarità di quella materia ci consegnerebbe alla brevità della Storia, l’immateriale sacralità in ben altra invisibile Sinfonia…).

Nel sistema analogico di queste cosmogonie il tempo primordiale è anche l’equivalente del cielo, e il presente corrisponde alla terra; di conseguenza il mondo del suono luminoso, in cui si verifica il passaggio dal suono quasi immateriale alla materia concreta, è lo Spazio cultuale chiaroscuro dell’Universo: è l’atmosfera.

(M. Schneider; in corsivo il curatore del blog)












lunedì 14 ottobre 2019

MEDITAZIONI (14)





















































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Lo sciatore (13/1)

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Meditazioni di visioni apocalittiche (15)













I Dèmoni camminano per la montagna!

I Santi edificano il progresso!

Va! Santo politico e ipocrita acclamato dalla folla: corri a romperti il collo per valli città e successi, edifica e riempi il salvadanaio onde il soldino d’un tempo ti ha mutato in cinghiale del progresso, neppure il maiale quello rinomato della Fattoria sopporta l’indolenza accompagnata dall’indecenza così ben allevata e propagandata.

O meglio: lavorata!

Va! Lavora! Vendi l’arma del progresso la stiva ne abbonda, poi accogli paradossale stupore per ogni ipocrisia ben stampata e ciarlata, o meglio allevata, con cui giustifichi demoniaca ‘dottrina’!

O meglio: la Vita!    

Va! Rotola il muso per il futuro altrui grugno per ogni principio nella piazza acclamato in nome e per conto della rinomata Fattoria: semina morte in nome del futuro consenso rivenduto al porto per conto d’ogni merce saporita spacciata qual prelibatezza della ricchezza ben allevata e concimata.

Pianto Tragedia e Guerra per ogni Terra seminata!   

Va! Vendi la miglior arma del consenso edifica paradossale impropria ‘dottrina’ come piaccia ai bimbi, e si stampi il tuo nome sui giornali.




Ignoro chi sia quello scettico antico che lanciò attraverso i secoli quest’insulto all’alpinismo moderno (ma ancor più scettico riguardo chi lo abbia adattato e riproposto ai tempi ove medesima ‘materia’ ci accomuna o divide e mai sia detto circa Sentiero Natura e Cima, bensì, in ciò che di più Elevato e Spirituale aneliamo rompendoci l’osso del collo e non certo sulla Vetta, accompagnati dalla più certa e seria quanto solenne unanime promessa d’esser perseguitati dalla ‘materia’ così apostrofata dall'ipocrisia fuggita…).

È certo che Quintino Sella, grande e fortunato ricercatore di citazioni classiche, conobbe questa sentenza e si astenne dal citarla in alcuno di que’ suoi memorabili discorsi sull’alpinismo. Ma, non so perché, dal momento in cui, reduce dalla nostra impresa, cominciai ad accarezzare il progetto di raccontarla ai contemporanei ed ai posteri, sempre mi sta dinanzi minacciosa questa citazione, che ha in sé quel tanto di verità cruda che ci vuole per far sorridere i nostri avversari, ed anche per far dubitare un alpinista dalla scrupolosa coscienza.




La ragione della persistenza di quest’idea credo però di trovarla nella natura delle accoglienze avute quando tornai da questa salita. Vi assicuro che ne udii delle belle! Vi fu chi, informatosi della nostra gita, e saputo che trattavasi del Canalone…, rispose rassicurato:

Oh, se non è che un Canalone qui ne abbiamo di più sicuri!

Un altro, un amico benevolo, ma pessimista, dopo avermi squadrato da capo a piedi, mi disse commosso che era lieto di vedermi ancora vivo e tutto d’un pezzo, perché i veri Canaloni acclamati hanno un’anima ben più profonda ed una Vista eccelsa almeno quanto il sonno ‘comatoso’ quanto un crepaccio...

Nei dovuti intervalli di Tempo così ben meditato…

 Un’anima pia mi confessò di aver fatto un voto per la mia maledizione affinché fossimo definitivamente interdetti!




Altri, molto più decisi e certamente più energici di questi e ben nutriti, pretendevano che, quando noi si ritorna dai monti, dovrebbero attenderci alla stazione due Carabinieri, e quella certa vettura fatta a celle, per trascinarci a quella casa da cui l’Alpi si vedono attraverso le grate, da lungi.

Altri propose di formare por noi e per alcuni colleghi una sezione speciale, appartata, in un manicomio. Vi fu chi parlò d’interdizione! Per me passi, ma, via, per un padre di famiglia com’è Vaccarone, sarebbe un vero scandalo!

Insomma, le accoglienze avuto furono quali si converrebbero a chi abbia commesso un misfatto, o, peggio, una corbelleria. Pochi quelli che ci ricevettero bene, e questi pochi tutti alpinisti, e della specie più pericolosa, di quelli che ritornavano allora allora da salite assai più rischiose che la nostra; ma già, l’approvazione di costoro conta poco, perché essi avranno pensato come il poeta…

Ma ciò che più gravò le spalle della mia coscienza si fu l’accoglienza che ebbi da me stesso.




In me, come in ognuno di voi, sono due persone ben distinte, costrette a vivere quasi sempre assieme, ad odiarsi, e a disapprovare sistematicamente le azioni l’una dell’altra. Quando vado in montagna, io mi sbarazzo per quei pochi giorni della mia prima persona, che in materia alpina è alquanto scettica, benché io non possa disconoscere che essa è la parte più seria e posata di me stesso, né negare che talvolta mi abbia dato anche de’ buoni consigli.

Ma bisogna pure che al ritorno dai monti mi riunisca a lei, che ha un intuito finissimo, e capisce subito da che luoghi io venga. Come è da prevedersi essa disapprova altamente ciò che si è passato in sua assenza ed a sua insaputa, e quando poi ha dato un occhiata a’ miei appunti ed alle mie fotografie, addio la pace di famiglia: mi costringe a confidarle tutto. Ed allora, ahimè! nella stretta intimità dell’animo, mi prende per un orecchio, e mi tiene un discorsetto che suona a un dipresso così:




Ma non ha ancora finito lei, signor Guido (perché malgrado l’intimità e la lunga convivenza ci trattiamo con molto sussiego), ma non ha ancor finito con quella sua smania di esporsi ai pericoli? Ma che gusto ci trova lei a rischiare la vita! Oh! questo poi no! Mi lasci dire, a rischiare la vita per una piccola ambizione che non rende nulla né a lei né ad alcuno? Non par vero! Un giovane serio come è lei ! — Grazie ! — Smetta, e faccia qualche cosa di più utile e più serio. Veda, la patria ha bisogno di cittadini che si occupino di cose positive, e di un interesse generale, e non sa che farsi di egoisti profondi come sono gli alpinisti, quelli della sua risma. S’occupi di affari, di politica, prenda moglie magari, ma la smetta con questo alpinismo. Creda a me, nessuno le saprà grado quando si sarà rotto qualche costola su un colle più o meno vergine.




Lo chiedo a voi.

Che cosa rispondere a questa voce, che ha tutte le apparenze della serietà e del buon senso?

Potrei ben dirle che al di fuori delle consuete occupazioni l’uomo giovane ha bisogno di appassionarsi per qualche cosa, che l’uomo non vive di solo pane, che i momenti passati in montagna fra le fatiche e le difficoltà ritemprano in pochi giorni la fibra fisica ed intellettuale, e mi danno forza a sopportare per tutto il resto dell’anno pazientemente la sua compagnia noiosa e la vita che lei, personificazione del dovere, mi costringe di fare. Ma qui, in pianura, chi finisce per aver ragione è sempre lei, che si sente spalleggiata dall’opinione pubblica, altamente venerata.




Quindi generalmente il predicozzo finisce lì, con un po’ di musoneria reciproca; ne segue una pace armata, che dura fino all’estate seguente, e si rinvia la nuova discussione a otto o dieci mesi, quando si rinnoverà la scappata.

Ma, per quanta calma si abbia, per quanta fede ed entusiasmo si nutra, credetelo che l’accumularsi di tutte queste critiche, di tanti rimbrotti finisce per lasciare in fondo all’animo un’amarezza e un dubbio che difficilmente si dilegua, e che vi pesa tanto che sentite il bisogno di discolparvi di gridar forte, per convincere gli altri, e, insieme agli altri, anche un pochino voi stessi.

Quest’amarezza si mitiga quando si pensa che vi sono ancora persone per bene e colte che s’interessano seriamente e con amore alle vicende del nostro ‘Club’, quando si vede che vi ha ancora una classe egregia di persone che interviene ai Congressi alpini, che scrive e discute delle cose nostre, e persino, benché in numero minore, forse, legge ancora i nostri Bollettini e le Riviste. .
E questo un vero conforto pel povero accusato.

Egli è a voi, giudici parziali e benigni, che apro l’animo, ed espongo la difesa mia e del mio complice. Non invoco a nostra discolpa i precedenti di escursioni molto più pericolose e difficili compiute da altri; mi limiterò a narrare il fatto, a descrivere, come meglio saprò, l’ambiente in cui si svolse, le nostre disposizioni d’animo prima, durante e dopo di esso, e giuro di dire tutta la verità null’altro che la verità.

Voi avrete a giudicarmi per una salita che taluno ritenne rischiosa, e per un articolo che molti troveranno noioso; per la prima chiedo un’assolutoria, per il secondo invoco almeno le Circostanze attenuanti.












venerdì 11 ottobre 2019

IL LIBRO DELLA NATURA (10)




















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Il libro scomparso (7)  (8)  (9)

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Ogni obiezione conta! (11)














....Qui non si tratta di previsioni più o meno azzardate, suggerite dal buon senso, ma di fatti così sicuri come se fossero già avenuti..... Fra pochi anni le foreste impenetrabili saranno abbattute, il rumore della civiltà e delle industrie romperà il silenzio della Saginaw, la sua eco diventerà muta... Le banchine imprigioneranno le rive, le acque che adesso scorrono ignorate e tranquille in mezzo al deserto senza nome saranno ricacciate nei loro alvei dalla prua delle navi. Cinquanta leghe separano ancora questa solitudine dai grandi agglomerati europei; forse siamo gli ultimi viaggiatori ai quali è stato concesso di contemplarla ancora intatta nel suo primitivo splendore tanto è inarrestabile l’impulso che trascina la razza bianca a conquistare interamente il Nuovo Mondo. È l’idea dell’imminente distruzione, il recondito pensiero d’un mutamento prossimo e inevitabile che, secondo noi, conferisce alle solitudini americane un carattere così originale e una bellezza così suggestiva. Si guardano con una gioia malinconica, ci si affretta, in un certo senso ad ammirarle. ...L’idea che questa grande grandiosità naturale e selvaggia è destinata a scomparire, si frammischia alle orgogliose visioni suggerite dalla marcia inarrestabile... della civiltà... Ci si sente fieri di essere uomini e nello stesso tempo si prova come un senso di amaro rincrescimento per il potere accoradatoci da Dio sulla natura. L’anima è travagliata da idee e da sentimenti contrastanti, ma tutte le impressioni che riceve sono importanti e lasciano una traccia profonda…



Rileggendo in maniera più approfondita l’intero capitolo delle considerazioni di Tocqueville intendiamo altresì come l’animo suo predisposto quale ‘specchio’ (come chi prima di lui lo ha preceduto ed ugualmente interpretato divenire futura vittima della conquista giacché affine alla Natura) nelle acque del Fiume riflesso, il quale animo compone il proprio Linguaggio - il proprio fraseggio - da chi sa ben rilevarlo e di rimando, qual ‘Sciamano veggente e profeta’ – [scorgendo ben altra cima e traguardo non più riflesso e congiunto con l’Universale creato così attraversato in un Tempo irrimediabilmente perso e in qual tempo conquistato - qual linguaggio improprio coniugato] manifestare nonché argomentare l’urgenza del Progresso qual  ‘storico’ o ‘testimone’ mirabilmente colto ed interpretato nel segreto geroglifico e nel ‘fiume’ del proprio Intelletto scorrere come sangue e linfa di un comune senso di Vita (così come abbiamo letto di Thoreau).

…Corrispondere al Creato così di nuovo scoperto e non certo conquistato…

Solo una Cima con la dovuta vista ed univoca musica che ne deriva qual sol intendimento e strofa!

….Cerchiamo di decifrare l’armonia abdicata qual Tomo perso così come il testimone (e guida) ne sublima l’Opera e concreta sostanza enunciando profetico futuro avvenimento interpretandone successiva ‘lingua’ (nata) nell’atto ed ‘esercizio’ in uso della dovuta (almeno così dicono) corretta ‘grammatica’; così come si qualifica  specifica e differenzia dotto ‘linguaggio’ fra il 'primitivo glutterato' e successivo ‘civile evoluto composto fraseggio', altresì e mi ripeto, come si intende linguaggio e parola, e con questa, civiltà ed armonia comporre, almeno così dicono e ciarlano, dovuta ‘grammatica’ fondare ‘Etica Morale Legge e successivo Pensiero’.

…Se non fosse proprio il Pensiero negato all’esercizio della Parola nata ed interpretata dall’Anima nell’atto d’intenderla e riporla nel giusto contesto dell’intero arco evolutivo della Storia…

“Il ‘Simbolo’ come oggetto, non è mai identico alla realtà simboleggiata… Esso non è che un mezzo di esteriorizzazione che permette una ‘forza’, non raffigurabile sensibilmente e come nascosta nell’ ‘ombra’, di far palese la propria ‘attività’, così come l’Anima umana, ad esempio, può manifestarsi nel corpo o nel linguaggio…

E poiché tale forza possiede un carattere attivo, il ‘simbolo’ è l’autorealizzazione di tale essere in un altro essere. Ora, questa autorealizzazione determina una presenza; e in base a tale presenza si istituisce una ‘relazione’ tra le due componenti del ‘simbolo’. La ‘realtà simboleggiata’ non si confonde mai con la materia che ne è il veicolo. Ma in tale incontro la ‘forza spirituale’ simboleggiata si esterna sensibilmente, mentre il campo della sua azione, come purificato, tende all’ ‘Universalità’.

Ovviamente, tale trasparenza non dipende dalla percezione umana. La sua esistenza è autonoma, e importa poco che l’uomo sia capace o incapace di discernerla. Le antiche nozioni ora reintrodotte sono quelle di energia e di analogia. Secondo taluni studiosi, l’avere abbandonato l’idea di ‘energia’ fluente segna una delle date più gravi per la Filosofia europea.

In misura via via maggiore, sul finire del Medioevo si è lasciato cadere tale concetto, per sostituirlo con la nozione di ‘casualità’. All’idea di ‘flusso’ continuo di energia veniva sostituita quella di successione delle cause. Ciò facendo, si ‘detronizzava’ la potenza creatrice concepita come un ritmo indiviso e indivisibile, a favore di una causa prima, seguita da una serie di cause seconde.

Eppure, l’osservazione della Natura, il ciclo continuo di dispersione e di rigenerazione e l’ininterrotto mutare della materia ci dimostrano che l’esistenza di un flusso ritmico è perpetua, e che, propriamente il muoversi della ‘forza creatrice’ precede le forme create.  

È la Forza capace di creare le ‘forme’ che dà agli esseri la loro esistenza. Giustamente H. Bergson afferma che il mutamento non ha bisogno di un supporto e che il movimento non implica una realtà soggetta al movimento, perché reale – e il costitutivo della realtà – è il mutamento.

…Così le Idee e gli oggetti più diversi, riuniti grazie ad un ‘ritmo’ comune, finiscono col formare in noi un insieme semi-cosciente che è ‘linguisticamente inesprimibile’ ma altresì caratteristico (quindi soggetto all’…) dell’esperienza simbolica. Se apparentemente tale insieme non possiede uno specifico ‘significato concettuale’, possiede tuttavia un ‘senso’; senso che non è espresso in una ‘formula’ logica, ma in un ritmo che raggruma e comprime gli Elementi dati e li confonde per rifonderli.

È così che il passato può divenire presente, gli Elementi tra loro eterogenei saranno resi omogenei, e trasparirà il loro substrato ritmico comune. Ora, se l’uomo si mostra capace di afferrare le analogie create da determinato ritmo comune, il ‘simbolo’ può divenire ‘mediazione’ fra tale uomo e la forza simboleggiata.

…Ma qual è la strada attraverso cui la potenza creatrice simboleggiata può manifestarsi come un ‘puro ritmo’, senza cioè apparire vincolata a una forma concreta o a una immagine determinata, cosa che, agli occhi di un essere umano in meditazione, potrebbe facilmente privarla del suo carattere immateriale e generale?

Se consultiamo ora il pensiero dei popoli la cui mistica è nettamente simbolica, riceviamo una risposta assolutamente chiara. Perché un Elemento trascendente possa giungere a trasparire in una realtà del nostro mondo concreto, il suo più adeguato veicolo sarà un ‘ritmo’ sonoro, poiché tale ritmo è spoglio di ogni forma o immagine concreta, che potrebbero essere un ostacolo alla Natura immateriale e dinamica di una simile manifestazione.

Altre tradizioni, riferendosi alla Genesi del mondo, dicono che l’esternamento del ‘ritmo’ creatore si realizza attraverso il Verbo, primo passo verso la creazione del mondo e la successiva sottomissione dell’atto stesso o se preferiamo universale linguaggio.

Partendo da tale idea, si sarebbe tentati di porre all’origine del simbolo il linguaggio. Ma simile linguaggio non può essere il nostro, che è essenzialmente uno strumento di comunicazione e di informazione, sostenuto da immagini concrete e quindi poco idoneo a farsi veicolo di un ritmo puro.

La ‘parola’ che sta su un piano remoto delle cose tangibili appartiene dunque a un linguaggio primordiale nella musicalità dell’intera Natura…

Quindi un linguaggio non nel senso comune come siamo porti ad intenderlo e quindi coniugarlo. I nomi con i quali la nostra lingua designa gli oggetti non traducono il ‘ritmo’ delle cose, la stretta limitazione dei nostri concetti, anzi, si oppone alla nostra intuizione sempre desiderosa di afferrare e di restituire le cose percepite come ritmi viventi.

È indubitabile che i nostri concetti (compresi la psicologia che gli appartiene) si interpongono fra noi e le cose. Per introdurci nel ‘ritmo’ fondamentale e comune agli oggetti unificati dell’analogia bisogna cercare uno strumento più ‘immateriale’ quale la stessa musicalità realizzata attraverso uno e più strumenti ed ove il proprio ‘suono riprodotto’, come ad esempio un tamburo, evolvere in frammentata apparente scomposta oracolare poesia.

La nostra trattazione ci ha portato alla successiva interpretazione di una duplice manifestazione di due tipi di simboli: il primo è una realtà della Natura che l’uomo può percepire, tale ad esempio, un tuono, mediante cui la potenza formatrice della tempesta si fa palese.

Il secondo tipo è creato dall’uomo, che mediante la sua voce palesa il proprio ritmo interiore (non oggettivato né soggettivato alle paradossali alterne condizioni della limitata psicologia che ne vorrebbe decifrare, quindi circoscrivere, alla più nota limitata patologia, pochi coloro che hanno saputo interpretare superare e altresì intendere cotal Secolar limite).

Ma il ‘simbolo’ grazie al quale l’uomo e un’altra realtà simboleggiata combaciano, si attua soltanto attraverso l’incontro e la congiunzione di due tipi di simboli, nella mediazione di un ritmo sonoro comune o di una luce sonora comune.

La prassi ‘sacerdotale’ (nonché ‘regale’) ci insegna che per raggiungere tale fine il ‘sacerdote’ (o antropologicamente parlando ‘sciamano’) deve studiarsi di divenire una sorta di ricettore oggettivo dei ritmi della Natura, qualsiasi asimmetria in questo processo rompere Superiore Prima consistenza ed appartenenza quale legame infinito dello Spirito, conferma la nostra tesi circa l’immobilità della Storia.

In quanto l’asimmetria propria nella rottura e nascita della dovuta ‘materia’ o ortodossa ‘dottrina’ posticipa’ e mai precede il canto da cui la Vita!

Il cui ‘canto’ e immateriale ‘suono’ che ne deriva (e futura poesia) soggetto non al ritmo da cui nata primordiale simmetria, bensì e al contrario, assoggettato all’interpretazione dell’asimmetrico vincolo alla parola circoscritto, la quale al meglio (o al peggio) accompagna lo Spirito nella ‘materia’ incarnato, quindi, assoggettato al limite che suono e ritmo circa medesima ugual Poesia circoscritti alla grammatica della ‘corretta espressione’ esulare però dalla comune ‘evoluzione’ (in cui ogni Natura subordinata all’ ‘umano’ difettare per proprio limitato ‘verbo’) e mai facenti parte di quella primordiale ‘inesprimibilità’ detta.  

…Se non ‘erro’ anche un noto Fisico espresse il limite se non l’impossibilità di svelare l’incompletezza della propria materia dai numeri dedotta…

…Ed anche lui alla fine scrisse e dedusse una antica ma nuova equazione circa una certa dimostrabilità nelle infinite Vie… o Note…

(M. Schneider accompagnato al...)













domenica 6 ottobre 2019

IL LIBRO SCOMPARSO (6)










































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Il libro scomparso (5)

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Libro scomparso (7)

Presso il colle di... (8)













Jim Bridger era pronto ad iniziare la seconda fase della sua carriera nel West! Bridger scelse di aprire la sua ‘stazione di ristoro’ per gli emigranti nella verde vallata che costeggiava uno degli affluenti dell’amato fiume Green. Costruì capanne e recinti per gli animali, aprì un’officina da fabbro e acquistò varie provviste a St. Louis. Fu così che nacque Fort Bridger, l’unica area di… sosta lungo i mille chilometri che separavano Fort Laramie da Fort Hall. Dal 1843 e finché non ebbe problemi con i mormoni nel 1853, Fort Bridger fu una piacevole sosta a metà strada per tutti i viaggiatori che andavano nel West. Furono quelli gli anni più prosperi della vita di Bridger, il quale si arricchì non solo d’estate grazie ai viaggiatori, ma anche col commercio delle pellicce che continuava per tutto l’anno. Fort Bridger diventò una specie di punto di incontro di tutti i suoi vecchi compagni che commerciavano pellicce e di tutti gli indiani amici. Bridger aveva quarant’anni ed era un uomo ben sistemato con una moglie e tre figli. Mandò la sua primogenita Mary Anne a studiare presso la scuola della missione di Marcus Withman in Oregon, perché voleva che tutti i suoi figli imparassero a leggere e scrivere. Non molto dopo, però, sua moglie morì e questo modificò il pacifico corso della sua vita. Iniziò così a vagabondare per le Montagne Rocciose, cacciare ed esplorare zone sconosciute. Un giorno, nel giugno del 1847, mentre si dirigeva a Fort Laramie, incontrò Brigham Young e un gruppo di pionieri mormoni in cammino verso il West alla ricerca di una (nuova) terra promessa. L’incontro con i mormoni si sarebbe rivelato fatale per Bridger… e l’inizio della sua terza avventura…




…Ed in cui simmetrico ‘progresso’ privato dei dovuti Principi ispiratori confermare il ‘rumore’ entro una più elevata musica ed armonia motivo di ciò che fondamentalmente si cerca in medesima ugual Via.  Così da poterlo descrivere annoverare quindi ‘celebrare’, nella cerimoniosa pomposa noia dei dovuti ‘resoconti’ ove ognuno ‘edifica’ la propria ‘avventura’ (economica o spirituale che essa sia) esulare però dal Tempo d’una Superiore Dottrina.

Da Apostata non men che Eretico braccato dalla continua costante demenza di cotal progresso nominato, esulo e confermo nel Tempio il dovuto credo e reciproco rispetto della Natura (evitando inutili sacrifici con cui vien scritta passata presente e futura mitologia), giammai nell’ortodossia d’ogni Religione circoscritta per addetti ai lavori, i quali nel gesto talvolta dimentichi del senso proprio dell’Elemento.

O almeno la Genesi donde nato ed evoluto!

La base d’ogni ‘superiore etica’ e dottrina e con loro morale e intendimento della giusta Via comprende e comporta superiore Idea circa l’unità della Vita cosmica.

Nel Primo stadio della creazione la Natura del mondo è dunque puramente acustica (intonata con il senso della Vita). Il Creatore stesso non è che un canto, uno strumento musicale o una caverna che risuona, ed è assai probabile che la ‘materializzazione’ dell’Idea del creatore sotto specie di strumento musicale, di caverna, di corpo oppure soltanto di testa umana o animale sia soltanto una concessione al mito cui si voglia dare un carattere più concreto. In realtà il Creatore è un essere puramente acustico e l’intera Natura da Lui cantata ne rispecchia l’armonia (persa)…



Mi si consenta qui di dare qualche indicazione a chi intende scegliere la professione di guida... Innanzi tutto occorre avere una perfetta conoscenza delle montagne, così da poter essere certi del percorso anche quando la foschia le avvolge. Bisogna poi sorvegliare sempre con attenzione i propri clienti, particolarmente quando ci si trova in luoghi pericolosi. Prima di organizzare un’escursione, è bene ogni volta informarsi circa le capacità delle persone che si stanno per accompagnare. La guida dovrebbe agire come il capitano di una nave: per quanto illustri possono essere gli individui (spesso non sono consapevoli delle difficili pagine del Tomo che vorrebbero conquistare...) che si affidano alla sua sorveglianza, soltanto a lui spetta di dirigere e governare... (soprattutto se sono giovani ed inesperti...). Il segreto della guida è la prudenza: io sono sempre all’erta... Tuttavia esistono differenze anche tra coloro che conoscono questo (nobile) principio e segreto. C’è guida e guida: ognuna ha il proprio punto forte. Si dice che la guida di Zermatt sia la migliore su roccia mentre la guida dell’Oberland sia da preferirsi su ghiaccio. 




Ciò non è sempre esatto per quanto riguarda i singoli casi, ma risulta vero parlando in generale. Io stesso sono diventato specialista sia su roccia che su ghiaccio. Poi c’è la guida che confida nella fortuna: è pronta a tutto, ma non sa che cosa l’attende, semplicemente tira ad indovinare quando le si domanda: ‘Quanto dista la vetta?’ Io però non lo faccio mai; prima di affrontare un itinerario che non ho mai percorso, lo studio in anticipo, ne disegno il tracciato e lo esploro con il binocolo finché non lo imparo a memoria. Quando dico andiamo, sono in grado di rendermi conto i che cosa mi aspetta... In montagna devo sempre sapere quel che faccio... Non che io sia ‘scientifico’: se qualcuno si rivolge a me per avere una risposta ‘scientifica’, di sicuro non l’ottiene... Ma cartina alla mano posso indicare ‘siamo qui’ (e non certo dove pensano loro che ci scrutano laggiù in quel misero...). In merito ai pericoli, è necessario guardarsi dalla guida imprudente (che si finge esperta forse perché si immagina furba...), che prima o poi finisce con il cadere in un crepaccio. Al mio occhio, per quanto non all’occhio di chiunque, un crepaccio è evidente a una distanza di dodici o tredici metri; inoltre non presenta sempre lo stesso aspetto: talvolta sembra una... superficie ondulata (e distinta); altre, quando fa molto freddo, produce, per così dire, una scia grigia o un’ombra (...nera...). Ma ora che sono stato in ogni parte del mondo, devo dire che ovunque sia andato, non ho commesso errori riguardo ai crepacci. Se lo si vede, un crepaccio non è pericoloso: lo si può saltare, oppure - se è troppo ampio - si possono tagliare scalini su un lato finché la fenditura è vicina, e poi ancora incidere la via di risalita dall’altra parte. Il pericolo maggiore a mio avviso è lo sc…. poi la...



 Jim Bridger continua a vivere nelle terre che ha esplorato e nelle leggende dei montanari. Come David Crockett è il simbolo dell’uomo dell'Est, Bridger rappresenta il West. Ma Bridger non divenne un eroe e un’attrazione come David Crockett. La sua figura restò sempre marginale. Il capitano W.F. Raynolds fu uno dei primi a raccogliere aneddoti su Bridger. Tra il 1859 e il 1860, quando Bridger era alla guida della spedizione di Raynolds nella zona dello Yellowstone, trascorsero insieme molte settimane nell’accampamento invernale che avevano allestito e il vecchio montanaro intrattenne il giovane capitano con storie che successivamente descrisse come ‘racconti di Munchausen troppo belli per andare perduti’. Uno di questi narrava di un tronco di salice perfettamente pietrificato con i rami e le foglie in perfette condizioni e di conigli ed altri animali anch’essi pietrificati e di cespugli pietrificati su cui crescevano diamanti, rubini, zaffiri e smeraldi grossi come noci. ‘Le giuro, signore, che è tutto vero’ assicurò Bridger ‘tant’è che conservai qualche pietra per me stesso’. Il generale Nelson Miles in seguito riportò un altro racconto pietrificato di Bridger: ‘Jim, sei stato a Zuni?’. ‘No, non c’è l’ombra di un castoro da quelle parti’.  ‘Ma, Jim, non esistono solo i castori nella vita. Sono stato da quelle parti l’inverno scorso e ho visto piante meravigliose con rami e cortecce completamente pietrificati’. ‘Oh, replicò Jim - quella sì che è pietrificazione. L’estate prossima vieni con me nello Yellowstone e ti farò vedere alberi pietrificati sui quali uccelli pietrificati cantano canzoni pietrificate’. Molte delle sue storie ruotavano attorno a una famosa rupe nello Yellowstone, chiamata Obsidian Cliff, a volte descritta come una mitica montagna di cristallo, ‘un cristallo così trasparente che nemmeno le lenti più potenti possono vederla, né tanto meno l’occhio nudo. Ci si potrebbe chiedere come sia stata scoperta una cosa che non si vede nemmeno. Il fatto è che alla base della montagna furono trovate ossa e carcasse di uccelli che probabilmente volavano verso la montagna e vi sbatterono contro. Una roccia invisibile, ma che, ha giudicare dalla qualità di resti di animali alla sua base, deve essere stata davvero alta 




Così in merito a codesto principio antropologico adottato provo una stima verso tutti quei pionieri i quali, in questa mia, pongono nella dovuta differenza e Via ed ugual Vetta il loro credo (e nel progresso irrimediabilmente perso).

Giacché se pur riconosciamo nei pionieri, e relativi se pur apparentemente remoti resoconti, ciò che implica tal fatica e conquista lo si deve alla guida. Quella che in ugual medesima conquista implicava nel proprio codice genetico una inevitabile ineguagliata abilità e conoscenza affine agli Elementi sfidati.

Thoreau sarebbe stata un’ottima guida se solo il progresso non lo avesse rilegato e retrocesso ad una più che gradevole cornice o vallata con un’ottima se pur inusuale vista ma non certo Vetta!

Poche di queste (guide), visto l’impressionante successione che da ogni valle sgorgherà qual fiume in piena, posso riconoscere ed attribuire, in questo Tempio pagano l’onore taciuto in conformità con ogni Elemento della Natura, anche se annoverate e rimembrate per la loro incomparabile arditezza.

Poche e rare, giacché il progresso tenderà a modificare l’intera visione così come ogni Ortodossia manifesta successiva materia da ciò che nella Storia troppo spesso vien cancellato a beneficio di altro qual monolitica Verità adottata, anche se questa tratta ed interpretata per… ogni legno e roccia che troviamo in medesima strada.

Queste poche celebriamo in codesto Tempio, compresa la volontà appagata e quindi retribuita, visto che a ragione chi non dialoga e conosce la segreta lingua per ogni roccia ghiaccio o legno d’ogni elemento incontrato deve esser trattato al pari d’una bestia da addomesticare alla Natura persa in procinto ed atto di conseguente ‘addomesticamento’ ricompensato.

Differenza fra Filosofia e Credo!