giuliano

giovedì 25 settembre 2014

MENTRE MORIVO (6)










































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Mentre morivo

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Mentre nascevo (7)














Il cartello appare. Adesso guarda verso la strada, perché può aspettare. Nuova Speranza. 3 migl., dirà. Nuova Speranza. 3 migl. Nuova Speranza. 3 migl. E poi comincerà la strada, che curva e entra dentro gli alberi, vuota a forza di aspettare, dicendo Nuova Speranza tre miglia.
Ho sentito che mia madre è morta.
Vorrei avere il Tempo di lasciarla morire.
Vorrei avere il Tempo di volerlo avere.
E’ perché nella terra selvaggia e offesa troppo presto troppo preso troppo presto. Non è che non vorrei e non l’avrò è che è troppo presto troppo presto troppo presto.
Ora comincia a dirlo.
Nuova Speranza tre miglia.
Nuova Speranza tre miglia.
Ecco che cosa intendono con il grembo del Tempo: il tormento e la sofferenza delle ossa che si aprono, la dura cintura entro cui giacciano le viscere degli eventi.




La testa di Cash gira lenta mentre ci avviciniamo, il triste pallido viso composto che domanda, e segue la vuota curva rossa; vicino alla ruota di dietro Jewel sta sul cavallo guardando fisso davanti a sé. La terra scorre via dagli occhi di Darl; ondeggiando, diventano due punte di spillo. Cominciano ai miei piedi e risalgono su lungo il mio corpo fino al viso, e poi il mio vestito non c’è più: sono qui nuda, seduta sul sedile sopra i muli che non hanno fretta, sopra il travaglio.
E se gli dicessi di voltare, dice. Lui fa quello che dico io. Lo sai che fa quello che dico io, vero? Una volta mi sono svegliata con un vuoto nero, che mi scorreva sotto. Non vedevo nulla. Ho visto Vardaman alzarsi, andare alla finestra e piantare il coltello nel pesce, col sangue che sgorgava, sibilando come vapore ma non vedevo nulla.
Lui fa quello che dico io. Sempre, lo fa. Posso convincerlo a fare qualsiasi cosa. Lo sai che posso. E se dicessi gira qui…
… E’ stato quella volta che sono morta….




E se lo facessi.
…Andiamo a Nuova Speranza.
Non c’è bisogno che andiamo in paese.
Mi sono alzata, ho preso il coltello dal pesce che sgorgava e continuava a sibilare, e ho ammazzato Darl.
Quando ancora dormivo con Vardaman una vola ebbi un incubo credevo di essere sveglia ma non vedevo nulla e non sentivo nulla non sentivo il letto sotto di me e non riuscivo a pensare che cos’ero non riuscivo a pensare al mio nome non riuscivo nemmeno a pensare sono una ragazza non riuscivo nemmeno a pensare io e nemmeno a pensare voglio svegliarmi né ricordare che cos’è l’opposto di svegliarsi così riuscivo a farlo sapevo che qualcosa stava passando ma non riuscivo nemmeno a pensare al Tempo poi tutt’a un tratto ho capito che cos’era quel qualcosa era il vento che mi soffiava addosso era come se il vento venisse e soffiasse e mi rimandasse indietro dov’era che non ero soffiava e faceva riaddormentare la stanza e Vardaman e tutti quanti loro là dietro sotto di me e continuava come una pezza di seta fresca che mi passava sulle gambe nude….
Soffia fresco dai pini, un suono triste e continuo.




Nuova Speranza. Era 3 migl. Era 3 migl. Io credo in Dio io credo in Dio….
‘Perché non siamo andati a Nuova Speranza, Pa’?’ dice Vardaman. ‘Il signor Samson diceva che era lì che si andava, ma la strada è già passata’. Darl dice: ‘Guarda, Jewel’. Ma non guarda me. Guarda il cielo. L’avvoltoio è fermo come se ci fosse stato inchiodato (lo sciacallo… suo fidato compagno lo guarda come se aspettasse l’ordine del Diavolo, la volpe li fissa e mira, forse perché così è tutta la sua vita, il cinghiale è dietro l’angolo infossato con la macchia unta sul collo.., la lepre corre da lontano se ne sente l’odore, il Tempo compie il suo giro, Tempo indemoniato che urla ad un Incrocio sudato, non sono animali narrati ma umane creature di Dio, compiono l’inganno del loro sciacallo avvoltoio avvinghiato arma di un Dio mai pregato…).
Svoltiamo per la viottola di Tull.
Passiamo il fienile e andiamo avanti, le ruote che bisbigliano nel fango, passando i filari verdi del cotone nella terra selvaggia, e Vernon piccolo in fondo al campo dietro l’aratro. Leva la mano quando passiamo e rimane per un pezzo lì fermo a guardarci….  

(W. Faulkner, Mentre morivo)
















domenica 21 settembre 2014

L'OCA (2)








































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L'oca (1)

Dello stesso autore...:

L'arte della menzogna (politica) 













Per ciò che concerne il suo misero corpo, non ci può esservi alcun dubbio, ma esaminate anche le conquiste della sua ‘nobile’ ed ‘evoluta’ mente… e troverete che tutte contribuiscono in diversa (taglia e…) misura… A FARE L’ABITO GIUSTO!
Un esempio per tutti: non è forse la religione un mantello di decenza ed onestà per il Paradiso (osservateli mentre escono ed entrano dalla e nella loro cattedrale preferita in vece del caffè troppo pieno in ugual modo di domenica…); l’onestà un paio di scarpe su misura che scricchiolano e cigolano in special modo in quei corridoi dove regna codesta divina giustizia!; e l’amor proprio un soprabito d’inverno e una bella camicia d’estate; e la coscienza un paio di brache, le quali, sebbene nascondano la libidine e la cattiveria così ben nutrita e cresciuta, si calano facilmente al servizio dell’una e dell’altra?
Una volta accolti simili presupposti, ne conseguirà per ragionamento logico (conseguito con laurea emerita presso la facoltà di Economia & Commercio), che tali entità – che il mondo chiama impropriamente completi di vestiario – sono in realtà le più raffinate specie di animali; o, ancor meglio, sono creature razionali, al pari degli uomini.




Non è forse evidente che essi vivono, e si muovono, e parlano, e svolgono tutti gli altri compiti della vita a cui la vita destina loro? E le loro inscindibili proprietà non sono forse la bellezza, e l’intelligenza, e la bella presenza, e la buona educazione?
In conclusione, non vediamo nient’altro che loro, non ascoltiamo che loro (queste nobili creature…). Non sono forse loro che camminano per le strade con tanta nobiltà d’animo, presenziano il Parlamento, i caffè, i teatri, i bordelli e non per ultime affollate chiese?
Invero, è risaputo, che queste creature, che vengono volgarmente (ed ingiustamente) chiamate e nominate completi di vestiario o abiti, secondo gli elementi che aggiungono, ricevano denominazioni e ruoli diversi.
Se uno di loro è corredato di capelli canuti, catena d’oro, toga rossa e un bastone bianco, e sta in sella a un grande cavallo, costui viene allora chiamato Sindaco; se le pellicce d’ermellino sono sistemate in determinate posizioni, si userà allora il titolo di Giudice; allo stesso modo, ad un giusto accostamento di tela batista e raso nero, conferiamo il titolo di Vescovo; non stiamo in questa sede ad enumerare ed illustrare nelle variegate ‘leggi’ della botanica prima maestra di codesto artigianato i fasti di coloro che sfoderano i colori migliori, gli abiti più sfarzosi nel regno ‘naturale’ dei loro ritrovi preferiti… i caffè: ci vorrebbe un arte enciclopedica riassunta in appositi ‘archivi di Stato’.
Altri studiosi, pur concordando in linea generale, furono ancora più raffinati e brillanti nel trattare certi aspetti, ritengono infatti che l’uomo sia un animale composto di due abiti, l’abito naturale e quello celestiale, che altro non sono se non il corpo e l’anima.
L’anima è l’abito esterno, il corpo quello interno, e quest’ultimo esiste ‘ex traduce’, mentre l’altro è una creazione quotidiana che avviene per circonfusione, e lo dimostrano per mezzo delle Scritture. Perché in questi abiti viviamo e ci muoviamo, e si manifesta il nostro essere: come pure è dimostrato dalla filosofia, perché essi sono tutti in tutto, e tutti in ogni parte……


sabato 20 settembre 2014

DUE OROLOGI (7)












































Precedenti capitoli:

 Due orologi (1/6)













Ho visto degli strani crateri,
fuochi mai spenti
di una vita passata e non ancora
del tutto dimenticata.
Ho visto i fuochi e i bagliori
di una cometa,
baciare la nuda terra.
Ho visto la terra tremare
ed il vulcano raccontare,
lingue di fuoco e torrenti...
seminare sangue nero come la cenere.
Ho visto ogni cosa morire
ed il cielo sparire,
abdicare la luce del giorno
ad un tramonto senza contorno.
E mutare la vita in cupo terrore,
e la speranza in morte senza dolore. (14)

Ho visto la terra mutare colore,
aprirsi la pietra e l'acqua,
fuoco antico di un Primo Pensiero
pulsare dolore.
Un parto senza nessun Creatore.
Solo desiderio che d'improvviso
diventa primo terrore,
poi solo parole d'amore.
Ho visto le luci di mille colori,
poi l'uomo poggiare il suo orecchio
sulla mia schiena per sentirne il vigore.
Un cuore pulsa dal fondo della terra:
conta i battiti della mia ora,
conta i minuti della mia esistenza,
scruta le viscere della miniera,
semina il suo perdono
con una lacrima.
E incide come il fuoco che avanza
per tutta la stanza.
Non fu amore a pagamento,
così come è mio dovere
e sacramento.
Non fu coito veloce di chi cerca
facile piacere,
su una terra troppo bella
per prostituire l'amore.
Non fu orgasmo senza sorriso,
del mercante che cerca
un paradiso.
Non fu pensiero perverso
di chi non conosce il fiore.
Non fu mano invadente che stringe
il seno,
e arriva fin sul di dietro
per profanare ogni desiderio
a lui mai concesso.
Ma solo acqua,
lenta scorre da una montagna
di parole,
luce di vita dona alla mia vista
pensiero che avanza e illumina
la terra.
E' l'amore di un nuovo Creatore.
La stella pian piano diventa pianeta,
con la certezza di aver visto un'antica
cometa,
una meteora come una lacrima antica,
solo una luce divenuta visione,
ad illuminare il mio giorno
....di nuovo contorno. (15)







Questo mio bacio accogli sulla fronte!
E, da te ora separandomi,
lascia ch'io ti dica
che non sbagli se pensi
che tutti furono un sogno i miei giorni;
e, tuttavia, se la speranza volò via
in una notte o in un giorno,
in una visione o in nient'altro,
è forse per questo meno svanita?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro a un sogno.

Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono nel mare!
Ed io piango - io piango!
O Dio! Non potrò trattenerli con una stretta più salda?
O Dio! Mai potrò salvarne
almeno uno, dall'onda spietata?
Tutto quel che vediamo, quel che sembriamo
non è che un sogno dentro a un sogno?

(Giuliano Lazzari, Il Primo Dio, Terzo Dialogo, 14/15;
E.A. Poe, Un sogno dentro a un sogno)  

un evento.....

un meteorite















venerdì 19 settembre 2014

DUE OROLOGI (6)







































Precedenti capitoli:

Due orologi &

Due orologi (2) &

Due orologi (3) &

Due orologi (4) &

Due orologi (5)

Prosegue in:

Due orologi  (7)














....Rispettoso del nostro patto, secondo cui dovevo aspettare che don
Juan iniziasse a far commenti sul mio Sognatore, mi rivolsi a lui per con-
sigli solo in casi di necessità.
Di solito, però, mi sembrò non solo riluttante a toccare l'argomento, ma
in qualche modo scontento di me. A conferma della sua disapprovazio-
ne, tutte le volte che parlavamo delle mie attività di Sogno, mi pareva
che minimizzasse sempre ciò che io avevo compiuto.




In quel periodo l'esistenza animata degli esseri inorganici era diventato
l'aspetto più cruciale delle mie esercitazioni di Sogno.
Dopo averli incontrati nei miei Sogni e specialmente dopo il nostro scon-
tro nel deserto vicino alla casa di don Juan, avrei dovuto essere più di-
sponibile a considerare la loro esistenza come un affare serio.
Ma tutti questi avvenimenti ebbero su di me l'effetto opposto.
Mi irrigidii e testardamente negai la possibilità che esistessero.
In seguito cambiai idea (a ragione...) e decisi di fare un'indagine obiet-
tiva su di loro.




Il metodo di questa indagine richiedeva che prima compilassi un elen-
co di tutto ciò che mi si palesava durante i Sogni e poi usassi quell'elen-
co come fonte per scoprire se il mio Sognare dimostrava o no qualco-
sa sugli esseri inorganici.
Riempii centinaia di pagine di dettagli meticolosi ma insignificanti, men-
tre sarebbe dovuto apparirmi chiaro che la prova della loro esistenza
era stata raccolta quasi nello stesso momento in cui avevo iniziato la
mia indagine.
Mi ci vollero poche sedute con don Juan per scoprire che quella che




ritenevo una sua accidentale raccomandazione - sospendere ogni giu-
dizio e permettere che gli esseri inorganici venissero da me - era, in
realtà, l'identica procedura usata dagli antichi stregoni per attirarli.
Permettendomi di scoprirlo per conto mio, don Juan seguiva sempli-
cemente il proprio istinto-tirocinio stregonico.
Mi aveva fatto notare tante volte che è molto difficile che il sé rinun-
ci alle proprie roccaforti se non dopo una lunga pratica. Una delle li-
nee di difesa più valide del sé è appunto la nostra razionalità; essa
però non è solo la più resistente alle azioni e alle spiegazioni degli
stregoni, ma anche la più minacciata.




Don Juan riteneva che era l'esistenza degli esseri inorganici a sferra-
re gli attacchi più duri alla nostra razionalità.
Nelle mie esercitazioni di Sogno c'era un percorso collaudato che
seguivo ogni giorno senza scostarmene. Cercavo prima di osserva-
re ogni possibile componente dei miei Sogni, e poi di cambiare So-
gno.
Posso dire in tutta sincerità che osservai un'infinità di dettagli, un
Sogno dopo l'altro. Con naturalezza, a un certo punto del mio So-
gnare, la mia Attenzione cominciava ad affievolirsi e finivo con l'ad-
dormentarmi a fare sogni normali, durante i quali non avevo alcuna




Attenzione del Sogno; oppure con lo svegliarmi e non essere più
capace di dormire.
Tuttavia, di tanto in tanto, s'introduceva nei miei Sogni una corrente
di energia aliena, un esploratore, come lo definiva don Juan.
Poiché ero stato avvisato, potevo meglio regolare la mia Attenzione
del Sogno e stare all'erta.
La prima volta che notai energia aliena stavo Sognando di fare acqui-
sti in un grande magazzino, e mi spostavo da un banco all'altro cercan-
do oggetti d'antiquariato.
Alla fine ne trovai uno.




L'incongruenza di cercare pezzi d'antiquariato in un grande magazzi-
no era talmente ovvia da farmi sogghignare, ma poiché ne avevo tro-
vato uno tralasciai l'incongruenza.
Si trattava del manico di un bastone (e di una lampada antica a ..).
Il commesso mi disse che era di iridio, secondo lui una delle sostan-
ze più dure del mondo.
Era intagliato e riproduceva la testa e le spalle di una scimmia.
A me sembrava fosse di giada.
Il commesso si ritenne insultato quando insinuai che potesse essere
di giada e per dimostrarmi che avevo torto gettò con tutta la forza
l'oggetto sul pavimento di cemento.




Non si ruppe, ma rimbalzò come una palla e poi volò via, ruotando
come un frisbee.
Io gli andai dietro.
Scomaparve dietro alcuni alberi.
Corsi a cercarlo e lo trovai, conficcato in terra.
Si era trasformato in un normalissimo bastone da passeggio verde
scuro e nero, straordinariamente bello.
Lo volevo.
L'afferrai e cercai con quanta forza avevo in me di svellerlo dal ter-
reno prima che arrivasse qualcun altro. Ma, per quanto forte tirassi,
non riuscii a smuoverlo di un centimetro.




Temevo che, se avessi cercato di staccarlo scuotendo, si sarebbe
rotto.
Così cominciai a scavargli intorno con le mani. Mentre continuavo
a scavare, cominciò a sciogliersi finché al suo posto rimase solo una
pozza di acqua verde.
Fissai l'acqua, che all'improvviso sembrò esplodere.
Diventò una bolla bianca e poi sparì.
Il mio Sogno continuò con altre immagini e dettagli che non erano
spettacolari, benché fossero molto limpidi e netti.
Quando lo raccontai a don Juan, commentò:




"Hai isolato un esploratore.
Sono più numerosi quando i nostri Sogni sono normali, comuni.
I Sogni dei Sognatori sono straordinariamente liberi da esplorato-
ri. Quando compaiono, sono identificabili per la stranezza e l'inco-
gruenza che li circonda".
- Incrongruità, in che modo, don Juan?
- "La loro presenza non ha alcun senso.
 Pochissime cose hanno senso in un Sogno.
 Solo nei Sogni comuni ci sono cose prive di senso. Direi che
 ciò accade perché sono inseriti più esploratori, perché la gente
normale è soggetta a un fuoco di fila maggiore da parte dell'igno-
to".
- Sai perché è così, don Juan?
- Secondo me......

(C. Castaneda)

(Prosegue...)
















 

DUE OROLOGI













































Precedente capitolo:

negli stessi anni (gli Stati da fare..)














'Richard Kronauer e il cronobiologo Charles Czeisler ipotizzarono l'esisten-
za di due diversi orologi biologici.
Nelle prove che condussero, in un ambiente naturale entrambi i ritmi ave-
vano una periodicità di 24 ore ed erano coordinati con le condizioni natura-
li di luce e oscurità, ma durante il primo periodo di isolamento erano coor-
dinati in modo tale che il loro ciclo congiunto era più vicino al ciclo della
temperatura corporea, e il sonno cominciava sempre quando la temperatu-
ra raggiungeva il minimo.
In una fase successiva del periodo di isolamento si separavano e ognuno a-
dottava una sua periodicità. In seguito si scoprì che ognuno dei due orolo-
gi è responsabile di un ulteriore insieme di sistemi....
Poiché durante il primo periodo di isolamento la durata del ciclo congiunto
si avvicina maggiormente a quella del ciclo della temperatura corporea, i
due scienziati chiamarono 'oscillatore forte' l'orologio biologico che control-
la la temperatura corporea e 'oscillatore debole' quello che controlla il son-
no e la veglia'.


'Provengo da una schiatta famosa per il vigore della fantasia e l'ardore del-
la passione.
Gli uomini mi hanno definito pazzo, ma non è ancora ben chiaro se la paz-
zia sia o non sia la più alta forma di intelligenza e se le manifestazioni più
meravigliose e più profonde dell'ingegno umano non nascano da una defor-
mazione morbosa del pensiero, da aspetti mentali esaltati e spese dell'intel-
letto normale.
I sognatori diurni conoscono molte cose che sfuggono a chi sogna solo di
notte; nelle loro grigie visioni essi colgono guizzi d'eternità e tremano, sve-
gliandosi, nell'accorgersi che sono stati lì lì per ghermire il grande segreto..'
(E.A. Poe)






 











UNO DEI DISPERSI



Jerome Searing, soldato semplice dell'armata del generale Sherman che
fronteggiava il nemico davanti e intorno al monte Kennesaw, in Georgia,
voltò le spalle a un gruppetto di ufficiali con cui aveva parlato a mezza
voce, superò una bassa fortificazione, e scomparve nella foresta......
...Nascosto tra le macerie di assi e travi, Searing lasciò correre lo sguar-
do sul terreno scoperto situato tra il suo punto d'osservazione e uno spe-
rone del monte Kennesaw, a 800 metri di distanza.
La strada che risaliva e valicava lo sperone era ingombra di truppe, la re-
troguardia del nemico in ritirata, e le canne delle sue armi luccicavano al
sole del mattino.
Adesso Searing aveva appreso tutto quello che poteva sperare di sapere.
Era suo dovere tornare al comando il più velocemente possibile e riferire
ciò che aveva scoperto.




Ma la grigia colonna dei confederati che arrancava con fatica sulla strada
montana era straordinariamente allettante. Il suo fucile, un normale Sprin-
gfield, munito però di mirino circolare e di un grilletto sensibilissimo, a-
vrebbe spedito con facilità i suoi trenta grammi di piombo tra le loro file.
Il fatto non avrebbe probabilmente influenzato la durata e l'esito della guer-
ra, ma il mestiere di un soldato è quello di uccidere. Inoltre, è sua abitudi-
ne, se è un buon soldato.
Searing caricò il fucile e 'armò' il grilletto.
Ma era stato decretato sin dall'inizio dei tempi che il soldato semplice
Searing non dovesse uccidere nessuno quel luminoso mattino d'estate, e
che non spettasse a lui annunciare la ritirata dei confederati.




Da tempo immemorabile gli eventi si erano combinati per comporre quel
meraviglioso mosaico ad alcune parti del quale, a malapena discernibili,
attribuiamo il nome di storia, e le gesta che egli aveva in mente di com-
piere avrebbero sciupato l'armonia del disegno.
Qualcosa come 25 anni prima, il Potere incaricato di eseguire l'opera in
conformità di quel disegno, era corso ai ripari facendo nascere un bam-
bino in un piccolo villaggio ai piedi dei Carpazi, lo aveva allevato con cu-
ra, ne aveva sorvegliato l'educazione, aveva indirizzato i suoi desideri al-
la carriera militare e, a tempo debito, ne aveva fatto un ufficiale di arti-
glieria.
Dal concorso di un numero infinito di influenze favorevoli e dalla loro pre-
ponderanza su un numero infinito di altre contrarie, quell'ufficiale di arti-
glieria s'era trovato a commettere un'infrazione disciplinare e a dover fug-
gire dalla sua terra natia per evitare la punizione.




Era stato indirizzato a New Orleans dove un ufficiale di reclutamento lo
aspettava sul molo. Era stato arruolato e promosso, e le cose s'erano di-
sposte in modo tale che ora egli comandava una batteria confederata a
circa due miglia in linea d'aria dal punto in cui Jerome Searing, l'esplora-
tore federale, stava caricando il fucile.
Nulla era stato trascurato; a ogni passo nel corso della vita dei due uomi-
ni, in quella dei loro contemporanei e antenati, e nella vita dei contempo-
ranei dei loro antenati, era stata fatta la cosa giusta per conseguire il ri-
sultato desiderato.
Se un particolare qualsiasi in quell'enorme concatenazione fosse stato
trascurato, quel mattino il soldato semplice Searing avrebbe spararto sui
confederati in ritirata e forse avrebbe sbagliato il colpo. Andò invece a
finire che un capitano d'artiglieria confederata, non avendo niente di me-
glio da fare mentre aspettava il suo turno per mettersi in marcia e andar-
sene, si divertisse a puntare, obliquamente alla sua destra, un pezzo da
campo su quel che scambiò per degli ufficiali federali sulla cresta di un
colle, e facesse fuoco.




Il colpo volò alto oltre il bersaglio.
Mentre Jerome Searing alzava il cane del fucile e con gli occhi fissi sui
confederati lontani valutava dove gli convenisse assestare il colpo per
avere maggiori speranze di creare una vedova, o un orfano, o una ma-
dre senza figli - o forse tutte e tre le cose, dato che il soldato semplice
Searing, benché avesse ripetutamente rifiutato la promozione, non era
privo di una certa ambizione - udì un suono fendere l'aria, come quello
prodotto dalle ali di un grande uccello che piombi sulla preda.
Aumentò d'intensità troppo rapidamente perché potesse coglierne il
crescendo, e diventò un rombo rauco e orribile quando il proiettile che
lo aveva prodotto si scagliò contro di lui dal cielo e colpì, con impeto
assordante, uno dei pali che sostenevano quel guazzabuglio di assi so-
pra il suo capo, e lo frantumò in schegge, facendo crollare con un gran
baccano, e in mezzo a nuvole di polvere acceccante l'assurdo edificio!!




...Ora era intrappollato in posizione distesa, la schiena ben sostenuta
da una solida trave. Un'altra gli stava di traverso sul petto, ma era riu-
scito a sgusciar via appena un po' ed essa, benché inamovibile, non lo
opprimeva più.
Una putrella, che si univa ad angolo alla trave, lo aveva incastrato in un
ammasso di tavole alla sua sinistra, bloccandogli il braccio da quella
parte. Le gambe, leggermente divaricate e ben stese a terra, erano co-
perte fino alle ginocchia da una massa di calcinacci che torreggiava sul-
l'orizzonte ristretto.
Aveva la testa rigida e come bloccata in una morsa, poteva muovere
gli occhi, il mento, nient'altro. Solo il braccio destro era parzialmente
libero.
- Devi aiutarci a uscire da qui,
gli disse.




Ma non riusciva a estrarlo dalla trave pesante che gli gravava sul petto,
e nemmeno a farlo ruotare sul gomito per più di 15 centimetri. Con la
mano destra, parzialmente libera, cercò di afferrare la trave che aveva
di traverso, ma non proprio appoggiata sul petto. Non vi riuscì in alcun
modo. Non poteva abbassare la spalla per spingere il gomito oltre l'-
estremità dell'asse che più gli stringeva alle ginocchia; non riuscendo a
far questo, non poteva sollevare l'avambraccio e la mano per afferrare
la trave.
La putrella, che formava con la trave un angolo inclinato verso il basso
e all'indietro, gli impediva ogni sforzo in quella direzione, e tra quest'ul-
tima e il suo corpo lo spazio era pari alla metà dell'avambraccio. Ovvia-
mente, non poteva mettere la mano né sopra, né sotto la trave; di fatto,
con la mano non riusciva nemmeno a toccarla.




Esaminando il cumolo per capire in che punto poteva attaccarlo, la sua
attenzione fu attratta da quel che pareva un anello di metallo lucente ....
proprio davanti agli occhi. Sulle prime gli sembrò che circondasse una
qualche sostanza nerissima e che avesse un diametro di poco più di un
centimetro.
Capì all'istante che il nero non era altro che ombra, e che l'anello era
solo la bocca del fucile che sporgeva dall'ammasso dei detriti. Non gli
ci volle molto per avere la soddisfazione di convincersi che le cose sta-
vano proprio così.....se possiamo definirla una soddisfazione.....
Chiudendo prima un occhio, poi l'altro, poteva vedere un bel tratto del-
la canna, fino al punto in cui era nascosta dalle macerie che la sostene-
vano.
Riusciva a vederla da un lato, con l'occhio corrispondente, più o me-
no alla stessa angolatura con cui scorgeva dal lato opposto, con l'al-
tro occhio. Guardando con l'occhio destro, l'arma sembrava mirasse
a un punto sulla parte sinistra della testa, e viceversa.
Era incapace di vedere la parte superiore della canna, ma riusciva a
scorgere la parte inferiore della cassa, in leggera inclinazione.
A dire il vero, l'arma era puntata esattamente al centro della fronte....

(A. Bierce) 


Prosegue in:

Due orologi (2) &

Due orologi (3) &

Due orologi (4) &

Due orologi (5) &

Due orologi (6) &

Due orologi  (7)














giovedì 18 settembre 2014

VIAGGI ONIRICI: gente di passaggio (l'hanno trovato...) (30) (103)


















Precedente capitolo:

Viaggi Onirici: gente di passaggio (l'hanno trovato) (29)  (102)  &

Viaggi Onirici: gente di passaggio (26)  (99) &
 










 
L'albero

Prosegue in:












Gente di passaggio (mentre 'rimavo la vita' con il mio amico....) (104)














Conosce le ‘gesta’ del più moderno ‘cavaliere…’ che stranamente per codesta mancata Rima, ma seria Storia Antica, si è alleato con il peggior nemico della sua strana ’Fedina’, e qui l’intento del vero custode della Memoria, Trovatore di codesta breve Prosa, deve accendere e cantare la dubbia morale di codesti nuovi scudieri paggi e cavalieri, non certo onesti amministratori della Pubblica Cosa, non certo civili custodi della Democrazia….) e scarsa era stata la partecipazione alle ‘Crociate’ (di codesto aspetto, qui alla Fortezza Bastiani ne siamo più che certi, ne siamo più che onesti e nuovi interpreti, perché ‘lo traffico’ dell’arme rende bene a questi nobili e nuovi cavalieri; lo ‘sterco’ della banca del fido scudiero accompagnato alla loggia del ‘cavaliero’ rende bene alla cassa del loro governo, così che li ‘boschi’ delle loro ‘parole’, non certo degne poesie, diventano caccia del ‘trovatore’ diletto, che a scuola a lasciato il suo fido pargoletto…, ed il vero ‘trovatore’ hanno così sacrificato al banco della classe, in codesto scuola, ‘stil nuovo’ della STORIA…).
Ma sulla fine del Millecento, il grande slancio mistico e conquistatore che aveva ispirato le avventure in Terrasanta anche in Francia si esaurì. E nelle Corti dei Signori che tuttora si dividevano il Paese, venne di moda una nuova poesia ironica, leggera, anticlericale e antipolitica…




I suoi più alti padroni furono il conte Guglielmo di Poitiers e di Aquitania che, andato a Gerusalemme per difendervi la Fede, ce l’aveva perduta, e sua figlia Leonora, destinata a divenire due volte regina: prima di Francia e poi d’Inghilterra. Furono due spregiudicati e impenitenti libertini, che misero nel piacere dei sensi e dell’intelletto lo stesso impegno che i loro predecessori avevano messo nelle guerre e nello zelo religioso.
Si chiamò ‘gai saber’, o ‘gaia scienza’, questa nuova poesia (ma non dobbiamo farci ingannare da facili errori…: la scienza positivistica aveva ancora secoli di fronte a se per manifestare  il suo ‘pensiero’). E ‘trovatori’ furon detti i suoi bardi, che naturalmente riecheggiavano i gusti e la mentalità dei loro protettori. A quei tempi i poeti non potevano contare sui ‘diritti d’autore’ (certo ancor oggi, per gli stessi bardi perseguitati, la cosa non è per nulla mutata…). 




Dovevano farsi mantenere da qualche potente (oppure scegliere l’esilio, prassi ben conosciuta in suolo di italica memoria..), secondandone le propensioni (certo in codesta ‘povera sede’ si parla di poeti, trovatori, novelli scienziati, non certo di ‘bottegai’…, o altri nobili, se pur sempre servitori delle esigenze altrui; certo servitori non dello ‘intelletto’ detto ‘corretto’…, quello lo servono a letto del loro padrone, ‘nobile de panza e di fiera… sostanza, altri discorsi so’ monnezza che avanza…’; scusate la rima, son più trovatore di prima, io che nell’albergo non pozzo desinare e neppure vegliare al lume del sapere del nuovo digiuno, perché il libro ho preferito ad un tartufo ben saporito e la notte fu’ bianca più di prima che Iddio ci assista… & benedica; ed il frutto saporito abbiam preferito donarlo al…, che ben ne conosce il sapore ed al suo cane, anche lui, che Dio lo benedica, Trovatore della VERA RIMA!).




In compenso avevano vita facile a Corte, godevano le simpatie e spesso le grazie delle gentildonne e, a furia di mescolarsi coi gentiluomini si consideravano tali anch’essi, si vestivano come loro con sontuosi mantelli ricamati d’oro e orlati di pelliccia, e partecipavano a cacce e tornei (questa fu’ la Storia, che Dio ci renda vera Memoria, la realtà come sopra espressa, è certo diversa, il Tempo si è fermato ad una strana ‘boa’ nel mare di questa difficile geologia, forse geografia, forse alchimia della vita, perché tentammo anche di spiegare la vita, ma come detto non fu cosa gradita, a chi la Terra vede più piatta di pria, a chi l’orologio carica ogni mattina, ma il Tempo è solo un inganno della Storia, cui il servo rende la giusta gloria, ed  al polso ostenta un Rolex araldo del progresso, che corre pur stando ben fermo, che scalcia avanza  precipita nella sua STRANA GEOGRAFIA…, per D… di nuovo la Rima).




Le loro poesie, oltre alla musica che sovente componevano, erano di diversi generi. D’amore, era la ‘canzone’; di filosofia o di moralità, la ‘tenzone’. Il ‘sirventese’ era un canto di guerra; il ‘pianto’, di dolore o di morte. La ‘ballata’ era un racconto col ‘fatto’; la ‘serenata’ un omaggio serale; la ‘pastorella’ un dialogo. Quanto alla metrica, il colmo della bravura era rappresentato dalla ‘sestina’, complicata sequenza di ‘sei’ stanze (ove il moderno.. alberga al nero dell’affitto per la causa dello nobile suo padrone..), inventata da un Arnaldo Daniello, che Dante ammirò molto e studiò attentamente… (donde scrive lo povero Pietro, trovatore della misera casa degli Autier, le canzoni, ballate, pastorelle e stanze son ben diversa cosa, ma almeno conosciamo l’inganno della vita, nell’abile alchimia del commercialista di codesta immonda vita…, per D… una nuova rima, che il Trovatore non ce la tolga…., son tutti suoi i diritti di codesta umile e povera Storia ne faccia tesoro fra lo sterco della sua ‘nobile parola’).