giuliano

mercoledì 17 febbraio 2016

I DUE ALBERI (17)



















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I due Alberi (16/1)

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Passaggi nell'età del progresso (18)

























Tranne che non c’erano progressi di ortografia.......

Uno dopo l’altro gli schiavi che Carothers McCaslin aveva ereditato e comprato - Roscius e Phoebe e Thucydides e Eunice e i loro discendenti, e Sam Fathers e sua madre che aveva avuto in cambio di un trottatore castrato mezzosangue dal vecchio Ikkemotubbe, il capo Chickasaw da cui egualmente aveva comprato la terra, e Tennie Beauchamp che il gemello Amodeus aveva vinto a poker da un  vicino, e quell’anomalia di nome Percival Brownlee che l’altro gemello Theophilus aveva comprato, né lui né il suo fratello mai seppero chiaramente perché, da Bedford Forrest quando era ancora un mercante di schiavi e non il generale... (era una sola pagina, nemmeno tanto lunga, non copriva un anno, anzi nemmeno sette mesi, e ini-ziava con la grafia che il ragazzo aveva imparato a riconoscere  come quella di suo padre).

Percavil Brownly 26 a. commesso & Contabile. comprato da N.B.Forest a Cold Water 3 Mar 1856 $265 dolari

....e più sotto, con la stessa grafia:

5 marzo 1856 Macché contabile non sa leggere… Il suo nome lo scrive ma avevo già provveduto Io. Dice che sa usare l’aratro ma a me mi sa di no. Mandato sui campi oggi 5 Marzo 1856

...e nella stessa calligrafia:

6 Marzo 1856 Non sa nemmeno arare dice che vuole fare il Pastore così magari può portare le bestie al Torente a Bere…

....e questa volta era l’altra, la calligrafia che adesso riconosceva come quella dello zio quando le vedeva tutt’e due sulla stessa pagina:

Mar 23 1856 Nemmeno quello sa fare Tranne una alla Volta Sbarazzarsene

 ....e la prima di nuovo:

24 Mar 1856 Chi diavolo se lo compra

.....e poi la seconda:

19 Apr 1856 Nessuno Ti sei bruciato la Piazza due mesi fa a Cold Water Mai detto vendilo Liberalo

.....la prima:

22 Apr 1856 Ci penso io

.....la seconda:

13 giu 1856 A 1$ l’anno 265$ 265 anni Chi firmerà i suoi documenti di liberazione

.....poi la prima ancora:

1 Ott 1856 La mula josephine s’è Rotta la Zampa & abbattuta Stalla sbagliata negro sbagliato tutto $100 dolari

 ...e la stessa:

2 Ott 1856 Liberato Addebitare McCaslin & McCaslin $ 265 dolari

…e la seconda ancora:

3 Ott Addebitare Theophilus McCaslin Negro 265$ Mula 100$ 365$ Ancora non se ne è andato Se ci fosse Papà…

...e poi la prima:

3 Ott 1856 Quel figlio di puttana non se ne va Che farebbe papà....

(Faulkner, Go Down, Moses; L'orso)






….Si è detto che le piante (come un tempo taluni indigeni…) non possono avere Anima già per il fatto che esse evidentemente servono a fini altrui; d’un fine a sé non è possibile riguardo ad esse parlare.
Diamo anzitutto voce a questa obbiezione in tutta la sua portata…
E’ vero: la struttura, la conformazione, tutta la vita e la morte delle piante servono interamente a fini degli uomini e degli animali, e questi pei loro bisogni sono costretti a contare interamente sul regno vegetale. Senza piante, uomini e animali morirebbero di fame. Senza di esse l’uomo non avrebbe né pane, né patate, né tela, né legno; e quindi né case, né navi, né botti, né fuoco; e quindi non stanze calde nell’inverno, non focolare per cuocere vivande, non fonderie per i metalli; e quindi né ascia, né aratro, né coltello, né moneta metallica.
Senza le piante non avrebbe nemmeno carne, latte, lana, seta, piuma, cuoio, sego, strutto; poiché gli animali devono in antecedenza ricavare tutto ciò dalle piante. E senza tutto ciò non ci sarebbe né commercio, né industria, né arte, né scritture, né libri, né scienza.
In breve, senza le piante l’uomo non avrebbe altro che la nuda vita e tosto nemmeno questa.
L’uomo usa dunque le piante, esse sembrano fatte per questo solo uso; e ciò che l’uomo di esse non usa, usano gli animali, i quali sono a loro volta usati dall’uomo, ma che, insieme a ciò, perseguono anche i loro fini particolari. Ogni pianta che non serve immediatamente all’uomo, offre certo ad uno o più animali nutrimento e rifugio.
La pianta adempie con ciò lo scopo della sua vita; tutta l’immensa molteplicità del regno vegetale e dei suoi prodotti non ha altro fine tranne quello di appagare l’altrettanto grande molteplicità dei diversi bisogni del mondo umano e animale. 
Dovunque la medesima constatazione: quando la pianta ha fornito ciò che può per l’uomo e l’animale, essa viene senza pietà sacrificata: il grano viene falciato, l’albero tagliato, il lino macerato. Sembra che una pianta non soffra alcun danno quando si tratta adempiere mediante essa un fine per l’uomo o per l’animale. In base a ciò il significato della relazione tra animale e pianta non può essere che questo: uomini ed animali erano già inizialmente destinati ad arrecare nella Natura anima, idea, fine. Tutto questo richiedeva, come veicolo dell’idea, anche la materia. Affinché l’elemento ideale non fosse troppo aggravato dall’elemento materiale, la più gran parte del peso e del lavoro materiale, necessario per i fini del fattore ideale, è stata collocata in un mondo particolare, il mondo delle piante, che sopportano agevolmente il peso e la fatica materiale perché non li sentono.
…Agli uomini e agli animali tutto viene dunque offerto già bene elaborato in precedenza dal mondo delle piante, affinché essi possano godere la gioia di cui abbisognano, ovvero non abbiano che da dare a tutto ciò l’ultima mano onde trovarsi tosto le condizioni più favorevoli per la messa in atto dei loro ideali.
(G. T. Fechner, Nanna o l’Anima delle piante)






E altrimenti come indurli a combattere?
Chi altri se non i Jackson e gli Stuart e gli Ashby e i Morgan e i Forrest? - gli agricoltori del centro e del Middlewest, coi loro appezzamenti da meno di un ettaro invece che da dieci o forse anche da cento, che erano loro stessi a coltivare e non a monocolture di cotone o tabacco o canna da zucchero, senza schiavi e senza bisogno né voglia di averne, già con lo sguardo rivolto alla costa del Pacifico, di rado nello stesso posto per più di due generazioni, che si fermavano dove s’erano fermati solo per la fortuita disavventura di un bue che muore o dell’asse del carro che salta.
E gli operai del New England che non possedevano affatto la terra e misuravano tutto in base al peso dell’acqua e al costo delle ruote che girano e il ristretto gruppo di commercianti e di armatori ancora rivolti all’altra parte dell’Atlantico e attaccati al continente solo dai loro uffici.
E coloro che avrebbero dovuto avere l’accortezza di vedere: imbonitori senza scrupoli di mitici insediamenti cittadini nella natura selvaggia; e l’astuzia di razionalizzare: i banchieri che detenevano le ipoteche sulla terra che i primi non vedevano l’ora di abbandonare e sulle ferrovie e sui battelli a vapore che li avrebbero trasportati ancora più a ovest e sulle fabbriche e le ruote e le proprietà date in gestione dove abitavano gli stessi gestori; e l’agio e la competenza di capire e temere per tempo e persino anticipare; le zitelle bostoniane d’educazione, discendenti da lunghi lignaggi di zii e zie di analoga educazione e altrettanto zitelli, le cui mani non conoscevano altra callosità che quella della penna accusatrice, per i quali la natura selvaggia cominciava dove arrivava l’alta marea e che guardavano, se mai a qualcosa di diverso da Beacon Hill, solo al cielo - per menzionare la marmaglia chiassosa che viveva accampata al seguito dei pionieri; il berciare dei politicanti (ora come allora...), il mellifluo coro dei sedicenti uomini di ....Dio (ora come allora...)....
.....La cronaca stavolta era narrata in un libro più severo e McCaslin a quattordici, a quindici, a sedici anni l’aveva visto e il ragazzo l’aveva ereditato come i nipoti di Noè avevano ereditato il Diluvio, anche se non erano testimoni dell’alluvione – l’epoca buia macchiata di sangue e corruzione in cui tre popoli distinti avevano cercato di adattarsi non solo gli uni agli altri, ma al nuovo paese che avevano creato, nonché ereditato e dovevano viverci per la ragione che coloro che l’avevano perso non erano meno liberi di lasciarlo di quelli che l’avevano conquistato; quelli su cui la libertà e l’uguaglianza era stata rovesciata dall’oggi al domani e senza preavviso né preparazione o nessun genere di addestramento su come usarla o anche semplicemente sopportarla e che ne abusarono non come avrebbero fatto dei bambini e nemmeno perché erano stati in schiavitù tanto a lungo e poi liberi all'improvviso, ma ne abusarono come sempre tutti gli esseri umani abusano della libertà, e così lui pensò....






Evidentemente c’è un’altra conoscenza al di là di quella che s’impara dalla sofferenza necessaria all’uomo per distinguere tra libertà e licenza; quelli che avevano combattuto per quattro anni e perduto per preservare una condizione nella quale quell’affrancarsi era anomalia e paradosso, non perché s’opponessero alla libertà in quanto libertà, ma per le solite ragioni per cui l’uomo ha sempre combattuto ed è sempre morto in guerra; per preservare uno status quo o per garantirne uno futuro ai propri figli; e infine, come se tali ragioni non bastassero, per amarezza, odio e paura, quella terza razza ancora più estranea al popolo a cui rassomigliava per pigmento e in cui scorreva lo stesso sangue, più estranea che al popolo a cui non somigliava - quella razza, una e trina, estranea anche a se stessa, tranne per un’unica feroce volontà di rapina e di saccheggio, composta dai figli di furieri di mezz’età e vivandieri dell’esercito e fornitori di coperte militari e scarpe e muli da soma che arrivavano dopo battaglie che non avevano personalmente combattuto e ereditavano conquiste a cui personalmente non avevano contribuito, sanzionati e protetti anche se non benedetti, e ci lasciarono le ossa e in un’altra generazione si sarebbero impegnati in una feroce lotta economica di piccole fattorie abbandonate a se stesse con neri che loro teoricamente avevano liberato e con i discendenti bianchi di padri che comunque non avevano posseduto nessuno schiavo che teoricamente avrebbero diseredato e che nella terza generazione si sarebbero ripresentati ancora una volta in piccoli capoluoghi di contea sperduti in veste di barbieri e meccanici e vice-sceriffi e manodopera di follatrici e sgranatrici e fochisti di macchine a vapore, guidando, prima in borghese e poi adottando i paramenti formali formalmente riconosciuti dei lenzuoli per incappucciarsi e parole ...d’ordine e simboli cristiani e minacce ingiurie falsità e inganno, e di nuovo simboli e croci fiammeggianti, spedizioni di linciaggio contro la razza che i loro antenati erano venuti a salvare; e di tutta l’altra oscura orda di piccoli e grandi speculatori delle miserie umane, imbonitori di denaro e politica e terra, che arrivavano dopo le catastrofi e sono la loro propria protezione come le cavallette e non hanno bisogno di nessuna benedizione e non pensano con.....
(W. Faulkner, L’orso)














lunedì 15 febbraio 2016

I DUE ALBERI (15)











































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I due Alberi (14)

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I due Alberi (16)













....Predatorio principio privato del motivo, o semplice maschera, nominata vita e con essa… Dio… Ed in nome e per conto di questo, nella Genesi di ugual ‘verbo’, ragion per cui il povero (colore scuro dall’occhio rilevato come fosse una foglia appesa e staccata al proprio ramo nell’autunno cui pensano il caldo della vita) fu appeso e messo come lei (secolare antenato Albero del bosco) al rogo… così da rinvigorire l’aspirato fuoco… ragione di un più nobile decoro… Forse in quei momenti, quando il sudore scende dal volto e dalla schiena, natura di un aguzzino precipitata e caduta (ed anch’io conservo quale Eretico medesimo ricordo), provarono, per il vero ed in verità, ugual patimento e sofferenza formare parola preghiera e musica, congiungersi e orbitare in nera natura collassata precipitata - principio e motivo di una futura gravità percepita o forse solo udita… Ad un più giusto Dio gradita… (ma stati pur tranquilli codesto Spirito ed Anima confusi e barattati calunniati e tacciati per altro come lo spartito insegna… giacché in questo  ‘motivo’  - non certo compreso - e principio l’Uno che nacque dopo, da un Eretico trovatore…, nato dalla calunnia cui tale ‘odio’ terreno cresce e prospera seminato da inferiore pensiero…). Sussurrò una nota! Sì la ricordo! Sussurrò un lamento! Sì è vero lo sento in questo Universo! Un pianto giammai udito nel suo vero principio… Sì posso goderne frutto e luce di un sano nutrimento ed appetito dall’Anima desiderato… E ricordare quando il mondo nacque alla danza di un diverso Dio Straniero, medesimo frutto con la pianta condiviso… Giacché nel sangue e nel cuore quanto nell’Anima orbitare gravità e luce udita ed anche gradita quale specchio e libertà di vita infinita… Anima-Mundi ove ogni elemento cresce nel proprio motivo e Universale intento e libero arbitrio segregato e costretto ad inferiore principio e ‘nota’… In un luogo ove nacque il primo vagito da un lontano Universo raccolto e nel mito di una terrena civiltà riflesso…




Ed ora tornare al ‘passo’ compiuto ed inquisito di una più retta disciplina, privata però, di quella ‘nota’ che rende ‘pazza’ la comune via, cammino o  Sentiero percorso, quale ‘monte analogo’ di una più profonda Verità divenuta e riflessa per ogni mito arso all’ingiuria e trascuratezza, o ancor peggio, al limite della semplice ‘parola’ nata (e dicono evoluta alla grotta cui incisa)… Alcuni predicano Storia, altri e con loro, Memoria… Se pur sempre taciuta costretta ed anche travisata, talché cotal intento diverrà (di ciò ne sono più che certo nel visibile Universo privato dell’Anima detta) come il povero Albero e con lui l’infelice natura linciata e di seguito - l’Uno trovator della Memoria inquisita - ugual ricordo… E se pur in apparenza incapace di qualsivoglia strumento, in verità e per il vero, nell’Anima e Dio aver composto e suonato ogni accordo… In accordo, per il vero, con l’Opera pensata aver concepito la Prima Nota il Primo Elemento… L’Uno assiso (ed Io) contemplare vera Natura dal ‘due’ nata cui la cellula formerà futuro spartito e Universale concerto…  E saper con ugual sudore aver attraversato nelle ère percorse ugual pena sofferenza e terreno patimento al Teschio della vita la quale vittima del Tempo, e con questo, le sue evoluzioni creare diverso mito diverso spartito… Ma ora l’Uno nato sa di aver capito e visto la vita nel Secondo in cui braccato… nel progresso maturato… nella conquista ove ogni Anima soffre e reclama una più nobile natura…da una diversa parabola raccolta e costretta…Dio intona la sua preghiera…  
Misurare tale distanza nella geometria rivelata e rilevata sarà come udire ed assaporare il colore della vita il peso o la sensibilità nata o fors’anche perita al comune intento della gravità misurata… E se l’Anima percepire tale intento non stupirti del ritmo della rima seguire d’incanto lo spartito nella fuga ove io qual Eretico scrivo e dico… Non stupirti se la gioia nascere ugualmente al passo al ritmo alla vita… E narrare il mondo nato! Non stupirti se ugual grida confondere passo e musica! Non stupirti se come il Tempo narrato ugual inquisitore braccare intento e spartito…e mutare il sole di un sorriso precipitato nell’abisso di una colpa mai consumata e con lei offesa arrecata…(*)




(*) L’essere umano ha modellato ogni suo movimento, suono e immagine sull’osservazione delle altre creature e delle altre meraviglie naturali di Dio.
Gli uccelli cantano come uccelli, i leopardi camminano come leopardi, i cavalli come cavalli, i gabbiani volano come gabbiani, i leoni ruggiscono come leoni, i pesci nuotano come pesci. Tutti gli animali, salvo l’uomo, si comportano come vuole la loro specie.
La musica, per esempio, è cominciata con l’uomo, l’uomo primitivo che cercava di riprodurre i suoni della natura, il vento, gli uccelli, gli animali, l’acqua, il crescendo del fuoco. Dopodiché vennero creati dei grandi sistemi di studio, soltanto per sco-prire che la musica non ha confini.
(D. Ellington)

Queste guerre per gli schiavi portavano destino di morte ai giovani e ai vecchi di quei tempi, perché se un uomo o una donna venivano catturati, poi erano venduti come schiavi a gente forestiera che li portava in posti sconosciuti per ucciderli davanti al suo dio o per farli lavorare
per loro...
Ma siccome mia madre era una piccola commerciante che andava da un posto all’altro, una mattina andò al mercato che stava a circa tre miglia dalla nostra città, e lasciò come sempre due fette di igname cotto per noi. Quando furono le dodici del pomeriggio i galli cominciarono a cantare senza smettere mai, allora mio fratello ed io entrammo nella stanza di nostra madre dove lei teneva al sicuro per noi i due ignami affettati o tagliati, così le due mogli che ci odiavano non potevano avvelenarli,  e mio fratello prese uno degli ignami e io presi l’altro e subito ci mettemmo a mangiare.
Ma mentre noi stavamo mangiando gli ignami nella stanza di nostra madre, quelle due mogli che ci odiavano seppero prima di noi che in città stava per scoppiare la guerra, così scapparono tutte e due dalla città con le loro figlie senza dirci niente e senza portarci con loro, e lo sapevano tutte quante che nostra madre non era in città. Proprio perché eravamo troppo piccoli per sapere il significato del ‘male’ e del ‘bene’, ballavamo tutti e due ai rumori dei fucili nemici che rimbombavano nella stanza dove stavamo mangiando gli ignami, mentre i grossi alberi e le molte colline tutte piene di buchi profondi che circondavano completamente la città cambiavano i rumori terribili dei fucili nemici in un suono che ci pareva bellissimo, e noi ballavamo per questi suoni bellissimi dei fucili nemici.
Ma siccome i nemici si avvicinavano sempre di più alla città, per noi i suoni bellissimi dei loro fucili diventarono terribili perché in quel momento tutto tremava…
…E fu quel giorno che scoprii che se la paura è troppa una persona non ha più paura di niente. Ma siccome il fumo dei fucili nemici si stava avvicinando a noi, con grande dolore mio fratello mi lasciò su quella strada, poi si fermò e si mise le mani in tasca e tirò fuori
i frutti che erano caduti dall’albero sotto il quale prima stavamo per nasconderci; e invece di uno solo me li diede tutti e due.
Dopo di che si mise a correre più presto che poteva lungo quella strada verso i nemici, senza essere visto, e intanto che correva via continuava ancora a guardarmi. Così quando non lo vidi più sulla strada, mi misi in tasca tutti e due i frutti e poi tornai a quell’albero sotto il quale li avevamo presi e restai là soltanto per ripararmi dal sole...
(Amos Tutuola, La mia vita nel bosco degli spiriti)





Certo non fui il solo in siffatta armonia! Certo non fui il primo a fuggire una verità nascosta, in quanto, in verità e per il vero, dopo di me tanti conobbero ugual persecuzione, una certezza....

(Prosegue...)











venerdì 12 febbraio 2016

EVOLUZIONI... (12)




































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Evoluzioni... (11)

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I fogli volanti (13)














Pare che debba essere riconosciuto a Bolden il merito di aver utilizzato per primo, nelle esecuzioni orchestrali, materiale tratto dal folklore musicale negro-americano. A lui comunque la tradizione attribuisce la paternità dell’‘hot blues’, e cioè del blues eseguito orchestralmente, con variazioni improvvisate. E' sicuro ad ogni modo che la popolarità di Bolden nei pochi anni in cui fu attivo come musicista, era grande: le donne non sapevano resistergli, e lui non sapeva resistere né a loro né al whisky. A causa della sua vita sregolata finì per perdere il senno: nel 1907 fu rinchiuso in un manicomio della Lousiana, dove morì molti anni dopo, nel 1931. Se fu davvero l’inventore del jazz non poté mai rendersi conto del successo ottenuto dalla ‘sua musica’. Come suonasse e quanto valesse questo primo ‘re del jazz’ non sapremo mai.
Forse era davvero uno strumentista un po’ rozzo, come lo definì Louis Armstrong (che però era un bambinetto di sei anni quando Bolden smise per sempre di suonare....); forse era un musicista ma soprattutto uno showman, un uomo di spettacolo, esibizionista, come dichiarò Sidney Bechet. Anche se non fu ‘la più potente tromba della storia’, come proclamò solennemente Jelly Roll Morton, che esagerava spesso, fu però probabilmente un caposcuola, un iniziatore.




Un altro trombettista veterano, di New Orleans, Papa Mutt Carey, ha detto: ‘...l’uomo che ha dato il via a tutto il jazz è stato Buddy Bolden. Sì, era un trombettista potente, e un buon trombettista, anche. Penso che gli si debba riconoscere il merito di aver dato inizio a tutto quanto’. Louis Armstrong nella sua autobiografia parla di lui in questi termini: ‘dopo un paio di settimane mia madre, completamente ristabilita, andò a lavorare presso alcuni ricchi signori bianchi che abitavano dalle parti del cimitero a City Park. Felice di rivederla in buona salute, cominciai a rendermi conto di quello che succedeva intorno a me, e ciò che mi colpì maggiormente furono gli ‘honky tonk’ nei pressi di casa nostra, così diversi da quelli della zona di James Alley che avevano solamente un pianoforte. A Liberty Street, Perdido Street, Franklin Street e Poydras Steet c’erano locali a ogni angolo e in ciascuno di essi si suonavano strumenti di ogni genere. All’angolo della strada in cui abitavo io c’era il famoso Funky Butt Hall, dove per la prima volta sentii suonare Buddy Bolden.




PAREVA UN TEMPORALE. In quel quartiere non mancava nulla e anche se logicamente a noi bambini era vietato l’ingresso al Funky Butt, potevamo sempre ascoltare l’orchestra dal marciapiede. A quei tempi, quando c’era una festa danzante, l’orchestra suonava per una buona mezz’ora davanti all'ingresso del locale prima di entrare per accompagnare le danze. Questo si faceva ovunque in
città per attirare il pubblico, e di solito funzionava.
Buddy Bolden suonava con tanta forza che io mi domandavo se avrei mai avuto tanto fiato nei polmoni per suonare la cornetta. In fin dei conti Buddy Bolden era un attimo musicista, ma secondo me soffiava un po’ troppo forte e, anzi, forse non soffiava nemmeno come si deve.
Comunque finì per diventare pazzo, ....e non c'è da stupirsi.....’.




Ebbene, Tin Pan Alley è il nome dato all’intera collezione di spartiti che dominarono la musica popolare americana dalla fine del XIX secolo agli inizi del XX e furono pubblicati a New York da alcuni editori in stretto contatto con i compositori e, talvolta, compositori essi stessi. Per essere più precisi con questo nome si indica anche il centro mondiale dell’editoria musicale, a partire dal 1895 fino al 1920.
Prima di Tin Pan Alley i più importanti editori erano sparsi nel nord degli Stati Uniti. Gli editori-compositori che daranno vita a Tin Pan Alley ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione degli spartiti all’interno del paese e, specialmente all’inizio, non si limitarono a quelli di musica popolare, ma pubblicarono anche musica sacra per le funzioni domenicali, libri di teoria musicale e studi di vario genere per uso domestico e scolastico.
L’idea di organizzarsi in tale maniera nacque dalla semplice constatazione che dalla fine della Guerra civile americana (1861-1865) venivano venduti ben 25.000 pianoforti l’anno a ritmo costante e che nel 1887 il numero di giovani che studiavano quello strumento era salito a 500 mila. Il risultato di tali tendenze fu un aumento della richiesta di spartiti, ragion per cui sempre più editori entrarono in questo nuovo e fiorente mercato.




E’ in questo clima ricco di fervore creativo e di notevoli guadagni che a New York un considerevole numero di editori scelse, come zona per i propri uffici, l’angolo sulla Ventottesima strada tra la Quinta e Brodway: il luogo divenuto celebre come Tin Pan Alley. Il motivo per il quale a tale luogo fu dato un nome così particolare non è storicamente documentato; probabilmente esso risale ad alcuni articoli scritti, a cavallo dei due secoli, da un giornalista di nome Monroe Rosenfeld il quale coniò questo nome come termine onomatopeico, per evocare la sonorità così caratteristica della zona newyorkese in questione. Tradotto letteralmente Tin Pan Alley significa infatti ‘vicolo delle pentole di latta’. Probabilmente la presenza contemporanea nello stesso luogo di così tanti pianoforti che eseguivano le nuove composizioni negli uffici degli editori, produceva una particolare cacofonia che il giornalista avvicinò al suono di tante pentole percosse.
Sicuramente questi furono degli anni incredibili, ove la creatività dei compositori fu abilmente utilizzata dagli editori per dar vita a uno dei più importanti fenomeni culturali dell’America di quegli anni. In questo periodo Tin Pan Alley produsse un’enorme quantità di canzoni di grande rilevanza, sia dal punto di vista commerciale che artistico, al punto da segnare in modo marcato la cultura americana; molte di quelle canzoni sono, infatti, oggi ampiamente conosciute in tutto il mondo. Il mercato di questa musica fu enorme anche rispetto agli standard delle vendite: ad esempio nel 1892 il brano ‘Harris’s after the ball’ vendette oltre cinque milioni di copie…




Si potrebbe pensare che quelle note fossero scritte per solo fini commerciali e, raccontata così, la storia rischierebbe di gettare cattiva luce sull’intera produzione musicale di quel periodo – produzione che fu anche alla base del repertorio di musica jazz, al centro di questa trattazione – ma non è così. Il successo di quella musica, infatti, semplicemente dimostra il trionfo del talento e dell’arte sugli interessi commerciali che fortunatamente furono curati con grande attenzione dagli editori dell’epoca, ma mai a discapito DELLA CREATIVITA’ UMANA! 
...L’impatto di queste nuove sensibilità tradotte in note musicali apportarono a quel cambiamento manifesto di cui accennavamo con Benjamin, la rapida crescita tecnologica, infatti, di quegli anni, diede vita all’industria dell’intrattenimento musicale, fenomeno in parte nuovo rispetto alle esperienze europee. In Europa in effetti, tale industria non aveva mai avuto ragion di esistere poiché il sostegno economico dei musicisti, fatta eccezione per il ruolo degli editori, era in gran parte assicurato da mecenati e, in seguito, da singoli benestanti che continuarono a prendersi cura della sopravvivenza dei grandi compositori… Il vero problema di questi primi anni dell’industria musicale – che non si avvaleva esclusivamente della pubblicazione di spartiti ma evolveva soprattutto sulla registrazione e diffusione di dischi – risiedeva nel fatto che tutta la tecnologia disponibile era utilizzata esclusivamente dai bianchi. Nei primi anni del 900, l’incisione di un disco aveva alle spalle orribili regole discriminatorie…

(M. Ondaatje, Buddy Bolden’s Blues & A. Polillo, Jazz & L. Armstrong, Satchmo la mia vita a New Orleans & S. Cataldi, Viaggio nel Jazz)














martedì 9 febbraio 2016

VIAGGI SCIENTIFICI (di fine ed inizio secolo) (9)








































Precedenti capitoli:

Viaggi scientifici (di fine ed inizio secolo) (8)

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L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (10)













(*) (2) Su queste cascate e con questi detriti introduciamo, nell’Eretica visione, la fine di ciò che per secoli temuto ed ammirato e precipitato in detriti di aliena e diversa Natura di alchemico principio respirato, dall’alto ove per il vero navighiamo...





Domenica…(*) (3)

( (*) (3) o forse martedì… non ricordo… giacché ammiro la navicella da cui partito… Precipitammo in un ghiaccio spesso più della morte ove anche i pochi animali convenuti annusano i corpi impietriti. Ghiacciati! Mummie di un secolo passato! Un ideale precipitato o forse mai arrivato al foglio dell’eterna conquista ove l’uomo si legge ed ammira! Ci osservano e scrutano vorrebbero sfamare l’ingordo - loro ed altrui appetito -, ma il freddo ha reso pietra ciò di cui il sangue sazia il corpo. Non so se sono animali! Ora osservo smarrito dall’invisibile conquista compiuta un diverso elemento precipitare… E la terra ed il ghiaccio mio amico ritirare simmetrico e comune intento in codesto sofferto cammino…




La morte da questa altezza è cosa lieta… Ed il non partecipare alla conquista, in questa improvvisa dipartita dalla vita, è motivo e principio per diversa premessa e finalità cui destino diversa e più matura Natura… Noi Spiriti ed Anime d’altri tempi, pur eterni, partecipiamo ora a ben più difficile ed invisibile Opera, la quale, rifletterla nello Spirito di chi nato o non ancora concepito, presso questa ‘apparente’ sofferta morte, ricomporrà quanto estinto di un calvario in cima ad un Teschio…  Giacché questo il compito… E più non dico! Anche se Plotino in codesta bufera illumina l’Opera… O forse nella crosta della difficile stratigrafia rilevata e rivelata ci furono altri… Sì! Li vedo e scorgo! Fiocchi di neve e ghiaccio in perfette simmetrie evaporare al fuoco dell’inferno dell’eterna e materiale conquista… Sì li vedo! Precipitare in quel crepaccio… ove anch’io persi corpo ma non certo lo Spirito… La loro conquista compirà sofferta Natura e questa narra la sua avventura…
E che Dio ci benedica…)




Vento di mezzogiorno animatissimo!
Diciamo questa volta almeno sul serio?
O piuttosto anche questa volta non è che un falso avviso?
Andrée ed i suoi compagni esaminano a lungo i loro diversi strumenti a tutti i posti d’osservazione; le condizioni climatiche sembrano (s)favorevoli.
Il vento è violentissimo e l’edifizio di legno scricchiola sotto i nostri piedi. In alcuni momenti temo che si spezzi sotto la spinta del vento e che distrugga il pallone; ma questa costruzione d’apparenza così leggiera è solidissima e ce ne ha date anche prove eccellenti. Inoltre una montagna alta un centinaio di metri serve anche da valido riparo.
Dopo aver passato in rivista i diversi preparativi, (ora…) Andrée ritorna ancora per qualche minuto alle sue osservazioni; il risultato (…di quanto in questo Tempo rilevato e rivelato…) è (s)favorevole per una nuova conquista; ma Andrée non dà ancora il comando della partenza; questa volta egli non osa prender da solo la responsabilità della decisione e consulta i suoi Spiriti consimili…




Alla sommità del riparo dalla parte di mezzogiorno, alcuni convenuti distendono alcune tele fra i pali, elevandone così l’altezza di quattro metri (*) (4) ( (*) (4) taluni geologici,  li vedo ed osservo,  possono rivelare delle strane ondulazioni della crosta terrestre… Il ghiaccio si ritira! S’alza!  S’impenna! Il fisico compiute le dovute misurazioni non sa a chi darne colpa e principio se non un avverso evento naturale… Però anche nella previsione ottenuta e stimata c’è qualcosa che fa’ impazzire la strumentazione cui l’occhio del progresso e con questo della materia misura…)…
Il vento si fa sempre più intenso…
La pioggia aumenta… Poi si ritira…
Il deserto… avanza…
La stagione è terminata… o forse non ancora iniziata…
Quell’uomo è partito fiducioso e certo nel suo cammino…

(A.  Issel, Istruzioni scientifiche pei ‘Viaggiatori’; Andrée, il Polo Nord… conquistato)



















  


domenica 7 febbraio 2016

LETTERE (di fine ed inizio secolo) (6)


































Precedenti capitoli:

Lettere di fine secolo (5/1)

Prosegue in:

I portentosi macchinari (by Yorick figlio di Yorick) (7)














Meridan, Conn., 14 gennaio 1911

Cara sorella,
con sommo piacere ho letto la tua lettera. Ti ringrazio delle tue buone parole e di tenermi vivo alla memoria dei nostri fratellini.
…Come avrete inteso dalle mie prime lettere quando arrivai in America una crisi tremenda desolava queste contrade. Ebbi la fortuna di lavorare subito negli hotels e per dieci mesi non conobbi fortuna. Con Caldera lavorai due mesi, e dopo otto mesi in un restaurant francese dove appresi un pochino la lingua. Però, a causa del mio temperamento (come sai mal sopporto le ingiustizie e qui ve ne sono molte come dalle parti nostre…), non potei stare. Sia perché la mia salute declinava, sia per il mio carattere che con le imparzialità ed abusi non intende…
Lavorai la terra, disboscai delle foreste, lavorai a fare i mattoni, negli scavi e molini delle pietre.  Lavorai in un negozio di frutta, canditi e gelati, e ultimamente a fare gli impianti telefonici. Nella prima stagione avanzai un po’ di denaro; ma nell’inverno lo consumai nuovamente. Quest’anno lavorai meglio dell’anno scorso e guadagnai di più.
Attualmente non lavoro a causa del freddo, poiché qui nell’inverno i lavori, al gelo libero, si sospendono quasi tutti. Ho ferma speranza di trovare un buon lavoro, poiché un mio amico, un vecchio piemontese, fa il possibile per procurarmelo. In campagna acquistai salute e forza. Dico campagna, ma il paese dove lavoro conta trentamila anime. Ha la biblioteca pubblica, la scuola superiore e scuole serali, numerosi parchi e laghetti lo circondano. Non c’è nazionalità di gente che io non abbia praticato. Ho patito molto a trovarmi in mezzo a gente straniera, indifferente e talvolta ostile.
Ho dovuto soffrire delle ingiurie e calunnie indistintamente da ognuno degli abitanti del ‘civile borgo’ e con queste scherni da gente che se avessi saputo una decima parte di inglese di quanto so l’italiano, l’avrei messa col muso nella polvere.




Qui la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità, e guai allo Straniero e in particolare se Eretico e voglia far valere la ragione contro la falsità del finto progresso. Per lui ci sono il bastone delle guardie preposte di volta in volta comandate a garantire la pubblica apparenza del democratico ordine, in verità non regna alcuna democrazia e con essa tal principio; le prigioni e i codici penali, qui quanto in italico suolo, sono ad arbitrario uso di politici corrotti.
Non credere che l’America o l’Italia che sia, regni civiltà, ché nonostante non manchino grandi qualità nella popolazione americana e ancor più nella totalità cosmopolita, se gli levi gli scudi e l’eleganza del vestire trovi il ‘nulla’ dei semibarbari, dei fanatici e dei delinquenti, dei manipolatori accompagnati da fedeli servi aguzzini.
Qua è bravo solo chi fa quattrini, non importa se ruba o avvelena, se confonde e raggira. Tanti hanno fatto e fanno fortuna col vendere la dignità umana, facendo le spie sui lavori (anche umili poesie o rime, anche umili pensieri… raccolti) e gli aguzzini ai propri connazionali. Tanti riducono la moralità ad un livello più basso di quello che la natura ha donato alle bestie!
Benché qua ogni culto sia libero, si trionfa col gesuitismo. E le sante dottrine d’Europa (ma qui interpretate non in funzione dello Spirito, bensì della più miserevole materia…), cosciente e sapiente, sono ben lungi da illuminare questi posti e popolazioni. In questa Babilonia così ragguardevolmente edificata e protetta, io mi sono sempre conservato l’antico originale e la viltà non mi ha mai fatto gola. E nessuna guardia ancora è riuscita a toccarmi (eccetto che con l’intimidazione e la tortura psicologica… in questo sono progrediti!) colle sue mani delittuose.
Non frequento che persone oneste e intelligenti.
Sono due anni che frequento la scuola inglese e comincio a disimpegnarmi; rare sono le cose che non intendo, difficile mi è il rispondere. Non ho fiducia che in me stesso, nella mia volontà, onestà e fermezza, e nella salute se il fato continua a mantenerla.
Spero di vincere.
(Paul Gauguin Vincent e Theo van Gogh; B. Vanzetti, Non piangete la mia morte) 















mercoledì 3 febbraio 2016

OVVERO IL PROGRESSO SI GUARDA ALLO SPECCHIO (4)



















Precedenti capitoli:

'Passaggi' nell'età del progresso... (3)

Prosegue in:

Lettere (di fine ed inizio secolo) (5)













….Il modo in cui gli SPECCHI portano all’interno del caffè lo spazio aperto, la strada, anche questo fa parte dell’incrocio degli spazi – lo spettacolo da cui il ‘flaneur’ è catturato senza scampo.
‘Sovente sobrio al mattino, più lieto a sera, quando brillano le lampade a gas. L’arte dell’apparenza accecante qui è giunta ad una grande perfezione.
L’osteria più ordinaria ha di mira l’illusione degli occhi.
Grazie alle pareti a specchio, che riflettono le merci esposte a destra e a sinistra, tutti questi locali ottengono un ampliamento e, alla luce delle lampade, una fantastica ed irreale estensione’. Gutzkow, Biefe aus Paris, p. 225.
Orizzonti illuminati a giorno ed ampi si insediano, dunque, in ogni angolo della città proprio mentre cala la notte.




Qui, nel contesto del motivo dello SPECCHIO, va menzionata la Storia dell’uomo che non tollera di avere sempre davanti agli occhi, all’interno del suo negozio o ‘bistro’, la scritta, che è sui vetri esterni, a rovescio.
…Trovare un anedotto a tale proposito!

UNA PARABOLA…?
Presto fatto oh caro Benjamin…!




…Confondendosi con gli SPECCHI acquei e con quelli delle nubi lo SPECCHIO aereo ne unisce le proprietà.
Gli spettri e le visioni materializzate da un’esalazione di Spiriti vi si formano come l’arcobaleno o i soli multipli.
L’installazione catottrica del firmamento comprende un gran numero di elementi: la luna sferica, concava, che riflette la Terra, un Oceano, le macchie solari e un volto femminile.
La goccia d’acqua, micro-sole e particella minima di uno SPECCHIO che copre il cielo intero.
Le nuvole piane, sferiche, levigate e lisce come metalli.
L’aria condensata in corpi gassosi o cristallini ed anche allo stato naturale.
Figure ridotte, moltiplicate o ingrandite compaiono nel ‘Theatrum polydicticum’ dello Spirito. Gli SPECCHI possono anche riflettere i sogni.
La dottrina orfica e quella neoplatonica presero in considerazione tali convergenze fra lo SPIRITO e la visione, invertendone tuttavia gli elementi.
Non è il pensiero, nel cielo a proiettare la loro anima sulla Terra dove si riflettono dando forma ai corpi. La descrizione di questo processo si trova nelle ‘Enneadi’ di Plotino.  (*)




(*) A me sembra che gli antichi saggi, i quali, desiderando di aver presenti fra loro gli Dèi, costruirono templi e statue, nel guardare alla Natura dell’Universo abbiano compreso nel loro pensiero che l’Anima dell’Universo si lascia facilmente attrarre ovunque, ma che sarebbe ancor più facile di tutto trattenerla se si fosse costruito qualcosa di affine che potesse accogliere una parte della detta Anima.
Ora è affine qualsiasi imitazione, la quale, come uno SPECCHIO, sa captare un po’ della sua figura. La Natura dell’Universo creò con arte tutte le cose ad immagine degli enti di cui possedeva le forme razionali; e poiché ciascuna cosa fu diventata così una forma razionale nella materia, ricevendo una figura corrispondente ad una forma anteriore alla materia, l’Anima la mise in contatto con quel Dio, conforme al qual era stata generata e al quale l’Anima guarda e che, creando, possiede.
E’ impossibile dunque che qualcosa non partecipi del Dio, ma è altrettanto impossibile che egli vi discenda.
Esiste dunque quell’Intelligenza, il sole di lassù – il nostro sole serva di esempio al nostro discorso -; subito dopo viene l’Anima che è vincolata ad esso e rimane là dove esso rimane. Essa fissa in questo nostro sole i suoi limiti, quelli che sono rivolti al nostro sole, e fa sì che questo, per suo tramite, sia unito anche lassù diventando come un interprete di ciò che proviene dall’Intelligibile al sensibile e di ciò che dal sensibile sale all’Intelligibile, nella misura in cui il sensibile, per mezzo dell’Anima, può elevarsi all’Intelligibile.




Non c’è distanza né lontananza fra cosa e cosa, eppure la distanza è dovuta alla differenza specifica e alla mescolanza; ogni idea è in se stessa non in senso spaziale e, pur unita alla materia, è separata. Questi corpi celesti sono Dèi perché non sono mai separati dagli Intelligibili e perché sono legati all’Anima originaria, all’Anima che, per così dire, si mosse per prima, e proprio per lei essi, che sono ciò che si dice che siano, guardano all’Intelligenza, mentre la loro Anima non guarda in nessun altro punto se non lassù.
Le Anime degli uomini, al contrario, avendo visto le loro stesse immagini, per così dire, nello SPECCHIO di Dionisio, balzarono laggiù dalle regioni superiori; ma nemmeno esse sono tagliate fuori dal loro principio e dall’Intelligenza. Esse non discesero insieme con l’Intelligenza e tuttavia, mentre arrivano a terra ‘la loro testa rimane fissa al di sopra del cielo’.
Però è accaduto ad esse di scendere troppo, poiché la loro parte mediana fu costretta a prendersi cura del corpo, dato che il corpo in cui esse discesero ebbe bisogno di cure. Ma il padre Zeus, avendo pietà della loro fatica, rende mortali quelle loro catene per le quali si affaticano e concede loro delle tregue provvisorie liberandole dai corpi affinché possano anch’esse elevarsi lassù dove l’Anima dell’Universo sussiste eternamente senza volgersi mai alle cose terrene.




L’Universo, che essa rinserra in sé, è e sarà sempre sufficiente a se stesso: esso si svolge in periodi secondo proporzioni stabilite e torna perennemente allo stesso stato conforme a cicli di vite predeterminate; armonizza le cose di quaggiù con quelle di lassù e le fa corrispondere a quelle; e mentre ciò si compie, tutte le cose vengono ordinate secondo un piano unitario sia nelle discese delle Anime, sia nei loro ritorni come in tutti gli altri eventi.
Ne è testimonianza l’accordo delle Anime da cui non sono separate ma in cui, nelle loro discese, si congiungono accordandosi in pieno col movimento circolare del mondo, a tal punto le loro fortune e le loro vite e le loro scelte hanno il loro segno nelle figure degli astri ed emanano un certo suono armonico ‘e forse è questo il senso enigmatico della teoria della armoniosa musica delle sfere’.
Non sarebbe così se l’agire dell’Universo non corrispondesse agli esseri Intelligibili e il suo patire non avvenisse conforme alle misure ei cieli, ai periodi, alle collocazioni, ai vari tipi di vita che le Anime percorrono volgendosi ora lassù, ora nel cielo, ora verso questi luoghi.
Ma l’Intelligenza rimane tutta eternamente lassù e mai si estrania da se stessa; e nondimeno, benché tutta stabilita nella regione superna, invia alle cose di quaggiù, per mezzo dell’Anima, il suo influsso. L’Anima, che le è vicina, si dispone secondo la forma che viene dall’alto e la comunica agli esseri che sono dopo; l’Anima del mondo si dona costantemente, quella individuale in maniera diversa, pur conservando, secondo un orine, il suo vagabondare…




Il mondo materiale e quello spirituale si trovano uniti in seno alle profondità inaccessibili di un corpo splendente…

Lo SPECCHIO diventa il crogiuolo del materiale e dell’immateriale…
(J. Baltrusaitis, Lo Specchio; Plotino, Enneadi)

Se due SPECCHI si riflettono l’uno nell’altro, Satana opera il suo trucco prediletto e schiude qui a suo modo la prospettiva sull’Infinito…

(W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo)