giuliano

lunedì 28 marzo 2022

UN MONDO PERDUTO (4)

 









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Per sempre perduti (3/1) 


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L'uom, fiero più 


delle più fiere belve (54)







    È benigna. La lodo con tutte le sue opere.

 

È saggia e muta. Non le si strappa alcuna spiegazione, non le si carpisce nessun beneficio, ch’essa non dia spontaneamente.

 

È astuta ma a fin di bene; e il meglio è ignorarne le astuzie.

 

È un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre. A ciascuno appare in una forma diversa. Si nasconde sotto mille nomi e termini, ma è sempre la stessa. Mi ha portato in scena; me ne butterà fuori. Mi affido a lei. Disponga di me a piacer suo. Non odierà l’opera delle proprie mani. Non sono stato io a parlare di lei. No, ciò ch’è vero e ciò ch’è falso, essa l’ha detto.

 

Tutto è colpa sua, tutto merito suo.




 (Questo scritto, trovato nel carteggio dell’eternamente compianta duchessa Anna Amalia, e fattomi recentemente pervenire, è scritto da una mano ben nota, di cui abitualmente mi servivo nel penultimo decennio del secolo per i miei lavori. Che l’abbia composto io, non ricordo per certo; ma le sue considerazioni collimano con le idee alle quali la mia mente era allora pervenuta.) 

 

Oppure fu per quel breve opuscolo che fra l’altro rischiò di inasprire e compromettere i già difficili rapporti con la Chiesa, circa l’Eresia in quella grande o piccola nazione saltuariamente transitata - e a volte dimorata - fra un esilio e l’altro.

 

Oppure fu per quel tale Newton di cui aveva letto e conservato qualche ‘bizzarro’ articolo nel proposito della visione del nuovo mondo meccanizzato, e colui che al meglio o al peggio attraversandolo in qualche analogo opuscolo lo avversa e contende nel complesso meccanismo da entrambi studiato?!

 

Ma chi ancora credeva ed interpretava lo Spirito di Dio?




Colui che, in silenzio, si occupa di un argomento serio, e cerca in tutta sincerità di abbracciarlo nell’insieme, non si rende conto che i contemporanei sono abituati a ragionare in modo ben diverso; ed è una fortuna, giacché, se non gli fosse dato di credere nella simpatia del prossimo, perderebbe la fiducia in se stesso.

 

Ma fate che esca con la sua teoria, ed ecco rivelarglisi che diversi punti di vista si combattono nel mondo, disorientando sia i dotti che gli incolti. Il giorno è sempre diviso in partiti che non conoscono né se stessi, né i loro antipodi. Ognuno fa con passione ciò che può, e arriva fin dove gli riesce. Ora anch’io, prima di conoscere un giudizio ufficiale, fui stranamente colpito da una notizia privata.

 

In una nobile città si era costituita una società di cultori delle scienze che, per via teorica e pratica, producevano in collaborazione molto di pregevole. Anche in questa cerchia il mio opuscolo, come novità non comune, fu letto con ardore; ma nessuno ne parve soddisfatto; tutti dicevano che non si riusciva a capire a che cosa intendesse approdare.




Uno dei miei amici d’arte essendomi affezionato e avendo fiducia in me, prese in mala parte che il mio libro fosse così bistrattato, anzi respinto; giacché, per lunga dimestichezza, mi aveva sentito parlare in modo conseguente e ragionevole intorno a diversi soggetti.

 

Lo lesse quindi con attenzione e, pur non comprendendone bene la struttura, ne afferrò con simpatia e senso artistico il nocciolo essenziale, e diede dell’esposto un’interpretazione bizzarra, se si vuole, ma geniale. L’autore, disse, ha un suo scopo segreto che però io vedo con grande chiarezza; egli vuol insegnare all’artista come ideare ornamenti floreali che, secondo la maniera degli antichi, sboccino e si avvitino in uno sviluppo crescente.

 

La pianta deve nascere dalle foglie più semplici; queste a grado a grado si articolano, s’intersecano, si moltiplicano e, mentre si fanno avanti, diventano sempre più complesse, esili e leggere, finché si raccolgono nella maggior ricchezza del fiore, e spandono semi o ricominciano un nuovo ciclo di vita. Pilastri di marmo così ornati si vedono alla Villa Medici, ed ora per la prima volta capisco a che cosa con essi si mirava.




L’infinita varietà delle foglie è poi superata dal fiore, finché spesso, invece di semi, escono figure di animali e genietti, senza che ciò, dopo lo splendido sviluppo che l’ha preceduto, appaia minimamente inverosimile; ed io mi lusingo, seguendo queste indicazioni, di scoprire una quantità di fregi, visto che finora ho imitato inconsapevolmente gli antichi.

 

In questo caso, tuttavia, non fu ben predicato ai dotti: in mancanza di meglio, essi accolsero con indulgenza la spiegazione, ma osservarono che, se si ha di mira soltanto l’arte, se si va solo a caccia di fregi, non si deve fare come se si lavorasse per la scienza, dove fantasie del genere non sono consentite. Più tardi, l’artista mi assicurò che, seguendo le leggi naturali così come le avevo esposte io, gli era riuscito di combinare il naturale e l’impossibile e ottenerne qualcosa di piacevolmente verosimile.

 

Ma, a quei signori, non gli era stato più concesso di fornire schiarimenti. La stessa canzone mi era ripetuta da altre parti; nessuno voleva ammettere che si potessero combinare scienza e poesia. Si dimenticava che la scienza è uscita dalla poesia, né si considerava che, mutando i tempi, le due potrebbero amichevolmente ritrovarsi, con vantaggio reciproco, su un piano superiore. Amiche che, già prima, volentieri mi avrebbero strappato alla solitudine delle montagne e all’osservazione di rocce immobili, erano pur esse scontente del mio astratto giardinaggio. Piante e fiori dovrebbero distinguersi per forma, colore, profumo; eccoli invece scomparire in uno schema fantasmagorico. Cercai quindi di procurarmi la partecipazione di queste anime benigne con un’elegia alla quale si concederà un posto qui, dove, collegata a una trattazione scientifica, dovrebbe riuscir più comprensibile che inserita in una successione di poesie delicate e passionali.




Con la fredda mente del ricercatore cercò di immaginarsi chi fosse l’oscuro personaggio, eretico per giunta, di altolocata discendenza così da approdare sino ad una regione sì remota nel poter intercedere per tal invito (verso il periglioso Viaggio).

 

Quale personaggio mai si celava dietro la richiesta avanzata dal noto esploratore?

 

Oppure, pensò, mi trovo di nuovo in errore, sarà sicuramente qualcuno il quale come me dimora lontano dalla sua patria e vuole approfondire celata Verità.

 

Tremò ancora e più di prima perché qualcosa sembrava suggerirgli una presenza spirituale, per ciò che il pensiero scorgeva ma non azzardava ad enunciare, qualcuno l’avesse colto e seminato in un campo ben più vasto di ricerca, ove l’immateriale dottrina può essere raccolta per una Verità non ancora del tutto storicamente pervenuta né accertata, ma solo nei disgiunti Frammenti approdati attraverso la Filosofia.




Come se qualcuno di questi nei numerosi Brandelli raccolti dovesse ricomporre un antico Saio in sperdute e vaste inaccessibili Regioni del Pensiero d’un più probabile Dio, in tutta l’intuizione e congiunta preghiera dall’uomo, da una età molto antica e non ancora ben compreso né tradotto.

 

Come una parete di roccia, pensò, inaccessibile, come osservava quella mattina. Come, pensò ancora, gli Dèi stessi, 'inforcato' penna e calamaio gli avessero scritto missiva. Ma questa è una breve fola da bambini, eppure pensò ancora, il buon Cristo si unì al loro primo sorriso. E quasi immaginò quei monaci sorridenti narrare le proprie preghiere, e immaginarsi Pietro verso quelle difficili cime…

 

Aspettò qualche ora poi prese subito penna e calamaio e come un’aquila nel suo volo mattutino rispose al proprio amico:




Le confido che mi è di gradita sorpresa  cotal invito, e senza inutili disquisizioni le confermo tutta la volontà unita alla disponibilità da Lei chiesta, non tanto di partecipare al periglioso Viaggio, ma di non farLe mancare la necessaria collaborazione che in  ciò mi lusinga nel parteciparvi in immateriale  ma spirituale presenza.

 

La salute non mi assiste e per lei sarai un inutile peso. Quindi fin d’ora le prometto ogni mia vigile ed attenta collaborazione per tutto ciò che lei ricaverà da codesto Viaggio qual nuova linfa di Luce…

 

Le chiedo però solenne patto e promessa di non far tesoro alcuno ad altri accademici, rischieremmo, almeno nel patrio suolo donde maturate le nostre ricerche, stesse identiche pene e non certo dovute alle difficoltà del Viaggio esposto in sì alte inviolate quote.

 

Riserviamoci dunque reciproche epistole e Frammenti anche se i reperti fossero solo Brandelli, così da esaminare per il bene della Vetta non men della Cima navigata in ragion della Verità più approfondita Strofa.

 

Suo Emilio Motta, Lucerna 1905    




La natura appartiene a se stessa, l’essenza all’essenza; l’uomo le appartiene, essa appartiene all’uomo. Chi, dunque, le si avvicina con una sensibilità aperta, libera, sana, non fa che esercitare un suo diritto – il tenero bimbo come lo studioso più grave.

 

Strano è perciò che i naturalisti si contendano il posto in un campo così illimitato, e pretendano d’impicciolirsi a vicenda un mondo che non ha confini. Percepire, guardare, osservare, annotare, congiungere, scoprire, inventare, sono attività dello spirito che, separatamente o insieme, uomini più o meno dotati esercitano in mille modi. Discernere, isolare, calcolare, misurare, pesare, sono mezzi altrettanto importanti: col loro aiuto l’uomo abbraccia la natura, e cerca di dominarla per volgere ogni cosa a suo profitto.

 

Da tutte queste capacità, e da molte altre che sono loro sorelle, la natura benigna non ha escluso nessuno. Anche un bimbo, anche un idiota, possono fare un’osservazione che sfugge all’uomo più esperto, e così, con serena incoscienza, appropriarsi di ciò che del grande patrimonio comune spetta loro.




Perciò, nello stadio presente delle scienze naturali, è inevitabile si ponga ripetutamente la questione che cosa possa favorirle e che cosa invece ostacolarle, e nulla sarà loro più propizio del fatto che ciascuno si tenga al posto suo, conosca quel che può, eserciti quello che sa, e riconosca lo stesso diritto agli altri, affinché tutti operino e producano.

 

Purtroppo, oggi come oggi, ciò non avviene senza lotta né contrasto, in quanto è nella natura tanto delle cose quanto dell’uomo che forze avverse insorgano, si costituiscano proprietà in esclusiva e, non di nascosto ma apertamente, ci s’impadronisca dell’altrui.

 

Anche in questi nostri quaderni, non è stato possibile evitare contrasti e litigi spesso violenti; ma il mio desiderio più vivo è che, a poco a poco, gli elementi ostili ne vengano espulsi. Tuttavia, poiché desidero assicurare a me e ad altri una maggior libertà di movimento di quella che, finora, ci è stata concessa, non si prenda in mala parte se io e quelli che la pensano come me trattiamo con durezza di linguaggio ciò che alle nostre legittime richieste si oppone, e non siamo più disposti a tollerare ciò che da anni si ordisce contro di noi.

 

Ma, perché l’eco di ogni fastidiosa irritazione abbia a spegnersi più in fretta, il nostro invito alla benevolenza chiede a ciascuno, chiunque egli sia, di dimostrare praticamente il suo diritto, e domandarsi: ‘Che cosa fai, in realtà, al posto tuo; e a che cosa sei chiamato?’

 

Noi ce lo chiediamo ogni giorno, e questi fascicoli sono le nostre confessioni in risposta alla domanda – confessioni nelle quali intendiamo proseguire indisturbati, con la lucidità e la purezza che il soggetto e le forze ci permetteranno di applicare.


(G. Lazzari; Un mondo perduto)









 

domenica 27 marzo 2022

UN MONDO PERDUTO












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D'un mondo perduto 


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Dèmoni di don Marco Marioni 


& Un mondo perduto (3/4)







La credenza nei Dèmoni e nel loro dominio sul mondo ebbe larga diffusione nei primi secoli. Si credeva inoltre che essi potessero impossessarsi dei corpi e delle anime degli uomini, e, in corrispondenza di ciò, la pazzia assumeva spesso questa forma, che i malati si ritenevano invasi da uno o più spiriti maligni. Questa forma di pazzia si manifesta talvolta anche ai nostri giorni, ma assai di rado, perché la credenza nei Dèmoni e nel loro potere è ormai generalmente spenta nelle sfere più colte. Ed è un fatto che le forme fenomeniche che la pazzia assume sono sempre dipendenti dallo stato generale della cultura e dalle idee dominanti della società.

 

Anche oggi, in certi ambienti nei quali è sempre fervida la fantasia religiosa e sempre forte altresì la credenza nelle influenze di spiriti maligni, si riscontra qua e là, come fenomeno sporadico, l’ossessione. Casi recenti hanno persino dimostrato che un esorcista religiosamente convinto può creare egli stesso nelle persone che lo avvicinano quella stessa ossessione che egli si propone di guarire. Inoltre l’ossessione è contagiosa. Basta che un caso si verifichi in un ambiente di persone disposte alla credulità, e che il malato stesso o il prete lo mettano in relazione col peccato in generale o con certe determinate colpe, perché tutto l’ambiente rimanga potentemente suggestionato.




Ponete poi che il prete ne faccia soggetto di predica, che egli rivolga al popolo parole terrificanti, gridando che il diavolo spiega in mezzo ad esso la sua potenza; e vedrete che al primo caso ne succederà tosto un secondo, un terzo, e così di seguito. Queste ossessioni sono accompagnate da fenomeni stranissimi, in gran parte ancora inesplicati. La coscienza del malato, la sua volontà e la sua sfera di azione si raddoppiano (e si sdoppiano). Con perfetta veracità soggettiva – naturalmente ci si mescolano sempre allucinazioni e deliri – egli sente sé stesso e sente di più in sé un secondo essere che lo stringe e lo domina. Egli pensa, sente e agisce ora come l’uno, ora come l’altro, e, penetrato come è dalla persuasione di essere non uno solo ma due, si sforza, sempre spinto da una necessità soggettiva, di confermare sempre più questa credenza in sé stesso e negli altri con le sue azioni esterne.

 

Forza autoingannatrice, scaltra attività e passività quasi assoluta si mescolano in strana guisa, completando il quadro di una malattia psichica, alla quale va unita, di regola, una suscettibilità estrema per la suggestione; per modo che si può ben affermare che anche oggi questa malattia si rida sovente dell’analisi scientifica, lasciando ognuno padrone di pensare all’azione di forze occulte e misteriose.




Ci sono in questo campo dei fatti innegabili, che pur tuttavia si ribellano a qualunque tentativo di spiegazione scientifica. Ma v’è di più: ci sono delle ossessioni dalle quali vengono colpiti soltanto gli uomini superiori; sublimi malati, che attingono dalla loro malattia una vita nuova, mai prima sognata, una energia che rovescia tutti gli ostacoli e crea lo zelo del profeta o dell’apostolo.

 

Certo il semplice annunzio della dottrina, la predicazione cristiana sola non basta per operare la guarigione. Dietro ad essa ci vuole una fede profonda, una persona trasportata da questa fede. Non è la preghiera che risana, ma la persona che prega, non la formula, ma lo spirito, non l’esorcismo, ma l’esorcista. Solamente quando il male – come siamo costretti a supporre di non pochi casi del II secolo – è diventato epidemico e quasi usuale, ed ha, per giunta, assunto un carattere, in certo modo, convenzionale, in questo caso soltanto possono bastare anche dei mezzi convenzionali.

 

L’esorcista fa allora la parte di magnetizzatore, o, se si vuole, egli è un ingannato che inganna. Ma allorché una forte individualità è tratta in inganno su se medesima dal Dèmone del terrore e della disperazione, e l’anima geme realmente nell’orrore della tenebra che la occupa, e alla quale essa vorrebbe sfuggire, allora è necessario che un’altra volontà forte e santa intervenga a liberarla. In ambedue i casi trattasi di ciò che i moderni, nel loro imbarazzo scientifico, nominano suggestione; ma altra cosa è la suggestione del profeta ed altra quella dell’esorcista di professione.




La credenza nelle influenze dei Dèmoni quale noi la troviamo nei libri più recenti del Vecchio Testamento greco, nel Nuovo Testamento e negli scritti giudaici dell’epoca imperiale, si sviluppò relativamente assai tardi presso gli Ebrei. Ma al tempo in cui furono scritti quei libri, essa era in pieno fiore. Nella stessa epoca all’incirca, essa cominciò a prevalere anche presso i Greci ed i Romani: come e perché ciò accadesse non è stato ancora ben chiarito. Certo, nessuno oserebbe affermare che la credenza nei Dèmoni, in quella forma che troviamo diffusa ovunque nell’impero del II secolo in poi, sia dovuta unicamente ad influenze giudaiche o cristiane, tuttavia, queste religioni avranno, senza dubbio, contribuito ad agevolare la recezione di quella credenza.

 

La caratteristica della credenza nei Dèmoni nel secolo II consiste anzitutto in questo, che gli strati sociali più bassi ed oscuri essa sale ai più elevati, penetrando anche nella letteratura, di guisa che essa va acquistando socialmente una importanza di gran lunga maggiore di prima; in secondo luogo, non c’è più accanto ad essa una pubblica religione forte e sincera, che sia capace di tenerla in freno; aggiungi che l’idea di Dèmone, per l’addietro concepito unicamente come potenza sovrumana, moralmente indifferente e indeterminata, si determina ora nel senso di potenza maligna; e, finalmente, è da notarsi l’applicazione individuale della nuova credenza, che porta seco come conseguenza anche la malattia psichica dell’ossessione.




Raccogliendo insieme questi momenti caratteristici, se ne induce che la straordinaria diffusione della credenza nei Dèmoni e la frequenza dei casi di ossessione si possono ricondurre all’azione combinata di queste cause fondamentali, ben note, cioè: il discredito in cui caddero le vecchie religioni nell’età imperiale; l’anarchia morale e l’abbandono in cui vennero a trovarsi gl’individui, messi ormai alle prese col proprio intimo e con la propria responsabilità. Non più trattenuto e regolato da alcuna tradizione, l’uomo errava tra i Frammenti senza vita delle vecchie credenze, tra l’ammasso caotico d’idee tramandategli da un mondo in decadenza, scegliendo, nella sua irrequietezza, or questa or quella, finché spinto da paura e da speranza, cercava un rifugio illusorio o cadeva addirittura nel regno dell’assurdo.

 

(A.V. Harnack, Missione e propagazione del Cristianesimo)

 

 

Incompreso regno dei Misteri di cui Giuliano l’Apostata fu l’ultimo difensore, faro in difesa di quel mondo che rischiava il definito naufragio nel mare del ‘nuovo’ che avanzava ed appariva, al contrario, incomprensibile e contraddittorio nelle sue speculazioni filosofiche: principi e regole di vita che, ad un filosofo imperatore, dovevano equivalere ad il relativo naufragio dell’impero edificato sulla Legge nel nome dell’antico obbligo sacerdotale-regale di seminare ed amministrare il retto sapere - scritto nel superiore ideale - quanto la retta via nella coscienza di ogni popolo.




Dovere morale e spirituale non certo nuovo nel mondo greco a cui Giuliano faceva costante riferimento aggiungendo quel senso gnostico, e, a mio parere, Eretico in seno al nuovo che prevedibilmente procedendo nella propria ed altrui conquista escludeva l’antico nel calendario di come viene prospettata l’esigenza Storia, colta nel singolo frammentato avvento - e sottraendo - al Logos le ragioni da cui derivato e in eterna connessione Spirituale; in riferimento a dei principi antropologicamente quanto filosoficamente celati nel Mito, oppure dichiaratamente logici ed imprescindibili nelle loro asserzioni, ne ribadivano la paternità antropologica-storica non meno della superiorità logico-morale.

 

Rispetto ad un nuovo senso morale (cristiano) dichiarato un pericolo per l’impero, Giuliano posseduto dai sui innumerevoli Dèmoni cercava una speranza nuova per il vecchio che affogava o trasmutava in altro; dell’altro aveva compreso, in senso gnostico ed Eretico, che la lettura proveniva da una linea che attraversava un invisibile cielo spirituale, così come simmetricamente Sven Hedin studiava circa la precisa migrazione delle oche che osservava lungo il Viaggio, e forsanche celatamente meditava una più elevata spirituale migrazione, quindi invisibile congiunzione, di certo non ammessa allo Spirito del loro tempo costantemente vigilato e purgato - quindi sottratto - dai demoni di un diverso credo, ma che in quel Fiume - inconsciamente o no - percepiva come un contino inarrestabile fluire della Vita d’un incompreso occidentale divenire.




Prima di proseguire tale riflessione propongo un breve Frammento tratto da una Lettera di Giuliano l’Apostata tratta dagli archivi storici del Motta…* 

 

 * Il contrasto come maturata l’intera Storia del Sacro comporta anch’essa un tettonica a zolle, uno scontro geologico-stratigrafico, quindi procedendo quali maturi ricercatori circa la Divinità o il Primo Dio naufragato, o peggio ancora inabissato al valore disgiunto d’un Secondo scritto nell’intera Frazione dell’Universo, ci appare come un Opera certamente più coerente e corretta nei confronti - non solo della Storia - bensì sull’origine dell’intera materia dall’immateriale derivata; circa il valore Interdisciplinare di cui parte dell’Anima-Mundi (o Geni) composta nei costanti rapporti ‘relazionari’ di innumerevoli invisibili connessioni da cui - per ultimo - l’uomo dedotto.

 

Se procedessimo per singola ‘materia’, oppure inabissando strati del nostro comune passato, procederemmo né più né meno come qualsiasi colono; non vorremmo in questa sede rammentare il danno apportato alla Divinità come al Sacro dell’avvento mal impostato del Verbo per secoli ‘adottato e imposto’, quindi pregato e subordinato alla Ragione dell’uomo creato, riducendo a schiere di Dèmoni Diavoli - e successivi Eretici - quanto non del tutto compreso e dall’Uno specificato; ma purtroppo all’Unico (dio   dato in esclusiva ad un popolo e da me non eletto sovrano) ‘atto’ rapportato quale impropria equazione (o rivelazione) nel voler sottomettere quanto, almeno così specificato e odiernamente dedotto e tradotto, all’uomo (incaricato e di conseguenza) comandato, compresa Madre Natura per ordine rivelato del Dio in persona (??) raccolto dal Profeta in ‘esclusività divina’.

 

Con cui la Storia -  o meglio - il Sentiero in cui la Divinità il Sacro e la Dottrina si snoda e incammina (dalla crosta alla Cima del Grande Universo), e non solo circa l’interpretazione dell’intera Natura dedotta e posseduta dall’uomo all’ultimo Secondo approdato; ovviamente compresa la ‘materia’ detta ove si è conservato, oppure al contrario, cancellato ogni Elemento dato compreso il Sacro.

 

Ciò comporta a mio parere, medesimo ugual grado di Giudizio rilevare sé medesimo quando procediamo nell’analisi nel momento in cui ognuno si arreca l’improprio merito - o demerito - nell’atto dello stesso, tralasciando i gradi incompresi in cui l’immateriale esplicitato dal limite umano, in quanto sappiamo impossibile dedurre l’oggetto studiato - rapportato specificato e rilevato - attraverso seppur multiforme ingegno dato ed evoluto, escludendo l’incompreso linguaggio d’ogni forma vivente da cui nato.

 

La quale sappiamo altresì ‘atto’ non ancora specificato in quanto per sempre subordinato al primato umano dato dalla somma dottrinale del Dio pregato conseguentemente giustificata dalla successiva materia; come se il Dio pregato pensa agisce per opera del Profeta negando altri ed invisibili linguaggi con cui l’immateriale Primo Dio tende ad esprimersi e più specificatamente rivelarsi; in quanto ‘oggetto’ subordinato al giudizio d’un singolo evento disgiunto dall’intero Sentiero della Storia.

 

E di cui impossibilita - seppure nel più dotto linguaggio espresso - porre giudizio e merito nel danno costantemente arrecato posto in ugual ‘atto creativo’ meditare se medesimo; almeno che non si proceda includendo - ciò che per l’appunto - è stato rimosso e/o escluso - bandito unanimemente dalla nostra società come dalla vigilata Coscienza in nome e per conto del materiale progresso.

 

Sia questo economico oppure dottrinale, ‘simmetrico’ all’ultimo Secondo dato e con cui dedotto successivamente il Tempo della Storia ‘simmetrica’ alla propria geologica coscienza scritta in ogni gene sia della Terra che dell’umano derivato.

 

Sussiste quindi un preciso percorso così come per l’alpinista che volge lo sguardo dalla Cima nel momento in cui vuol spaziare con la propria Anima verso la Terra, se non dopo la difficile salita di ciò che sollevato per formazione e perfezione geologica da un unico Oceano di sapere ed ove leggere l’Uno da questa ispirato pregato e dedotto riportato alla più confacente equazione dell’uomo.

 

Quindi più la Verità e ogni contesto ove tratta, demonizzata e posta all’indice e indiscusso altrui contesto sociale circa il libero arbitrio che ‘vola e migra’, e ridotta - di conseguenza - alla mira dell’infallibile Giudizio del cacciatore, come dell’Inquisitore poi di ugual dottore di scienza dalla chiesa derivato, per ciò come imposta ‘infallibilità’ nei gradi della Storia sottratta alla dovuta Memoria (compresa la genetica da cui l’uomo nato all’ultimo Secondo), quindi maggiormente deformata cancellata negata e perseguitata; e più avremmo raggiunto e ottenuto in qual Tempo perseguitato (dall’umano ma non certo l’invisibile immateriale Divino cercato a cui aneliamo ed ispiriamo nel ricongiungimento dell’Intelletto) un reale Giudizio in merito grazie alla ricerca della Verità.

 

Semmai essere fedeli alla Natura intera per detto Giudizio che volando ne leggiamo l’oracolare voce, per tutti quegli anelli di congiunzione, ignorati o peggio, repressi in nome d’un falso intendimento dell’intero Sentiero della Divinità quanto del Sacro qui rimembrato in amore dell’Anima Mundi pregata, e il Dio che così bella la pur pensata quale eterno Pensiero non certo sottomesso all’ipotesi interpretativi del Verbo, semmai dedurre l’intero Sentiero per la Cima, soprattutto tutti quelli rimossi nel beneficio della stessa elevazione della Crosta fin su alla Terra Proibita…

 

(Giuliano)







martedì 22 marzo 2022

1491 1941


















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1491  1941 

Della stessa autrice:

Il filosofo prigioniero.... 













La coperta e quell’abito smesso appeso a un chiodo mandavano odore di unto, di latte e di sangue. Le scarpe che sbadigliavano sull’orlo del letto si erano mosse al respiro di un bue disteso sull’erba, e un maiale un volgare porco dissanguato urlava nel grasso di cui il ciabattino le aveva spalmate, quasi a ricordare la loro reale origine….
La morte violenta era dappertutto, come una macelleria o un recinto patibolare. Un’oca sgozzata schiamazzava nella penna che sarebbe servita a tracciare su vecchi cenci idee credute degne di durare per sempre. Ogni cosa ne era un’altra: la camicia che gli lavavano le suore Bernardine era un campo di lino più azzurro del cielo e insieme un mucchio di fibre in macerazione sul fondo d’un canale.
I fiorini che teneva in tasca con l’effige del defunto imperatore Carlo erano stati scambiati, dati e rubati, pesati e consumati mille volte prima che per un momento li avesse creduti suoi, ma quelle giravolte tra mani avare o prodighe erano brevi se paragonate all’inerte durata del metallo stesso, istillato nelle vene della terra prima che Adamo fosse vissuto.




I muri di mattoni si dissolvevano nel fango che sarebbero tornati ad essere un giorno; l’edificio annesso al convento dei Cordiglieri dove obiettivamente al caldo e al coperto cessava di essere una casa, luogo geometrico dell’uomo, solido riparo per lo spirito ancor più che per il corpo: era tutt’al più una baita nella foresta, una tenda al margine d’una strada, un lembo di stoffa teso tra l’infinito e noi.
Le tegole lasciavano trasparire la nebbia e gli astri incomprensibili, vi abitavano centinaia di morti e dei vivi anch’essi perduti come i morti: dozzine di mani avevano disposto quelle piastrelle, avevano foggiato mattoni e segato le tavole; inchiodato, cucito o incollato: sarebbe stato altrettanto difficile ritrovare ancora vivo l’operaio che aveva tessuto quella pezza di bigello quanto evocare un trapassato; vi avevano abitato altri esseri, come bachi nel bozzolo, e altri vi abiteranno dopo di lui.
Ben nascosti se non propri invisibili questi vermi, un topo dietro un fondello e un insetto nero come uno scarafaggio intento a forare un travicello a penetrare un pensiero a rubare… Dio. Alzo lo sguardo. Sul soffitto un trave riutilizzato recava incisa una data: 1491. All’epoca in cui era stato intagliato per fissare un determinato anno che non importava più a nessuno, egli non esisteva ancora, né la donna da cui era uscito.




Invertiva quelle cifre come per gioco: l’anno 1941 dopo l’incarnazione di Cristo. Tentava di immaginarsi quell’anno senza rapporto alcuno colla sua esistenza e di cui si sapeva una sola cosa, cioè che sarebbe arrivato… arrivato di nuovo ancora e ancora…. Camminava sulla sua propria polvere. Accadeva per il tempo quel che accadeva alla fibra della quercia: egli non avvertiva il senso di quelle date incise dalla mano dell’uomo….
La terra girava ignara del calendario giuliano o dell’era cristiana, tracciando il suo cerchio senza principio né fine come un anello perfettamente liscio…..
La nave si ferma in una rada e cala l’ancora….
E’ circondata da imbarcazioni militari e civili. Gli uomini raggiungeranno la terraferma con le chiatte, ma non ancora, perché lo sbarco è, se possibile, più complicato dell’imbarco. Si rischia facilmente di perdersi o di finire nei reparti sbagliati.
Scende la notte e gli ufficiali si riuniscono nella sala comando per farsi assegnare il trasporto delle rispettive unità. L’assegnazione va avanti per gran parte della notte.




In un ordine preciso e in un orario preciso ogni reparto dovrà trovarsi in un punto preciso, dove ogni chiatta sarà in attesa di trasportarlo a terra. I convogli per il trasporto truppe saranno in attesa a riva.
Nessun incidente, nessun malato, nessun attacco….
Mente la chiatta ormeggia, succede una cosa stupefacente. Appare una banda di soldati scozzesi in kilt, con le cornamuse e i tamburi e il tipico passo di marcia dondolante.
L’aspro suono delle cornamuse trancia l’aria.
E’ la musica più marziale, più bellicosa del mondo. I nostri uomini si ammassano lungo le sponde della chiatta. La banda si avvicina, coi tamburi che rullano e le cornamuse che gemono, e, mentre si avvicina, dai soldati si leva un lungo applauso. E’ possibile che non gli piaccia questa musica aspra: ci vuole tempo per apprezzarla; ma qualcosa del suo acciaio penetra in loro.
Gli scozzesi fanno dietro front e si allontanano a passo di marcia!
E’ stato un bel gesto… I soldati, in qualche modo profondo, ne sono onorati. La musica li ha scossi. Questa è una guerra diversa da quella dei campi di addestramento e della strategia da spaccio di caserma.
Dal ponte della chiatta gli uomini possono vedere le case senza tetto, le case incendiate. I mucchi di macerie dove sono cadute le bombe. Queste scene le hanno viste in fotografia e ne hanno letto sui giornali, ma erano fotografie e giornali.
Ora è diverso…
Quello che vedono (i soldati…) non assomiglia affatto alle fotografie…..

 (M. Yourcenar, L'opera al nero & J. Steinbeck, C'era una volta una guerra)