giuliano

venerdì 25 gennaio 2019

L' ALTRO WARREN (56)


















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L'altro Warren  (55/4)

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Il trionfo della morte (.....)

& Alla Natura giusta rima (57bis)













L'imponente corteo funebre si mosse lentamente lungo
 Aldgate, attraversò Whitechapel e raggiunse un cimi-
tero di Bow Road, passando per le zone dove un an-
no più tardi lo Squartatore avrebbe cominciato a uc-
cidere quelle sventurate di Londra che Annie Besant,




Cherles Bradlaugh e gli altri riformatori cercavano di
assistere.
Il cognato di Sickert, T. Fisher Unwin, pubblicò l'auto-
biografia di Annie Besant e Sickert fece due ritratti a
Charles Bradlaugh.
Non si tratta di coincidenze: Sickert li conosceva en-
trambi perché Ellen e la sua famiglia facevano parte
di circoli politici liberali.




All'inizio della carriera di Sickert, Ellen aiutò il marito
nella sua professione presentandolo a personaggi ce-
lebri perché facesse loro il ritratto.
Annie Besant e Charles Bradlaugh dedicavano la vita
ai poveri.
Walter Sickert toglieva la vita a quegli stessi poveri
ed è vergognoso come alcuni giornali cominciassero a
suggerire che i crimini dello Squartatore fossero una
protesta....




politica socialista mirante a denunciare concretamente l'-
altra faccia del sistema classista e i turpi segreti della più
grande città del mondo.
Se Sickert uccideva prostitute malate, miserabili e invec-
chaite prima del tempo, le sceglieva solo perché erano le
prede più facili.




Era motivato unicamente dalla sua brama di violenza
sessuale, dal suo odio e dal suo insaziabile bisogno
di richiamare su di sé l'attenzione.
I suoi omicidi non avevano niente a che vedere con le
manifestazioni politiche socialiste. Uccideva per soddi-
sfare i suoi bisogni incontrollabili e violenti di psicopa-
tico.




Senza dubbio, quando i giornali e il pubblico suggeriva-
no un altro movente dei suoi delitti - soprattutto se era
motivo etico o sociale - Sickert provava una gioia segre-
ta e un senso di potere.




- Ha! Ha! Ha!....
Scrisse lo Squartatore.
- A dire il vero dovreste ringraziarmi per avere elemi-
nato quella dannata razza di sanguisughe, che sono
dieci volte peggio dei maschi.

(P. Cornwell, Ritratto di un assassino)



















giovedì 24 gennaio 2019

L' ALTRO OSWALD (54)



















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L'altro Oswald (53)

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L'altro Warren (55)













Walter imparava sempre in fretta e ricordava tutto con preci-
sione.
Quando era bambino, in Germania, imparò da solo a leggere
e scrivere, e per tutta la vita i conoscenti si meravigliarono
della sua memoria fotografica.
Si racconta che un giorno Walter era uscito a passeggiare con
il padre e che, passando davanti a una chiesa, Oswald gli indi-
cò un monumento.




- Ecco un nome che non riusciresti mai a ricordare,
commentò, proseguendo il cammino.
Walter si soffermò a leggere:

                                      Maharaja Meerzaram
                                        Guahahapaje Raz
                                      Parea Maneramapan
                                               Mucher
                                                 LCsk




A ottant'anni Walter Sickert ricordava ancora l'iscrizione e
riusciva a scriverla senza errori.
Oswald non incoraggiò nessuno dei figli a dedicarsi all'arte,
ma fin dalla più tenera età Walter non poté resistere alla ten-
tazione di disegnare, dipingere e modellare la cera.
Sickert diceva che tutto ciò che sapeva di teoria dell'arte l'-
aveva imparato dal padre, che negli anni dopo il 1870 lo por-
tava alla Royal Accademy di Burlington House per studiare le
 opere degli antichi maestri.




Da una ricerca fra gli archivi contenenti le raccolte di Sickert
si ricava l'impressione che Oswald abbia esercitato una forte
influenza sullo sviluppo dello stile di Walter.
Una raccolta di disegni attribuiti a Oswald, conservata presso
la biblioteca pubblica di Islington, nel Nord di Londra, contiene
  schizzi che, secondo gli storici dell'arte e gli esperti odierni,
devono essere opera del figlio.




E' possibile che Oswald correggesse i primi disegni di Walter.
Molti di essi rivelano la mano, assai dotata ma ancora incerta,
di una persona che impara a disegnare scene di vita quotidia-
na all'aperto, in città, con edifici e figure.
Ma la mente creativa che dirige la mano è turbata, violenta e
morbosa: si diverte a evocare la scena di un gruppo di uomini
bolliti vivi in un calderone, e di personaggi demoniaci con la
faccia lunga, dipinta, la coda e il sorriso diabolico.




Uno dei temi favoriti è quello del castello invaso da soldati
che si combattono tra loro.
Un cavaliere rapisce una donna pettoruta e corre via con lei,
che supplica di non essere violentata o uccisa.
Sickert descriveva forse i disegni della sua adolescenza quan-
do parlò di un'incisione eseguita da Karel du Jardin nel 1652:
un'agghiacciante scena, disse Sickert, di un 'cavaliere' in sella,
che si fermò a guardare un 'cadavere spogliato e fatto a pezzi',
mentre soldati 'con lance e bandiere' si allontanano sullo sfon-
do.




Il disegno più violento e dilettantesco della collezione è quello
che ritrae una donna dal grande petto, con abito scollato:
siede su una seggiola e ha le braccia legate dietro la schiena,
la testa rovesciata all'indietro, mentre un uomo (con la mano
destra) le pianta un coltello nel petto in corrispondenza dello
sterno.
La donna ha già altre ferite sulla parte sinistra del petto, una
sul lato sinistro della gola - dove si trova la carotide - e forse
anche una ferita sotto l'occhio sinistro.




L'unico tratto visibile sulla faccia dell'uomo che la uccide è
un leggero sorriso, ed è vestito di tutto punto.
Di fianco a questo disegno, sullo stesso foglio di carta, c'è
un uomo dall'aspetto spaventevole, piegato sulle ginocchia,
che sta per assalire una donna che porta una lunga gonna,
uno scialle e un cappello di tessuto.




Anche se non ho trovato alcun indizio di comportamenti ses-
sualmente violenti da parte sua, Oswald Sickert era proba-
bilmente un uomo gelido e senza cuore.
Il suo bersaglio preferito era la figlia.
Il terrore che Helena nutriva per il padre era così forte da
farla tremare in sua presenza. Non mostrò mai una briciola
di compassione per lei quando venne costretta a letto, per
due anni, dalle febbri reumatiche.
Quando guarì, a sette anni, era molto debole e le gambe la
reggevano male; lei odiava e temeva insieme le passeggiate
a cui la costringeva con la forza il padre.




Durante quelle camminate, Oswald non diceva mai una pa-
rola, e alla bambina quel silenzio incuteva ancor più paura
che non i rimproveri.
Quando lei si metteva goffamente a correre per tenersi al
suo passo, o quando incespicava e finiva contro di lui, 'al-
lora' scrive Helena 'senza fare parola mi prendeva per la
spalla e senza fare parola mi girava dall'altra parte, dove
correvo il rischio di finire nel fosso e contro un muro'.
La madre non intervenne mai a proteggerla.
Nelly preferiva i suoi 'bei bimbi' biondi dai vestiti alla ma-
rinara e non amava la figlia brutta e rossa di capelli.....

(P. Cornwell, Ritratto di un assassino) 
















lunedì 21 gennaio 2019

VIAGGIO NELLA MENTE DI JACK (il matematico) (52)












































Precedenti capitoli:

Jack... un mio amico (51)

Prosegue in:

L'altro Oswald (53/4)













Lo Squartatore odiava la polizia, era disgustato dalle ‘sudicie puttane’ ed era maniaco nell’inviare le sue sarcastiche ‘divertenti piccole comunicazioni’ alle persone che gli davano disperatamente la caccia. Le beffe dello Squartatore e la completa indifferenza con cui spegneva vite umane sono evidenti nelle sue lettere, che iniziarono a giungere nel 1888 e terminarono, a quanto ne so, nel 1896.

Mentre leggevo e rileggevo - più volte di quanto ricordi - le circa duecentocinquanta lettere che sopravvivono negli archivi londinesi, cominciò a formarsi in me l’orribile immagine di un bambino collerico, sprezzante e astuto che teneva in pugno un adulto geniale e ricco di talento. Jack lo Squartatore si sentiva forte soltanto quando uccideva le persone e tormentava le autorità, e per più di centoquattordici anni è riuscito a farla franca. Quando cominciai a esaminare le lettere dello Squartatore, ero d’accordo con la convinzione della polizia e della maggioranza di coloro che si sono interessati del caso, da allora a oggi: la convinzione, cioè, che la maggior parte delle lettere erano false o erano state scritte da persone mentalmente squilibrate.




Tuttavia, durante le mie ricerche a tappeto su Sickert e sul suo modo di esprimersi - e sul modo in cui lo Squartatore si esprimeva in tante delle lettere che si presumono di suo pugno - la mia opinione cambiò. Ora credo che la maggioranza sia stata scritta dall’assassino. Le sfide odiose e infantili, i commenti ironici delle sue lettere comprendono:

 ‘Ha Ha Ha’ ‘Prendetemi se potete’ ‘È uno scherzetto grazioso e divertente’ ‘In che bella danza vi conduco’ ‘Con affetto, Jack lo Squartatore’ ‘Solo per darvi un piccolo indizio’ ‘Le ho detto che ero Jack lo Squartatore e mi sono tolto il cappello per salutarla’ ‘Resistete, o mio astuto mucchio di poliziotti’ ‘Arrivederci per ora dal vostro sfuggente Squartatore’ ‘Non sarebbe bello, caro vecchio Capo, se tornassero i vecchi tempi?’ ‘Riuscireste a ricordarvi di me se provaste un poco a pensare. Ha ha’ ‘Con la presente sono ben lieto di fornirvi notizie dei miei spostamenti a beneficio dei nostri ragazzi di Scotland Yard’ ‘I poliziotti, alias pidocchi, si credono dannatamente furbi’ ‘Voi ciuchi, voi asini bifronti’ ‘Usatemi la compiacenza di inviare quaggiù alcuni di quei vostri poliziotti così intelligenti’ ‘I poliziotti passano tutti i giorni accanto a me e io passerò davanti a un poliziotto per andare a imbucare questa lettera’ ‘Ha! Ha!’ ‘Vi sbagliate se pensate che non vi veda’ ‘I bei vecchi tempi sono tornati’ ‘Avrei davvero voluto fare uno scherzetto a tutti voi, ma mi resta poco tempo per lasciarvi giocare al gatto e al topo con me’ ‘Au revoir, Capo’ ‘Ho giocato una bella burla a tutti loro’ ‘Ta ta’ ‘Poche righe per farvi sapere che amo il mio lavoro’ ‘Hanno un aspetto così intelligente quando dicono di essere sulla giusta pista’ ‘PS. Non potete rintracciarmi grazie a questa lettera, perciò non vale la pena che vi sforziate’ ‘Ho l'impressione che a Scotland Yard si dorma’ ‘Sono Jack lo Squartatore prendetemi se ce la fate’ ‘Adesso me ne vado a Parigi a provare anche laggiù i miei giochini’ ‘Oh, è stato un così bel lavoretto, l’ultima volta’ ‘Baci’ ‘Sono ancora libero... Ha, ha, ha!’ ‘Mi vien da ridere’ ‘Mi pare di essere stato molto bravo fino a questo momento’ ‘Sinceramente vostro, Mathematicus’ ‘Caro Capo...mi intrattenevo in conversazione con due o tre dei tuoi uomini giusto la scorsa notte’ ‘Quanto sono sciocchi i poliziotti’ ‘Non hanno perquisito quello dov'ero io. Per tutto il tempo ho osservato la polizia’ ‘Ma se sono passato davanti a un poliziotto ieri e lui non si è accorto di me’ ‘La polizia adesso giudica il mio lavoro una burla, bene bene Jacky è un vero burlone ha ha ha’ ‘Sono considerato un gentiluomo di ottima presenza’ ‘Come vedete, sono ancora in giro. Ha, ha’ ‘Prendermi non vi sarà molto facile’ ‘Inutile che cerchiate di prendermi perché non ce la farete’ ‘Non mi avete mai preso e non mi prenderete mai. Ha, ha’.




Mio padre, che era avvocato, diceva che puoi capire molte cose da quello che fa montare in collera una persona. Esaminando le duecentoundici lettere dello Squartatore conservate nell'archivio di Kew ci appare l’immagine di una persona colta e arrogante. Anche quando lo Squartatore dissimulava il proprio modo di scrivere per apparire ignorante, incolto o pazzo, non gli piaceva sentirsi definire così. Non resisteva alla tentazione di ricordare ai suoi lettori di essere una persona di elevata cultura e di tanto in tanto, perciò, scriveva qualche lettera in modo perfetto, in una calligrafia elegante, precisa e con un’eccellente scelta di vocaboli.

Come protestò più di una volta lo Squartatore, in lettere progressivamente sempre più ignorate dalla polizia e dalla stampa: ‘Non sono un maniaco come credete, sono troppo astuto per voi’ e: ‘Se pensate che sia pazzo commettete un errore’. Del resto, un londinese del popolo, privo di cultura, non avrebbe usato la parola conundrum (‘rompicapo’) né firmato una lettera ‘Mathematicus’. E probabilmente un assassino brutale e ignorante non si riferirebbe alle persone da lui uccise come a ‘vittime’ né descriverebbe la mutilazione di una donna come praticarle un ‘cesareo’.




Lo Squartatore usava anche parole volgari come cunt per l’organo femminile e cercava di scrivere con ortografia scorretta, in modo confuso e con grafia illeggibile. Poi spediva i suoi messaggi (scritti su carta non da lettere e talvolta con la frase di scusa: ‘Non ho il francobollo’) da Whitechapel, come per indicare che Jack lo Squartatore era uno dei miserabili di quel quartiere degradato. Ma ben pochi dei poveri di Whitechapel sapevano leggere e scrivere, e una grande percentuale di quella popolazione era straniera e non parlava inglese. Di solito chi commette errori d’ortografia in inglese scrive le parole nel modo in cui sono pronunciate e ripete sempre gli stessi errori, mentre in alcune lettere lo Squartatore scrive la stessa parola in modo diverso. La ricorrente parola ‘giochi’ e i numerosi ‘ha ha’ erano le espressioni favorite di James McNeill Whistler, nato in America, il cui ‘ha! ha!’ - o ‘risata chioccia’, come la chiamava Sickert -, sgradevolmente noto a tutti e spesso descritto come una risata fastidiosa e irritante per l’orecchio di un inglese, riusciva a interrompere una conversazione, nel corso di un ricevimento, ed era sufficiente, come annuncio della presenza del pittore, a spingere i suoi nemici a tacere e ad allontanarsi.




‘Ha ha’ era una trascrizione onomatopeica assai più americana che inglese, e chissà quante volte al giorno Sickert aveva udito quel suono irritante quando era in compagnia di Whistler o nel suo studio. Si possono leggere centinaia di lettere scritte da vittoriani senza incontrare un solo ‘ha ha’, ma le lettere dello Squartatore ne sono piene. Varie generazioni di ricercatori sono state erroneamente indotte a pensare che le lettere dello Squartatore fossero state scritte da qualche burlone o da qualche giornalista desideroso di creare una storia sensazionale, o rispecchiassero le farneticazioni di qualche maniaco, perché questa era l’opinione della polizia e della stampa.

Gli investigatori e la maggior parte degli studiosi dei crimini dello Squartatore si sono concentrati più sulla grafia che sul linguaggio. La scrittura si può alterare facilmente, soprattutto quando si è un disegnatore così abile, ma certe caratteristiche combinazioni linguistiche che compaiono numerose volte in testi diversi sono le impronte digitali della mente di una persona. Uno degli insulti preferiti da Sickert consisteva nel chiamare le persone ‘sciocche’. Anche lo Squartatore era innamorato di questa parola. Per Jack lo Squartatore tutti erano sciocchi, eccetto lui. Gli psicopatici tendono a pensare di essere più astuti e intelligenti di ogni altro e sono convinti di riuscire a battere in astuzia coloro che li cercano.




Lo psicopatico ama giocare come il gatto col topo, punzecchiare e sfidare la polizia. Trova divertente mettere in moto un simile caos e poi starsene tra le quinte a guardare. Sickert non fu il solo psicopatico che giocasse a rimpiattino con la polizia, la stuzzicasse e la irridesse, convinto di essere più intelligente di chiunque altro e di poter uccidere evitando la punizione. Può darsi, però, che sia stato il serial killer più originale e creativo di tutti i tempi. Sickert era un uomo istruito, con il quoziente intellettivo di un genio. Era un artista di talento e le sue opere godono del rispetto della critica, anche se non risultano necessariamente gradevoli. La sua arte non mostra niente di aggraziato né tocchi di tenerezza né sogni. Non pretese mai di ritrarre la ‘bellezza’ e fu un disegnatore migliore della maggior parte dei suoi colleghi altrettanto famosi.

Sickert il ‘matematico’ era un tecnico.

‘In natura tutte le linee... sono collocate in qualche parte dei radianti compresi fra i trecentosessanta gradi dei quattro angoli retti’ scrisse. ‘Tutte le linee rette... e tutte le curve si possono considerare come tangenti di tali linee’. Insegnava ai suoi studenti che ‘la base del disegno è una sensibilità altamente coltivata dell’esatta direzione delle linee... entro i centottanta gradi degli angoli retti’. O, semplificando: ‘Si può dire che l’arte sia... il coefficiente individuale di errore... nello sforzo [dell'artista] di ottenere l’espressione della forma’.

Whistler e Degas non definivano in questi termini la propria arte. Non so se avrebbero capito una sola parola di quel che insegnava Sickert. In Sickert questo modo preciso di pensare e di calcolare era evidente non solo nelle descrizioni come quelle citate, ma anche nel modo d’esecuzione del suo lavoro. Il suo metodo di pittura consisteva nel ‘quadrettare’ gli schizzi e poi ingrandirli geometricamente per conservare le prospettive e le proporzioni. In alcuni suoi quadri si può ancora scorgere debolmente, dietro il colore, il reticolo del suo metodo matematico. Allo stesso modo, nei giochi e nei violenti delitti di Jack lo Squartatore il reticolo della sua identità resta ancora debolmente visibile dietro l’ordito delle sue macchinazioni….

(P. Cornwell, Ritratto di un assassino)













sabato 19 gennaio 2019

L'IMPORTANTE SEGUIRE LE REGOLE (48)




































Precedenti capitoli:

Big John 33-33 (47)

Prosegue in:

Viaggio verso Giove (e la Luna...) (49/50)














L’altra sera ho fatto una cosa stupida!

Sono entrato in uno dei bar della zona e sono andato a sedermi senza chiedere il permesso. Certe cose in America non si fanno, ma io avevo un importante pensiero ricorrente e volevo appuntarmelo prima che mi sfuggisse (ossia: ‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio nel tubetto. Riflettici’); e comunque il locale era praticamente vuoto, quindi mi accomodai a un tavolino vicino alla porta. Dopo un paio di minuti arrivò la Manager Assegnazione Posti, e mi disse fredda:

‘Vedo che si è seduto da solo’.

‘Sì!’,

replicai orgoglioso.

‘E mi vesto anche, da solo…’.

‘Non ha visto il cartello?’.

Accennò con la testa a un grande cartello che diceva:

‘Aspettate di essere accompagnati al vostro posto. Grazie’.




Sono stato in quel bar circa centocinquanta volte. Ho visto il cartello da ogni angolazione possibile, tranne che da supino.

‘C’è un cartello?’,

chiesi candidamente.

‘Perbacco! Non l’avevo notato!’.

La donna sospirò.

‘Bene. La cameriera di questo settore è molto presa, quindi forse dovrà aspettare un po’ prima che venga da lei’.

Non c’erano altri clienti nel raggio di quindici metri, ma il punto non era quello: il punto era che avevo ignorato un avviso, e quindi avrei dovuto scontare una piccola condanna in purgatorio. Sarebbe del tutto errato dire che gli americani amano le regole; è vero però che le tengono in una certa considerazione. Il loro comportamento nei confronti delle regole è molto simile a quello dei britannici con le code: le trattano come fossero fondamentali per il mantenimento di una società civile e ordinata. In effetti, era come se, stando in una fila, io fossi passato davanti al cartello: ‘Aspettate di essere accompagnati al vostro posto’.

Credo abbia a che fare con il nostro ceppo germanico.




Nel complesso non ci trovo niente da ridire. Devo ammettere che ci sono casi in cui un po’ di ordine teutonico non farebbe male all’Inghilterra; per esempio quando la gente occupa due posti nei parcheggi (l’unica infrazione per cui, se posso esprimermi liberamente, vedrei di buon occhio il ripristino della pena capitale). A volte però la devozione degli americani per l’ordine si spinge un po’ troppo in là. La piscina pubblica della nostra città, per esempio, ha un regolamento in ventisette punti – ventisette! – dei quali il mio preferito è:

‘Sul trampolino, è consentito un solo rimbalzo per tuffo’.

E lo fanno rispettare.

L’aspetto frustrante – anzi, no: quello che mi fa uscire di testa – è che non conta quasi mai se queste regole abbiano o meno un senso.




All’incirca un anno fa, per affrontare la crescente minaccia del terrorismo, le linee aeree americane cominciarono a chiedere ai passeggeri di presentare un documento di identità con fotografia al momento del check-in. La prima volta che ne sentii parlare fu quando mi presentai all’imbarco in un aeroporto a più di duecento chilometri da casa.

‘Devo vedere un documento di identità con fotografia’,

disse l’impiegato, un tizio con lo charm e la sconfinata motivazione che ti aspetteresti da qualcuno la cui massima gratifica sul lavoro fosse una cravatta di nylon.

‘Ma davvero? Non credo di averlo’,

…dissi cominciando a tastarmi le tasche, come se potesse cambiare qualcosa, e poi estraendo diverse carte dal mio portafogli. Avevo ogni genere di documento identificativo: tessera della biblioteca, carte di credito, carta della previdenza sociale, carta dell’assicurazione sanitaria, biglietto aereo – tutti con sopra il mio nome, ma nessuno con una fotografia. Alla fine, in fondo al portafogli, trovai una vecchia patente di guida rilasciata nell’Iowa, che non ricordavo nemmeno di avere.

‘È scaduta’,

...disse l’uomo con disprezzo.




‘Ma in fondo non chiedo di guidare l’aereo’,

replicai. 

‘A ogni modo è vecchia di quindici anni. Ho bisogno di qualcosa di più recente’.

Sospirai e frugai tra le mie cose. Alla fine, mi venne in mente che avevo una copia di uno dei miei libri, con la mia foto in copertina. Glielo porsi con orgoglio e sollievo. Guardò il libro, quindi fissò prima me e poi un elenco stampato.

‘Non è previsto nel nostro elenco delle rappresentazioni visuo-cognitive ammissibili’,

disse – o qualcosa di analogamente vacuo.

‘Ne sono certo, ma sono comunque io. Non potrei essere io più di così’.




Abbassai la voce e mi chinai avvicinandomi a lui.

‘Sta davvero insinuando che mi sono fatto stampare questo libro apposta per imbucarmi su un volo per Buffalo?’,

Mi fissò per un altro lungo istante, poi chiamò un altro impiegato per un consulto. Conferirono e convocarono una terza parte. Alla fine ci ritrovammo con una scena di massa in cui erano coinvolti tre impiegati del check-in, il loro supervisore, il supervisore del supervisore, due portabagagli, diversi spettatori rumorosi che cercavano di avere una visuale migliore, e un tizio che vendeva gioielli da una valigetta di alluminio. Il mio volo doveva partire di lì a qualche minuto, e io cominciavo a schiumare agli angoli della bocca.

‘A ogni modo, qual è il punto di tutta la faccenda?’,

chiesi al supervisore capo.

‘Perché avete bisogno di un documento di identità con fotografia?’.

‘Regola della Federal Aviation Administration’,

…disse lui, contemplando mesto il mio libro, la mia patente di guida scaduta e l’elenco delle opzioni fotografiche ammissibili.




‘Ma perché è la regola? Lei crede sul serio di poter bloccare un terrorista chiedendogli di esibire una fotografia plastificata? Pensate che la richiesta di mostrare una patente di guida possa distogliere dal suo intento una persona capace di progettare e attuare un sofisticato dirottamento? Non vi è passato per la mente che potrebbe essere più produttivo, dovendo affrontare il terrorismo, impiegare gente sveglia, e magari con un quoziente intellettivo superiore a quello di un piccolo mollusco, per controllare i monitor dei raggi X?’.

Forse non l’avrò detto esattamente in questi termini, ma il succo di ciò che provavo era questo. Il punto è che non vi si chiede semplicemente di identificarvi, ma di farlo in un modo che corrisponda esattamente a delle istruzioni scritte.

Comunque sia, cambiai tattica e cominciai a implorare.

Promisi che mai più mi sarei presentato in un aeroporto senza un documento di identità adeguato. Assunsi un atteggiamento di totale pentimento. Credo che mai nessuno abbia insistito con tanta serietà e contrizione per ottenere il permesso di imbarcarsi per Buffalo. Alla fine, con diffidenza, il supervisore fece un segno d’assenso all’impiegato e gli disse di registrarmi, ma mi ammonì di non provare mai più a comportarmi in modo così disonesto, e poi se ne andò con i colleghi. L’impiegato del check-in mi diede una carta d’imbarco e io feci per incamminarmi verso il gate; poi però mi voltai e con un tono basso e confidenziale condivisi con lui un utile ripensamento.

‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio nel tubetto’

…dissi.

‘Riflettici’!!

(B. Bryson Notizie da un grande paese)













mercoledì 16 gennaio 2019

IL SOGNO DI SATURO (44)




















Precedenti capitoli:

La vendetta (44/1)

Prosegue nell'...

Armatura aliena (o alienata..) (45)













…Qui ci limitiamo a prendere in esame solo la punta dell’iceberg, il momento della messa a morte del condannato e della organizzazione dell’esecuzione come pubblico spettacolo. Era qui che con la realtà della vendetta si confrontava l’invito al perdono della parola di Cristo che aveva garantito la remissione divina delle colpe a chi le rimetteva ai propri simili e aveva esteso il divieto biblico di uccidere a ogni forma di ostilità. La più popolare e diffusa preghiera del mondo cristiano, il ‘Pater noster’ ricordava a tutti i cristiani l’obbligo di perdonare se volevano essere perdonati. Quella breve frase: ‘Padre, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’, ha inquietato o pacificato innumerevoli esseri nel corso della storia e ha messo in movimento grandi e complessi processi. Le interpretazioni del reale significato di queste parole hanno messo a prova non solo l’intelligenza delle persone ma la loro disponibilità ad instaurare rapporti fraterni con gli altri esseri umani in nome dell’appartenenza ad una famiglia di cui Dio è il padre… 

…La prospettiva messianica ed escatologica dell’annunziato, imminente ‘Regno di Dio’ fu quella stessa che sorresse le prime generazioni di cristiani. Una volta abbandonato il messianismo come attesa di rinnovamento generale e dell’avvento della giustizia divina, si aprì l’altra prospettiva non più collettiva ma individuale della sopravvivenza dell’Anima dopo la morte del corpo: una sopravvivenza su cui san Paolo dettò una pagina che doveva restare a lungo al centro delle speculazioni teologiche, quella della trasformazione del corpo incorruttibile dell’abitante del regno di Dio.




Se a questa vittoria della prospettiva mistica che spostava oltre la morte l’attesa della perfetta giustizia si aggiunge il percorso storico che fece della setta cristiana dominante dell’Impero romano, si ha un’idea della funzione che il cristianesimo si preparava a svolgere nel rapporto con lo Stato. Una funzione che trovò la sua espressione in una parola, quella che domina nelle ‘passioni dei martiri’: Anima!

È questa parola che indica su quale fondamento i cristiani rifiutavano il culto dell’imperatore e si preparavano ad affrontare ogni martirio compresa la pena capitale per nessuna colpa aver commesso… Si legga infatti la suggestiva immagine del ‘sogno di Saturo’ che fa parte della ‘Passio Perpetuae et Foelicitatis’ e si vedrà come i membri delle chiese cristiane pellegrine nell’Impero ostile immaginassero il viaggio dell’Anima…




Proseguendo cotal Sentiero tracciato dal valente Prosperi andiamo a convergere (o, al contrario, divergere) sui vari motivi storici poco noti ai non addetti ai lavori, motivi quantunque soggetti ad una loro interpretazione e quantunque interpretati alla soglia di un perimetro confluito e delimitato nel Potere stesso, e per non cadere così in nessuna ‘trappola culturale’ abdico ad una mia Visione sul destino dell’Anima l’inusuale Sentiero scelto giacché penso che cotale immateriale spirituale appartenenza riconducibile a Dio abbia una Genesi ben precisa soggetta e simmetrica alla lenta graduale evoluzione dell’Universo quindi affine alla prospettica appartenenza di un ciclo da cui visibile consistenza con la manifesta capacità di poter coniugarsi al corpo materiale ove questa ‘particella’ di indefinita ‘immateriale materia’ [o Spirito] capace di connettersi e partecipare alla vita esprimendo la propria Divina inalienabile infinita consistenza ad immagine di Dio…




…Del resto avendolo predicato dal mondo invisibile al visibile esplicitato da una Selva nato (ove medesime Anime comporre il bosco di simmetrica viva infinita natura narrare martirio colpa e perdono mancato) ed altresì coniugato in Rima sono costante oggetto dell’avversa materia contrastare ogni ortodossa o eretica prospettiva giacché chi anima presiede e celebra la stessa [materia detta] recita certamente una avversa dottrina al ‘teatro’ della vita… Così come risolto ed esplicitato l’Universo Creato ed ogni cosa visibile ed invisibile in loro nato ed evoluto soggetta e coniugata con la moneta della stessa (materia detta).

…Da cui come più volte detto il dono della Vista… nella cecità assoluta…

…E così invece della citazione del Versetto o della Bibbia medito e Viaggio nel vasto mondo dell’Arte ‘orbitando’ dal mondo ‘pittografico’ alla scrittura medesima Arte di invisibile Natura divenuta letteratura di chi fuggito come me dal proprio teatro della società di appartenenza per una Guerra non tanto incompresa ma folle nella propria ed altrui determinazione ritrae pose ritratti paradossi volti coscienze e misteri dalla ‘civile civiltà’ ispirati…




…Dacché ogni guerra che rimuove ed esclude Credo Ragione Coscienza ed Intelletto e coloro che meglio l’interpretano non coniugati alla Storia così come fu per il Cristianesimo primitivo… ritraendo Memoria…, e al profilo della civiltà abdicata ed esposta in ugual medesimo museo coniare - come già esplicitato - una grammatica sintassi della Vita…, talvolta o molto spesso, l’Opera così come la dottrina non del tutto gradita. 

...Cristianesimo dicevo il quale purtroppo vittima del potere in cui perse l’originale primitiva eretica originalità e spirituale ricchezza della nobile filosofia tramandata divenuta dottrina affine al potere detto, e ciò che avvenne purtroppo non nobilita e/o migliora la lunga Storia dell’uomo…

…Riconosco però una grande evoluta capacità  in seno alla Chiesa, quella capacità non tanto di farsi carico di una superata antiquata conversione quanto il saper manifestare e contrastare rivelando materiale paradossale aliena condizione dell’uomo caduto qual Adamo nel baratro di una realtà sociale non certo paradisiaca con la propria  involuta graduale inesorabile veloce trasformazione verso quell’ateismo privo di principi ed in cui l’unico motto & credo coniato sulla natura esclusiva del profitto, e quindi, ogni alternativa - ogni filosofica alternativa - si prospetta e rinnova qual minaccia antica…

…Ed in codesto mondo a ‘roverso’ la Gnosi ovvero il serpente del Sapere alieno e simmetrico alla caduta dell’uomo paradossalmente è risolto dal Credo…

…Infatti il paradiso vien promesso eletto creato costruito ed ad ognun indistintamente dato e distribuito se mai vien colta la mela di codesto immondo peccato e credo…

…Credo di aver svelato il quanto!

…Ed anche sfilato il guanto della sfida: Dio nel Sogno che fu di Saturo mi indica ed apostrofa in ugual medesima Visione…




Proseguo!

Purtroppo pochi hanno coscienza del grande repentino veloce cambiamento dell’ultimo trentennio e non solo nel campo di una determinata evoluzione industriale la quale premette una totale sudditanza soggetta al mercato accantonando e/o velatamente rimuovendo tutti i motivi dello Spirito i quali elevati per loro Natura ad una superiore pretesa divengono l’appetito di chi vorrebbe incarnarne diabolicamente l’Anima quanto lo Spirito detto...

Creando come detto l’Homo…

Più Sapiens e cosciente nell’inconsistente genesi in cui costretto barattata e predicata qual evoluto dominio… o progresso…  

Certo la ‘questio’ non di natura o divina statura sindacale in quanto non regna sindacato alcuno nel porto dell’esigenza dell’Anima quanto quello dello Spirito giacché in codesto nuovo creato successivo ad un certo ‘evo’ sembrano regnare ed imperare solo i bisogni corporali quindi materiali e questa materia vorrebbe asservire anche quella parte dell’Anima libera e quindi soggetta al vincolo del libero arbitrio convertito abdicato e costretto nella capacità di assecondare ogni suo bisogno riducendolo e rapportandolo alla materia di cotal genesi tratta.

…Tutto ciò ci stiamo accorgendo nella differenza posta comporta un moderno peccato divenuto successivo reato di chi difettando di materiale esigenza nell’urgenza dello Spirito così non convertito contravviene al libero mercato…

Così come rilevano e rivelano le profetiche nuove visioni da ogni Parabola dedotte delle sacre scritture ad ognuno distribuite ed in pixel apparire e poi scomparire se il canone della dovuta dottrina non correttamente corrisposto anche in comode rate mensili al Tempio d’ogni villaggio…

…Gli Eretici così come i profeti ambulanti saranno perseguitati… e l’Anima inscena una strana vendetta alla legge cui ognuno sottoposto e chi mai rubò per proprio conto mentre tutti gli altri per conto e in nome di Dio subiranno invisibile pena mai sia detta vendetta forse castigo nel folto dell’invisibile bosco dove scorgo un ramo contorto… 




Un vecchio di nome Daniel Baker, che viveva vicino a Lebanon, nell’Iowa, venne sospettato dai vicini di aver ucciso un venditore ambulante a cui aveva permesso di passare la notte in casa sua. Questo accadde nel 1853, quando il commercio ambulante nelle regioni occidentali era più comune di adesso, ed era una professione alquanto pericolosa. Il venditore ambulante attraversava tutto il paese con la sua merce, passando per ogni tipo di strada solitaria, ed era costretto a fare affidamento sull’ospitalità della gente di campagna. Questo lo costringeva a entrare in contatto con tipi strani, alcuni dei quali si guadagnavano da vivere con metodi poco leciti e consideravano l’omicidio un mezzo accettabile per raggiungere i loro scopi.

Di tanto in tanto capitava che un venditore ambulante con la merce quasi esaurita e il portafogli pieno (o vuoto non sempre talune spirituali mercanzie commerciabili…) venisse avvistato fino alla casa isolata di qualche losco figuro, dopodiché se ne perdevano le tracce. Le cose andarono così nel caso del vecchio Baker, come lo avevano sempre chiamato. (Negli insediamenti occidentali, questi epiteti venivano affibbiati solo agli anziani che non godevano dell’altrui stima: al generale discredito della riprovazione sociale si accompagnava l’onta della vecchiaia.)

Un venditore ambulante arrivò a casa sua per non uscirne mai più; questo era ciò che tutti sapevano.




Sette anni dopo, il reverendo Cummings, un pastore battista molto noto in quella parte del paese, una notte passò nei pressi della fattoria di Baker. Non era molto buio: al di sopra del leggero velo di foschia che avvolgeva la terra s’intravedeva uno spicchio di luna. Il reverendo Cummings, che era sempre di buon umore, stava fischiando un motivetto, che interrompeva di tanto in tanto per rivolgere una parola di bonario incoraggiamento al suo cavallo. Quando giunse in prossimità di un ponticello che attraversava un burrone asciutto, vide sopra di esso la sagoma di un uomo che spiccava nettamente contro lo sfondo grigio della foresta brumosa.

L’uomo aveva qualcosa legato sulla schiena e si reggeva su un pesante bastone; evidentemente era un venditore ambulante. Aveva un’aria assente, simile a quella di un sonnambulo.

Il reverendo Cummings fece arrestare il cavallo quando si trovò davanti all’uomo, lo salutò con gentilezza e lo invitò a sedersi sul suo carro;

‘Se vi state recando nella mia direzione’,

aggiunse.

L’uomo alzò la testa e lo guardò dritto in volto, ma non rispose né fece altri movimenti.

Il pastore, insistendo con le buone maniere, ripeté l’invito.

A quel punto, l’uomo allungò di lato la mano destra e puntò un dito verso il basso, restando sul margine estremo del ponte. Il reverendo Cummings guardò nel burrone al di sotto dell’uomo, ma non vide nulla di strano e rivolse di nuovo lo sguardo verso il suo interlocutore.

Era scomparso.




Nello stesso momento, il cavallo, che per tutto il tempo si era agitato in modo insolito, sbuffò terrorizzato e fuggì al galoppo. Prima di riuscire a riprendere il controllo dell’animale, il pastore si ritrovò in cima alla collina, a un centinaio di metri di distanza. Si voltò a guardare e vide di nuovo la sagoma, nello stesso posto e con lo stesso atteggiamento di quando l’aveva notata in precedenza. Allora, per la prima volta, avvertì una sensazione soprannaturale, e tornò a casa quanto più rapidamente gli permise il suo cavallo obbediente. Quando arrivò a casa, raccontò l’avventura alla sua famiglia e, alle prime ore del mattino seguente, tornò sul posto accompagnato da due vicini, John White Corwell e Abner Raiser.

Trovarono il corpo del vecchio Baker impiccato a un albero vicino al ponte, proprio sotto il punto in cui si era manifestata l’apparizione. Uno spesso strato di polvere, leggermente inumidito dalla foschia, rivestiva la pavimentazione del ponte, ma le uniche orme visibili erano quelle del cavallo del reverendo Cummings.

Tirando giù il corpo, gli uomini smossero il terreno sconnesso e friabile del pendio sottostante, riportando alla luce delle ossa umane, in parte già scoperte dall’azione dell’acqua e del ghiaccio. Vennero identificate come i resti del venditore ambulante di cui si erano perse le tracce. Alla doppia inchiesta la giuria stabilì che Daniel Baker si era suicidato a causa di una temporanea infermità mentale, e che Samuel Morritz era stato assassinato da una o più persone sconosciute alla giuria.

(Bierce)