giuliano

sabato 19 gennaio 2019

L'IMPORTANTE SEGUIRE LE REGOLE (48)




































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L’altra sera ho fatto una cosa stupida!

Sono entrato in uno dei bar della zona e sono andato a sedermi senza chiedere il permesso. Certe cose in America non si fanno, ma io avevo un importante pensiero ricorrente e volevo appuntarmelo prima che mi sfuggisse (ossia: ‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio nel tubetto. Riflettici’); e comunque il locale era praticamente vuoto, quindi mi accomodai a un tavolino vicino alla porta. Dopo un paio di minuti arrivò la Manager Assegnazione Posti, e mi disse fredda:

‘Vedo che si è seduto da solo’.

‘Sì!’,

replicai orgoglioso.

‘E mi vesto anche, da solo…’.

‘Non ha visto il cartello?’.

Accennò con la testa a un grande cartello che diceva:

‘Aspettate di essere accompagnati al vostro posto. Grazie’.




Sono stato in quel bar circa centocinquanta volte. Ho visto il cartello da ogni angolazione possibile, tranne che da supino.

‘C’è un cartello?’,

chiesi candidamente.

‘Perbacco! Non l’avevo notato!’.

La donna sospirò.

‘Bene. La cameriera di questo settore è molto presa, quindi forse dovrà aspettare un po’ prima che venga da lei’.

Non c’erano altri clienti nel raggio di quindici metri, ma il punto non era quello: il punto era che avevo ignorato un avviso, e quindi avrei dovuto scontare una piccola condanna in purgatorio. Sarebbe del tutto errato dire che gli americani amano le regole; è vero però che le tengono in una certa considerazione. Il loro comportamento nei confronti delle regole è molto simile a quello dei britannici con le code: le trattano come fossero fondamentali per il mantenimento di una società civile e ordinata. In effetti, era come se, stando in una fila, io fossi passato davanti al cartello: ‘Aspettate di essere accompagnati al vostro posto’.

Credo abbia a che fare con il nostro ceppo germanico.




Nel complesso non ci trovo niente da ridire. Devo ammettere che ci sono casi in cui un po’ di ordine teutonico non farebbe male all’Inghilterra; per esempio quando la gente occupa due posti nei parcheggi (l’unica infrazione per cui, se posso esprimermi liberamente, vedrei di buon occhio il ripristino della pena capitale). A volte però la devozione degli americani per l’ordine si spinge un po’ troppo in là. La piscina pubblica della nostra città, per esempio, ha un regolamento in ventisette punti – ventisette! – dei quali il mio preferito è:

‘Sul trampolino, è consentito un solo rimbalzo per tuffo’.

E lo fanno rispettare.

L’aspetto frustrante – anzi, no: quello che mi fa uscire di testa – è che non conta quasi mai se queste regole abbiano o meno un senso.




All’incirca un anno fa, per affrontare la crescente minaccia del terrorismo, le linee aeree americane cominciarono a chiedere ai passeggeri di presentare un documento di identità con fotografia al momento del check-in. La prima volta che ne sentii parlare fu quando mi presentai all’imbarco in un aeroporto a più di duecento chilometri da casa.

‘Devo vedere un documento di identità con fotografia’,

disse l’impiegato, un tizio con lo charm e la sconfinata motivazione che ti aspetteresti da qualcuno la cui massima gratifica sul lavoro fosse una cravatta di nylon.

‘Ma davvero? Non credo di averlo’,

…dissi cominciando a tastarmi le tasche, come se potesse cambiare qualcosa, e poi estraendo diverse carte dal mio portafogli. Avevo ogni genere di documento identificativo: tessera della biblioteca, carte di credito, carta della previdenza sociale, carta dell’assicurazione sanitaria, biglietto aereo – tutti con sopra il mio nome, ma nessuno con una fotografia. Alla fine, in fondo al portafogli, trovai una vecchia patente di guida rilasciata nell’Iowa, che non ricordavo nemmeno di avere.

‘È scaduta’,

...disse l’uomo con disprezzo.




‘Ma in fondo non chiedo di guidare l’aereo’,

replicai. 

‘A ogni modo è vecchia di quindici anni. Ho bisogno di qualcosa di più recente’.

Sospirai e frugai tra le mie cose. Alla fine, mi venne in mente che avevo una copia di uno dei miei libri, con la mia foto in copertina. Glielo porsi con orgoglio e sollievo. Guardò il libro, quindi fissò prima me e poi un elenco stampato.

‘Non è previsto nel nostro elenco delle rappresentazioni visuo-cognitive ammissibili’,

disse – o qualcosa di analogamente vacuo.

‘Ne sono certo, ma sono comunque io. Non potrei essere io più di così’.




Abbassai la voce e mi chinai avvicinandomi a lui.

‘Sta davvero insinuando che mi sono fatto stampare questo libro apposta per imbucarmi su un volo per Buffalo?’,

Mi fissò per un altro lungo istante, poi chiamò un altro impiegato per un consulto. Conferirono e convocarono una terza parte. Alla fine ci ritrovammo con una scena di massa in cui erano coinvolti tre impiegati del check-in, il loro supervisore, il supervisore del supervisore, due portabagagli, diversi spettatori rumorosi che cercavano di avere una visuale migliore, e un tizio che vendeva gioielli da una valigetta di alluminio. Il mio volo doveva partire di lì a qualche minuto, e io cominciavo a schiumare agli angoli della bocca.

‘A ogni modo, qual è il punto di tutta la faccenda?’,

chiesi al supervisore capo.

‘Perché avete bisogno di un documento di identità con fotografia?’.

‘Regola della Federal Aviation Administration’,

…disse lui, contemplando mesto il mio libro, la mia patente di guida scaduta e l’elenco delle opzioni fotografiche ammissibili.




‘Ma perché è la regola? Lei crede sul serio di poter bloccare un terrorista chiedendogli di esibire una fotografia plastificata? Pensate che la richiesta di mostrare una patente di guida possa distogliere dal suo intento una persona capace di progettare e attuare un sofisticato dirottamento? Non vi è passato per la mente che potrebbe essere più produttivo, dovendo affrontare il terrorismo, impiegare gente sveglia, e magari con un quoziente intellettivo superiore a quello di un piccolo mollusco, per controllare i monitor dei raggi X?’.

Forse non l’avrò detto esattamente in questi termini, ma il succo di ciò che provavo era questo. Il punto è che non vi si chiede semplicemente di identificarvi, ma di farlo in un modo che corrisponda esattamente a delle istruzioni scritte.

Comunque sia, cambiai tattica e cominciai a implorare.

Promisi che mai più mi sarei presentato in un aeroporto senza un documento di identità adeguato. Assunsi un atteggiamento di totale pentimento. Credo che mai nessuno abbia insistito con tanta serietà e contrizione per ottenere il permesso di imbarcarsi per Buffalo. Alla fine, con diffidenza, il supervisore fece un segno d’assenso all’impiegato e gli disse di registrarmi, ma mi ammonì di non provare mai più a comportarmi in modo così disonesto, e poi se ne andò con i colleghi. L’impiegato del check-in mi diede una carta d’imbarco e io feci per incamminarmi verso il gate; poi però mi voltai e con un tono basso e confidenziale condivisi con lui un utile ripensamento.

‘C’è sempre ancora un po’ di dentifricio nel tubetto’

…dissi.

‘Riflettici’!!

(B. Bryson Notizie da un grande paese)













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