giuliano

domenica 31 dicembre 2017

CERCHI & SPIRALI (67)












































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Martirio Verde (66)

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Martirio Verde (secondo atto) ovvero quando la Terra piatta (68) 














...Erano, cioè, ancora troppo fanciulleschi e troppo giocosi per trovare un qualche valore nello snobismo.

Gli Irlandesi accolsero l’istruzione a modo loro, come qualcosa con cui giocare. L’unico alfabeto che avevano conosciuto sino allora era ogham, un rozzo insieme di linee basate sull’alfabeto romano, con il quale incidevano laboriosamente gli angoli di pietre verticali per trasformarle in monumenti. Queste iscrizioni simili a rune, che continuarono ad apparire durante i primi anni del periodo cristiano, non suggerivano certo ciò che stava per accadere, dal momento che, nel volgere di una generazione, gli Irlandesi avrebbero padroneggiato il latino e il greco e si sarebbero sforzati di acquisire un’infarinatura di ebraico.

Concepirono delle grammatiche irlandesi, e trascrissero per intero la propria letteratura orale indigena. Tutto questo si rivelò abbastanza semplice, anche troppo, una volta che ebbero capito il trucco. Cominciarono ad inventare delle lingue. I membri di una remota setta segreta, formatasi già verso la fine del quinto secolo, erano in grado di scrivere l’un l’altro adoperando una forma di latino inusitato ed ermeticamente erudito chiamato Hisperica Famina, non dissimile dal linguaggio-sogno del Finnegans Wake, o dai linguaggi inventati da J.R.R. Tolkien per i suoi gobbi e folletti.   




Combinarono le nobili lettere degli alfabeti greci e romani con la semplicità talismanica e magica dell’ogham, per produrre maiuscole iniziali e titoli che inchiodavano l’occhio alla pagina, suscitando reverenza nel lettore. 
Per il corpo del testo svilupparono due calligrafie differenti; la prima in un carattere maestoso ma arrotondato chiamato ‘semionciale irlandese’ e la seconda in un carattere facile da scrivere detto ‘maiuscola irlandese’, più leggibile, più scorrevole e – diciamolo pure – molto più allegra di qualsiasi grafia inventata precedentemente.

La cosa degna di nota e interessante dal punto di vista di una Storia di cui abbiamo perso Memoria in questa nuova èra, è che per ornare i testi dei loro libri più preziosi, gli Irlandesi cercarono istintivamente un modello, anziché nelle rozze linee dell’ogham, nella loro matematica preistorica e nelle tracce più antiche dell’esistenza dello spirito umano in Irlanda, ossia le tombe megalitiche della valle del Boyne. Queste tombe furono edificate in Irlanda nel 3000 a.C. circa, la stessa epoca della costruzione di Stonehenge in Britannia.
Misteriose al pari di Stonehenge, sia per quanto riguarda la loro origine sia per la complessità dell’ingegneria, queste grandi tombe a tumolo rappresentano la più antica architettura irlandese, e sono rivestite dalle indecifrabili forme, a zigzag e a losanga caratteristiche dell’arte primitiva irlandese. Questi imponenti tumoli che raccontano una storia il cui senso possiamo solo congetturare, fornirono per lungo tempo ai fabbri irlandesi la loro ispirazione artistica. Nelle ampie linee delle affascinanti incisioni del Boyne possiamo infatti discernere l’origine dei magnifici gioielli e degli altri oggetti in metallo realizzati, all’inizio del periodo patriziano, dai fabbri, i quali detenevano nell’ambito della società irlandese il rango di indovini. Questa intricata profusione di lavori in metallo si presenta come una serie di variazioni sul tema originale…




Di quale tema si trattava?

L’equilibrio nello squilibrio!

Prendiamo ad esempio l’arguto coperchio della scatola bronzea appartenente al tesoro del Somerset proveniente da Galway: fa mostra di una precisione matematica, eppure è deliberatamente decentrato; forgiato da un fabbro abile nell’uso del compasso, e dotato di ironia. Il suo fascino è Infinito poiché, in quanto variazione/ripetizione sul tema della circolarità, non ha fine… Sembra che dica ‘il cerchio non esiste’, esiste soltanto la spirale che si configura senza fine, non esistono linee rette, ma solo curve…
(T. Cahill, Come gli Irlandesi salvarono la civiltà)




Esiste un’espressione presso un antico scrittore cabalistico sull’uomo che cade all’interno della sua stessa circonferenza: ora ad ogni generazione ci troviamo più lontani dalla Vita stessa e l’Anima-Mundi che forma la sua essenza, e cadiamo sempre di più in preda di quell’influenza cui si riferiva Blake quando scrisse:

I Re ed il Parlamento (e tutti i loro cortigiani) mi sembrano cosa diversa dalla vita umana (dalla realtà e verità umana)…

Perdiamo sempre più la libertà man mano che fuggiamo da noi stessi, e non solo perché le nostri menti sono stravolte dalle frasi astratte e dalle generalizzazioni, riflessi su uno specchio che sono un’apparenza della vita, ma perché abbiamo capovolto la scala dei valori e crediamo che la radice della realtà non stia al centro, ma da qualche parte in quella vorticosa circonferenza. E in che modo potremmo creare come gli antichi, se innumerevoli considerazioni di probabilità esterne o di utilità sociale distruggono il potere creativo, solo apparentemente irresponsabile che è la Vita stessa?




…Ogni argomento come abbiamo letto non casualmente circa le valide argomentazioni di Cahill ci riconduce a qualche concezione filosofica-religiosa, e alla fine l’energia creativa degli uomini dipende dalla loro fede di possedere, nel loro intimo, qualcosa di immortale e di incorruttibile (là ove regna sovrana la corruzione sia materiale che spirituale), e che ogni altra cosa non è che un’immagine in uno specchio formare la spirale appena detta…. Sino a che questa fede non sarà soltanto formale, un uomo trarrà le sue creazioni da un’energia piena di gioia, senza cercare tante prove per un impulso che può essere davvero sacro, e senza ricorrere ad alcun fondamento fuori dalla vita stessa…

L’arte, nei suoi momenti più alti, non è una creazione volontaria, ma deriva da un sentimento potente, dalla pura essenza intesa quale Anima-Mundi di vita, ed ogni sentimento è figlio di tutte le età passate (come una Spirale donde la vita) e sarebbe diverso se anche un solo istante fosse stato trascurato. E davvero non è proprio quel piacere della bellezza e dell’armonia che dice all’artista che egli ha immaginato quel che forse non morirà, ed è esso stesso soltanto un piacere delle forme perenni e tuttavia cangianti in spirali di vita, nelle sue stesse membra e nei suoi tratti?




Quando la vita l’ha donato, non ha forse dato nient’altro che se medesima?

Riserva forse mai altra ricompensa, perfino ai santi?

Se uno fugge verso il deserto, non è quella luce chiara che cade sull’Anima quando tutte le cose insignificanti sono state allontanate, altri che la vita che l’ha sempre circondato, ora finalmente goduta in tutta la sua pienezza?

Se un uomo trascorre tutti i suoi giorni in buone opere sinché nel suo cuore non resti emozione alcuna che non sia colma di virtù, la ricompensa che implora non è forse vita eterna?

Allo stesso modo, anche l’artista ha le sue preghiere e il suo monastero, e se non si allontana dalle cose temporali, dallo zelo del riformatore e della passione della rivoluzione, quell’amante gelosa non gli rivolgerà che un’occhiata di scherno…
(W. B. Yates, Anima Mundi)


















mercoledì 27 dicembre 2017

ORION (M. Twain) (63)



















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Dalla foglia all'uomo (62)

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28 Dicembre 1864 Luigi Masetti (& ritorno) (64)














Orion aveva altri progetti per indennizzarmi, ma poiché questi necessitavano sempre di capitali, ne rimasi lontano e non si concretarono.
Una volta voleva fondare un nuovo quotidiano.
Era una idea da far tremare e io la soffocai con prontezza, quasi con rudezza.

…Poi inventò una macchina per segare il legno, che mise insieme da sé e con la quale segò realmente del legno. Era ingegnosa, funzionava; per lui sarebbe stata una fortuna; ma al momento sbagliato di nuovo ci si mise di mezzo la Provvidenza. Orion fece per brevettarla e scoprì che la stessa macchina era già stata brevettata ed era entrata nel mondo degli affari e prosperava.




Poi lo Stato di New York offrì un premio di cinquantamila dollari per un metodo pratico atto a rendere navigabile l’Erie Canal coi battelli a vapore. Orion ci lavorò per due o tre anni, inventò un sistema completo, ed era di nuovo pronto a raggiungere un’immediata ricchezza, quando qualcuno gl’indicò un difetto. Il suo battello per la navigazione nel canale non poteva essere usato d’inverno; e d’estate le sue ruote avrebbero talmente sconvolto le acque da spazzar via l’intero Stato di New York.

Innumerevoli furono i progetti escogitati da Orion per procurarsi i mezzi per sdebitarsi con me. Essi si susseguirono lungo una trentina d’anni, ma fallirono ogni volta. In tutti questi trent’anni la riconosciuta onestà di Orion valse a fargli avere incarichi di fiducia, come quello di custodire denaro di terze persone senza percepire compenso. Fu tesoriere in tutte le istituzioni di beneficenza; si occupò del denaro e delle proprietà di vedove e orfani; non perse mai un centesimo di nessuno, non ne guadagnò uno solo per sé.
Ogni volta che mutava religione la chiesa della sua nuova fede era ben lieta di accoglierlo; lo nominava subito tesoriere e le fughe di denaro in quella chiesa cessavano immediatamente.




Nel mutare il colore politico possedeva una disinvoltura da meravigliare l’intera comunità. Una delle volte che accadde un mutamento del genere me ne scrisse a lungo egli stesso.

La mattina era repubblicano e acconsentiva all’invito di tenere un discorso al raduno generale dei repubblicani di quella sera. Preparava il discorso…

Dopo pranzo diveniva democratico e s’impegnava a scrivere una ventina di slogan per i quadri trasparenti che i democratici avrebbero portato in giro la sera nella loro fiaccolata.
Nel pomeriggio scriveva queste frasi clamorose e tale occupazione gli prendeva tanto del suo tempo che era già sera prima che avesse la possibilità di cambiare di nuovo le sue convinzioni politiche; e finiva col tenere un entusiasmante discorso al raduno repubblicano all’aperto, mentre i quadri trasparenti dei democratici gli passavano davanti con grande gioia di tutti i presenti.

Era una creatura stranissima!

Ma nonostante le sue bizzarrie fu per tutta la vita amato da tutti, in qualunque ambiente si trovasse. Ed era tenuto nella più alta stima, perché in fondo era la schiettezza in persona.




Circa venticinque anni fa - più o meno - scrissi a Orion invitandolo a scrivere un’autobiografia. Gli chiesi di fare il possibile per dire in essa la pura verità; di astenersi dal mostrarsi solo in quegli atteggiamenti che tornassero a suo merito e di registrare lealmente tutti gli avvenimenti della sua vita che avesse giudicato interessanti, compresi quelli che gli erano rimasti impressi col fuoco nella memoria e dei quali provava vergogna. Gli dissi che una cosa simile non era mai stata fatta e che se fosse riuscito a farla lui, la sua autobiografia sarebbe stata una preziosa opera letteraria. Dissi che gli offrivo un lavoro che non potevo fare io stesso, ma nutrivo la speranza che ci riuscisse lui.

Ora riconosco che gli addossavo un’incombenza impossibile. Sto dettando questa mia autobiografia, quotidianamente, da tre mesi; mi sono ricordato di millecinquecento o duemila episodi che ho vissuti e dei quali provo vergogna, ma non sono ancora riuscito a convincere nessuno di essi a farsi registrare sulla carta. Credo che il loro numero non sarà diminuito quando avrà finito questa autobiografia, se mai la finirò. Sono convinto che se registrassi tutti quegli episodi, li eliminerei certamente al momento di rivedere il mio libro.




Orion scrisse la sua autobiografia e me la mandò!

Ma grandi furono la mia delusione e la mia irritazione In essa si dipingeva costantemente da eroe, proprio come avrei dovuto fare e come sto facendo io, e dimenticava costantemente di inserire gli episodi che lo ponevano in una luce poco eroica. Conoscevo parecchi incidenti della sua vita che erano chiaramente e dolentemente tutt’altro che eroici, ma quando mi imbattevo in essi leggendo la sua autobiografia avevano un altro colore. La medaglia era stata girata e quegli episodi erano divenuti motivi di orgoglio smodato.

Eravamo a Vienna nel 1898 quando ci giunse un cablogramma che annunciava la morte di Orion. Aveva settantadue anni. Era sceso in cucina nelle prime ore di un freddo mattino di dicembre come un provetto cuoco; aveva acceso il fuoco e si era seduto al tavolo a scrivere non so che cosa, ed era morto così, con la penna in mano, ferma sul foglio nel mezzo di una parola incompiuta: segno che la liberazione dalla prigionia di una esistenza lunga e travagliata e patetica e sconclusionata era stata rapida…

(M. Twain)














   



martedì 19 dicembre 2017

GALLERIA DI STAMPE (& punti di fuga...) (60)



















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Galleria di stampe (59)

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Se avrai imparato a disegnare la foglia (e il segreto respiro donato) (61)














….Abbiamo attraversato il confino nella dimensione del Tempo così come numerato e procediamo come fin qui fatto nell’irrazionale ed astratto in cui l’Infinito principio ma non il motivo in quanto vi è una diversa dimensione e questo signor mio, lei lo ha ben compreso altrimenti non sarei qui ad accogliere la sua Anima combattuta e contesa fra un Virgilio e Beatrice, e con questi, il povero Cecco… Non siamo pedanti procediamo ed espletiamo le formalità del caso i convenevoli che rendono questo nostro incontro una simmetria un cristallo in un fiocco di neve scorto il quale precipiterà su di un ramo evaporato e condensato compiere la natura del suo motivo e principio entro la perfezione di ciò che non è visto… Ed ora si trova in più rigogliosa Terra o Spazio concepito tutto entro la soglia appena percepibile di una fuga comporre Opera… Giacché noi esistiamo solo in ragione di quella, se pur appare principio di un più profondo e velato motivo, e questo per quanto detto concernente Intelletto e Pensiero; ma come disse il nostro Giamblico, in riferimento alla natura della matematica riflessa in pari tempo e scesa in ugual intento e motivo, nella teologia donde questa con la fisica posta, risiedere altro e simmetrico procedimento il quale rende i nostri atomi assenti alla Freccia del Tempo… 




Questo il punto di fuga contratto entro uno spazio troppo angusto e scuro di cui si può percepirne contorno solo nell’orbita di ciò che pensano vedere… ma di questo parleremo in seguito… Così come ben vedo l’Opera procede, certamente ha fatto una strada impervia, se un tempo quando era umano fra gli umani fuggito, l’attraversò a passo veloce di un moderno quadrupede divenuto macchina a vapore di cui già il nostro Leonardo aveva progettato qualcosa di molto simile, ora per gli stessi luoghi si avvia verso ugual e più difficili mète cime e confini attraverso antiche ed inagibili mulattiere… Per passi scoscesi, per ghiacciai cristallini, come mi par di intuire da tal intento percorso… Sicché non è certamente un facile procedere con il cambio di cavalli alla posta così come un Tempo, ma un lento e più profondo pellegrinaggio a piedi ed al contrario di quanto sempre contraddistinto qual mèta per una probabile dispensa e paradiso in terra: quell’atto apparente e ricchezza di una Chiesa… Ciò è di grande mio conforto nel moto opposto distoglie la comprensione del vero Dio cui io consumai una vita nello gnosticismo della mente riflessa su stessa… 




Così lei ugualmente ha da tempo maturato medesimo concepimento e proponimento tantè, come le dicevo, in molti qui scrutiamo uguali torture sino a questo confino la qual cosa noi sappiamo vera… Ragion per cui di nuovo pongo l’araldo del mio conforto accompagnato al saluto di benvenuto… coniando con lei certa e nobile moneta e non certo lo sterco del dèmonio nella casa dell’Anticristo giacché anch’io sono divenuto Eretico in merito al  medesimo proponimento fino alle porte di un confino terreno dritto… fino al manicomio… Ma di ciò le confesserò più tardi, in questo suo dire sono anch’io parte dell’Anima Mundi universalmente riconosciuta giacché prefiguriamo ugual confini di medesima natura… E come nell’evo antico da cui scaturì l’insonne mia natura mi pongo al suo servizio come un umile suddito all’Imperatore convenuto, giacché per quanto lo sforzo, dialogo quantunque con Giuliano il pagano nonché l’Apostata… 




Questa indomita consapevolezza fanno nascere ipotesi inquietanti che taccio e non dico… Quindi come Virgilio mi pongo quale Anima sua contesa ed al contempo mi rivelo Beatrice, mettendo d’accordo Dante e Cecco… Sono lei per l’appunto come ben disse un nostro comune amico di cui il confino di un esilio il qual aveva, ed ha, ben intuito, molto prima della mia scienza, ove il mito frantumato nel vasto regno della velata coscienza comporre pur sempre psicologico motivo non certo capito! Saggio il nostro Gabbriele non meno del grande secolare faggio non lontano da quella naturale fonte dove ha dissetato e riso con lui l’arguta lingua del sapere non certo condiviso dal comune pellegrinaggio di cui il moto opposto nella genesi della natura… Procediamo orsù: il confine superato! La cosa difficile è trovare la via maestra di cui invisibile mulattiere e ricongiungersi poi a questa, il suo Viaggio mi ricorda per certi aspetti  quello del nostro amato Ruskin: è impossibile non scorgerlo ed ammirarlo eppure con ugual intuito del Gabbriele parlò di lui nel ritratto che vedremo strada facendo… 




Non sapendo descrisse il suo profilo sofferto ai piedi di quel cristallo mutato in ghiacciaio che un tempo adornava il monte e nutriva l’intera vallata. Ha scorto il volto il profilo: la Natura da cui noi secolari arbusti, foglie e rami, viviamo nella magnifica sua creanza e comprensione divenuta scienza. Il suo sguardo si perse nei nostri atomi di luce sino a raggiungere il desiderio che ornava e rapiva la vista arguta, in cotal ‘Gallerie di stampe’ come suo e nostro accadimento, lontano dal tempo, ha percepito ugual punto di fuga, ed ora è il miglior critico dell’intera opera… Se non ci fosse lui saremmo evaporati in una nuvola di deserto e cemento come bene ha profetizzato lei in codesta vista… Come le dicevo, quindi, abbiamo superato il difficile passo e con questo il confine detto, il pittogramma nel suo enunciato ed esposizione alla ’Gallerie delle stampe’ appare di vaste proporzioni, ricorda per certi aspetti un pittore che non lontano da questi luoghi perì di freddo mentre tentava di abbracciare l’intera mirabile visione: il Segantini  congeniale ed affine al nostro intento, e tutto questo per rimanere fedeli alla visione di cui si nutre l’Anima… 




Forse il vero ricongiungimento e nutrimento ove alberga lo Spirito ricondotto all’infinita essenza sottratta alle materiali avverse condizioni del Tempo… Avviamoci! Sono sempre e per certi aspetti parte del suo intelletto, ragion per cui esulo dalla mia facoltà e scienza… e non certo è mio recondito intento condurla alla saggezza la qual esula dalla pazzia, non staremo ora e qui a dialogare assorti nelle ‘Gallerie delle stampe’ antiche o moderne come il Ruskin amò definire… Tutt’altro! E’ mio dichiarato motivo nell’irrazionale posto rimembrare la perenne fuga della quale provo certa vergogna per gli antichi aguzzini: so bene ciò che dico in quanto anch’io ebbi ugual problemi e volli sacrificare ogni volgare paganesimo - ma non certo la filosofia sua - con un principio transitato e rifugiato come lei per questi luoghi… Intelligibile principio affine alla ragione… Signor mio si è ben accorto esserci comunione ed affinità di questi nel nostro Sentiero, giacché quando tenni celata parte della mia Anima prima di rivelarla, lei ha compiuto ugual passi ed accadimenti, ed identiche figure e visioni accalcate, prefigurare la selva la qual sempre sogna benandato ed affisso per ogni ramo e foglia… 




Delle quali ammiro la fisica nel volerle esplicitare ed enunciare qual cosa più che certa transitata dall’irrazionale al razionale posta: anche Godel formulò espressione analoga dopo la relativa scienza rilevata… come me ha conosciuto e ben visto. Hanno accompagnato nella comprensione estensiva del sapere formula esplicitativa nel razionale posta superando il formale nell’insieme dell’irrazionale posto… Come lei condiviso e letto qual Straniero, per questa ragione e regione i suoi passi i suoi pensieri… compongono Anime ben vive delle quali ha colto principio e fine in un contesto all’infinito posto le quali si macchiarono della colpa di vivere in armonia con il principio e ‘Il beneficio di Cristo’… Il mio fu un diverso libretto (di cui poi le dirò) il quale mi costrinse nell’incubo di in un inferiore edificio di cui il Brunelleschi adornare la fuga…: divenne tortura e siffatto edificio con ogni chiesa piazza ed altra apparente architettura ben conosciamo nel diletto dell’infamia dispensata giacché siamo principi di Prima ed immacolata Natura nel pensiero posta…  




E sì che aver udienza con lui (il Brunelleschi) è cosa ardimentosa la parete di nuda roccia sulla quale non basta né il chiodo della ragione né il coraggio dell’incosciente alpinista… Lo ammiri da lontano è fiero marmo da cui il diletto di future maestranze… Ma procediamo per il Sentiero assieme ad ogni ramo e foglia ed altra natura che lo adorna: molte di quelle assieme ad altre, se pur eretiche, affollare secolari selve di cui la vista per quanto si dica allieta la venuta dell’uomo… In quanto sgorga la linfa principio del Primo Dio, se pur apparente o invisibile paradosso la loro sintesi rimane il miracolo della vita in ragione della privazione del male, quindi quando cammina per quei primordiali boschi di cui talvolta nera la via, non tema se oltre la mirabile visione anche una primordiale paura può nutrire il passo talvolta indeciso… Una Natura indomita che agita Primo pensiero privato dell’uomo: è come se questo non fosse stato ancora concepito, o meglio che dico, non ancora evoluto, e tornare all’adamitico mondo incompiuto dall’animale evoluto qual nostro intento condiviso e raccolto in questo bivio ove la vista ed il panorama opera sublime! 




I dinosauri signor mio in codesto loro tempo regredito esistono e muovono il passo tellurico del presunto sapere… Riprendiamo il senso del discorso per questa mulattiera per questo difficile Sentiero, stiamo attraversando come ben vede le remote stratigrafie della nostra secolare cultura, ove dai tempi di Gog e della primordiale calligrafia pittogramma e bussola di codesta via, come alla mia congeniale ed affine cultura, i miti e le pietre di un precedente strato hanno dato modo di incontrare piccoli paradisi ove il principio - da me accettato nel monolitico enunciato - cresciuto in ricco e florido contesto… pur avversati dalle ragioni contrarie affini alla vera Natura del Tempo. Ed il Tempo esposto alle recondite e limitate ragioni della materia per pretesa e falsa intesa, come da lei esposto nella pagana buona fede e non certo paradossale intento - dalla genesi convenuto, talvolta sfociare in un contrasto di correnti avverse al mite e compiuto pensiero qual (vero) ‘Beneficio di Cristo’ comporre icona al più (+) posta dell’eterno martirio di chi assente alla somma… 




Di cui evoluta e trasposta successiva altezza alla fotosintesi della vita, di cui noi doniamo elemento ed ombra, giacché non possiamo negare che entrambi vittime di condizioni avverse e sfavorevoli del clima e il suo Tempo, aver risentito la crescita nell’acerbo frutto colto ma non certo capito né intuito… Ed entrambi vittime di una mela che a tutti par cosa più gradita… Questo velato intento, per decretare o meglio diagnosticare gli elementi della materia, quando nella genesi incompiuta, contrastare con il ‘Beneficio’ oppure l‘’Imitazione’ di cui Cristo un semplice agnello… E nel bosco rilevare (nonché misurare ed enunciare come  l’emerito Godel e con lui molti altri)  quel clima quella bufera quell’orbita quelle rette e diagonali quella gravità, insomma tutte quelle condizioni non consone all’uomo, generare in un evento storico e climatico di avversa prospettiva evolutiva: la selva ed ogni albero che l’adorna con tutti gli agnelli sacrificati da un lupo mascherato da falsa e docile natura soffrire e patire un comune male antico… Un conflitto universalmente espresso da quando noi Eretici fuggiti in questo invisibile punto in questa prospettiva in questa ‘Gallerie di stampe’…  




Non certo potremmo nominare batterio con il quale iniziò la chimica da una antica alchimia evoluta… Per cui in questa precoce morte simile ad un sonno o sogno profondo scorge quanto anch’io…, sicché da queste nascono tutte quelle bufere di cui talvolta quelle ed altre genti patirono il calvario in nome di Cristo nella sua ‘Imitazione’ o ‘Beneficio’ pur nell’ortodossia del principio sposato stranamente, in questa selva ammirata, alla diversità della vita. Sicché il panorama appare preservato da tutte quelle condizioni cui la fuga principio della sua quanto nostra e naturale per quanto logica prospettiva, sì certo meraviglioso l’edificio ma se l’Architetto deve fuggire le condizioni della verità da quelle linee nate, per una più piatta condizione ove la figura non confà con la realtà della Natura,  nascono allora quelle perturbazioni di cui lei rileva e rivela il Tempo, purtroppo e quantunque infinito aggiungo alla mia diagnosi di cui gnostico principio… E non certo suo altrimenti assente alla ‘Gallerie delle stampe’ nell’enunciato posta in quanto la materia prefigura e incide, pur nella totalità esposta della conoscenza, volontà di  perseguire ben altri fini al limite cui l’uomo soggetto…E non certo transitato per questo irrazionale spazio invisibile (di cui ancora non coglie il punto di fuga), per quanto apparente astratto infinito di questa piccola ma pur ugualmente infinita prospettiva, di cui io un umile confine come altri per questi Dialoghi… Taccio e più non dico… altrimenti con lei il manicomio l’ultimo e terreno edificio…




Di questa nuova nascita le faccio dono
A questa vita nell’apparente morte
Cingo la vista…
Il nostro comune intento
Regola verità velata
Componendo quello
Il giorno Primo:
Follia Divina
E invisibile via
Il secondo
Solo un inutile edificio
Cui inquisiranno chi senza quello
Cui condanneranno chi ne è privo
Cui al confine di questo
Negano Elemento e Tempo
E noi Donare quello…

…Dunque: Il Viaggio porta evidentemente al manicomio.
E’ un prezzo da pagare, ma si direbbe che anche questa via sia da percorrere.
Questa via non è poi così inusuale, la percorrono migliaia di nostri simili… (*)(1)

(Galleriadi Stampe, il Quadro completo nei punti di fuga dell’ "Eretico Viaggio"….)

















martedì 12 dicembre 2017

CON IL 'BENEFICIO DELLA PACE IN CRISTO' (55)











































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Con il 'Beneficio della pace in Cristo'  (54)

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Una Lettera (56)














Sul Beneficio di Cristo
Sono quasi due anni che il libro è stato stampato. Ha scatenato polemiche (già il cardinale Cervini lo ha vietato nella sua diocesi), ma ciononostante continua a circolare indisturbato e anzi, conosce grande diffusione.
I viterbesi fanno finta di niente, e intanto si preparano a portare le tesi del libro al Concilio di Trento (Reginald Pole: ‘Ci sono tempi e luoghi giusti per le idee, che scelti con cura possono impedire ai nuovi tribunali di fermarle’). Pole spera di battere Carafa sul tempo: la diffusione delle idee riformate contro la costruzione dell'Inquisizione.
Il Beneficio di Cristo può essere un'arma a doppio taglio che colpisca chi l'ha forgiata? E come?
Fare in modo che il Concilio lo scomunichi subito e smascherarne gli autori? Attribuirlo a Pole e al suo circolo di amici?
No, l'inglese negherebbe tutto, la sua credibilità è troppo alta per imputarlo di eresia, e poi non ci sono prove che sia stato lui a redigere il libro. Se riuscisse a scagionarsi ne uscirebbe piú forte che mai. Questo il mio signore lo sa; è uomo troppo prudente per concedere una tale opportunità al suo maggiore avversario.
Meglio invece: ordire una tela, dove uno dopo l'altro cadono tutti i cardinali che guardano con simpatia ai riformati. Un libro che passa di mano in mano, di biblioteca in biblioteca, e contamina chiunque lo tocchi. E quando raccogli la rete, prendi tutti i pesci grossi in una volta. Occorre lasciarlo circolare, anche se il Concilio lo scomunicasse, lasciare che gli amici di Pole lo leggano, ne restino affascinati, cosí come sono affascinati da quel bell'intelletto inglese. Intanto Carafa lavora, costruisce passo passo la macchina che lo metterà nelle condizioni di incastrarli tutti in un colpo solo. Sí, è così che ragiona il mio signore. Ma un gioco del genere può sfuggire di mano, diventare troppo grande anche per la sua mente ubiqua.




Sul Concilio
29 giugno 1542: pubblicata la bolla papale di  convocazione del Concilio ecumenico.
21 luglio 1542: bolla papale Licet ab initio che istituisce la Congregazione del Sant'Uffizio dell'Inquisizione.
Tra queste due date, ripresa della guerra tra Carlo V e Francesco I.
A quanto pare, se non è Concilio, è guerra, di eserciti o di intelletti, non fa troppa differenza.
De Concilio: una difesa velata delle tesi del Beneficio di Cristo. I cardinali Spirituali vogliono trasformare il Concilio di Trento nella sede privilegiata per affrontare la questione della giustificazione. Il Concilio dovrebbe diventare la forza contrapposta all'Inquisizione, che va irrobustendosi sotto l'astuta guida di Carafa. Non vi sono dubbi che il mio signore si prodigherà affinché le tesi del  Beneficio vengano condannate ancor prima d'essere discusse.




Su Carafa
C'è da chiedersi cosa mai troverebbe Vesalio, il necrofilo, dentro quest'uomo il cui sguardo sembra puntare verso un orizzonte troppo lontano, non di questa terra. Forse tutto il timore che Egli incute. O la grazia divina della mente insondabile del Creatore sotto le celate fattezze della crudeltà.
Chi è mai costui?
Padrone mio e monaco, maestro di simulazione e dissimulazione, da genía nata per comandare, vescovo prima e poi povero teatino per voto. Nemico dell'Imperatore, che tenne infante sulle ginocchia, già disprezzandolo; di intuito che parrebbe diabolico, se non se ne conoscesse la fede; sommo architetto del Sant'Uffizio, rinato per lui e sotto di lui, che ne custodisce i segreti, le mire, e lo fa crescere come una prole amata, con smisurata energia, a un'età che gran parte degli uomini già da lungo tempo trascorre tra vermi e terra; apostolo di ciò che oltre ogni cosa lo esalta: la guerra spirituale, lotta interiore ed esteriore, senza quartiere, alle seduzioni dell'eresia, sotto qualsiasi forma si presentino.
Chi è mai costui?

Su di me
L'occhio di Carafa.





                                Pietro Perna


Pietro Perna è arrivato in città. Ha lasciato un messaggio per me alla libreria di Arrivabene, fissando l'appuntamento nella bottega di Jacopo Gastaldi, un pittore a cui desidera commissionare un quadro.
Il maestro sta istruendo uno degli apprendisti sul colore da usare per completare un disegno.
‘Messer Perna non è arrivato?’, domando dalla porta.
Un cenno della testa mi invita a entrare. La tela sul cavalletto è davvero grande e ritrae Venezia, a volo d'uccello, incredibile labirinto d'acqua e terra, pietra e legno, dimora di almeno centocinquantamila persone di diversissime razze, con chiese in numero superiore a cento, sessantacinque monasteri e forse ottomila case da meretricio.
Per qualche istante la sorvolo.
Colpisce subito l'assenza di mura e di porte, di torri difensive e bastioni. L'acqua della laguna pare sufficiente a scoraggiare i peggiori nemici. Molti palazzi, d'altronde, sono alti come e piú di qualsiasi muraglia e potrei scommettere che ci vorranno tutti i colori della tavolozza per dar ragione delle tinte e dei marmi che si affollano su quelle facciate.
Con il consenso del Gastaldi, inganno l'attesa aggirandomi tra i dipinti, terminati e ancora in corso d'opera.




Un quadro ben piú piccolo del precedente raffigura un canale fitto di imbarcazioni: dalla galera piú imponente, con vogatori negri, alla piú semplice barchetta, con un unico remo. Sulla fondamenta che lo costeggia si distinguono un turco, con il caffettano arabescato, e almeno tre donne, inconfondibili, poiché svettanti sulla folla grazie a quegli zoccoli altissimi che ho visto calzare, bionde come son bionde quasi tutte le ragazze di qui, non per nascita, come in Germania, ma grazie all'abitudine di esporre i capelli al sole, bagnati di essenze e stesi su quegli strani cappelli a larga tesa, privi di cupola.
Subito dietro questa, ci sono altre due tele, di dimensioni identiche. Due ritratti incompleti: uno di donna e quello di un magistrato. La donna è ingioiellata dalla testa ai piedi, addirittura pendagli d'oro alle orecchie, secondo l'uso delle femmine di Venezia di esporre su tutto il corpo un numero spropositato di gioie, perle e pietre preziose. Il magistrato porta una toga di colore acceso, che dovrebbe indicare l'appartenenza a una delle tantissime congreghe del serenissimo governo.
Dalla bestemmia alle risse, dai forestieri alla vita notturna: non c'è aspetto della vita dei veneziani che non sia regolato da una particolare magistratura. Pietro Perna sostiene che il sistema è davvero complicatissimo, tanto che il popolo ha probabilmente rinunciato a capirci alcunché e si astiene dal protestare e contestare il potere, indirizzando tutte le tensioni ai giochi piú brutali, come la caccia dei tori, e le risse tradizionali tra Castellani e Nicolotti, per la conquista di un ponte a suon di pugni e bastonate.




Una cornice preziosa, con stucchi e trafori, avvolge un quadro alquanto misterioso: la laguna vi appare ingombra di imbarcazioni di ogni tipo, tra le quali ne spicca una, ornata di drappeggi e colori, dall'alto della quale un uomo che potrebbe essere il Doge fa un gesto strano verso il mare aperto.
‘Vi interessate di pittura, compare?’.
La voce stridula di Perna mi sorprende alle spalle.
‘O piuttosto è il soggetto della tela a stupirvi?’.
Indico la figura al centro del dipinto: ‘Il Doge, vero?’.
‘In serenissima persona, nell'atto di sposare il mare, gettando un anello d'oro tra i flutti, come è tradizione per la festa della Sensa, l'Ascensione della Vergine. I veneziani vanno pazzi per questo genere di rituali’. Mi stringe la mano e si allarga in un sorriso. ‘Benvenuto a Venezia!’.
‘Felice di rivedervi, messer Pietro. Ora che siete qui, spero mi farete da guida in questo labirinto, ancora non m'è riuscito di orientarmi. E se in cambio potrò esservi utile a qualcosa...
Lo sguardo circospetto, si fa vicinissimo: ‘Ecco, potreste, potreste... è per via di una signora, capito?, ho qui una lettera per lei, ma non posso portarla alla sua domestica, che se il marito dovesse vedermi, diventerebbe particolarmente nervoso. Mi domandavo se voi non sareste tanto gentile... Senza dare troppo nell'occhio s'intende’.  
‘Mi offrirete finalmente la cena che mi avete promesso a Basilea?’.
‘Chiedete e vi sarà dato, amico mio, un cuore pazzo d'amore non bada a spese!’.



  


                               Breve Prologo



Intanto le notizie dagli inquisitori veneziani annunciano nuove preoccupazioni in merito alla diffusione del Beneficio di Cristo. Sembra che nelle campagne essa stia dando vita a episodi incontrollati.

Notizie da Venezia
L'inquisizione veneziana è sulle tracce di un francescano, conosciuto col nome di frate Pioppo, attivo nel Polesine. Molti contadini di quelle parti hanno rivelato in confessione di essere stati da lui battezzati ‘nella fede nuova del beneficio di Gesú Cristo’.

Dall'altra parte del Po, una famiglia di pescatori si è rifiutata di far battezzare il proprio figlio, ‘ché ancora non può comprendere il mistero di Gesú Cristo sopra la croce’. Non hanno menzionato in alcun modo frate Pioppo.

A Bassano una donna ha chiesto asilo in un convento di suore, poiché il marito l'ha picchiata per convincerla a farsi ribattezzare. In casa dell'uomo è stata trovata una copia del Beneficio di Cristo.

La rozza religiosità popolare riesce a dare vita alle piú assurde miscele. Idee forti nelle mani di menti semplici. Da dove è stata attinta l'idea di ribattezzare gli adulti? Non certo dalla materia del libello eretico.
Reperire ulteriori notizie.
Parlarne a Carafa?




27 febbraio 1548

Perché il vecchio non ha ancora usato il Beneficio di Cristo come arma contro Pole e gli Spirituali? Perché non ha ancora sconfessato gli avversari? Gli basterebbe poco: sul libro pende la scomunica del Concilio, al vecchio sarebbe sufficiente incarcerare fra' Benedetto da Mantova e fargli fare i nomi dei suoi tutori, di chi ha preso in consegna il testo e l'ha redatto e stampato.
È probabile che Carafa tema di bruciare le proprie carte troppo presto. Sta ancora aspettando. Ma cosa? Paolo III non ne avrà ancora per molto e l'inglese potrebbe diventare Papa, con grande gioia dell'Imperatore che vedrebbe intraprendere una riconciliazione con i protestanti.
Forse è proprio questo che il vecchio aspetta con pazienza, il colpo letale, stoccato all'ultimo momento. Ma quanto crede di poter vivere ancora?


Viterbo, 4 maggio 1548

Frate Michele da Este, priore del convento di San Bonaventura presso Rovigo, ascoltato dagli inquisitori della Serenissima in data 12 marzo 1548, in merito all'attività di un certo frate Pioppo, sospettato d'eresia.
Un nome e un cognome: Adalberto Rizzi, francescano del convento di San Bonaventura, scomparso alla fine di gennaio del 1547, insieme a un ospite tedesco, un pellegrino che ha detto di chiamarsi Tiziano, il quale lo avrebbe ribattezzato con l'acqua di una pozzanghera.




Altre notizie pervenute dagli inquisitori veneziani

Vicenza, 17 marzo 1548: arrestati un falegname e un oste, sorpresi ad abbaiare durante un battesimo. Interrogati su chi li avesse convinti che ‘battezzare i neonati è come lavare i cani’, hanno risposto: ‘uno che professa la fede d'Allemagna, e lo fa con autorità, perché tedesco’.  

Padova, 6 aprile 1548: lo studente Luca Benetti sostiene pubblicamente che ‘il battesimo è inutile per le menti che non possono conoscere i misteri della fede, e specialmente quello del beneficio di Cristo verso tutta l'umanità’.
Sentito in merito alle sue affermazioni sostiene gliele abbia suggerite un letterato tedesco di nome Tiziano.

Elementi del quadro

Rovigo. Bassano. Vicenza. Padova.
Un percorso, un cammino. Un viaggio? Oppure un semicerchio, il cui centro è indubbiamente Venezia.

Un tedesco. Un tedesco, la cui presenza forse spiega l'origine dell'idea del secondo battesimo.
(Un anabattista?)

Un tedesco che dice di chiamarsi Tiziano. Regala copie del Beneficio di Cristo e ribattezza i villici.
Tiziano il tedesco.
Il Fondaco dei Tedeschi a Venezia. Gli affreschi dipinti da Giorgione e dal suo allievo Tiziano sulle pareti esterne del Fondaco.

Il nostro anabattista è un tedesco che vive a Venezia. Come dire un ago in un pagliaio.




5 maggio 1548

C'è un tempo e un luogo per cui ogni cosa abbia un inizio e una fine. E poi ci sono cose che invece ritornano. Salgono a galla dagli anfratti dell'anima come pezzi di sughero sulla superficie di un lago. Quasi minacce oscure, o ragioni per vivere, vendette, frammenti, schegge.

C'è un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

C'è un tempo in cui ogni cosa può essere fatta e quello in cui non hai scelta, perché improvvisamente il coraggio e la foga di vent'anni scompaiono sotto le rughe del volto.
E cominci a temere l'arrivo di un messaggero. Quale sarà il prossimo incarico? Temo il disgusto che percorre la strada stretta dallo stomaco alla mente. Qualcosa da nascondere dietro l'autorità delle missioni compiute, dietro l'esperienza, e che però non può sparire, anzi, diventa piú forte ogni giorno, per quanto vorresti ricacciarla giú nel fondo, incapace di trovare un motivo, l'appiglio di mille volti, di uomini e di donne mandati all'inferno.
Poi un bel giorno ti scopri a dirti che non sei stato tu. Che non hai impugnato tu la spada. E allora capisci d'essere finito.

Viterbo, 10 agosto 1548

Pervenuto da Ferrara il verbale d'interrogatorio di tal frate Lucifero, in merito alla diffusione dell'eresia tra la comunità dei cosiddetti ‘pirati del Po’, già piaga dei mercanti ferraresi, recentemente estirpata dal duca Ercole II d'Este.
L'inquisito ha dato segni evidenti di pazzia, dichiarando di ignorare in quale anno di grazia stiamo vivendo e manifestando la convinzione che Leone X sia ancora Papa.
Accusato di aver introdotto rituali eretici e paganeggianti tra i fuorilegge delle paludi e in particolare di praticare il battesimo degli adulti, si è difeso sostenendo di aver ricevuto quella consegna da un missionario, tale frate Tiziano, inviatogli dall'abate di Pomposa. Costui gli avrebbe fatto dono del ‘librum de nova doctrina’, Il Beneficio di Cristo, imponendogli poi il secondo battesimo.

17 agosto 1548

Dalla confessione di frate Adalberto Rizzi, conosciuto anche come frate Pioppo, catturato sulla sponda ferrarese del Po in data 30 giugno 1548 e detenuto nelle carceri del duca d'Este:

‘Ed egli mi invitò a considerare che avendo chiesto a un fanciullo di cinque anni chi fosse Gesú Cristo, gli era stato risposto: una statua. E da qui deduceva che non era giusto somministrare la dottrina a menti incapaci di comprendere’
‘Disse che la devozione verso le statue e i simulacri apriva la strada a una fede ignorante e inetta’…
…‘Sí, affermò di chiamarsi Tiziano e di essere diretto a Roma’…

Il bambino e la statua.
Brividi. Brividi dentro la testa.
Il bambino e la statua.

Qualcosa di distante che si avvicina velocissimo, trascinato da un vento che spazza la memoria. Il bambino e la statua. 

(L. Blissett, Q; accompagnato dalle opere di A. Wyeth)