giuliano

mercoledì 27 febbraio 2013

IL PIONIERE (4)

































Precedenti capitoli:

il pioniere (Jim Bridger)

il pioniere (la stazione di ristoro)

il pioniere (i mormoni)

Prosegue in:

il Pioniere (5)










Jim Bridger continua a vivere nelle terre che ha esplorato e
nelle leggende dei montanari.
Come David Crockett è il simbolo dell'uomo dell'Est, Bridger
rappresenta il West.
Ma Bridger non divenne un eroe e un'attrazione come David
Crockett. La sua figura restò sempre marginale.
Il capitano W.F. Raynolds fu uno dei primi a raccogliere aned-
doti su Bridger.




Tra il 1859 e il 1860, quando Bridger era alla guida della spedi-
 zione di Raynolds nella zona dello Yellowstone, trascorsero in-
sieme molte settimane nell'accampamento invernale che ave-
vano allestito e il vecchio montanaro intrattenne il giovane ca-
pitano con storie che successivamente descrisse come 'raccon-
ti di Munchausen troppo belli per andare perduti'.




Uno di questi narrava di un tronco di salice perfettamente pie-
trificato con i rami e le foglie in perfette condizioni e di conigli
ed altri animali anch'essi pietrificati e di cespugli pietrificati su
cui crescevano diamanti, rubini, zaffiri e smeraldi grossi come
noci.
'Le giuro, signore, che è tutto vero' assicurò Bridger 'tant'è che
conservai qualche pietra per me stesso'.




Il generale Nelson Miles in seguito riportò un altro racconto
pietrificato di Bridger:
- Jim, sei stato a Zuni?
- No, non c'è l'ombra di un castoro da quelle parti.
- Ma, Jim, non esistono solo i castori nella vita. Sono stato
da quelle parti l'inverno scorso e ho visto piante meraviglio-
se con rami e cortecce completamente pietrificati.
- Oh,
replicò Jim
- quella sì che è pietrificazione. L'estate prossima vieni con
me nello Yellowstone e ti farò vedere alberi pietrificati sui
quali uccelli pietrificati cantano canzoni pietrificate.




Molte delle sue storie ruotavano attorno a una famosa rupe
nello Yellowstone, chiamata Obsidian Cliff, a volte descritta
come una mitica montagna di cristallo, 'un cristallo così tra-
sparente che nemmeno le lenti più potenti possono vederla,
né tanto meno l'occhio nudo. Ci si potrebbe chiedere come
sia stata scoperta una cosa che non si vede nemmeno.
Il fatto è che alla base della montagna furono trovate ossa
e carcasse di uccelli che probabilmente volavano verso la
montagna e vi sbatterono contro.
Una roccia invisibile, ma che, ha giudicare dalla qualità di
resti di animali alla sua base, deve essere stata davvero
alta'......













martedì 26 febbraio 2013

DAL DIARIO DELL' 'ITALIA' (4)































L'evento

Precedente capitolo:

Dal diario dell' 'Italia' (3)







La sagoma spettrale del dirigibile 'Italia' si levò nell'oscurità
che sovrastava lo scarsamente 'illuminato' campo di aviazio-
ne della città di Milano.
Era l'una e cinquantacinque del famigerato mattino del 16
aprile 1928: l'inizio del lungo viaggio che avrebbe condotto
l'aeronave fino alle isole Spitzbergen, base dei voli polari.




Le previsioni atmosferiche erano ostili, ma Nobile aveva ben
poca scelta (.. l'animo indomito del vero....italiano...): porta-
re a compimento la missione imponeva di muoversi prima che
le nebbie della breve estate artica calassero a oscurare la na-
vigazione.




- Ci sarà da combattere,
Malmgren, il meteorologo, era quasi entusiasta di quella
sfida.
- Ho studiato i rapporti sul tempo, e posso dire che per i
prossimi giorni non c'è nessun miglioramento in vista.
Nell'Artico, la 'bella stagione', usando un eufemismo, è l'ini-
zio della primavera, periodo in cui la notte senza fine dell'-
 inverno comincia a schiarirsi prima dell'arrivo dei proble-
mi dell'estate.




Con l'nnalzarsi della temperatura, il pack comincia a inde-
bolirsi, rendendo il transito sul ghiaccio estremamente dif-
ficile. Inoltre, nebbie di ricondensazione si dilatano in cor-
tine impenetrabili, condannando senza appello qualsiasi o-
perazione dall'aria.




Era questo il periodo dell'anno, in bilico tra i freddi para-
lizzanti e i venti gelidi dell'inverno e i più caldi climi dell'-
estate, scelto per la trasvolata dell''Italia'.
Quando il dirigibile fece rotta verso le montagne della...
Germania, aveva a bordo 20 persone, 1600 chilogrammi
di equipaggiamento, 2000 chilogrammi di zavorra, 360
chilogrammi di petrolio e 4700 chilogrammi di carburan-
te.




Per un'aeronave delle dimensioni dell' 'Italia' si trattava
di un carico pauroso.
Eppure, il volo di trenta ore dalla valle del Po fino alla
sosta del campo di Stolp, sulla costa tedesca del Mar
Baltico, fu una delle crociere più rigorose e memorabi-
li nella storia dei dirigibili.




L' 'Italia' si trovò sotto l'assalto degli 'elementi' presso-
ché a partire dal momento stesso in cui si fu staccato dal
suolo.
Lungo tutti i 2000 chilometri di percorso, l'aeronave fu co-
stretta ad affrontare pioggia, grandine, neve, nebbia, for-
tissimi venti, ghiaccio e fulmini.
(W. Cross, Disastro al Polo)












domenica 24 febbraio 2013

STREGONI & ASIMMETRIE (non sono Mozart...) (4)












Precedente capitolo:

Stregoni con la chitarra (3)








Secondo l'opinione di Ernest Borneman ciò che precedette il
 jazz di New Orleans prima del 1890 fu 'musica afro-latina,
simile a quella di Martinica, Guadalupe, Trinidad e Santo Do-
mingo'.
Sicuramente questa musica doveva avere incorporato qual-
che nozione di time-line pattern, mentre il resto della musi-
ca popolare della New Orleans del tardo XIX secolo, basata
su forme di danza europee come la mazurca, la polka, il val-
zer, la scozzese e la quadriglia, con una strumentazione e per-
fino un organico conformi allo standard europeo, si perpetuò
nei primi ensemble jazz di New Orleans.




Borneman sostiene che il jazz perse la sua 'sfumatura spagno-
la', e fu ridotto alla rigida applicazione di tempi 2/4 e 4/4, e-
sattamente durante gli anni in cui i jazzisti di New Orleans mi-
grarono a Chicago per effettuare le prime registrazioni.
Comunque in altre tradizioni del Sud maggiormente derivate
dall'Europa e solo leggermente africanizzate, i time-line pat-
tern furono assenti fin dall'inizio - ad esempio nella musica
per flauto e tamburi del periodo seguente alla Guerra Civile.
Che cosa sono i time-line pattern?




Con questo termine, coniato da J. H. Kwabena Nketia negli
 anni 50, ci riferiamo a formule per lo più ad altezza unica,
eseguite percuotendo un oggetto dal timbro penetrante, co-
me una campana, il corpo di un tamburo, bastoncini a con-
cussione, e così via, che servono come dispositivi per tene-
re il tempo, orientando i musicisti e i danzatori.
E' stato A. M. Jones a scoprire per primo la loro struttura
trascrivendo questo tipo di pattern, per mezzo di una mac-
china trascrittrice di sua invenzione, presso i Babemba del-
lo Zambia e, successivamente, tra gli Ewe.




Questi pattern sono caratterizzati da una struttura asim-
metrica, irregolare, all'interno di un ciclo regolare, e va-
riano in ampiezza dal ciclo assai diffuso di 8 impulsi alle
più complesse asimmetrie disposte in un'intelaiatura di 24
impulsi.
Una struttura particolare, la cui invenzione potrebbe esse-
re coincidente con i primi stadi di formazione di famiglie
di lingue africane Kwa e Benue-Congo sulla costa di Gui-
nea e nell'area delle praterie della Nigeria e del Camerun,
è il ben noto pattern a 12 impulsi chiamato 'pattern-stan-
dard', termine coniato da A.M. Jones in occasione di al-
cune conferenze degli anni '50 e introdotto nella lettera-
tura da Anthony King.




Durante la tratta degli schiavi questo pattern venne espor-
tato in varie aree dei Caraibi, Cuba soprattutto, e in Brasi-
le, dove sopravvive nelle cerimonie religiose Candomblé.
I time-line pattern africani sono determinati matematica-
mente:
1) dal loro 'numero-ciclico', cioè il numero delle unità di
impulsi elementari costitutivi contenute nel ciclo comple-
to che si ripete, di solito 8, 12, 16 o 24;
2) dal 'numero di colpi' distribuiti nel ciclo, ad esempio
5,6, 7 o 9 colpi;
3) dalla 'natura asimmetrica della loro distribuzione' che
genera due sotto-pattern, del tipo 3+5, 5+7, 7+9 o 11
+13 impulsi.




Ogni time-pattern asimmetrico ha un aspetto manifesto
e uno latente.
La parte uditivamente percettibile è integrata da un pat-
tern silenzioso non udibile.
I time-line-pattern-asimmetrici costituiscono un quarto
livello di organinizzazione soggettiva del tempo presente
in alcune culture musicali africane e nelle loro estensioni
afroamericane nei Caraibi e in Brasile.




Alla luce di ciò, qual è la spiegazione plausibile per la
loro assenza in America del Nord?
E' possibile ricostruire esattamente ciò che accadde alle
varie tradizioni che vennero importate in Virginia e nelle
altre colonie britanniche a partire dal 1619, e poi negli
Stati Uniti tra il 1783 e il 1859? (teoricamente è ancora
possibile verificare questa asimmetria......).

















giovedì 21 febbraio 2013

DON JUAN (8)











Precedenti capitoli:

l'arte di sognare (6) &

due orologi (7)









Il primo obiettivo di don Juan fu quello di aiutarmi a percepire
l'energia così come fluisce nell'Universo.
Nel mondo sciamanico tale percezione è il primo, indispensa-
bile passo verso una visione più completa e più libera di un si-
stema cognitivo differente.




Nell'intento di suscitare in me una reazione visiva, don Juan u-
tilizzò altri elementi cognitivi nuovi.
Uno dei più importanti di questi era la cosidetta 'ricapitolazio-
ne', e consisteva in un riesame sistematico e capillare della
propria esistenza, segmento dopo segmento, effettuato non in
un'ottica critica bensì nell'intento di comprenderla e di modifi-
carne il corso.




Secondo don Juan, una volta che il praticante ha riesaminato
la propria esistenza con il distacco richiesto dalla ricapitola-
zione, per lui diventa impossibile tornare alla vita di prima.
'Vedere' l'energia così come fluisce nell'Universo equivaleva
per don Juan alla capacità di vedere un essere umano come
un 'uovo luminoso' o 'una sfera luminosa' di energia, e di di-
stinguere in questa sfera luminosa un insieme di caratteri-
stiche comuni a tutti gli uomini, come un punto interno di
luce più intensa.




Per gli sciamani era in quel nucleo di luminosità, da loro nomi-
nato 'punto di unione', che la percezione si trasformava in uni-
tà.
Arrivavano quindi ad ampliare tale considerazione fino ad as-
serire che proprio in quel punto veniva a forgiarsi la nostra co-
gnizione del mondo.
Per quanto bizzarro potesse apparire, don Juan Matus aveva
ragione, perché è proprio questo che accade.




La percezione degli sciamani, di conseguenza, era soggetta a
un processo diverso da quello che sta alla base della percezio-
ne dell'uomo comune.
La percezione diretta dell'energia, sostenevano, li conduceva
a quelli che essi chiamavano i 'fatti energetici'. Con questa de-
finizione indicavano una visione ottenuta appunto 'vedendo'
direttamente l'energia, e che portava a conclusioni definitive
e irriducibili, cioè non inquinate da speculazioni e congetture
né da tentativi di adattarle al nostro sistema interpretativo
comune.




Don Juan sosteneva che per gli sciamani della sua stirpe era
un fatto energetico che il mondo intorno a noi sia definito da
processi cognitivi, e che tali processi non siano inalterabili,
né codificati una volta per tutte.
In realtà sono legati all'esercizio, all'uso e alla praticità. Que-
sta riflessione portava a un altro 'fatto energetico': i proces-
si della cognizione comune sono il prodotto della nostra edu-
cazione, e nient'altro.




Don Juan Matus sapeva con assoluta certezza che quanto mi
diceva sul sistema cognitivo degli antichi sciamani messicani
era reale.
Inoltre, lui era un 'nagual', ossia un leader naturale, un indivi-
duo capace di 'vedere' i 'fatti energetici' senza alcun detrimen-
to per il suo benessere.
Era quindi in grado di guidare gli altri uomini lungo percorsi
di pensiero e percezione impossibili a descriversi.
(C. Castaneda; Fotografie di Josh Adamski)













martedì 19 febbraio 2013

MAZZINI: 'IO NON SONO NOBILE' (un varco per l'Oriente...) (1)












Prosegue in:

Mazzini: 'io non sono Nobile' (un varco per l'Oriente)








L'ultima estate di Mazzini e la sua partenza erano state precedute
da mesi di corrispondenza che, all'idea che egli si era fatto degli
scenari del viaggio di Weyprecht e Payer nel Mar Glaciale, cont-
rappose gradualmente vaghe immagini della realtà artica contem-
poranea.
La corrispondenza avuta con il governatore di Spitsbergen, con i
rappresentanti dell'Istituto polare norvegese e gli uffici della Store
Norske Spitsbergen Kulkompani era iniziata senza alcun impegno,
quasi per gioco, e aveva infine condotto a degli accordi precisi tra-
sformando le fantasie di Mazzini in piani ben definiti.




Non credo che egli fosse fin dall'inizio determinato a intraprende-
re questo viaggio e che lo abbia proprio voluto realmente.
Sembrò che le cose avessero effettivamente preso il loro corso e
che Mazzini soltanto in un secondo tempo avesse cercato di spac-
ciare questo viaggio come una sua decisione.
Anche quando alla fine della sua corrispondenza preliminare c'era
non solo la rassicurante conferma di un alloggio in foresteria a Lon-
gyearbyen, ma anche la certezza di un posto in cabina a bordo del-
la 'Cradle' - un peschereccio di 3200 cavalli vapore e di media tenu-
ta contro il ghiaccio, l'Artico, nella stessa misura in cui diventava




più raggiungibile e vicino, gli pareva però anche più inospitale, re-
spingente e talvolta persino minaccioso.
Nei deserti di ghiaccio creati dalla sua immaginazione e dalle sue
elucubrazioni mentali, Josef Mazzini non aveva avuto bisogno di
vestiti imbottiti di piuma, né di alcuna protezione contro la luce ab-
bagliante e neppure di un fucile.
Ma ora....man mano che si avvicinava al mondo insulare artico, fi-
nora mero palcoscenico o sfondo alle sue fantasie, questo comincia-
va ad assumere forme aspre e bizzarre che lo spaventavano e lo at-
traevano allo stesso tempo.




E così procedeva nell'attuazione del suo proposito.
- Caro signor Mazzini,
aveva scritto il governatore Ivar Thorsen nella sua prima lettera di
risposta da Long-yearrbyen, 'con tutta la stima per il suo interesse
per la storia polare, dubito però che lei sia sufficientemente infor-
mato sulle condizioni dell'Artico norvegese.
Le conviene dimenticare al più presto l'idea di spingersi con un pe-
schereccio nel Mare di Barents settentrionale partendo da Spitsber-
gen. Un simile proposito sarebbe molto avventato e rischioso in
qualsiasi stagione.




Inoltre qui da noi non esistono né pescatori né pescherecci.
Quanto alla sua domanda in merito a un'eventuale partecipazione
a uno dei viaggi di ricerca dell'Istituto polare norvegese, la rimando
agli uffici competenti di Oslo. Ma non si faccia troppe illusioni.
Come lei sa, Novaja Zemlja, come del resto la Terra di Francesco
Giuseppe, è territorio sovietico....









venerdì 1 febbraio 2013

UNA FOTOGRAFIA (i ragazzi dello zoo...)



































Detlef ed io frequentavamo di nuovo in pieno il giro dell'ero, quelle normali
discoteche per mocciosetti non ci interessavano più.
Quando non ero al Bahnhof Zoo, stavo alla stazione della metropolitana del
Kurfurstendamm, sugli stretti marciapiedi di questa stazione c'erano spesso
un centinaio di bucomani, lì si spacciava.




Venivano anche dei clienti che erano specializzati in bucomani, ma soprattut-
to la stazione della metropolitana del Kurfurstendamm era un punto di incon-
tro.
Io passavo da un gruppo all'altro e chiacchieravo con gli altri bucomani.
Quando giravo così tra gli altri bucomani spesso mi sentivo fantastica.




Ciabattavo su questo marciapiede sotto il Kurfurstendamm come una star tra
le star. Vedevo le vecchie signore coi loro fagotti di buste di plastica e Werth-
eim o di Bilka che tornavano a casa, e vedevo come ci guardavano con gli
occhi spalancati, inorridite e proprio spaventate, e pensavo: noi siamo buco-
mani che stiamo cento volte più avanti di loro, noi facciamo una vita da schi-
attare, possiamo morire ogni giorno e moriremo presto.




A me comunque piace così.
Pensavo ai soldi che guadagnavo. Per la roba avevo bisogno di cento marchi
ogni giorno. Con le spese accessorie arrivavo a 4000 marchi di uscita al mese,
che dovevo dunque tirar su.




A 4000 marchi al mese netti ci arriva appena il direttore di una ditta. Ed io rime-
diavo questi 4000 marchi a 14 anni.
Certo che fare marchette era un lavoro miserabile ma se ero sballata di ero non
mi faceva più neanche effetto. E in realtà ero io che fregavo i clienti. Le mie pre-
stazioni quando battevo non erano assolutamente proporzionate a quello che lo-
ro mi dovevano poi dare.




Ancora ero sempre io che mettevo le condizioni.
Di scopare con me non se ne parlava proprio.
Tra gli altri c'erano delle star ancora più grosse di me. C'erano quelli che raccon-
tavano che avevano bisogno di quattro grammi di ero al giorno. Questo costava
allora da 500 a 850 marchi al giorno.




E loro riuscivano quasi sempre a tirar su questi soldi. Riuscivano dunque a far più
soldi di un direttore generale senza che i poliziotti li prendessero.
Questi erano delle star che io potevo avvicinare in ogni momento nella stazione del
Kurfurstendamm e che chiacchieravano spesso con me. Questi erano i miei pensieri
in quel periodo: febbraio 2014, quando nello sballo ci stavo dentro bene.




Bene non mi andava ma non ero neanche completamente arrivata.
Ancora riuscivo a dirmi un sacco di bugie.
Mi ero di nuovo totalmente immedesimata nel ruolo della bucomane (e la differen-
za fra me e un direttore generale come potete vedere è nulla...).
Mi trovavo un sacco paracula (come il direttore generale...).
Non avevo paura di niente (come il già detto...).




Quando ancora non mi bucavo la cosa che avevo più di tutto era la paura.
Di mio padre, più tardi dell'amico di mia madre, della scuola di merda e degli inse-
gnanti, dei portieri, dei vigili e dei controllori della metropolitana. Adesso mi senti-
vo intoccabile. Non mi cagavo mai sotto dalla paura per i poliziotti in borghese che
qualche volta giravano per la stazione.




Ero sfuggita ad ogni retata (li fregavo come il grande direttore generale..) rimanen-
do fredda come il ghiaccio. In quel periodo avevo contatti con dei bucomani che
secondo me con l'eroina se la cavavano proprio bene.
Per esempio Atze e Lufo.
Atze era stato il primo ragazzo con cui avevo avuto una relazione stretta prima di
Detlef e di cui ero stata veramente cotta.




Lufo ed Atze e Detlef avevano fatto parte del gruppo dell'hascisc del Sound tutto
era partito da lì (hanno un bell'appartamentino ...tutto loro...).
Vivevano adesso in un appartamento perfetto, con letto francese, divano e moquet-
te, ed un ottimo padrone di casa che li asseconda in tutto. Lufo aveva ancora persi-
no un vero lavoro come operaio semplice.




I due dicevano che loro non erano fisicamente dipendenti dall'eroina e che qualche
volta gliela facevano senza pere per uno, due mesi. Io gli credevo malgrado quando
li vedevo fossero sempre sballati.
(Christiane F., Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino)