giuliano

venerdì 28 febbraio 2014

LA CHIESA DI SHILOH (3)















































Precedenti capitoli:

La chiesa di Shiloh (2) &

La chiesa di Shiloh (49)













... Alternativamente (e al contempo) dalle forze belligeranti, e uno scontro violento si era verificato nelle immediate vicinanze della casa dei Lassiter.
Ma di tutto ciò il giovane soldato di cavalleria non sapeva nulla….
Ritrovandosi accampato vicino a casa, provò il desiderio naturale di vedere i genitori e la sorella, con la speranza che in loro l’innaturale animosità della guerra fosse stata addolcita dal tempo e dalla separazione, com’era successo a lui.




Ottenuta una licenza, un tardo pomeriggio estivo si mise in cammino e, subito dopo che la luna piena si fu levata in cielo, si ritrovò a percorrere il sentiero di ghiaia che conduceva alla casa in cui era nato. I soldati in guerra invecchiano in fretta e, in gioventù, due anni sono un periodo lunghissimo.
Barr Lassiter si sentiva un vecchio, e si era quasi aspettato di trovare l’edificio in rovina e in uno stato di abbandono. In apparenza, non era cambiato nulla… Alla vista di tutti gli oggetti cari e familiari provò una profonda commozione. Il cuore gli batté all’impazzata, soffocò quasi per l’emozione e si sentì un groppo in gola.
Inconsciamente affrettò il passo fin quasi a correre, mentre la sua lunga ombra faceva sforzi grotteschi per stargli dietro….




La casa era buia, e la porta aperta… Quando si avvicinò e si fermò per riprendere il dominio di sé, il padre varcò la soglia e rimase a capo scoperto al chiaro di luna….
‘Padre!’, esclamò il giovane, lanciandosi in avanti con le braccia protese. ‘Padre!’. L’uomo più anziano gli rivolse un’occhiata severa, rimase immobile per un attimo e, senza dire una parola, si ritirò in casa. Amaramente deluso, umiliato, indicibilmente ferito e completamente annichilito, il soldato si lasciò cadere su una rozza panca in preda allo sconforto più profondo, reggendosi la testa con mani tremanti. Ma non poteva sopportare che le cose andassero in quel modo: era un soldato troppo in gamba per accettare di essere sconfitto con un rifiuto.




… Si alzò ed entrò in casa, dirigendosi subito verso il soggiorno… La stanza era debolmente illuminata da una finestra priva di tende, esposta a est. Su un alto sgabello accanto al focolare, l’unico mobile di quella stanza, era seduta la madre, che fissava il cammino cosparso di tizzoni anneriti e cenere fredda. Lui le parlò con tenerezza, con aria interrogativa e con esitazione, ma la donna non rispose, né si mosse, né sembrò mostrare alcun segno di sorpresa.
E’ vero, il marito aveva avuto il tempo di avvisarla del ritorno del figlio colpevole. Barr le si avvicinò e fu sul punto di posarle una mano sul braccio, quando la sorella entrò da una stanza adiacente, lo guardò dritto in volto, gli passò davanti senza far mostra di averlo riconosciuto e lasciò la stanza da una porta alle sue spalle.




Il giovane si era voltato e guardarla, ma quando ella se ne fu andata, i suoi occhi cercarono di nuovo la madre. Anche lei non c’era più….
Barr Lassiter si avviò a grandi passi verso la porta da cui era entrato. Il chiaro di luna fremeva sul prato, come se il manto erboso fosse stato un mare increspato. Gli alberi e le loro ombre nere tremavano come scossi dalla brezza….
Il sentiero di ghiaia dai bordi sfumati sembrava instabile e poco sicuro da percorrere. Il giovane soldato sapeva che si trattava di illusioni ottiche prodotte dalle lacrime. Se le sentì sulle guance e le vide luccicare sulla sua giacca da soldato di cavalleria.
Se ne andò e fece ritornò all’accampamento…




L’indomani senza uno scopo preciso e senza provare un sentimento dominante cui sarebbe stato in grado di dare un nome, si avviò di nuovo verso quel luogo. A meno di un chilometro di distanza dalla casa, s’imbatté in Bushrod Albro, un suo vecchio compagno di giochi e di studi che lo salutò calorosamente.
‘Vado a trovare la mia famiglia’, disse il soldato.
L’altro gli lanciò un’occhiata tagliente, ma non disse nulla…
‘So’, continuò Lassiter ‘che i miei non sono cambiati, ma…’.
‘Dei cambiamenti ci sono stati davvero’, lo interruppe Albro. ‘Tutto cambia. Se non ti dispiace, verrò con te. Possiamo scambiare due chiacchiere strada facendo’.




Ma Albro non parlò.
Al posto della casa trovarono solo delle fondamenta di pietra annerite dal fuoco, che circondavano un’area ricoperta di ceneri compatte punteggiate dalla pioggia.
Lassiter rimase estremamente sorpreso.
‘Non sono riuscito a trovare le parole giuste per dirtelo’, confessò Albro. ‘Durante la battaglia dell’anno scorso, una granata dei Federali ha bruciato la tua casa’.
‘E la mia famiglia… dove si trova?’.
‘In Paradiso, spero. Sono stati tutti uccisi dalla granata’.

(A. Bierce)



















sabato 22 febbraio 2014

ETERNO VOLTO DELL'IPOCRISIA DELLA VITA



















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La maschera caduta













... Egli non riuscì a capacitarsi di come i numerosi spettatori fossero spariti senza
che se ne fosse accorto: la sala era quasi vuota.....
Anche le quattro compagne di tavolo si erano defilate in silenzio. In vece loro
trovò un delicato presente sul suo bicchiere; era un biglietto da visita rosa con due
colombe che si baciavano e la scritta:

MADAME GITEL SCHLAMP
aperto tutta la notte
Waterloo Plein n. 21
 15 signore
  palazzo proprio

Allora era vero!
'Il signore desidera forse un biglietto per prolungare la serata?', chiese il came-
riere a bassa voce; sostituì lesto la tovaglia con una bianca di damasco, vi mise al
centro un mazzo di tulipani e apparecchiò con le posate d'argento.




... Un ventilatore gigantesco cominciò a ronzare aspirando l'aria della plebe....
Camerieri in livrea spruzzarono del profumo, una passatoia di velluto srotolò la sua
lingua sul pavimento fino al palcoscenico e comode poltrone di pelle grigia vennero
spinte nella sala.
Dalla strada proveniva un rumore di macchine e carrozze....
Signore in abito da sera di un'eleganza ricercata e signori in frac cominciarono ad
affluire: lo stesso pubblico internazionale e di gran classe, almeno in apparenza, che
Hauberrisser aveva visto poc'anzi accalcava davanti... al circo.....
In pochi minuti il locale si riempì fino all'ultimo posto...
Un leggero tintinnio di catenine di monocoli, risate a mezza voce, un frusciare di
gonne di seta, un profumo di guanti femminili e di tuberosa, lucenti collane di perle
brillanti a goccia, il sibilo emesso dalle bottiglie di champagne, il secco crepitare dei
cubetti di ghiaccio dei contenitori d'argento, l'abbaiare iroso di un cagnolino da salot-
to, bianche spalle di donna discretamente incipriate, morbide cascate di merletti, l'a-
roma innaturale agrodolce di sigarette del Caucaso, e quelle corrette all'oppio; l'im-
magine che la sala aveva offerto di sé solo pochi minuti prima non era più riconosci-
bile.




Al tavolo di Hauberrisser sedevano di nuovo quattro signore: una anziana con la lor-
gnette d'oro e tre giovani, una più bella dell'altra; russe dalle mani sottili e nervose, i
capelli biondi e gli occhi scuri che non ammiccavano mai, non evitavano gli sguardi
degli uomini e tuttavia sembravano non vederli.
Un giovane inglese, il cui frac già da lontano rivelava fattura di prim'ordine, passò
di lì, si fermò un istante e rivolse loro qualche parola cortese: un volto fine, elegan-
te e stanchissimo; la manica sinistra, vuota fino alla spalla, penzolava inerte renden-
do ancor più sottile quella figura alta ed esile, il monocolo era come incassato nell'-
orbita profonda sotto il sopracciglio.
Intorno, soltanto quel genere di persone che il filisteo di ogni nazionalità odia istin-
tivamente, proprio come il bastardo dalle zampe storte odia il cane di razza ben for-
mato. Creature che per la grande massa rimarranno sempre un enigma perché su-
scitano disprezzo e invidia allo stesso tempo; esseri che possono camminare nel
sangue senza batter ciglio, ma svenire se una forchetta stride sul piatto..; che met-
tono mano alla pistola se li guardi di traverso, ma ti sorridono calmi se li scopri a




barare o a truffare; che si inventano ogni giorno un nuovo vizio di fronte al quale
il 'borghese' si fa il segno della croce, e preferiscono patir la sete per tre giorni
pur di non bere dl bicchiere di un altro, che credono nel buon Dio come a qual-
cosa di ovvio e scontato, ma poi se ne distaccano ritenendolo privo di interesse;
persone considerate fatue da chi, in modo grossolano, crede che sia mera faccia-
ta quel che in realtà, da generazioni, è diventato la loro vera essenza.
Persone che non sono né fatue né profonde; creature che non hanno più un'anima
e per questo agli occhi della massa, che un'anima non l'avrà mai, sono quanto di
più esecrabile; aristocratici che preferiscono morire piuttosto che chinare il capo
e hanno un fiuto infallibile per riconoscere il proletariato, lo considerano inferiore
a un animale eppure inspiegabilmente gli si assoggetano se il caso lo pone sul tro-
no; potenti che diventano più vulnerabili di un bimbo se solo il destino aggrotta
la fronte.... strumento del diavolo e insieme suo trastullo.




Nel frattempo un'orchestra invisibile aveva terminato la marcia nuziale del Lohen-
grin. Una campanella squillò....  In sala si fece silenzio.... Sulla parete sopra il pal-
co si illuminarono delle minuscole lampadine a comporre la scritta:

     La Force d'Immagination!

... e un signore francese con l'aria del parrucchiere, in smoking e guanti bianchi,
coi capelli radi e il pizzetto, le guance flaccide, cascanti e giallognole, una roselli-
na rossa all'occhiello e gli occhi cerchiati, uscì da dietro il sipario, fece un inchino
e si abbandonò in silenzio su una poltrona al centro del palco.
Hauberrisser pensò che fosse la volta di un monologo più o meno licenzioso, di
quelli che si recitano nei cabaret, e irritato distolse lo sguardo quando l'attore -
era imbarazzato o solo il preludio di uno scherzo volgare? - cominciò ad armeg-
giare intorno al suo vestito.




Passò un minuto, nella sala e sul palco regnava ancora il più assoluto silenzio.
Poi, dall'orchestra, due violini attaccarono in sordina e come da grande distanza
si udì il suono struggente di un corno: 'Dio ti protegga, sarebbe stato troppo bel-
lo. Dio ti protegga, non avrebbe dovuto accadere'.
Hauberrisser, stupito, prese il suo binocolo da teatro e lo puntò sul palco.....
Per l'orrore gli cadde quasi di mano.
Che cos'era?
Che fosse improvvisamente impazzito?
Un sudore freddo gli ricoprì la fronte - sì, senza dubbio era impazzito!
Quel che vedeva non poteva davvero svolgersi sul palco, proprio lì davanti a
centinaia di spettatori, signori e signore che solo qualche mese prima appartene-
vano al bel mondo! In un porto nel Nieuve Dyk, magari, o in un'aula di anatomia,
ma lì?!
O stava sognando?




Era forse avvenuto un miracolo e la lancetta del tempo era tornata indietro all'-
epoca di Luigi XV?
L'attore teneva entrambe le mani premute sugli occhi, come chi impieghi tutta la
sua fantasia per immaginare qualcosa il più chiaramente possibile... dopo qualche
minuto si alzò, fece un inchino frettoloso e scomparve.
Hauberrisser gettò uno sguardo veloce alle signore del suo tavolo e agli spettato-
ri vicini: nessuno batteva ciglio. Solo una principessa russa ebbe il coraggio di ap-
plaudire con disinvoltura. Come nulla fosse accaduto la conversazione in sala
riprese allegramente.
Hauberrisser aveva la sensazione di essere seduto in mezzo a tanti spettri; passò
le dita sulla tovaglia e aspirò il profumo dei fiori impregnati di muschio: quel senso
di irrealtà crebbe in lui fino a trasformarsi nel più profondo terrore....
La campanella suonò nuovamente (con tutti i campanellini...) e la sala si oscurò....
Hauberrisser colse l'occasione per andarsene...
Fuori, nel vicolo, quasi si vergognò del suo turbamento...
'Che cos'è successo di così terribile, in fondo?' si domandò.....
Nulla che nella storia dell'umanità non si fosse ciclicamente ripetuto, e in forma
ben peggiore......

(G. Meyrink, Il volto verde)

















sabato 15 febbraio 2014

L' AGENTE SEGRETO (2)


















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l'agente segreto













- I vostri rapporti degli ultimi dodici mesi,
cominciò il Consigliere di Stato Wurmt con tono calmo e senza espressione,
- sono stati letti da me. Non sono riuscito a scoprire perché mai li abbiate
scritti.
Per un po' regnò un silenzio triste. Sembrava che Mr. Verloc avesse ingoiato
la lingua, e l'altro contemplava fissamente le carte davanti a lui sulla scrivania.
Finalmente respinse quei fogli con un leggero gesto della mano.
- Dello stato di cose che qui andate esponendo si presuppone già l'esistenza
come prima condizione della vostra assunzione. Quello che serve in questo
momento non è scrivere, ma portare alla luce un preciso fatto di un qualche
significato - starei per dire un fatto allarmante.




- Non c'è bisogno che io dica che tutti i miei sforzi sono stati diretti a questo
scopo,
rispose Mr. Verloc, con sicure modulazioni della voce su una tonalità un po'
roca, colloquiale. Ma la sensazione di essere fissato con molta attenzione da
quegli occhietti che sbattevano dietro il luccichio rifratto delle lenti dall'altra
parte del tavolo, lo sconcertava.
Tacque subito con un gesto di devozione totale.
Il funzionario, indispensabile e gran lavoratore, anche se oscuro, membro del-
l'ambasciata aveva l'aria di essere stato colpito da un qualche pensiero appe-
na formulato.
- Siete decisamente obeso,
disse.




Questa osservazione, davvero più di tipo psicologico, e presentata con l'esita-
zione di un uomo da tavolino, più abituato all'inchiostro e alla carta che alle esi-
genze della vita attiva, colpì Mr. Verloc come una scortese osservazione perso-
nale.
Indietreggiò di un passo.
- Eh? Cosa avete detto, di grazia?,
esclamò roco, con risentimento.
Il Cancelliere d'Ambasciata incaricato di portare avanti questa intervista, sem-
brò decidere di averne avuto abbastanza.
- Io penso,
disse,
- che fareste meglio a vedere Mr. Vladimir. Sì, decisamente penso che dovre-
ste vedere Mr. Vladimir. Siate gentile, aspettate qui,
aggiunse, ed uscì a piccoli passi.




Mr. Verloc si passò subito la mano sui capelli. Goccioline di sudore leggero gli
  imperlavano la fronte. Lasciò che l'aria gli sfuggisse dalle labbra imbronciate
come soffiasse su un cucchiaio di minestra bollente.....




Mr. Vladimir, Primo Segretario godeva nei salotti della fama di uomo piacevole
e divertente. Il suo spirito consisteva nello scoprire buffi punti di contatto tra idee
incongrue; e quando parlava in questa vena si sporgeva tutto in avanti sulla poltro-
na con la mano sinistra sollevata, come per mostrare le sue spiritose dimostrazioni
racchiuse tra il pollice e l'indice, mentre il faccione rotondo e ben rasato assumeva
un'espressione di divertito imbarazzo.
Ma non c'era traccia di divertimento o di imbarazzo nel modo in cui guardava Mr.
Verloc. Comodamente adagiato all'indietro sulla poltrona con i gomiti allargati ad
angolo retto, una gamba disinvoltamente accavallata sul ginocchio robusto, e quel-
l'aspetto liscio e roseo, aveva l'aria di un bambinone cresciuto in modo abnorme
che non ha la minima intenzione di tollerare sciocchezze da qualsiasi parte venga-
no.




- Lei capisce il francese, suppongo?,
disse.
Mr. Verloc mise in chiaro con voce rauca che sì, lo capiva.
...Mr. Vladimir cambiò lingua e cominciò a parlare in un inglese colloquiale senza
la minima traccia di accento straniero.
- Ah! Sì. Naturalmente. Vediamo. Quanto vi hanno dato per aver sottratto il pro-
getto del nuovo atturatore del loro cannone da campo?
- Cinque anni di carcere duro in una fortezza.
Rispose subito Mr. Verloc, senza mostrare peraltro alcun segno d'emozione.
- Ve la siete cavata facilmente,
fu il commento di Mr. Vladimir.
- E, comunque, tanto peggio per voi che vi siete fatto prendere. Che cosa vi ha
spinto a mettervi in questo genere di cose - eh?




Si udì la voce roca di Mr. Verloc, quella col tono da conversazione, parlare di
gioventù, di una infatuazione fatale per un'indegna...
- Ah! Cherchez la femme,
Mr. Vladimir si degnò di interrompere, rigido senza cortesia; piuttosto c'era in
quella sua condiscendenza un tono di malignità.
- Quanto tempo è che siete alle dipendenze di questa ambasciata?,
chiese.
- Dall'epoca dell'ultimo Barone Stott-Warteheim,
rispose Mr. Verloc in tono sottomesso, atteggiando le labbra in segno di tristez-
za per il defunto diplomatico.
Il Primo Segretario osservò freddamente questo gioco della fisionomia.




- Ah! da allora... Bene! Cosa avete da dire?,
chiese, bruscamente.
Mr. Verloc rispose con una certa sorpresa che non gli risultava di avere da dire
nulla in particolare. Era stato convocato con una lettera. E si affrettò ad infilare
la mano nella tasca laterale del soprabito, ma davanti allo sguardo cinico e pie-
no di scherno di Mr. Vladimir, decise di lasciarla dove si trovava.
- Bah!,
disse quest'ultimo.
- Che senso ha uscire in questo modo dal vostro stato? Non avete nemmeno
il fisico della vostra professione. Voi - un membro del proletariato morto di....
fame. Mai! Voi - un disperato socialista o anarchico - quale dei due?




- Anarchico,
precisò Mr. Verloc in tono bassissimo.
- Fesserie!,
continuò Mr. Vladimir senza alzare la voce.
- Avete spaventato perfino il vecchio Wurmt. Non ingannereste un idiota. E sì
che capita di incontrarne ogni tanto, ma voi siete semplicemente impossibile.
Così avete iniziato i vostri rapporti con noi rubando i progetti del fucile france-
se? E vi siete fatto prendere. Deve essere stato molto spiacevole per il nostro
Governo. Non avete l'aria di essere molto.... INTELLIGENTE....

(Conrad, L'agente segreto)

















mercoledì 12 febbraio 2014

UN DIALOGO (2)


















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Un dialogo














... Matematiche sopra una lavagna; ma invece le religioni si fondano e si distruggono coll’affetto, o col fanatismo; s’incarnano nel cuore e non ne escono che con violenza dolorosa. tu sei meno religioso di me, perché io ho la religione dell’ideale; perché aspiro a qualche cosa di più alto che le mie mani, perché sogno un sole più fulgido del nostro e un cielo più azzurro che non quello che tu vedi sopra il nostro capo; perché aspiro a un bello assoluto; perché imperfetto cerco la perfezione.
- E tutto questo non è forse un Dio, fatto a tua immagine e somiglianza? E qual differenza allora esiste fra me e te? Io chiamo Dio il mio Dio, e tu chiami il tuo col nome di ‘ideale’; nessuno dei due Dei ha il  triangolo in capo e la barba lunga, nessuno siede fra una colomba e un agnello, ma sono pure due forme d’una stessa cosa, son pur sempre l’aspirazione dell’uomo verso un ignoto che non si può conoscere, verso un alto, che non si può toccare, verso un profondo in cui non si può discendere. Tu forse ti credi più avanzato di me, perché ti chiami razionalista; ed io mi fermo ad una stazione più bassa, secondo il tuo modo di vedere, perché mi rassegno a riconoscere un Dio o ad amarlo.



 
- No; io non sono né più avanti né più addietro di te, ma io sono nel vero e tu non lo sei. Io credo nella religione umana, credo in ciò ch’essa afferma, rifiuto ciò che essa rifiuta. Tu hai sempre un idolo dinanzi, che sensi e ragione non possono ammettere.
- Ma anche tu non ti accontenti di ciò che ti rivelano i sensi e di ciò che la ragione ti spiega. L’ideale non è cosa che si tocchi e si veda, e la ragione non lo discute e non lo spiega; eppure tu aspiri all’ideale, te lo prefiggi come scopo della tua vita, e vai a cercarlo fino in America.
- Il mio ideale è di questa terra; è umano e quindi positivo; il tuo è divino, quindi soprannaturale, quindi falso. E come puoi prefiggerti uno scopo, che è all’infuori della natura e dell’uomo?
- No, mio caro Attilio, noi ci prefiggiamo senza saperlo la stessa cosa, e solo cerchiamo di raggiungerla per vie diverse. Tu più ardito vai a rintracciarla in un altro emisfero; io più modesto la cerco fra le zolle che calpesto, nelle vie della mia città. Tu più rivoluzionario abbatti i templi e gli idoli e fin la parola di Dio; tu dopo aver distrutto il pregiudizio, neghi la fede; io invece voglio abbattuta la sacristia e ritto l’altare; io voglio demolita la bottega, ma intatto il Dio; e mi conforto nel guardar fisso in un punto del cielo, dove anche i miei padri hanno guardato, e non mi vergogno di amarlo questo Dio, come un’eccelsa personificazione di un’infinità bontà, di un’infinita bellezza, di un infinita perfezione.



 
- E per questo tu preghi ancora.
- Sì, prego ancora e pregherò sempre, senza pretendere poi che due orecchie divine, ma fatte a somiglianza delle nostre, mi ascoltino; prego, perché questa è la mia canzone, è il mio inno all’ideale. E non preghi anche tu, quando contempli estatico un cielo stellato? E non prega il poeta, quando canta? E non prega l’artista, quando crea forme più belle di quelle che gli occhi suoi hanno veduto e le sue mani hanno accarezzato? Tutti preghiamo, né io mi vergogno di farlo e di dirlo…
- Caro Giovanni, tu avresti dovuto fare l’avvocato e non il medico. Sta bene, tu sei deista e te ne vanti; io sono razionalista e me ne compiaccio; tu adori Dio ed io adoro l’ideale; io andrò a ricercarlo nel nuovo mondo e tu rimani a rintracciarlo nel vecchio. Ebbene, diamoci la mano e giuriamo di trovarci qui su questo stesso scoglio, quando avremo raggiunto ciò che cerchiamo.
- Sta bene, quando uno di noi sarà contento della sua posizione, quando non avrà più nulla a desiderare, scriverà all’altro: son pronto. E quando l’altro potrà alla sua volta rispondere: son pronto anch’io; e noi ci daremo un secondo convegno su questo scoglio. Possa questo giorno venire presto!
- Bada, Giovanni, che io sarò il primo a chiamarti al ritrovo, perché vado alla ricerca dell’ideale, ed è più probabile, che, vedendo molti luoghi e mutando di posizione, lo abbia a ritrovare più presto. Tu invece lo aspetti a pie’ fermo.




- Desidero, che tu sia il più fortunato; ma non sempre l’ideale si trova in regioni sconosciute e lontane. Ogni anima umana ha il suo proprio ideale, che si attaglia alle diverse altezze e ai temperamenti diversi di ciascheduno; il grande segreto sta nel ritrovarlo. Lo possiamo trovare in un altro emisfero e lo possiamo avere nelle nostre tasche. Vedi tu quel fumo azzurrigno che esce in dense colonne da quella capanna a metà del monte? Per l’uomo che vi abita l’ideale è un campo ridente di segale fiorita, è un pergolato che cede al peso dei grappoli dorati o porporini. E in quell’ideale non vi è soltanto l’idea grossa del benessere materiale, del lauto guadagno; ma vi è un’ammirazione inconscia delle bellezze della natura feconda…
- Spero bene, però, che tu non sapresti accontentarti di quell’ideale che sta chiuso in quella casupola di pietra?
- No, di certo; ma dopo aver salito l’erta, convien pur adagiarsi su qualche zolla e non convertire la sete dell’ideale in una mania che non si appaghi mai, in una febbre che tutto divori… Dopo aver adoperato tutte le forze, dopo aver evocato dal profondo tutte le energie, dobbiamo anche saper dir: basta…



 
- Ma non alla nostra età, per Dio.
- Bada, che tu hai nominato il nome di Dio invano, tu devi dire: per l’ideale.
- Ebbene, per l’ideale, noi dobbiamo innalzare ogni nostra facoltà al massimo di forza, dobbiamo adoperare sensi, intelletto e cuore per salire più in alto possibile; dobbiamo frugare valli e monti e oceani per rintracciare il paradiso terrestre, da cui ci ha scacciato il peccato di Eva.
(In questo punto un rumore nuovo interruppe il dialogo dei due amici. Dal lato opposto dell’isola era approdata una barca da Cannero, quella stessa, che due ore innanzi aveva portato Attilio al Sasso. Mentr’essi si alzavano per riconoscere la causa del rumore, un barcaiolo, salito sul ciglio dello scoglio, diceva: Siam qui… 
- E noi veniamo, risposero in coro i due giovani, e strette le mani, gettando uno sguardo al sole, che sembrava inverdire le gemme nascenti degli alberi e delle erbuccie, stettero per alcuni istanti, pieni di una soave, di una santa commozione.
-  Dunque? disse Giovani.
- Dunque, Giovanni, lanciamoci nel mondo alla conquista dell’ideale.
- Alla conquista del Dio ignoto, rispose Attilio.)

(P. Mantegazza, Il Dio ignoto)

















lunedì 10 febbraio 2014

SONO SANO DI SPIRITO


















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Sono santo di spirito &

(Secondo piano.... quarta sala...)













Dall'infanzia si cresce fino a ragazzi e ragazze - giovani uomini e 
giovani donne - e se Dio ci risparmia e ci aiuta a mariti e mogli, 
padri e madri a nostra volta, e poi, lentamente ma inesorabilmen-
te il volto che un tempo era la rugiada o la mattina prende le sue 
rughe, gli occhi che una volta erano raggianti di giovinezza e gioia 
parlano di una profonda tristezza sincera e onesta, anche se man-
tengono il fuoco maggiore di Fede, Speranza e Carità.
I capelli diventano grigi o li perdiamo - ah - anzi si passa solo attra-
verso la terra, si passa solo attraverso la vita, noi siamo stranieri 
e pellegrini sulla terra.




Il mondo passa e tutto il suo splendore. Lasciate che i nostri giorni 
più tardi essere più vicino a te e quindi migliore di questi.
Eppure viviamo maggiormente non solo ogni ora - no, abbiamo un 
dovere di lottare e una lotta da combattere. 
Che cosa è che dobbiamo fare: dobbiamo amare Dio con tutta la no-
stra forza, con tutte le nostre forze, con tutta 'anima, dobbiamo a-
mare il nostro prossimo come noi stessi.
Da questi due comandamenti che dobbiamo tenere e se seguiamo do-
po questi, se ci dedichiamo a questo non siamo soli, perché il nostro 
Padre celeste è con noi, ci aiuta e ci guida, ci dà forza giorno per gior-
no, ora per ora, e così possiamo fare ogni cosa in Cristo che ci dà for-
za. 
Siamo estranei sulla terra, non nascondono i Tuoi comandamenti da noi…





La nostra vita potremmo paragonarla ad un viaggio, si va dal luogo in cui
siamo nati in un lontano porto. All'inizio la nostra vita potrebbe essere pa-
ragonata alla vela su un fiume, ma ben presto le onde diventano più alte
il vento più violento, siamo al mare quasi prima siamo consapevoli - e la 
preghiera del cuore a Dio si leva: proteggere me o Dio, per la mia barca
è così piccola e il tuo mare è così grande.
Il cuore dell'uomo è molto simile al mare, ha le sue tempeste, che ha le 
sue maree e le sue profondità, ha le sue perle profondamente belle.
Il cuore che cerca Dio e di una vita pia ha più tempeste di qualsiasi altro.
Vediamo come il salmista descrive una tempesta di mare.
Deve aver sentito la tempesta nel suo cuore per descriverla così.......






La troviamo nel VI capitolo del Vangelo secondo San Giovanni nel
17 ° al 21 ° versetto.
E i discepoli Inserita in una nave, e siamo andati sul mare verso Ca-
farnao. Sorto e il mare a causa di un forte vento soffiava. Così, quan-
do aver remato circa venticinque o trenta stadi, videro Gesù che cam-
minava sul mare e si avvicinava alla nave e avevano paura.
Poi volentieri lo ricevettero nella nave e la nave: immediatamente è
stata al paese dove sono andati. Tu che hai vissuto le grandi tempe-
ste della vita, che tu su tutte le onde e tutti i flutti del Signore hai pas-
sati - non avete sentito quando il tuo cuore non riuscita per paura l'-
amata voce ben nota con qualcosa nel suo tono ricordato che si della
voce che ha incantato la tua infanzia - la voce di Colui Tutto il cui no-
me è Salvatore e Principe della pace, come si dicesse a te personal-
mente: "Sono io, non abbiate paura". Non temere. Il vostro cuore non
sia turbato. E tutti noi la cui vita è stata calma fino ad ora, la calma in
confronto di ciò che altri hanno sentito - non dobbiamo temere le tem-
peste della vita, tra le alte onde del mare e sotto le nuvole grigie del
cielo, lo vedremo avvicinarsi, per i quali abbiamo tanto atteso e guar-
dato Spesso, abbiamo bisogno di Lui così - e ci udranno la sua voce:
Sono io, non abbiate paura.

(Vincent van Gogh)