giuliano

lunedì 31 dicembre 2012

IMMOBILITA' E SILENZIO: LA CAMERA OSCURA














(Stavo lavorando al mio studio quando udii delle voci...
pettegolezzi....forse i pensieri di una domestica.....)

'Lui ha una cassetta di legno in cui si può guardare, e vederci dentro.....
delle cose'.
'Che cose?'
'Cose di tutti i generi', tagliò corto Tanneke spazientita.
Evidentemente non aveva voglia di parlare di quella cassetta.
...Di che cassetta si trattasse lo scoprii la mattina dopo, quando lui mi
parlò di cose che impiegai molto tempo a capire.
Entrando a fare pulizie nell'atelier, scoprii che il cavalletto e il relativo
sgabello erano stati messi da parte. Il tavolo invece era al solito posto,
ma sgombro di carte e stampe: sopra c'era una cassetta, grande più o
meno come una piccola valigia, con attaccata su un lato una scatola di
dimensioni minori, che terminava con un oggetto tondo sporgente.





Non capivo cosa fosse, ma non osai toccarla.
Feci le pulizie, gettandovi di tanto in tanto un'occhiata (c'era anche un
libro con delle strane rime....parole...), quasi mi aspettassi di scoprir-
ne all'improvviso la funzione....
Pulii bene l'angolo raffigurato nel quadro, poi il resto della stanza, spol-
verai la cassetta senza quasi toccarla con lo strofinaccio. Feci le pulizie
nel ripostiglio e lavai il pavimento.
Quando ebbi finito, mi fermai in piedi davanti alla cassetta, le braccia
conserte, piegandomi in qua e in là per osservarla bene. Volgevo la
schiena alla porta, ma all'improvviso sentii che c'era lui. Non sapevo
se girarmi o aspettare che dicesse qualcosa (istintivamente lo seguii,
come mi avevano insegnato...).




A un certo punto probabilmente fece scricchiolare la porta, e allora
potei girarmi e guardarlo in faccia. Era appoggiato allo stipite, una lun-
ga vestaglia nera buttata sugli abiti di tutti i giorni. Mi osservava incu-
riosito, ma non appariva preoccupato che potessi danneggiare la sua
cassetta.
'Vuoi guardarci dentro?' chiese.
Era la prima volta che mi rivolgeva la parola, da quando mi aveva inter-
rogato a proposito delle verdure settimane prima.
'Sì, signore, mi piacerebbe', risposi, senza sapere però a che cosa ac-
consentissi (era da tempo, come penso già di avervi detto..., che la ...
osservavo..., ma nella sua curiosità c'era sempre qualcosa di nuovo
che mi attirava..., così feci finta di nulla, mentre lei...puliva, spolvera-
va, osservava incuriosita...).




'Che cos'è questa?'
'Si chiama camera oscura'.
Quelle due parole non avevano alcun senso per me (come le sue frasi...
non le capivo, a stento riuscivo a leggerle, frammenti ...senza senso...).
Me ne rimasi in piedi da parte, e lo guardai mentre sganciava un ferma-
glio e sollevava parte del coperchio della...cassetta, che era diviso in
due e ricongiunto con delle cerniere.
Puntellò la parte mobile in modo che la cassetta rimanesse semiaperta.
Sotto c'era un vetrino, sul quale si curvò e guardò nello spazio tra il co-
perchio e la cassetta, quindi girò la rotellina all'estremità della scatola
più piccola (un'operazione che facevo costantemente, mentre la osser-
vavo:...vista non consapevole di essere vista, nella curiosa ... e strana
sua.... vista).
Si sarebbe detto che stesse guardando qualcosa, ma a me sembrava
che nella cassetta non ci potesse essere nulla di così interessante...




Si raddrizzò e appuntò lo sguardo all'angolo dello studio che avevo
pulito con tanta cura (mi è stato insegnato di essere silenziosa ed ac-
corta affinché le mie pulizie e servigi non lo disturbino più di tanto....
rispondo con diligente cura agli insegnamenti impartiti...), poi allungò
la mano e chiuse le imposte della finestra centrale, così che la stanza
prendesse luce solo dall'ultima finestra in fondo.
Si sfilò di dosso la vestaglia.
Imbarazzata, io me ne stavo lì, spostando il peso da un piede all'altro.
Si tolse il cappello, che posò sullo sgabello del cavalletto, poi si tirò la
vestaglia sulla testa, tornando s curvarsi sulla cassetta.
Indietreggiai d'un passo e gettai un'occhiata alla porta alle mie spalle......
(T. Chevalier, La ragazza con l'orecchino di perla; Film consigliato:
 T. Angelopoulos, L'eternità e un giorno)











domenica 30 dicembre 2012

SECONDO PIANO QUARTA SALA (trova il numero sulla guida...)

































Vi ho dimorato anche io per molto tempo (lì al Jeu de Paume).

I miei occhi affranti hanno accompagnato tutti quei visitatori curiosi,

ammirati, entusiasti.

Li ho scrutati per tanto tempo, convinti di studiare un dipinto,

non sanno di vedere l'infinito.

Convinti di analizzare il 'tratto', o di interpretare un 'cenno nascosto',

...o distratto, inosservato, che dia una chiave di lettura diversa,

...per ciò che fui nominato...pazzo....





Non sanno per il vero che li sto scrutando.

Non vedono l'occhio inorridito di chi dal mondo

è per sempre fuggito.

Guardano l'orecchio, dopo quando me lo fui tagliato,

non per un amore strano,

ma per l'arte di un 'pazzo' che Dio ha comandato.

Ritrovarsi su questa terra e fuggire per campi e vento,

a catturare i colori,

e mostrare il mondo così come Lui lo vede,

non è cosa da poco,

non è preghiera del prete o fedele,

lode al Signore,

inchino sull'altare.





E' tremare al freddo di un Dio

che al mondo non sa più pregare,

e la preghiera ora dipinge

su un campo di ortiche,

che fu la corona per tutte le sue fatiche.

Se poi furono girasoli, mulini, strane stanze,

contadini e altri panorami, libri e dottori stanchi,

è perché la vita volli di nuovo amare,

per poterla sempre incorniciare e mostrare a tutti,

ora che mi guardano.....

che la stessa fine ho ritratto

se pur 'parabola' non ho narrato.






Volli provare a mutar la 'parola' in tratto strano

perché ci furono quelli che per sempre l'hanno intesa

e dicono anche capita,

poi, invece, altri vi lessero un altra fine,

ed ancora ...coloro che interpretarono un diverso significato,

ed alla fine, se pur profeta nel bene arrecato,

colsi ortica su quel campo seminato.

Così volli provare a confessare il dolore immane

che si prova a navigare in codesto mare.






I tratti, son per questo così diversi,

non perché è la mia mente che vacilla....

...in mezzo a tutta questa gente ben nutrita,

ma bensì perché non navighiamo sullo stesso mare.

Forse vorrei sussurrarlo all'orecchio,

proprio di quello,

che ora mi guarda così ammirato,

sono io lo Straniero,

non te con il tuo accento,

l'occhio fiero, ed il fazzoletto a portata di mano






per asciugare il calvario di quel tratto che osservi

e una lacrima che scende ...piano;

una pennellata distratta mentre mi sudava la mano;

un occhio lucido che inganna la vista;

un freddo in quella stanza che illumina un'altra vita;

un tremore e un fremito improvviso;

tutto il vento che ho catturato

mentre gli altri per 'pazzo' mi coloravano.

Un brivido e un nulla come un'isola improvvisa,

se pur la sala è piena,

era la notte davanti alla mia preghiera,

che vista su il mondo ....era.






Molte volte mi sono ritratto,

per vedere tutti i volti come tanti girasoli,

mi girano attorno,

li scruto non visto,

come un segreto mai rivelato dalle tante vite

che in segreto....ho dipinto e raccontato,

mutando la parola detta e non detta,

che mai sapeva di peccato,

ma dal mondo fu trascinata fin dentro un cortile,

...che aspettava solo...la fine....






Piansi anch'io....davanti ad un quadro...

e fin dentro una stanza l'ho trascinato,

per taluni fu un inutile calvario,

ma ora in quell'occhio lucido

che inganna di nuovo la vista,

abbiamo scoperto il nostro eterno .......sudario....

(la vita è bella come quel quadro ...narrato...).

(Giuliano Lazzari per Vincent)









PRIMA VISITA: IL JEU DE PAUME



































Gli impressionisti furono veramente attratti dalla sensazione immediata,
dalla comunicazione della verità senza veli, percepita dall'occhio dell'-
artista ed espressa senza preconcetti o ripensamenti.
Quando i pittori che in seguito entrarono a far parte del gruppo, tenta-
rono d'imporsi negli anni sessanta, l'ultima decade del Secondo Impero,
il realismo si era già stabilito come una corrente opposta allo stile acca-
demico convenzionale in auge presso la giuria conservatrice e dogmati-
ca dei Salon.




Questo impulso verso un punto di vista meno convenzionale coinvolse
anche artisti di temperamento profondamente conservatore. Esempi in-
teressanti si trovano nelle prime opere di Degas, come 'La famille Bel-
lelli' datata tra il 1858 e il 1860, in cui si nota un nuovo atteggiamento
nei confronti della composizione, ispirato evidentemente dalla fotogra-
fia, una delle tante invenzioni del periodo che avrebbe rivoluzionato
completamente la percezione del mondo.




Gli impressionisti furono i primi artisti a dimostrarsi sensibili ai cambia-
menti. Nel 1839 l'annuncio che Daguerre aveva perfezionato la sua inven-
venzione, scatenò un entusiasmo immenso, poiché la borghesia del XIX
secolo aveva già anticipato, e con una certa impazienza, la diffusione del-
l'intero processo di fabbricazione delle immagini.
Ciò che affascinava i primi appassionati di fotografia non era semplice-
mente il fatto che la natura poteva ritrarre sé stessa (l'obiettivo veniva
considerato un mezzo totalmente oggettivo di riprodurre la realtà), ma
anche il fatto che la lastra fotografica si impadroniva della realtà con una
fedeltà e attenzione al dettaglio fino allora irrealizzabile.




Il colore era la sola cosa che mancava alle prime fotografie e non era
omissione da poco.
La natura del colore e il modo in cui l'occhio lo percepisce, attrasse la
curiosità scientifica del XIX secolo e gli impressionisti furono i primi a
sfruttare le scoperte della scienza. I teorici conclusero che l'intera gam-
ma di colori deriva in realtà da poche tonalità pure che si fondono otti-
camente sulla retina.




Spinti dal desiderio di verificare questa teoria, gli impressionisti dipen-
sero con piccoli tratti di colore puro che si fondono e creano la tonalità
voluta solo quando lo spettatore si pone a qualche passo dalla tela.
Per riprodurre fedelmente la percezione dell'occhio, secondo gli impres-
sionisti i quadri dovevano essere eseguiti, per quanto possibile, all'aper-
to alla presenza del soggetto stesso.
A questo punto si potrebbe pensare che l'Impressionismo sia una pura
scuola di paesaggio, e in realtà, come può (o poteva...) constatare chi
visita il Jeu de Paume, i paesaggi predominano.




E alcuni membri del gruppo, in particolar modo A. Sisley, non produssero
nient'altro. Può sembrare insolito cominciare uno studio dell'Impressioni-
smo con Sisley invece che con rappresentanti significativi e importanti
come Manet e Monet, ma in realtà c'è una ragione.
L'inondation à Port Marly, una delle più belle opere di Sisley, dipinta nel
1876, mostra lo stretto legame fra l'Impressionismo e i precedenti pae-
saggisti all'aperto, come Corot.




La casa a sinistra è nello stile di Corot, anche se la distesa d'acqua è tratta
in modo meno dettagliato e più luminoso. Le Brouillard di Sisley, realizzato
due anni prima nel 1874, proprio per il tema, indica a quali estremi potesse
arrivare la concezione impressionista del paesaggio.
A prima vista il quadro sembra mancare di struttura, una successione capric-
ciosa di punti variamente colorati, ma la tela non raffigura un luogo preciso,
è invece un tentativo di captare un particolare effetto della luce.




La località del quadro è irrilevante, e così pure il tentativo di attribuire
a esso un contenuto intellettuale contrapposto alla sensazione fisica.
Questo modo di pensare doveva essere portato alle estreme conseguen-
ze da Claude Monet verso la fine della sua vita. Una delle sue innovazio-
ni consisteva nel dipingere ripetutamente lo stesso tema.
Ci sono lunghe serie di quadri dedicati alla facciata occidentale della cat-
tedrale di Rouen, a mucchi di fieno, alle ninfe del giardino che Monet si
era creato a Giverny.....

(E. L. Smith, Introduzione all'ex Museo degli Impressionisti di Parigi, 
Ed. Electa 1985)












sabato 29 dicembre 2012

....PICCOLA STORIA....





































Le brume che avvolgono i primordi della fotografia non sono fitte quanto
quelle che gravano sopra gli inizi della stampa; più facilmente individuabi-
le che per quest'ultima è forse il fatto che l'ora dell'invenzione era giunta
e che ciò era sentito da parecchi; indipendentemente l'uno dall'altro, nu-
merosi uomini perseguivano lo stesso fine: fissare quelle immagini della
camera oscura, che al minimo erano note fin dall'epoca di Leonardo.




Quando, dopo sforzi durati all'incirca cinque anni, Nièpce e Daguerre riu-
scirono contemporaneamente nelle loro ricerche, lo Stato, favorito da cer-
te difficoltà legali inerenti ai brevetti, in cui gli inventori erano venuti a
imbattersi, prese in mano la cosa e la rese pubblica, previo indennizzo.
Così si delinearono le condizioni per uno sviluppo costante e rapido che
per parecchio tempo escluse la possibilità di fermarsi a guardare indietro.
Si spiega in questo modo come per decenni nessuno abbia preso in consi-
derazione i problemi storici o, se si vuole, filosofici, che l'ascesa e la de-
cadenza della fotografia proponevano.




E il fatto che oggi si delinei una consapevolezza di essi ha una ragione
precisa.
La letteratura più recente rileva il fatto, vistoso, che il periodo di fiori-
tura della fotografia - l'attività di Hill e di Cameron, di Hugo e di Nadar -
coincide col suo primo decennio. E questo però anche il decennio che
precede la sua industrializzazione.
Non che già a quell'epoca fossero mancati gli imbonitori e i ciarlatani che
si erano impadroniti della nuova tecnica a scopi mercantili; anzi ciò avven-
ne su larga scala. Ma questo fenomeno era più vicino alle arti delle fiere
annuali, in cui tuttora la fotografia è a casa sua, che non nell'industria.




L'industria s'impadronì del settore con le fotografie formato tessera, il cui
primo produttore, ciò è significativo, diventò milionario.
Non sarebbe sorprendente se le tristi pratiche fotografiche, che oggi per
la prima volta inducono a riconsiderare retrospettivamente quell'epoca di
fioritura industriale, risultassero in una sotterranea connessione coi sommo-
vimenti che travagliano l'industria capitalistica. Non per questo tuttavia è
più facile utilizzare il fascino delle immagini che sono apparse nelle belle pub-
blicazioni recenti di vecchie fotografie per penetrare realmente la loro essen-
za. I tentativi esistenti di analizzare teoricamente il fenomeno sono del tutto
rudimentali.




E per quanto nel secolo scorso si sia molto dibattutto intorno all'argomento,
in fondo questi dibattiti non si sono mai scostati dallo schema banale in base
al quale un giornaletto sciovinista, il 'Leipziger Stadtanzeiger' credeva di do-
versi opporre tempestivamente all'arte diabolica di origine francese.
"Voler fissare immagini effimere, - vi si legge - è non soltanto un'impresa im-
possibile, come è risultato da un'approfondita analisi tedesca, ma anzi, lo stes-
so desiderio di volerlo fare è un'offesa a Dio. L'uomo è fatto a immagine di ....
Dio, e l'immagine di Dio non può venir fissata da nessuna macchina umana.
Al massimo il 'divino artista', animato da una celeste ispirazione, può tentare
di restituire i tratti umano-divini nell'attimo della massima devozione, obbe-
dendo all'alto comando del suo genio, senza l'aiuto di macchina alcuna.....".
(W. Benjamin)















venerdì 28 dicembre 2012

GLI OCCHI DI ATGET....






























Forse avrò incrociato il suo 'sguardo' altre volte....

....Forse

Forse è stato il destino che mi ha portato ad ammirare

un mondo passato....

....andato

....distratto

.....esiliato































Forse è stata la sua anima....

....Forse

Forse il sogno senza Tempo di uno sguardo

su un mondo per sempre perduto

....Forse.... potrei pregare

Forse potrei scrutare la mia e altrui anima




















nel 'suo' specchio

.....Forse potrei cercare nella sua vita

ma quella è tutta la sua 'natura' ritratta .....

...in quell'ora perduta....

Forse ora potrei immaginare una 'biografia'

su cui navigare in ugual destino....

ma sarebbe una beffa

....per il mio ...e suo Dio....





















Forse ora potrei continuare l'opera eterna

di un'anima inquieta

scesa in punta di piedi ...

nel teatro della vita

....Questo blog è dedicato a te...

Eugene Atget

spero di cogliere con la penna ciò che te

hai reso immortale in ogni tua 'lastra fotografica'




























e curato così la nostra anima inquieta

che vaga nello strano Destino al di fuori

di una immagine colta ogni mattino

in un mondo perso

nell'eterno martirio di una vita dimenticata

dal suo Secondo Dio























Ma noi Primi ed Eterni accadimenti

(siamo) certi di incontrarci di nuovo nella tua opera

ed in ogni Anima

e frase non detta

Continuiamo ugual cammino iniziato proprio

lo stesso mattino

Questa.... l'Opera segreta del .....Primo Dio....

(Pietro Autier)